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Studi Cassinati, anno 2017, n. 3
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Montecassino, 7 agosto 2017
Il nostro D. Gregorio ha reso la sua anima a Dio nel giorno in cui la Chiesa universale celebrava la Trasfigurazione del Signore, la cosiddetta Pasqua dell’estate, una festa particolarmente cara al mondo monastico proprio perché rappresenta un anticipo della luce della Risurrezione, di cui la vita del monaco vuol essere un’umile trasparenza. Quale cornice migliore, dunque, per la morte di un monaco?
In quella luce trasfigurante D. Gregorio è ora completamente immerso e può finalmente contemplare da vicino il volto splendente del Cristo, quel volto che ha cercato ininterrottamente per tutta la vita.
Ma veniamo alle letture di questa celebrazione esequiale. Nella lettera inviata a Timoteo, di cui abbiamo ascoltato uno stralcio nella prima lettura, san Paolo scrive al suo collaboratore: «Se moriamo con lui, con lui anche vivremo; se perseveriamo, con lui anche regneremo».
Ora, morire con il Signore e regnare con Lui è possibile quando si è perseverato nella concreta e fedele adesione a Lui. Nel suo significato etimologico, infatti, perseverare significa mantenersi fermi e costanti in un atteggiamento, in un comportamento. Nel caso specifico del cristiano la perseveranza consiste nello strutturare la propria esistenza attorno al Cristo, riconosciuto come l’unico vero Signore e Maestro.
Se vi è un aspetto che meglio di altri descrive la vita di D. Gregorio, credo sia proprio questo: il suo essersi mantenuto fermo e costante nella sua fede cristiana e nella sua professione monastica.
Il N. S. P. Benedetto, come è noto, identifica la perseveranza con la “stabilità”, che considera come uno dei pilastri portanti della vita monastica. Innanzitutto, una stabilità “interiore”, come aveva ben compreso anche il Sommo Poeta nel mettere sulla bocca di san Benedetto queste parole: «Qui son li frati miei che dentro ai chiostri / fermar li piedi e tennero il cor saldo» (Paradiso 22,50-51).
Di fatto, il «fermar li piedi», ossia la stabilitas loci – la scelta di vivere nella famiglia monastica con la quale ci si è legati per sempre attraverso la professione monastica – rimarrebbe una realtà vuota se non fosse finalizzata all’acquisizione della stabilità del cuore, un cuore capace di incanalare le proprie energie nell’offerta amorosa di sé a Dio e ai fratelli.
Gregorio si è sempre sforzato di vivere questa duplice stabilità: quella fisico-spaziale e quella interiore, e l’ha perseguita con la coerenza dell’uomo retto e giusto.
A volte, è vero, manifestava questa sua coerenza con una certa veemenza e una certa rigidità, tipiche di chi non ammette mezze misure o deroghe a quei valori ai quali ha sinceramente uniformato la propria esistenza. E in questo D. Gregorio è in qualche modo rimasto figlio del suo tempo, attaccato all’osservanza puntigliosa delle virtù e pratiche esteriori.
Chi, ad esempio, ha anche solamente intravisto il suo striminzito guardaroba, ha potuto facilmente dedurre la misura della sua povertà e l’amore che aveva per essa, amore che spesso lo portava ad assumere forme pauperistiche – e non solo nell’abbigliamento – che per noi, deboli come siamo, sono più da ammirare che da imitare.
E che dire del suo attaccamento all’Opus Dei, ossia alla preghiera corale – alla quale era sempre fedele – e alle pratiche supererogatorie di preghiera? Nel vedere un novantenne inginocchiato sul pavimento davanti al SS.mo Sacramento o davanti alle stazioni della Via crucis, non si può non pensare alle convinzioni profonde che animano il suo intimo. E ciò non lascia indifferenti!
Oppure, come non ricordare la laboriosità che lo ha contraddistinto nella sua pluridecennale attività di
bibliotecario, durante la quale si è sempre dimostrato pronto e disponibile verso chiunque avesse avuto bisogno di un suo aiuto o di un suo consiglio, rivelando altresì come la sua natura fosse capace di una schietta umanità e di una cordiale affabilità. Chi ha frequentato la biblioteca dell’abbazia sa come – fino a non molto tempo fa – D. Gregorio continuasse a prodigarsi volentieri, con immutabile amabilità, per quanti ricorrevano al suo aiuto.
