Studi Cassinati, anno 2016, n. 2
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di Marco Sbardella*
Il Centro Documentazione e Studi Cassinati-Onlus porge vive congratulazioni e sinceri rallegramenti a Marco Sbardella per gli importanti riconoscimenti ottenuti in campo culturale. Nell’edizione 2016 del Certamen Capitolinum, tra i più importanti e prestigiosi concorsi internazionali dedicati alla lingua e letteratura latina, organizzato dall’Istituto Nazionale di Studi Romani, sotto l’egida del Comune di Roma e del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, si è classificato al secondo posto con la composizione in esametri De maerore pueri (La tristezza di un fanciullo) in cui ha affrontato un argomento di stretta attualità come quello legato agli immigrati e alle loro tragedie.
L’unica biografia di Benedetto di Norcia, da cui sono tratte le notizie della sua vita, è rappresentata dal secondo dei quattro Libri … dialogorum de vita et miraculis patruum Italicorum et de aeternitate animarum composti tra il 593 e il 594 da papa Gregorio I, san Gregorio Magno1.
Tuttavia un importante contributo alla conoscenza del patrono d’Europa è rappresentato dal Carmen de sancto Benedicto in cui sono contenuti aneddoti non immediatamente desumibili dallo scritto di san Gregorio, anzi si è arrivati a ipotizzare che tale opera sia riferibile ad un periodo molto prossimo alla morte di san Benedetto (fissata dalla tradizione al 21 marzo 547) e, pertanto, precedente alla compilazione degli stessi Dialogi. Dell’autore del Carmen, il poeta Marco, poco o nulla si conosce, anche se la sua vita può presumibilmente essere collocata tra il VI e l’VIII secolo.
Paolo Diacono (720-799) scrive di aver tolto dai versi di Marco («… ex Marci poetae carmine sumpsi») alcune notizie della vita di Benedetto sottolineando, in particolare, un aneddoto originale che si trova solo nel carme di questo semisconosciuto poeta: «E vorrei qui riferire brevemente almeno un episodio che il beato papa Gregorio omette nella sua Vita di questo beatissimo padre. Quando per premonizione divina, da Subiaco venne al luogo dove ora riposa, tre corvi che egli era solito nutrire, lo seguirono per circa cinquanta miglia volandogli attorno; a ogni bivio, finché non fu giunto sul posto, due angeli, apparendogli sotto specie di giovani, gli mostrarono la via da prendere. E a un servo di Dio, che qui aveva allora una sua casupola, dal cielo fu detto: “Allontanati da questi luoghi. Un altro amico s’avvicina”. Una volta giunto alla rocca di Cassino, visse sempre in grande astinenza e, soprattutto nel tempo di quaresima, rimaneva chiuso e lontano dallo strepito del mondo. Sono tutti particolari che desunsi dal carme del poeta Marco: venendo a vivere in questi luoghi, accanto al padre Benedetto, compose in sua lode alcuni versi che, dovendomi guardare dalla lunghezza, non posso riportare. Certo fu volontà divina che l’insigne padre venne in questa fertile terra sotto cui giace una valle ferace, a fondarvi una congregazione di molti monaci, com’era diventata sotto la guida di Dio»2.
Proprio sulla base delle notizie offerte da Paolo Diacono, vari studiosi, fra cui Schuster3, Della Noce4, Muratori5 e Luigi Tosti6, considerano il poeta Marco coevo del santo, nonché uno dei suoi primi discepoli. Anzi lo stesso carme sarebbe stato composto subito dopo la morte di san Benedetto. Diversamente altri storici ritengono che Marco sia contemporaneo7 di s. Gregorio Magno – dalla cui opera su Benedetto il poeta avrebbe potuto attingere taluni riferimenti -, o addirittura che sia vissuto in un periodo successivo8. Al contrario Ildefonso Schuster pare escludere recisamente, in coerenza con il tempo in cui vive e scrive Paolo Diacono, una collocazione cronologica tarda che giunga fino ai tempi di papa Gregorio II, cui si deve, tra l’altro, l’invio dell’abate Petronace a Montecassino intorno al 720 per la prima ricostruzione dopo il saccheggio ad opera dei Longobardi.
Il carme, composto da 33 distici elegiaci, venne scoperto dal monaco benedettino Arnoldo Flandro, giovane «sollertissimo», nella biblioteca di San Benedetto presso Mantova9 (presumibilmente presso l’Abbazia di San Benedetto in Polirone) e fu stampato per la prima volta a Roma nel 1590 da Prospero Martinengo10. Fu poi ripubblicato da Angelo della Noce11 in Appendice alla sua edizione della Chronica Sacri Monasterii Casinensis, quindi dal Muratori12, dal Migne13, dal Mabillon14, dal Tosti15, e, in epoca recente, da Marco Galdi16, da Silvana Rocca17, da Pier Giorgio Parroni18 e da Giorgio Orioli19. Per il Tosti, che scrive nel 1892, il poeta compose «… versi in lode di San Benedetto, dopo che si rese monaco di Montecassino … pochi, ma scritti con tanta intensione di affetto che ogni sillaba gitta uno sprazzo di luce sui fatti del suo maestro»20.
Benché dei Versus in Benedicti laudem vi sia ancora oggi qualche dubbio sulla reale paternità, tuttavia non può del tutto escludersi che «essi siano stati composti non molto tempo dopo la stesura della Regola»21. Lo stesso s. Pier Damiani cita il carme e riconosce22 in Marco un discepolo del santo di Norcia. Del tutto inesatta deve essere ritenuta, invece, la valutazione di Sigebert di Gembloux23 secondo il quale Marco nel componimento, definito quale «heroicum breviloquium»24, avrebbe «deflorato» la vita di s. Benedetto scritta da s. Gregorio e pertanto i versi del carme sarebbero successivi all’opera del santo papa e, in parte, da essa dipendenti, anche se con qualche elemento aggiuntivo25.
