II cassinate tra Masaniello e Papone (1647-1648)

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Studi Cassinati, anno 2017, n. 1
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di Emilio Pistilli

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I tumulti scoppiati a Na­poli il 7 luglio 1647 per l’imposizione dell’ennesima tassa – sulla frutta questa volta – voluta dal viceré Rodrigo Ponze de Leon duca d’Arcos, e che portò alla ribalta il pescivendolo Masaniello, ebbero ripercussioni anche nel territorio dell’abbazia di Montecassino, i cui abitanti minacciavano in continuazione di devastare ed incendiare ogni cosa per sottrarsi al pagamento delle tasse. Non si unirono a quelle proteste gli abitanti di Piedimonte (S. Germano) e della sua frazione Villa (S. Lucia), entrambi, allora, dipendenze dell’abbazia di Montecassino; preferirono, invece, far pervenire all’abate Desiderio IV Petronio da Fratte una loro supplica: «lllustrissimo, e Reverendiss. P. abbate di Monte Casino Patrone; li qui sottoscritti sindici, Eletti, e particolari Cittadini del castello di Piedemonte, e Villa suo casale fidelissimi vassalli, e servi del Sag. monasterio, e di V. S. ilustriss. supplicandoli dicono, qualmente li giorni prossimi passati, essendo venute alcune capitolazioni fatte tra il popolo di Napoli, e il nostro Sig. Vice-Re del regno per le novità soccesse, alcuni Cittadini istigati dal demonio, e da mal esempio di molte altre terre, publicamente hanno parlato, e detto, che non erano obbligati pagar più li soliti renditi al detto sag. monasterio, e co­sì hanno negato di pagar detti renditi, così di grano, orgio, galline, manuale, giornata di bovi, come anco la risposta della Canneva, e lino, che si matura nell’acque di esso sag. monasterio, e sua giurisditione, e ogni altra cosa spettante a detto sagro monasterio, facendo tumulto di parole, minacciando agl’esattori, che non andassero esigendo le sudette cose per il che per li ministri di esso sag. monasterio si è venuto ad indegnatione tale, che se procede indifferentemente contro tutti li cittadini, come che tutti fossero inobbedienti, e colpevoli, havendone fatti carcerare molti forse innocenti, e li remasti non stanno anco sicuri, con tutta la loro innocenza nelle proprie case. Per tanto tutti unitamente con ogni umiltà per la publica quiete, e per la debita osservanza, e obedienza a tanto buon Signore, e padrone, ricorrono supplichevoli da V. S. Illustrissima, e la pregano per amor di Dio a non volere mirare alli mancamenti, e

S. Germano e Montecassino in Mabillon 1687.
S. Germano e Montecassino in Mabillon 1687.

eccessi di qualsivoglia che sia stato ardito, e temerario di sparlare, minacciare, tumultuare, e negare al d. sagro monasterio le sudette sue giustissime entrate, offerendosi essi supplicanti tanto in loro nome, quanto degl’altri Cittadini assenti, e carcerati al pagamento pontuale delle cose predette, così nel presente, come per tutto lo avvenire, e anco di stare obbedientissimi a detto sagro monasterio, e suoi degni ministri conforme devono, e così promettono da buoni, e fidelissimi vassalli. La supplicano di più a restar servita per sua clemenza, e bontà a concedere benignamente perdono a qualsivoglia, che si trovasse come di sopra aver sparlato, e in qualsivoglia modo fatto, o detto contro esso sag. monasterio, e despensarli general indulto con imponere perpetuo silenzio a questo fatto, e restar anco servita far scarcerare per singular sua gratia tutti li carcerati per tal causa, acciò li vassalli buoni godano in pace la gratia de lor padroni, e li colpevoli, e malcreati a lor confusione habbiano materia da emendarsi, e di esserli fedeli, supplicandoli la sua Benedizzione, come Prelato benignissimo, e amorevole Sign., e patrone, recevendo el tutto a gratia singulare. Da V. Sig. Ill., quale nostro Signore esalti a maggior grado di dignità, ut Deus etc. Gio: Antonio Majuccaro sindico, Tomaso Sacco sindico».

Seguivano le firme dei sindaci “Deputati” e degli abitanti di entrambe le Università1.

