.
Studi Cassinati, anno 2017, n. 1
> Scarica l’intero numero di «Studi Cassinati» in pdf
> Scarica l’articolo in pdf
.
di Costantino Jadecola
.
Il personaggio è noto a chi è molto addentro le cose ecclesiastiche per essere stato colui che, al Concilio di Trento (1545-1563), al fine di porre rimedio ad alcune storture presenti nella chiesa del tempo, specialmente per il disinvolto uso dei benefici, affermò l’illiceità di certi comportamenti qualificandoli addirittura alla stregua della simonia.
Era stato «Paolo III, che lo aveva eletto per Vescovo, e Governatore», scrive Pasquale Cayro, a voler «per la sua gran dottrina destinarlo per uno de’ quattro Giudici del Concilio di Trento, e già egregiamente si condusse in tutte le controversie, e dispute insorte in materia di Dogma, e di riforma, com’osservar si può negl’Atti dell’istesso Concilio. Anzi è degna di esser letta una sua circolare, scritta da Trento a venti Maggio mille cinquecentoquarantasei, diretta ai magnifici Eletti, ed Uffiziali della sua Diocesi d’Aquino, chiamandoli fratelli, e figliuoli in Cristo dilettissimi, dando conto del Concilio tenuto sin’a quel tempo, e del modo, col quale tenevansi le Sessioni, facendo presente ad essi i documenti di vita Spirituale, descrivendo i decreti fatti fin dal primo Maggio»1.
Durante quel Concilio, infatti, mons. Galeazzo Florimonte, queste le generalità del personaggio, fu tra i più attivi tra i riformatori essendo fortemente convinto che i chierici dovessero vivere solo della carità del popolo, ovvero, come scrive Donato Piacentini, che «non dovevano essere legati ai benefici trascurando o dimenticando del tutto il servizio pastorale»2. Tale atteggiamento inevitabilmente lo pose contro la posizione dominante con la conseguenza di essere costretto a rassegnare le dimissioni dalla commissione di cardinali e vescovi incaricata di avanzare proposte innovatrici per la riforma della chiesa, lasciare i lavori del Concilio e far ritorno a Roma.
E fu proprio durante questo soggiorno romano, da inquadrarsi in un arco di tempo compreso tra il 1550 e il 1552, che Galeazzo Florimonte suggerì a mons. Giovanni Della Casa (Borgo San Lorenzo, 28 giugno 1503 – Roma, 14 novembre 1556) di dedicarsi allo scritto di un trattato sulle buone maniere, fornendogli peraltro alcuni appunti sull’argomento che lui stesso aveva annotato in un suo Libro de le inetie. Il suggerimento non andò disatteso e negli anni successivi l’impegno venne portato a termine da mons. Della Casa anche se il lavoro avrebbe visto la luce solo nel 1558, cioè dopo la morte del suo autore, con il titolo Galateo overo de’ costumi, dal latino Galatheus, con chiaro riferimento al nome di colui che ne era stato l’ispiratore, appunto Galeazzo Florimonte.
Ma chi era costui? Figlio naturale del notaio Marco Ferramonte e di Antonina Castello (o Zitello), Galeazzo era nato il 27 aprile 1484 a Sessa Aurunca dove aveva compiuto i primi studi avendo tra i suoi maestri il filosofo conterraneo Agostino Nifo.
«Egli applicossi nella sua gioventù», scrive ancora Pasquale Cayro, «alla Filosofia, Medicina, Teologia, ed anche alla lingua greca. Profittò molto nelle Scienze, e fu abile, e pronto in risolvere affari di somma importanza»3 tanto che, «sul principio», lo prese per suo consigliere Alfonso III d’Avalos, marchese del Vasto4, mentre successivamente fu a Roma, come medico, presso Marco Antonio Colonna.
Dopo un lungo soggiorno a Parigi tra il 1520 e il 1527, sostò a Verona forse per via dei buoni rapporti con il vescovo di quella diocesi Gian Matteo Giberti5, che aveva dato vita ad un cenacolo di letterati nel cui contesto per alcuni anni Florimonte avrebbe maturato nuove esperienze e migliorato la propria preparazione dottrinale. E, sempre a Verona, fu per circa un anno precettore presso la famiglia Serego, mentre cominciava a maturare quella vocazione religiosa che sarebbe infine sfociata nel sacerdozio, evento cui si ritiene doversi collocare il cambiamento del proprio cognome da Ferramonte in Florimonte.
Nel 1537, dopo un breve soggiorno a Roma, ritornò a Sessa, dove fu amministratore della mensa vescovile, per ritornare di nuovo a Roma tra giugno e settembre del 1539 a fare il precettore del fratello minore del defunto vescovo di Fano, Filippo Cosimo Gheri.
Nominato nel 1540 guardiano della Santa Casa di Loreto con il compito di rimettere ordine nei conti del santuario e «correggere la rilassatezza del clero locale», ancora Alfonso d’Avalos, che era ora governatore di Milano, lo volle l’anno dopo suo consigliere spirituale.
Consacrato il 4 maggio 1543 a Bologna vescovo di Aquino, fu il mese successivo al seguito di Paolo III Farnese nell’incontro che il 21 giugno 1543 il Papa ebbe a Bussetto con l’imperatore Carlo V e almeno fino a luglio si trattenne, forse ospite di Ludovico Beccadelli, nella villa di questi a Pradalbino, presso Bologna.
Cosicché fu solo a settembre che poté finalmente raggiungere la sede della diocesi che gli era stata assegnata dove il suo soggiorno, però, durò appena un anno dal momento che il 25 settembre 1544 ancora Paolo III lo incaricò dapprima della cura spirituale della Chiesa napoletana per conto del nipote minorenne Ranuccio Farnese, e poi, il 18 novembre, anche di quella temporale.