Di estremo interesse per l’esame storico e filologico del carme risulta essere l’approfondito studio del poeta e latinista Marco Galdi26, dal titolo Il Carme di Marco poeta e l’apoteosi di san Benedetto, che analizza con metodo e rigore l’opera laudatoria, benché molte delle sue osservazioni siano state successivamente rigettate27. Egli ritiene che «il più antico documento sulla vita e sull’attività prodigiosa del Santo di Norcia» sia «indubbiamente, il breve carme elegiaco di Marco, monaco cassinese, che fu discepolo di san Benedetto, al pari di Fausto e Gordiano»28, e se Gregorio Magno «che pure scrisse molti anni dopo la morte del Santo», è da considerasi quasi come «scrittore sincrono», più ancora merita di essere definito tale il monaco Marco che nei «suoi distici ispirati e commossi suggellò l’affetto e la devozione profonda che lo legavano all’incomparabile, sublime suo maestro»29.
Più di recente Silvia Rocca30 ha datato i versi di Marco al VI secolo e ha argomentato, con valide ragioni31, che essi potrebbero riflettere uno stadio della tradizione su Benedetto anteriore ai Dialogi, mentre Giorgio Orioli conclude, più drasticamente, che il carme «non è solo immediatamente posteriore alla morte di Benedetto ma anche di diversi anni anteriore alla narrazione gregoriana»32.
Ma cosa si sa davvero di Marco? Fu monaco e discepolo di Benedetto? Perché Gregorio Magno sembra non aver tenuto in alcun conto il suo componimento, breve ma denso di aneddoti non altrimenti conosciuti?
Domande alle quali ancora oggi non è agevole dare risposte univoche.
Per recuperare qualche aspetto della biografia del presunto autore del Carmen e tentare di delineare dei verosimili elementi di riflessione sul contesto storico nel quale egli scrive, appare, dunque, necessario partire dall’analisi del testo del carme di Marco, qui di seguito riportato mutuato, con correzione, dalla edizione del 197833.
Carmen de Sancto Benedicto34 Carme in lode di San Benedetto
Caeca profanatas coleret dum turba figuras, La cieca moltitudine mentre
venerava statue offerte alla divinità,
Et manibus factos crederet esse deos, e credeva che quelli realizzati
artificialmente fossero gli dei,
Templa ruinosis haec olim struxerat aris, un giorno da cadenti altari aveva
innalzato dei templi,
Quis dabat obscaeno sacra cruenta Ioui. per i quali offriva sacrifici di sangue
all’empio Giove.
Sed iussus ueniens, eremoque35 uocatus ab alta, 536 Ma giungendo per comando divino,
chiamato dall’alto eremo,
Purgauit sanctus hanc Benedictus humum San Benedetto purificò questa terra
Sculptaque confractis deiecit marmora signis frantumando le statue,
abbatté i marmi scolpiti
Et templum uiuo praebuit esse Deo. e offrì un tempio al Dio vivente.
Huc properat caelos optat qui cernere apertos In questo luogo si affretta chi
desidera scorgere i cieli aperti,
Nec remouet uotum semita dura pium: 10 e la dura strada non lo distoglie dal
pio desiderio:
Semper difficili quaeruntur magna labore, le grandi cose richiedono sempre un
difficile travaglio
Artam semper habet uita beata uiam. e la vita di vera gioia presenta
sempre una via stretta.
Huc ego cum scelerum depressus fasce subissem, Quando giunsi qui, schiacciato dal peso
dei peccati,
Depositum sensi pondus abesse mihi. compresi di essermi liberato del
fardello.
Credo quod et felix uita fruar insuper illa, 15 Credo inoltre che vivrò quella vita di
beatitudine,
Oras pro Marco si, Benedicte, tuo. se tu, o Benedetto, pregherai per il
tuo Marco.
Hunc plebs stulta locum quondam uocitauerat arcem, Il popolo ceco un tempo aveva
chiamato questo luogo “Arce”,
Marmoreisque sacrum fecerat esse deis. e aveva celebrato sacrifici agli dei
di marmo.
Quod tunc si uero signasset nomine quisquam, Ma se allora qualcuno avesse
indicato questo con un nome,
Tartareum potuit iure uocare Chaos. 20 lo avrebbe potuto giustamente
chiamare come Averno tartareo,
Ad quem caecatis errantes mentibus ibant, al quale andavano coloro che
vagavano con menti accecate
Improba mortifero reddere uota Ioui. e offrivano improbe promesse a
Giove mortifero.
Sed puto praeuisae culmen signauerat aulae, Ma credo che sia stata indicata la
sommità della futura chiesa,
Nomine tunc arcis templa moderna uocans. chiamando allora il tempio attuale
con il nome di Arce.
In quibus aeternae damnatur porta gehennae, 25 In quello è condannata la porta
della Geenna eterna,
Arxque modo uitae est, quae fuit ante necis. e l’Arce che fu prima di morte
ora è di vita.
De qua stelligeri pulsatur ianua caeli E da quella è fatta vibrare la porta
del cielo stellato,
Dum canit angelicis turba beata modis. mentre la turba beata canta con
ritmi celesti.
De qua conloqueris uero, Benedicte, Tonanti, Ma da quella parli a Dio, Benedetto,
abitante del monte,
Monticola, et sacri dux eremita chori. 30 e guida solitaria del sacro coro.
Ad quam tu ex alio monitus cum monte uenires, E quando venivi a quella da un altro
monte,
Per deserta tibi dux, uia, Christus erat. ti era guida Cristo per luoghi deserti
Namque duos iuuenes biuium produxit ad omne, E infatti ad ogni crocicchio due
giovani fece apparire,
Qui te firmarent quod sequereris iter. che ti dessero coraggio su quale
strada seguire.
Hic quoque uiuenti iusto praedixerat uni: 35 Questi aveva anche predetto a uno
che viveva da giusto:
His tu parce locis, alter amicus adest. lascia questi luoghi, c’è un altro
amico.
Te37 sibi sublato tenebris mons caelitus horret, Il monte del cielo, che ti ha perduto,
ha orrore delle tenebre
Et pallet nebulis concolor ipse suis. e similmente impallidisce delle
sue nuvole.
Maerent, et largis distillant fletibus antra, Si lamentano le spelonche e stillano
di pianti abbondanti,
Cumque suis plangunt tabida lustra feris. 40 gemono le tane corrotte con le
loro belve.
Teque lacus liquidi uero fleuere dolore, I limpidi laghi ti piansero di vero
dolore,
Et sparsit laceras silua soluta comas. il bosco, sciolte le chiome strappate,
le sparse.