Sullo stesso documento il notaio Cesare Capraro, cancelliere ordinario di Piedimonte, annotò, il 16 settembre 1647, di aver convocato un consiglio pubblico sulla piazza del paese col suono delle campane, di aver letto la petizione dei cittadini e di averla fatta firmare (sia con regolare firma, che con segno di croce propris manibus). L’abate Andrea, nella stessa giornata accolse la supplica: «Volendo noi benignamente provedere, e fare tutte le gratie possibili a detti supplicanti in riguardo del pentimento, che dimostrano, e umile supplica fattaci, con promissione di volere in futurum vivere con quell’ubbedienza. e fedeltà, che si conviene a fedeli vassalli del nostro sag. monasterio Casinese, e pagare, e sodisfare tutti li renditi di grano, orgio, galline, manuali, giornate di bovi, risposte di cannavi, e lini, e ogn’altra cosa spettante a detto sagro monasterio solita, e consueta pagarsi, e sodisfarsi ogn’anno ab immemorabile tempo etc. ci contentiamo anco con il voto de’ superiori ordinarii di questo sagro monasterio, d’interporre solo le parti della nostra clemenza, perdonando a tutti, e ciascheduno di detta università tutti li mancamenti, parole mal dette, minacce, e offese fatte per il passato al nostro monasterio, negandosi li sudetti pagamenti soliti, ordinando perciò al nostro magnifico Governatore Cassinese, che non molesti per l’avvenire li detti nostri vassalli, per le cause sudette, e scarcerare quelli, che se ritrovano carcerati. Datum nel sag. monasterio di Monte Casino oggi li 16 Settembre 1647. D ‘And­rea da Parma Abbate Casine­se, luogo + del sigillo impresso».

Ma i guai per la Terra di San Benedetto non era­no finiti: si preannunciava infatti l’arrivo delle soldatesche di Domenico Colessa, più noto come Papone, nativo di Caprile (Roccasecca), che, in seguito alle turbolenze di Napoli si era auto nominato generale della serenissima repubblica napoletana, reduce dalla presa di Sessa, di Sora e di molte altre località2.

L’abate di Montecassino Andrea III Arcioni da Parma e il suo successore Desiderio IV Petronio provvidero tempestivamente a chiudere e fortificare tutti i varchi del monastero e della città di S. Germano; ma fu tutto inutile perché con l’aiuto di alcuni sangermanesi, furono aperte le porte cittadine «Piedimonte» e «S. Giovanni»; così Papone, che venne definito brigante, dopo lungo assedio prese anche S. Germano, dove nominò nuovi sindaci e una nuova amministrazione. Il primo gennaio 1648 stabilì dei patti con i cittadini. Ma non tutta la cittadinanza accettò di buon grado tale nuova situazione; infatti il 14 marzo successivo i sindaci e alcuni cittadini sangermanesi, alla presenza di Gerolamo de Filippis uditore dell’esercito regio, firmarono uno strumento di dissociazione redatto alla presenza del notaio Antonio Pagliaro da S. Germano: «Come lo mese passato di Gennaro di questo presente anno essendo venuto in questa fedelissima città di S. Germano Dominico Colessi alias Papone con infinito numero di gente collettitia, che infestavano questi paesi convicini con insolenze, e barbarie piene di inumanità in deservitio di nostro Sig. Iddio Benedetto, e di S.M. nostro Signore procurando fare acquisti all’obbedienza della sonniata republica di Napoli, e illegittimamente pretesa, e ingiusta, e erroneamente talmente nominata, benché essa Città, per la fedeltà, che ha sempre conservato, e conserva si defendesse da principio animosamente, volendo più tosto spargere il sangue, che minorare la sua antica, e divuta fede, nulladimeno fu si numeroso il stuolo dell’inimici, che scorgendo inutile, e vana la difesa, e che resistendo più tosto disperatamente, che efficacemente, avrebbero cagionato la totale rovina delli loro campi, poderi, e della città tutta minacciata di sangue, e fuoco da Papone, e suoi seguaci, furo­no forzati con grandissimo loro dolore, cedere alla violenza, e imminente forza, e con questo secondare il voto del medesimo Papone, e suoi ingiusti ministri, li costrinsero a scrivere capitolazioni fra di essi, e lui, in nome di detta Sonniata republica di Napoli, continentino molti capi, e conventioni, quali conoscendoli essi ingiuste, nulle, e invalide, e acciò non comparissero mai a vista del mondo, ne meno li ha distesi in protocollo, e adesso per loro maggior cautela, e per suo ordine li consegnano alla corte di esso regio Auditore dell’esercito Sig. Girolamo de Filippis, etc»3.

Dopo molte altre giustificazioni asserirono di volersi consegnare prontamente e volentieri al principe di Rocca Romana, Andrea Francesco di Capua, e ai suoi soldati.

Intanto nei patti stabiliti tra i sangermanesi e Papone vi erano varie cose contrarie al cenobio cassinese, come la consegna ad essi di mulini e monti appartenenti al monastero. Tuttavia Domenico Colessa fu avvisato dai suoi consiglieri che sarebbe incorso nell’ira di S. Benedetto e degli altri protettori se avesse dilapidato o dato ad altri i beni del monastero; perciò il 6 gennaio 1648 giurò con atto pubblico che tra le concessioni fatte all’università di S. Germano non dovevano essere inclusi i diritti, le prerogative, i possessi, le giurisdizioni o altro, pertinenti al monastero.

Lo strumento fu firmato, tra gli altri, dai dottori Ottaviano e Bartolo Sabellico.