Alla fine del 1545 fu a Roma per essere sollevato dall’ufficio e poter finalmente tornare nella sua diocesi. Essendosi, però, appena aperti i lavori del Concilio di Trento fu inviato in questa località dove giunse il 12 dicembre e dove cercò subito di far valere il proprio punto di vista. Quando nel marzo dell’anno seguente si votò il decreto di traslazione6 fu tra i contrari ma, unico tra i vescovi rimasti a Trento, si spostò a Bologna e partecipò alle due sessioni ivi tenutesi tra aprile e maggio.
«Riprendendo un progetto iniziato negli anni del soggiorno sessano, durante il quale aveva frequentato la biblioteca di Montecassino, il Florimonte si faceva interprete dell’orientamento dei settori più zelanti della riforma cattolica, sensibili alla necessità di creare un genere di esortazione in volgare diretto alla parte meno istruita del clero nonché ai laici desiderosi di formarsi un’educazione religiosa»7.
Lasciò Bologna per la sua diocesi il 3 settembre 1548 ma un paio di anni dopo, a febbraio del 1550, il nuovo papa, Giulio III, lo richiamò in Curia dove, dal 13 agosto, divise con Romolo Quirino Amaseo l’ufficio di segretario ai brevi del defunto Blosio Palladio sempre tormentato, però, dal conflitto tra il dovere della residenza in diocesi, di cui era stato intransigente paladino nel Concilio e l’importante incarico in Curia.
Rimase a Roma fino alla nomina a vescovo di Sessa da parte di Papa Giulio III (22 ottobre 1552), stabilendosi quindi nella nuova diocesi dove, negli anni successivi, si dedicò «con fervore» all’amministrazione.
Nel 1556 fu richiamato a Roma da Paolo IV che, volendo riformare la Curia Romana, «eleggè una Congregazione di Cardinali, di Prelati e di persone letterate», tra cui appunto mons. Florimonte, «il quale fe conoscere il suo zelo, ed in materia di Simonia la sua opinione fu una delle tre che divise quell’assemblea»8. In particolare, «si segnalò per l’attacco agli abusi nella riscossione delle tasse sulla bolla di nomina sacerdotale».
Tornò in diocesi nel giugno 1556. Quando il Concilio fu finalmente indetto da Pio IV nel gennaio 1562, fu invitato ai lavori ma stanco e afflitto dagli acciacchi dell’età, ottenne la dispensa a parteciparvi. Ciò non gli impedì, tuttavia, di essere costantemente aggiornato sull’evolversi della situazione grazie ad una fitta corrispondenza con Ludovico Beccardelli. Insomma, «rinunziando a qualunque onorato posto, ritirossi nella sua Chiesa, dove morì di anni ottantanove nel mille cinquecento sessantasette9.
«Risplendé la sua dottrina ne’ Ragionamenti sopra l’Etica d’Aristotele, ed in varj sermoni di Sant’Agostino, e di altri Cattolici Dottori da lui volgarizzati, e messi insieme; e le sue lettere dirette a varj Principi, ed illustri Personaggi in diverse raccolte stampate si leggono, e fu egli cagione, che Monsignor della Casa componesse il Galateo e col suo nome l’intitolasse. Fu in gran stima presso i Principi Cristiani, e Filippo Re di Spagna, lo destinò Arcivescovo di Brindisi, e non volle accettare»10.
.
.
1 P. Cayro, Storia sacra e profana di Aquino e sua Diocesi. Volume II. Napoli, presso Vincenzo Orsino. 1811, pp. 255-256.
2 D. Piacentini, La società violenta e il brigantaggio cinquecentesco nella Diocesi di Sora. Sora 2011, p. 231.
3 P. Cayro, Storia sacra e profana … cit., p. 255
4 Ischia, 1502 – Vigevano, 1546. Discendente di Innico I d’Avalos e Antonella d’Aquino e marito di Maria d’Aragona, protettrice di letterati ed artisti.
5 Palermo, 1495 – Verona, 30 dicembre 1543.
6 Nel tentativo di giungere a una conciliazione tra Chiesa cattolica, luteranesimo e protestantesimo, dopo lungo tergiversare, compreso il fallimento della proposta di tenerlo nel 1537 Mantova, papa Paolo III convocò per il primo ottobre 1545 un Concilio da tenersi a Trento, allora città imperiale, al fine di facilitare la partecipazione dei rappresentanti tedeschi. I lavori si aprirono il 15 dicembre ma dopo due anni, nel corso dei quali si tennero otto sessioni, scoppiò una pestilenza che mieté alcune vittime anche fra i partecipanti inducendone il trasferimento da Trento a Bologna, dove si tennero due sessioni per poi essere sospeso. Riportato quindi a Trento, abbandonato dai protestanti, interrotto per un decennio, riprese nel 1563 per concludersi il 14 dicembre di quell’anno. Il Concilio di Trento mancò l’obiettivo più importante, quello della ricomposizione dell’unità dei cristiani con il recupero dello scisma protestante. Tuttavia ebbe il grande merito di instaurare un profondo rinnovamento religioso sul piano dottrinario e sul piano dell’insegnamento della stessa dottrina cattolica.
7 F. Pignatti, Florimonte, Galeazzo, in Dizionario Biografico degli Italiani Treccani, vol. 48, 1997.
8 P. Cayro, Storia sacra e profana … cit., p. 256.
9 Altre fonti indicano, come data della sua morte, gli inizi di maggio del 1565.
10 P. Cayro, Storia sacra e profana … cit., pp. 256-257.
(824 Visualizzazioni)