Credar ficta loqui, nisi te, ne solus abires, Si crederebbe che io dicessi il falso,
se non che,
Tres subito corui promeruere sequi38. affinché non ti allontanassi solo,
tre corvi subito ottennero di seguirti.
Hic quoque te clausum populi, te teste, requirunt, 45 Anche qui rinchiuso i popoli ti cercano
– tu testimone –
Exspectas noctis cum pia festa sacrae. mentre attendi le pie feste
della santa notte.
Qui uelut orbati raucis tibi flere querelis E quelli, come orfani, con
rauchi lamenti insistono a piangere per te,
Instant, conuictus quod caruere tuo. Perché sono stati privati
della tua convivenza.
Ast huc perducto scopuli cessere, rubique, Dopo che fosti condotto qui,
scomparvero scogli e rovi,
Siccaque mirandas terra retexit aquas. 50 e l’arida terra ricompose
acque mirabili.
Certum est mons Christi, quod montibus imperet ipsis, È certo che il monte di Cristo, superiore
agli stessi monti,
Subiecit pedibus mons caput ecce tuis. mise ai tuoi piedi la sua sommità.
Vtque suum tu sancte super uegetere cacumen, Perché il tuo culto, o Santo,
sulla alta vetta prosperi,
Summisso tumidam uertice planat humum. la sua sommità spiana la terra tumida
sulla cima abbassata.
Neue fatigentur qui te, Benedicte, requirunt, 55 E affinché non si affatichino coloro che
ti cercano, o Benedetto,
Molliter obliquum flectit ubique latus. flette dolcemente ovunque il lato obliquo.
Hunc mons ipse tamen iuste tibi reddit honorem, Onore ti ha giustamente reso il monte,
Qui meruit tantum, te decorante, bonum. che tanto bene meritò, con il tuo decoro.
Arida tu cuius hortis componis amoenis, Le sue aridità disponi in giardini ameni
Nudaque fecundo palmite saxa tegis. 60 e ricopri le nude rupi con
fecondo tralcio.
Mirantur scopuli fruges, et non sua poma, Le rocce ammirano le
messi e gli insoliti frutti,
Pomiferisque uiret silua soluta comas. la selva, sciolte le chiome,
fiorisce di alberi da frutto.
Sic hominum steriles in fructum dirigis actus, Così trasformi gli atti
sterili degli uomini in frutti,
Sicca salutari flumine corda rigans. irrigando i cuori aridi di
salutare acqua.
Sic, rogo, nunc spinas in frugem uerte malignas 65 Così ora ti prego, converti in frutto
le spine maligne,
Quae lacerant Marci pectora bruta tui. che lacerano il cuore
pesante del tuo Marco.
Si nota, preliminarmente, che si tratta di versi particolarmente raffinati il cui autore dimostra di possedere «un gusto e una sensibilità poetica indiscutibilmente superiori alla sua età»39, tanto che Pietro Diacono li definì «elegantissimos versus»40, mentre il componimento è giudicato da Pier Damiani «venustum carmen» o, da altri, «plane eleganti et supra saeculi sui genium venusto» («raffinatissimo e di una bellezza superiore al tempo in cui l’autore è vissuto»)41.
I versi sembrano riecheggiare i modelli di Virgilio ed Ovidio; eppure Marco non se ne serve per compilare un modesto centone, ma riesce a cogliere dalle fonti con acume e originalità, amalgamando e fondendo mirabilmente il tutto42. In Marco si rileva «non solo lo studioso dei migliori modelli antichi, non solo chi ha formato la sua educazione, e temprato e affinato lo spirito alla lettura dei migliori prodotti dell’età augustea, ma anche chi possiede la tecnica del verseggiare e la maneggia abilmente»43.
In merito alla figura dell’autore, Pietro Diacono informa che Marco sarebbe profondamente erudito nelle Sacre Scritture44; mentre dalla relativa nota curata da Giovanni Battista Mauro emerge che fosse «familiarissime dilectus» da s. Benedetto e che inoltre sarebbe stato «a natura progenitus» per elevare l’arte poetica, luminoso per costumi e per genere di vita ed espertissimo nelle lettere anche secolari, fiorendo fino all’impero di Eraclio Augusto, cioè al 61045: notizie certamente più deduttive ovvero costruite che realmente acquisite da fonti verificabili. Aimoinus, monaco benedettino di Fleury del X secolo46, riportando il testo nel suo Sermo in festivitatibus Sancti Patri Benedicti, identifica Marco in «un poeta che era giunto dal venerabile Benedetto e che si era affidato al suo insegnamento»47. Il carme, come trascritto da Aimoinus, è del tutto difforme dall’originale48, anche dal punto di vista metrico, ed è diviso, forse per facilitare la lettura, in IV capitoletti49.
In ogni caso – da quanto è stato desunto da chi ha analizzato la sua breve opera – Marco appare essere un autore «dalle larghe letture specialmente classiche, formatosi … in ambiente non monastico ma ben scolarizzato, probabilmente appunto italiano, quale poteva essere ad esempio la Ravenna di Teodorico e Atalarico»50.
Interessante, a tal proposito, proprio lo studio di Garbini sui versi 37 e 38 di Marco nei quali si rilevano contestualmente51 più figure retoriche: il monte del cielo, poiché non ha più Benedetto, diventa pallido come (paragone) le «sue» nuvole (sostituzione metonimica per «le nuvole che lo circondano») ed esprime così il senso del suo dolore per la perdita (metafora), ma vi è anche un esempio di prosopopea nella montagna che manifesta sentimenti umani. Del distico di Marco, per il quale già la Rocca aveva trovato un precedente nei Fasti, 1, 80 di Ovidio («Vestibus intactis Tarpeias itur in arces / Et populus festo concolor ipse suo est»52), Garbini53 suggerisce il legame con i versi 432-433 («Incipit obscuros ostendere Corsica montes / nubiferumque caput concolor umbra levat»54) del poemetto de reditu suo di Rutilio Namaziano la cui vicinanza, rispetto alle tecniche stilistiche e al senso in cui è utilizzato l’aggettivo «concolor», appare del tutto evidente55. In effetti l’autore del de reditu suo non era soltanto un aristocratico pagano ma, dal punto di vista ideologico, uno scrittore appassionato della grandezza di Roma e avverso al cristianesimo. Un’opera, quella di Namaziano, che ebbe scarsa fortuna. La lettura che ne fa Marco «è un barlume che ci fa solo indovinare, nel buio che la nasconde, la figura di un letterato aristocratico sentitamente cristiano ma non immemore della più orgogliosa tradizione pagana, anzi, disposto addirittura, pur di scrivere bene – e proprio nel momento della conversione – a raccattare e riutilizzare, idealmente, proprio i più audaci tra quei frammenti delle istoriate statue pagane che Benedetto aveva frantumato»56.
