Gaetano de Angelis-Curtis, Cassino 2013.
.
Introduzione
La vittoriosa campagna militare condotta nella seconda guerra d’indipendenza del 1859 e, nell’anno successivo, la politica delle annessioni del Regno di Sardegna, la spedizione garibaldina e la discesa dell’esercito piemontese nel Mezzogiorno trovarono definizione il 17 marzo 1861 nella proclamazione, a Torino, del Regno d’Italia con Vittorio Emanuele II re «per grazia di Dio e volontà della nazione». La costruzione del nuovo Stato unitario pose molte e importanti questioni di stampo politico, amministrativo, economico, territoriale ecc., al pari di quelle relative all’uniformità degli ordinamenti legislativi. Tuttavia accanto a tali rilevanti questioni se ne vennero a prospettare anche altre di un’importanza relativamente secondaria. Un esempio è rappresentato dai casi di coincidenza della denominazione di città e paesi che entravano a far parte della nuova entità statuale italiana. Infatti il passaggio dai vari Stati preunitari al nuovo Regno d’Italia fece emergere la «necessità di una maggiore determinatezza nei nomi dei comuni, perché le molte omonimie nelle varie province degli antichi Stati erano causa di frequenti disguidi e di altri inconvenienti». In sostanza nel momento in cui si era venuto a costituire il Regno d’Italia, seppur ancora privo di alcuni ambiti territoriali1, nel nuovo Stato unitario l’identità di nome tra i Comuni stava divenendo «spesso cagione di equivoci ed imbarazzi così per i privati che per le pubbliche amministrazioni». Per porre rimedio all’inconveniente venutosi a determinare il ministero dell’Interno sollecitò, giungendo, in alcuni casi, a porre più volte la questione, tgli amministratori locali dei centri ricadenti in una situazione d’omonimia a deliberare «se non di cambiare affatto l’attuale denominazione, farvi almeno qualche aggiunta che desumere si potrebbe dalla speciale situazione topografica secondo che il comune si trova nel monte o nel piano, al mare, o sopra un fiume o un torrente»2.
L’invito di ordine pratico portò la maggior parte delle amministrazioni locali ad adeguarsi alla sollecitazione proveniente dalle nuove autorità italiane aggiungendo un suffisso storico-geografico in modo da caratterizzare inequivocabilmente il nome del Comune. Tuttavia se ne distinsero vari centri che finirono per utilizzare l’istanza ministeriale come l’occasione per sbarazzarsi di un nome evidentemente non più percepito al passo, quasi a suggellare l’inizio di una nuova fase storica, quale quella della Unificazione nazionale, con una nuova denominazione. Quindi la scelta del nuovo nome adottato, avvenuta in un momento di «risveglio dello spirito pubblico e patriottico» e nel generale clima indotto dall’Unificazione nazionale, finì per essere ispirata «ora dal desiderio di rievocare alla memoria dei posteri una città obliata sotto le sue rovine, restituendo così al paese il nome classico, ricco di fasti gloriosi, ora dal bisogno di cancellare il ricordo di una triste epoca di servaggio»3.
In definitiva, dunque, tale fenomeno fu relativamente secondario in quanto le rettifiche e le adozioni dei nomi dei Comuni, per quelli che deliberarono in tal senso, sono poi rimaste tali e oggi se ne celebrano i centocinquanta anni dalla loro adozione.
Il procedimento con cui si intese indurre la modifica dei nomi dei Comuni prese avvio con l’emissione di una circolare da parte del ministero dell’Interno, Divisione 4ª, Sezione 1ª, datata 28 giugno 1862 e inviata a tutti i prefetti del Regno. Con tale circolare si invitavano i funzionari provinciali a sollecitare i Consigli comunali dei quei Comuni che si trovavano ad avere nel proprio nome una identità con altri del Regno d’Italia, affinché provvedessero a «togliere» tale inconveniente adottando una delibera di aggiunta di un suffisso identificativo o di cambiamento della propria denominazione.
Al ministero dell’Interno ritenevano che l’intero procedimento dovesse essere ultimato nell’arco di sei mesi. Tuttavia ben presto si accorsero che le pratiche relative alle denominazioni dei Comuni procedevano a rilento, talvolta per negligenza e talvolta per il rifiuto di alcune Amministrazioni ad adeguarsi alle disposizioni emesse, non ritenendo di dover giungere alla modifica del nome del proprio Comune. Quindi dal ministero dell’Interno il 21 novembre 1862 fu emessa una nuova circolare, la n. 132, che invitava nuovamente i prefetti delle province a sollecitare i Comuni «ad occupars[i] immediatamente» della questione. Alla fine, comunque, il procedimento non terminò secondo quanto programmato, protraendosi negli anni successivi.
.
NOTE
1 Al momento dell’Unità rimanevano ancora aperte le questioni di Roma-capitale, delle aree laziali e di quelle sotto dominazione asburgica.
2 Archivio di Stato di Caserta (d’ora in poi ASC), Prefettura, Carte amministrative, I inventario, f. 5582.
3 A. De Santis, I Comuni della provincia di Caserta che hanno cambiato denominazione dopo il 1860, Roma, Reale Società Geografica Italiana, 1924, p. 3.
(415 Visualizzazioni)