Intanto l’abate Desiderio andava disponendo gli animi in favore dei soldati regi; perciò inviò un suo monaco a Venafro, dove si trovava il principe di Rocca Romana, prefetto dei soldati regi, per informarlo e chiedergli di venire al più presto. Il principe non si fece attendere: nel mese di marzo, con somma soddisfazione di tutti (così almeno afferma l’archivista cassinese Erasmo Gattola, che riferisce i fatti4) scacciò le soldatesche di Papone dalla città. Queste, però, per ritorsione si presero tutto il frumento che era stato ammassato in S. Apollinare e fecero molti altri danni.

Per mostrare la loro grande gratitudine per il felice epilogo i cassinati vollero ospitare nel palazzo badiale per molti giorni il principe ed i suoi ufficiali; su richiesta dell’abate Desiderio furono recuperati alla fedeltà del monastero anche altri castelli dipendenti. Il principe ed il sommo prefetto della flotta e delle armi regie, Giovanni Austriaco, vollero lasciare testimonianza delle gesta e della fedeltà dei cassinati con delle lettere.

«D. Andrea Francesco prencipe di Rocca Romana. L’obbligo mi spinge a confessare, che tutto il bene, che io

Il brigante Domenico Colessa alias Papone. Disegno di R. Pinchera.
Il brigante Domenico Colessa alias Papone. Disegno di R. Pinchera.

ho oprato in campagna con l’armi per servitio di S.M. e proceduto particolarmente dalla protettione del glorioso P. S. Benedetto per mezzo delle preghiere delli suoi Rev. Religiosi del venerabile e famoso monasterio di Monte Casino, come posso testificare di presenza, quando io entrai con l’armata nella città di S. Germano che si rese all’obbedienza, nella quale impresa prevalse grandemente l’opera, e diligenza del Reverendiss. P. abbate il quale con la sua autorità accomodò tutte le cose, disponendo gl’animi de sudditi all’obbedienza del Re nostro Sign. e questo fu accompagnato con la spesa di molte genti, armi, e monitioni, che tenevano provvista la Città, e il suo monasterio, dove io viddi, che si stava con estraordinaria vigilanza. Di maniera che mai il bandito Papone poté entrare ancorché l’avesse forzato più volte e niente meno è stato il danno di tante perdite d’animali, vettovaglie, entrate perse, e levate con tanti interessi patiti, che il sud. monasterio si trova molto oppressato, che perciò si rende assai riguardevole per la devotione, e affettione che sempre ha mostrato all’armi di S.M. dalla cui reale benignità può sperare, e meritare ogni dovuta ricompensa. Onde per testimonianza del vero, e a richiesta delli PP. ho dato la presente firmata e sigillata in Napoli 11. di Maggio 1648. locus + sigilli. Il Prencipe di Rocca Romana. Per mandato di S.E. D. Vincenzo Riccio Segret.».

«Al P.D. Desiderio delle Fratte Abad de Monte Casino g. Dios. El celo tam particolar y affetto grande, con che V.P. se ha singularidado en el serv. de S. Mag. (pues por su me­dio se conseguio la reduction de S. German, y otros lugares circonvicinos avenque fue muy proprio de vos obligaaciones, y atenciones de tan gran Prelado) me obliga a dar a V.P. las devidas gracia, per lo bien, que dispuso, y en camino servicio tan rilevante asegurando a V.P., que demus de che lo representare assi a S. Mag., que decha siempre en memoria, desseando se offrezean occaciones en que conosca los affectos de mi gratitud, i buena voluntad. Dios g. a V.P, muchos annos. Neap. a 10 de Mayo 1648. D. Ivan».

Più o meno le stesse cose erano contenute in un’altra lettera del 27 aprile a firma di D. Ivan.

Conclude Gattola che nel 1647 i Cassinati avevano contribuito, senza esserne obbligati, alla causa del re inviando denari e soldati.

Per la cronaca, nello stesso anno la banda di Domenico Colessa, che era arrivata a contare 8000 uomini, fu sbaragliata e lo stesso Colessa venne arrestato a Rieti e condannato a morte mediante «arrotamento e squartamento». La sentenza fu eseguita a Napoli il 12 agosto 1648: «Il capo fu condotto nella città di Sora, luogo delle sue prime scorribande, mentre le restanti membra furono appese a Caprile e nei paesi vicini e lì restarono per parecchio tempo»5.

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Note

* Rielaborazione da Il Cassinate tra Masaniello e Papone, in «L’Inchiesta», 24 e 31 gennaio 1999, p. 15.

E. Gattola, Accessiones, II, p. 653 e sgg.

2 Per approfondimenti su Papone si veda il prezioso lavoro di Fernando Riccardi, Il brigante Papone, 1995.

3 E. Gattola, Accessiones, II, p. 654.

4 «… summa omnium gratulatione in urbem exceptus Paponistas expulit».

5 F. Riccardi, Il brigante Papone … cit., p. 77.

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