Al di là di queste supposizioni, nella povertà delle notizie biografiche, spesso permeate di certa patina agiografica, i riferimenti nel carme sulla vita di Marco appaiono in qualche modo illuminanti.
Dai versi 13 e 14 (7° distico) si apprende, ad esempio, che Marco giunge a Montecassino come penitente, afflitto dal peso delle sue colpe. Non si conosce quale fosse la colpa di cui Marco sente di doversi liberare, ma pare essere qualcosa di affliggente. L’abbandono del mondo, sotto il «fascis» e il «pondus» che affondano l’esistenza («deprimere»), danno la misura di una conversione vera, conseguente ad una riflessione profonda sul senso della vita, sulla necessità di cambiare strada: il senso di libertà («abesse») che percepisce il penitente dopo aver deposto il peso dei suoi peccati sembra dare speranza anche al lettore.
Dal punto di vista stilistico i versi sono di una singolare bellezza: in appena due righe vi è un fitto ripetersi di allitterazioni con la sibilante «s»: «scelerum, depressus, fasce, subissem, depositum, sensi, pondus, abesse»; quasi si volesse richiamare al silenzio della meditazione.
Il distico successivo (vv. 15 e 16) ha ancora l’autore quale protagonista e testimonia il totale affidamento del credente all’intercessione di Benedetto presso Dio. Si rileva in questo verso, oltre alle consuete, eufoniche allitterazioni («uita fruar insuper»; «felix fruar»; «felix, uita, insuper, illa»), la grande devozione del penitente che si sublima in una espressione di profonda, riconoscente preghiera nel pentametro che chiude il pensiero e che sembra intimamente partecipe della invocazione, legandosi, anche metricamente, il nome dell’autore convertito a quello del santo e al possessivo ed omoteleutico «tuo».
Infine l’ultimo distico (vv. 65 e 66) è ancora una preghiera a Benedetto perché faccia fruttificare le spine malsane che lacerano il cuore pesante di Marco. Vi è, di nuovo, un riferimento al peso dei peccati, al fardello degli errori commessi. Nell’ultimo pentametro ci pare di cogliere una eco della IV elegia di Massimiano57, in un pentametro, anche qui posto a chiusura: «Et quod non cupiunt pectora bruta uolunt» e in cui il sintagma «pectora bruta» ha la stessa identica collocazione metrica.
Sui molteplici riferimenti letterari dei Versus appare fondamentale il contributo di Silvia Rocca la quale con acribia e puntualità propone una accurata analisi storico-filologica del testo, individuando condivisibili schemi e rimandi alla tradizione classica pagana a cominciare dal primo verso che richiamerebbe58 un esametro della Consolatio ad Claudium Etruscum (silv. III, 3,2) di Stazio («rara profanatas inspectant numina terras»), sia nella strutturazione del metro che nell’uso e nel senso del participio passato. La studiosa inoltre nota59 la fluida tecnica del pentametro con il ricorrente modulo ABBA (v. 42: … laceras silua soluta comas; v. 58: … tantum te decorante bonum; ecc.) ricercato anche al fine di ottenere degli eufonici omoteleuti; l’accusativo di relazione del v. 42 («soluta comas») che potrebbe essere una reminiscenza ovidiana «…Acca soluta comas» (fast. IV, 854); l’uso di arcaismi intesi come poetismi (le 3° pers. pl. in -ere: fleuere del v. 41; promeruere del v. 45; ecc.); la profonda conoscenza della poesia cristiana; l’utilizzo di costrutti anche del latino cristiano (ad es. nel v. 15 quod e il cong. anziché l’infinitiva «Credo quod … uita fruar»); l’assenza di termini monastici tranne «eremo» (v. 5), usato al femminile, ed «eremita» (v. 30) 60.
Inoltre il carme risulterebbe essere stato composto a Montecassino (v. 13: «huc») e dopo la morte del santo (v. 16: «Oras pro Marco si, Benedicte, tuo»; e v. 65: «Sic, rogo, nunc spinas in frugem uerte malignas»)61, benché sia interessante l’osservazione del Parroni secondo cui la richiesta di intercessione «non presuppone necessariamente che Benedetto sia già morto al momento della composizione del carme»62 e che anche il «te teste» del v. 45 potrebbe «… alludere ad una affermazione raccolta dalla viva voce di Benedetto»63.
In sostanza dall’analisi delle ricostruzioni sulla identità di Marco fatte dai non molti che se ne sono occupati si può rilevare che egli fosse ritenuto, in particolare secondo una certa tradizione di origine medievale, un discepolo di Benedetto, che avesse abbracciato la vita monacale e che fosse vissuto a Montecassino. In tal senso sembra poco giustificabile il fatto che Gregorio Magno non si sia avvalso della testimonianza del monaco Marco nella compilazione della vita di Benedetto64; si può facilmente ipotizzare che, proprio da tale incongruenza, siano nate le interpretazioni che collocano l’esperienza umana dell’ignoto poeta in un periodo successivo a Gregorio. In realtà nulla porta a concludere che Marco fosse stato monaco a Montecassino e, di più, discepolo di Benedetto, come invece, primo tra molti autori, dirà Pietro Diacono65.
Gli episodi che compaiono in Marco, ma non in Gregorio sono diversi. Nei Dialogi66 si parla del solo tempio di Apollo mentre Marco ricorda che la cieca moltitudine (vv. 1-8) venerava immagini profane, teneva per divinità gli idoli scolpiti dall’uomo e offriva sacrifici di sangue all’empio Giove67.
Di grande interesse i passi del carme, dai quali si sa che Benedetto giunge a Montecassino per comando divino (v. 5: «Sed iussus ueniens, eremoque uocatus ab alta»), e che qui da altro monte è guidato da Cristo (vv: 31-32: «tu ex alio monitus cum monte uenires, / Per deserta tibi dux, uia, Christus erat») attraverso l’ausilio di due giovani, si presume angeli (vv. 33-34: «Namque duos iuuenes biuium produxit ad omne / Qui te firmarent quod sequereris iter»), che ad ogni crocicchio lo incoraggiassero sul percorso da seguire e con la scorta di tre corvi (vv. 43-44: «Credar ficta loqui, nisi te, ne solus abires, / tres subito corui promeruere sequi»): motivi leggendari del tutto assenti in Gregorio, così come la notizia che su Montecassino vi era un altro pio eremita (vv. 35-36: «Hic quoque uiuenti iusto praedixerat uni / His tu parce locis, alter amicus adest»), invitato da una visione a fare posto a Benedetto68.
Dalle brevi considerazioni svolte si può azzardare qualche riflessione sul profilo biografico di Marco partendo dalla incongruenza di cui si è già detto: come mai Gregorio non cita alcuno degli episodi inediti del carme? Era possibile che non lo conoscesse? Poteva essere Marco un giovane discepolo di Benedetto, poi monaco, e che alla morte del suo abate abbia deciso di intonare quella alta preghiera letteraria che è il componimento che conosciamo?
In realtà, non pare verosimile che un autore, il quale dimostra di essere così dotato e fornito di solida cultura classica possa, da giovane, aver seguito Benedetto e successivamente, dopo essere rimasto a Montecassino, aver acquisito in quel luogo così importanti conoscenze sia della poesia cristiana che della tradizione letteraria pagana, e non solo del periodo augusteo, e ciò nella considerazione che a Montecassino l’educazione dovesse essere invece indirizzata, per la gran parte, «alla edificazione spirituale e alla cultura religiosa»69 così come si deduce dalla lettura della stessa Regula ove non vi è alcun riferimento a studi profani70.
Sembra, invece, maggiormente plausibile ritenere che Marco non avesse studiato a Montecassino, bensì in una scuola pubblica, modello educativo che, come è noto, con Teodorico e Atalarico aveva ripreso parte dell’antico splendore71.
Pertanto l’autore dei Versus si sarebbe recato a Montecassino come pellegrino: è stato osservato che la notizia di Paolo Diacono secondo cui Marco si reca da Benedetto («ad eundem patrem huc veniens») potrebbe essere intesa nel senso di «luogo» nel quale il santo aveva risieduto ed ora, dopo la sua morte, era venerato, e quindi meta di pellegrinaggio72. La stessa intonazione dei Versus ha il carattere della impetrazione riconoscente all’uomo santo che è asceso alla «casa del Padre».
A questo punto, e nei limiti di tale ipotesi, è lecito pensare non solo che Marco non fosse monaco e neppure discepolo di Benedetto, quando era in vita, ma che si fosse recato pellegrino a Montecassino quando già aveva una certa età, con un notevole bagaglio culturale: ne sono una testimonianza indiretta l’autorevolezza e la disinvoltura con cui si appropria dei modelli classici e li riadatta alle sue esigenze di cristiano penitente, e ciò benché il dibattito sulla opportunità o meno di tali operazioni di recupero e riutilizzo fosse fortemente sentito.
Il viaggio a Montecassino poteva essere il risultato di un percorso vero di profonda conversione del nostro semisconosciuto poeta: un valente scolaro, quando non un maestro, di una scuola pubblica che, all’esito di una profonda riflessione sulla vita sino allora condotta, non necessariamente peccaminosa, ma forse più semplicemente lontana dalla dimensione spirituale, bisognoso di un radicale mutamento di vita, di un recupero forte di valori autenticamente cristiani, sente l’esigenza di andare in visita nel luoghi del santo abate al fine di rispettare un voto promesso, ovvero per elevare una preghiera al cielo, grato anche perché in quei luoghi si riconosce libero da quanto opprimeva la sua esistenza. E fa ciò come poteva e sapeva, utilizzando, cioè, l’armonia delle forme classiche, la vitalità della giovane tradizione cristiana, la testimonianza della propria conversione.
Sulla mancanza di citazioni di Marco in Gregorio, infine, non si può non condividere la tesi secondo cui Gregorio o non conosceva «i versi di Marco, che, nel monastero venuto come pellegrino, al di fuori dei versi in lode di Benedetto, non ha lasciato altro; oppure, pur conoscendoli, di proposito non abbia voluto servirsene per attenersi unicamente alla testimonianza dei quattro monaci benedettini, con i quali aveva frequenti contatti e dai quali poteva ottenere abbondanza di particolari. Senza contare che il nome dei quattro religiosi forniva una garanzia di serietà e veridicità maggiore»73.
Come è noto, nel genere biografico, l’agiografo non si cura di presentare tutti i fatti a sua conoscenza, ma sceglie solo quelli più adatti al fine della «aedificatio»74. In questa tipologia di letteratura l’elogio panegiristico supera qualunque esigenza di completezza: Gregorio dice chiaramente75 che, non conoscendo tutti i fatti della vita di Benedetto, si è avvalso della parola di quattro suoi discepoli giudicati evidentemente fededegni.
In tale contesto appare certamente più comprensibile il fatto che il santo papa si sia affidato a quattro testimoni discepoli di Benedetto, costituiti in dignità di consacrati e legati dal vincolo della fraternità ecclesiale e spirituale, piuttosto che riportare le parole, dal sapore tra l’altro fortemente classicheggiante, di un convertito, di un pellegrino ancorché animato dai più alti sentimenti di devozione.
Sulla datazione si potrebbe azzardare un periodo compreso tra il 547 e il 577, cioè tra la morte del fondatore e la distruzione di Montecassino. È stato infatti argutamente sottolineato che se il carme fosse stato scritto dopo la devastazione operata dai Longobardi76 questa tragica eco sarebbe rimasta tra le pieghe degli splendidi versi di Marco, al contrario di Gregorio che ha invece familiarità con la comunità benedettina esule a Roma dopo il drammatico evento77.
Si potrebbe ritenere, in definitiva, il testo dei Versus in Benedicti laudem una sorta di orazione laudatoria di ringraziamento, composta da un laico, colto, pieno di «erudizione sacra e profana», uscito da una crisi spirituale e giunto quale pellegrino a Montecassino nel periodo successivo alla morte di Benedetto forse con lo specifico obiettivo di rendere grazie al santo fondatore del cenobio, il cui carisma, espresso nel motto «Ora et Labora», doveva sentire non distante dalla sua indole e preparazione. Una preghiera in versi scritta durante la sua permanenza a Montecassino, in un tempo successivo alla morte del santo e, forse, affidata allo stesso cenobio come atto di umile, riconoscente devozione.
Ovviamente non vi sono elementi per pensare neppure che Marco, dopo la visita all’abbazia e la conversione che aveva ispirato la composizione del carme, sia diventato monaco.
È stato osservato che Gregorio avrebbe potuto non conoscere il testo dei Versus. Tuttavia, come si è detto, appare anche plausibile che il santo papa non ne avesse tenuto conto «consapevolmente» in modo da avvalersi esclusivamente della testimonianza dei monaci Costantino, Valentiniano, Simplicio e Onorato. Ciò potrebbe forse rafforzare – ma si è nel campo delle mere congetture – la supposizione che il poeta non abbia mai abbracciato la vita monastica e che certamente non era testimone diretto della vita di Benedetto ma un semplice narratore il quale trasfuse in versi sublimi alcuni fatti che fecero da ispirata cornice alla sua conversione e che circolavano al suo tempo: fatti tuttavia che non verranno ricordati (forse perché se ne erano perse le tracce? o perché non suffragati da ulteriori riscontri?) dai testimoni, pur autorevolissimi, di cui si avvarrà Gregorio. È per tale ragione che sembra verosimile che il laico Marco fosse morto da un pezzo nel 593, anno in cui Gregorio inizia a comporre i Dialogi anzi, i fatti narrati nei Versus fanno pensare a un periodo di composizione, all’interno del trentennio di cui abbiamo dato conto, molto più prossimo alla morte di Benedetto che al «terminus ante quem» rappresentato dalla distruzione di Montecassino.
* Dedico questo breve contributo alla carissima memoria del prof. Angelo Molle, eccellente studioso di Storia delle Religioni e del Cristianesimo, la cui prematura scomparsa rappresenta una perdita incolmabile per chi ha avuto la ventura di conoscerlo e per la comunità scientifica del territorio, e non solo. Mi resta di lui il ricordo indelebile di persona di grande cultura e di fede intensa, dall’animo gentile, generoso, solidale.
1 Il primo e il terzo libro dei Dialogi sono dedicati a santi italiani coevi dell’autore, il secondo è monografico su s. Benedetto da Norcia e il quarto riguarda in particolare il destino dell’anima dopo la morte e narra di alcune profezie.
2 Paolo Diacono, De Gestis Langobardorum, lib. I, cap. XXVI.
3 Cfr. A. I. Schuster, Storia di San Benedetto e dei suoi tempi, Abbazia di Viboldone, 1953, pag. 185: «Tra i primi discepoli di Benedetto, Paolo Diacono annovera il poeta Marco, di cui cita i distici in onore del santo Patriarca … L’autore si presenta da se medesimo: è un tal Marco, il quale, essendosi recato a Monte Cassino con l’animo lacerato dal rimorso d’una vita sregolata, si sentì alleggerito dalla paterna parola dell’uomo di Dio e si pose sotto la sue ubbidienza. Il carme appare scritto poco dopo la morte del Santo, e nonostante qualche recente dissenso, per la stessa testimonianza di Paolo Diacono non può in alcun modo riportarsi al secolo VIII ed ai primi tempi della restaurazione del cenobio cassinese sotto papa Gregorio II».
4 Cfr. A. Della Noce, Appendice alla edizione della Chronica Sacri Monasterii Casinensis, auctore Leone card. episcopo Ostiensi, continuatore Petro Diaconi, ed. D.A. De Nuce, Lutetiae Parisiorum, 1668, app. pp. 3 e sgg.
5 L. A. Muratori, Rerum Italicarum Scriptores, IV, Mediolani, 1723, pp. 605-6.
6 L. Tosti, Storia della badia di Monte Cassino, divisa in libri nove, Napoli, 1842, L.1, p. 6; l. III, p. 273.
7 Cfr. F. Nuzzaco, S. Benedetto, i tempi, l’opera, Roma, 1971, pag. 46, n. 2: «La sua ispirazione e la sua commozione nel ricordare gli episodi più salienti della vita del santo lo fanno ritenere contemporaneo o quasi di S. Gregorio, dai cui Dialoghi egli derivò parecchi motivi».
8 Cfr. J. Chapman, Saint Benedict and the Sixth Century, London, 1929, pp. 173-175; H. S. Brechter, Marcus Poeta von Montecassino, in «Benedictus der Vater des Abendlandes», Monaco, 1947, pp. 341-359.
9 Pia quaedam poemata, ac theologica, curavit T. Prosperus Martinengus. … Romae 1590, pp. 233-237, p. 233.
10 Benedettino, nobile di Brescia, linguista e filologo morto nel 1594.
11 Cfr. A. Della Noce, Appendice …cit., pp. 3 e sgg;
12 L. A. Muratori, RIS, IV, pp. 605-6.
13 J.-P. Migne, Patrologiae cursus completus, Series latina, Parisiis 1844-1855, (PL), LXXX, 184.
14 Acta sanctorum ordinis S. Benedicti, ed. J. Mabillon & Th. Ruinart, 9 vols., Paris, 1668–1701, (Acta SS. O.S.B.), I, 28-9.
15 L. Tosti, Della Vita di S. Benedetto, 1892, pp. 343-345.
16 M. Galdi, Il Carme di Marco poeta e l’apoteosi di san Benedetto, Napoli, 1929, pp. 44. Cfr. «Civiltà cattolica», 1930, I, pp. 352-355; D. P. Lugano O.S.B. Oliv., Antologia Benedettina, Rovigo, 1948, pp. 171-172. V. anche http://romualdica.blogspot.it/2011/07/carmen-in-laudem-s-benedicti.html.
17 S. Rocca, Versus in Benedicti laudem, in «Romanobarbarica » 3 (1978), p. 335-364, che fornisce una nuova edizione critica.
18 P. Parroni, Sui Versus in Benedicti laudem, in Filologia e forme letterarie. Studi offerti a Francesco Della Corte, Urbino, 1987, V, pp. 279-289. Nel suo contributo è citata (p. 279), in nota, anche la tesi di laurea di R. Coletta, Il carme in lode di s. Benedetto del poeta Marco, Facoltà di Magistero, Cassino, A.A. 1981/1982, alla quale, tra l’altro, andrebbe il merito di aver reperito tre nuovi manoscritti (Cassinesi 107 e 449, e Vat. Lat. 1202).
19 G. Orioli, Il carme del poeta Marco in lode di S. Benedetto, Roma, 1996.
20 L. Tosti, Della Vita … cit., p. 168.
21 M. Dell’Omo, I più antichi testimoni liturgici del Sermo in vigiliis sancti Benedicti di Pier Damiani. Una nuova edizione e un’illustrazione cassinese di ispirazione damianea, in «Benedictina», LIV (2007), pp. 233-252, p. 239.
22 Haec plane de Marci eiusdem videlicet beati Benedicti discipuli venusto carmine iam defloravimus, quia in veneranda Gregorianae historiae serie minime reperimus: Sermo VIII, pp. 6-8 cod. Casin. 453 in M. Dell’Omo, I più antichi testimoni liturgici … cit., p. 246. La testimonianza di Pier Damiani è importante perché sembra fornire anche una sorta di commento interpretativo del testo di Marco, cfr. P. Parroni, Sui Versus … cit., pp. 286-287.
23 Monaco benedettino e cronista medievale vissuto tra il 1030 e il 1112.
24 In realtà con «eroico» si definiva un verso tipico dei poemi epici, l’esametro, mentre il metro del carme è il distico elegiaco, costituito da un esametro e da un pentametro.
25 Marcus poeta, familiaris Benedicti Casinensis, vitam ejus a Gregorio descriptam defloravit heroico breviloquio, et pauca superaddidit: Sigebertus Gemblacensis, De scriptoribus ecclesiasticis, cap. XXXII, PL, CLX, 555.
26 Marco Galdi (1880-1936) è stato latinista, poeta e filologo italiano, oltre che valente professore universitario.
27 Si v. S. Rocca, Versus … cit., pp. 352-363 e P. Parroni, Sui Versus … cit., p. 282-283.
28 M. Galdi, Il Carme di Marco … cit., p. 5.
29 Ivi, p. 6.
30 S. Rocca, Versus … cit., p. 335-364.
31 In ogni caso sulle questioni interpretative del carme la Rocca non parrebbe aver fatto passi avanti rispetto al Galdi, cfr. P. Parroni, Sui Versus … cit., p. 282.
32 G. Orioli, Il carme … cit., p. 5. Tra gli altri contributi recenti, che in qualche modo si sono occupati di Marco, in taluni casi come semplice citazione, si veda: R. Grégoire, Modello di monte sacro: Montecassino, Monteluco e i monti sacri (Atti dell’incontro di studio, Spoleto 30 sett. – 2 ott. 1993), Spoleto, 1994, p. 51; Moggi Moggio, Carmi ed epistole, a cura di P. Garbini, Padova, 1996, p. 133, n. 1; R. Giolo, Una nota sulle funzioni degli oratori primitivi di Montecassino, in «Benedectina», 47 (2000), pp. 81, 83; su una presunta eco di Rutilio Namaziano nel carme si veda: P. Garbini, Dello stesso colore di Rutilio. Marco poeta, “Versus in Benedicti laudem”, vv. 37-38, in «Aevum», 81 (2007), pp. 347-50.
33 Cfr. S. Rocca, Versus … cit., p. 336 – 339.
34 Il titolo è ripreso dalla edizione del Migne.
35 L’eremo va identificato con Subiaco, cfr. P. Parroni, Sui Versus … cit., p. 282.
36 Il numero fa riferimento al verso dell’originale latino.
37 Si accoglie qui, come già Garbini, Dello stesso colore … cit., p. 348, n. 4, la lettura di Parroni «te» anziché «se», cfr. P. Parroni, Sui Versus … cit., pp. 283, che comunque era la lettura di Mabillon, cfr. Acta SS. O.S.B., I, 28-9 ed è la lezione dei mss. noti.
38 P. Parroni, Sui Versus … cit., pp. 284-85, ipotizza, in ragione del senso e dell’ordine logico degli eventi miracolosi narrati, una possibile collocazione dei vv. 43-44 immediatamente dopo il v. 34, rilevando il seguente filo narrativo: due giovani indicano a Benedetto la strada da seguire; tre corvi ne accompagnano il cammino; un pio eremita è invitato da una visione ad andare via da Montecassino per far posto al nuovo arrivato.
39 M. Galdi, Il Carme di Marco … cit., p. 18.
40 Pietro Diacono, De Viris Illustribus Casinensibus Opusculum, cap. III, PL CLXXIII, coll. 1003-1062, 1013.
41 Guilielmus Cave, Scriptorum ecclesiasticorum historia literaria…, Basileæ, 1741, 2 Voll., I, p. 574: Vitam S. Benedicti a Gregorio M. prosa descriptam, ipse nonnullis de suo additis carmine plane eleganti et supra saeculi sui genium venusto enarravit.
42 Cfr. M. Galdi, Il Carme di Marco … cit., p. 19.
43 Cfr. Ivi, p. 18. Positivi anche i giudizi di Migne, Tosti, Baumgartener (quest’ultimo in A. Baumgartener, Die lateinische und griechische Literatur der christlichen Völker, Freiburg, 1905, p. 240).
44 In Scripturis apprime eruditus: Pietro Diacono, De Viris Illustribus Casinensibus Opusculum, CLXXIII, cap. III, PL p. 1013.
45 Pietro Diacono, De Viris Illustribus … cit., cap. III, n. 3, PL p. 1013: «… vir ad poeticam artem extollendam a natura progenitus, moribus et conversatione praeclarus, ac in litteris etiam saecularibus peritissimus… Claruit eodem fere tempore quo Sanctus Faustus: id est usque ad imperium Heraclii Augusti, anno Domini 610».
46 Morto nel 1008 circa.
47 Aimoinus Floriacensis, Sermo in festivitatibus Sancti Patri Benedicti, PL CXXXIX, pp. 859-861: Dehinc Marcus quidam poeta, ad eundem venerabilem Bendictum veniens eiusque magisterio se committens, aliqua in eius laude, de vita ipsius versibus exaravis, quae ita se habent.
48 Su tali difformità e sul testo di Aimoinus si veda M. Galdi, Il Carme di Marco … cit., pp. 33-34; 41-43.
49 Cap. I. De oratorio quod S. Pater Benedictus in summo monte condidit, ubi sacrificabat Jovi erronea paganitas; Cap. II. De angelis qui ostenderunt ei viam qua pergere deberet; Cap. III. De tribus corvis quos alere solitus erat, qui eum Sublacu usque Beneventum, per quinquaginta fere milliaria, sunt secuti; Cap. IV. (nel Migne, erroneamente indicato come V) De monachis qui, ex tribus monasteriis pro necessitate aquae ubertim manantem adipisci.
50 P. Garbini, Dello stesso colore … cit., p. 348.
51 Cfr. Ivi, p. 349.
52 «Alla rupe Tarpea si sale con toghe immacolate / e il popolo si veste di egual colore nella sua festa».
53 P. Garbini, Dello stesso colore … cit., p. 349.
54 «La Corsica inizia a mostrare gli oscuri monti / e un’ombra di simile colore leva nel cielo le cime nuvolose».
55 Tuttavia debbo rilevare un pentametro molto simile, benché in un contesto – anche emozionale – completamente diverso (si tratta della prefazione all’epitalamio composto per Ruricio ed Iberia) in Sidonio Apollinare, Carmina, X, Praef. 6: «caeruleae pallae concolor ipse socer». Incidentalmente va notato che con Sidonio (Vescovo, scrittore gallo-romano del V secolo, venerato come santo) comincia a delinearsi, tra l’altro, un patrimonio culturale atto a superare le precedenti contrapposizioni tra tradizione classica e cristianesimo.
56 P. Garbini, Dello stesso colore … cit., p. 350.
57 Poeta latino pagano, amico di Boezio, originario dell’Etruria, vissuto probabilmente alla metà del VI secolo, autore di sei elegie, in cui i temi dell’incombere della morte e della tristezza dell’invecchiamento rappresentano metaforicamente la fine della cultura pagana, espressione della gioia di vivere.
58 Cfr. S. Rocca, Versus … cit., p. 340-341.
59 Cfr. Ivi, p. 340.
60 Cfr. Ivi, p. 348.
61 Cfr. Ivi, p. 352.
62 P. Parroni, Sui Versus … cit., pp. 282-283.
63 Ivi, p. 283.
64 Cfr. S. Rocca, Versus … cit., p. 357.
65 Cfr. Ivi, p. 355.
66 Cfr. G. Magno, Dialogi, II,VIII,10-11 (ed. Grégoire Le Grande, Dialogues, Ed. A. De Vogüé, Sources chrètiennes, 251, 260, 265, 3 Voll., Paris, 1978-1980) «… Vbi vetustissimum fanum fuit, in quo ex antiquorum more gentilium ab stulto rusticorum populo Apollo colebatur. Circumquaque etiam in cultu daemonum luci succreverant, in quibus adhuc eodem tempore infidelium insana multitudo sacrificiis sacrilegis insudabat. Ibi itaque vir Dei perveniens, contrivit idolum, subvertit aram, succidit lucos, atque in ipso templo Apollinis oraculum beati Martini, ubi vero ara ejusdem Apollinis fuit, oraculum sancti construxit Joannis… ». C’era in cima un antichissimo tempio, dove la gente dei campi, secondo gli usi degli antichi pagani, compiva superstiziosi riti in onore di Apollo. Appena l’uomo di Dio vi giunse, fece a pezzi l’idolo, rovesciò l’altare, sradicò i boschetti e dove era il tempio di Apollo eresse un Oratorio in onore di S. Martino e dove era l’altare sostituì una cappella che dedicò a S. Giovanni Battista.
67 Circostanza confermata anche dal ritrovamento presso l’abbazia, nel 1880, di una iscrizione (CIL X, I, 5160), che parla di «aedem Iovis».
68 Identificato da Pietro Diacono con s. Martino eremita di Monte Massico, cfr. P. Diacono, Vita, translatio et miracula sancti Martini abbatis, AA.SS. Oct. X, Parisiis, 1869, 835-840; 836; cfr. vv. 11-12 del Hymnus seu vita b. Martini solitarii et confessoris, in AA.SS. Oct. X, 841 (alter amicus erit, tunc sic divinitus audit/ his tu parce locis, alter amicus erit) nei codici riferito a Pietro Diacono, ma per forma e stile attribuito a Paolo Diacono nella annotazione del curatore (Victor De Buck). Tale identificazione nasce probabilmente da G. Magno, Dialogi, III,IX, in cui si legge del rapporto tra Martino e Benedetto.
69 Cfr. S. Rocca, Versus … cit., p. 360-361.
70 Cfr. Ivi, p. 359.
71 Cfr. Ivi, p. 361-362.
72 Cfr. Ivi, p. 353.
73 Cfr. Ivi, p. 354.
74 Cfr. G. Penco, Il monachesimo fra spiritualità e cultura, Milano, 1991, p. 35.
75 G. Magno, Dialogi, II,VIII,10-11: «Huius ego omnia gesta non didici, sed pauca quae narro, quatuor discipulis illius referentibus agnovi: Constantino scilicet reverentissimo valde viro, qui ei in monasterii regimine successit; Valentiniano quoque, qui annis multis Lateranensi monasterio praefuit; Symplicio, qui congregationem illius post eum tertius rexit; Honorato etiam, qui nunc adhuc cellae eius, in qua prius conversatus fuerat, praees….». Certamente io non posso conoscere tutti i fatti della sua vita. Quel poco che sto per narrare, l’ho saputo dalla relazione di quattro suoi discepoli: il reverendissimo Costantino, suo successore nel governo del monastero; Valentiniano, che fu per molti anni superiore del monastero presso il Laterano; Simplicio, che per terzo governò la sua comunità; e infine Onorato, che ancora dirige il monastero in cui egli abitò nel primo periodo di vita religiosa.
76 Avvenuta nel 577, cfr. H.S. Brechter, Monte Cassinos erste Zerstorung, in «Studi en und Mittelungen zur Geschichte des Benediktiner», s.l. 1938, pp. 109-150.
77 Cfr. G. Orioli, Il carme … cit., pp. 6-7.
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