Sarebbe poi impossibile quantificare il bene che D. Gregorio ha fatto a quanti si sono avvicinati a lui nel sacramento della riconciliazione o nell’accompagnamento spirituale. Ne sanno ovviamente qualcosa quanti sono stati da lui beneficati, ma l’effettiva estensione di questo bene seminato nelle loro anime – e nelle anime di tanti altri incontrati magari in maniera sporadica – è conosciuto solo a Dio, e siamo certi che Lui saprà ricompensarlo.
Potremmo, dunque, anche non convenire su una certa visione di vita monastica propugnata da D. Gregorio, e potremmo anche trovare più di una ragione per dissentire da forme obsolete di pensare e di agire, ancorate a consuetudini del passato. Tuttavia, non possiamo non apprezzare la coerenza con cui D. Gregorio ha vissuto la sua vocazione monastica. E questo – soprattutto per noi monaci – ci è indubbiamente di grande esempio, di grande edificazione e di grande incoraggiamento. È un’eredità preziosa che dobbiamo saper custodire e valorizzare.
Carissimi amici, le norme liturgiche – è vero – ci raccomandano di non trasformare l’omelia in un elogio, e lo stesso D. Gregorio non mi nasconderebbe la sua contrarietà se mi sentisse! Eppure, se mi sono permesso di ricordare alcuni tratti della sua vita monastica (e ognuno di voi serberà senz’altro in cuore un incontro, un episodio, una parola, un aiuto ricevuto), è perché è importante non dimenticare il bene che ci viene fatto da quanti incontriamo sul sentiero della nostra vita, e farne tesoro.
Ma soprattutto, nel caso di D. Gregorio, è per noi importante ricordare, perché il riportare alla nostra attenzione una vita scevra da pubblicità, austera, laboriosa, amante della povertà, dedita all’osservanza della Regola, fedele alla vita comune, alla liturgia corale e alle pie pratiche devozionali, una vita ricca di umanità, ci sprona a riandare alla ragione portante, ossia a quell’ancoraggio solido grazie al quale D. Gregorio ha vissuto la sua vocazione monastica: l’amore per Cristo, al quale – come ci insegna S. Benedetto – nulla va anteposto.
Ma ora permettetemi, prima di terminare, di volgere brevemente lo sguardo al brano evangelico proclamato. In esso ci è stato presentato Gesù morente che pronuncia le parole del Salmo 31: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito».
Nel momento drammatico e supremo dell’offerta cruenta della propria vita, Gesù continua a proclamare la sua incrollabile fiducia nel Padre, quella stessa fiducia che lo aveva accompagnato per tutta la sua vita. Anche nell’ora decisiva dello scontro con le tenebre del male – che si rivelerà essere l’ora della nostra salvezza –, Gesù continua a fidarsi del Padre e ad affidarsi a Lui; continua ad abbandonarsi al suo Amore anche quando tale amore sembrava essere sconfitto.
Credo di poter affermare che anche la vita monastica di D. Gregorio sia stata benedetta da una costante fiducia, una fiducia “obbedienziale” che ha cadenzato i suoi giorni, innanzitutto nel continuo affidamento di sé al Signore, e poi nell’affidamento di sé a quelle mediazioni umane (dall’abate alla comunità) entro le quali la sua vita si è dipanata.
Tutti noi monaci possiamo testimoniare come questa fiducia non sia mai venuta meno in lui, e come abbia continuato a irrorare i suoi giorni anche durante la malattia che lo accompagnato per parecchio tempo. E anche negli ultimi giorni del suo combattimento – sofferto e non facile da sopportare –, non ha mai smesso di affidarsi con incondizionata fiducia alle mani del Signore.
Ora siamo noi a consegnarlo alle mani del Padre, sorretti dalla preghiera di tutta la Chiesa. E amiamo pensare che la schiera dei santi monaci e monache benedettini, e tutti i confratelli di Montecassino che hanno già varcato la soglia dell’eternità – dove la luce e la pace di Dio non conoscono tramonto – lo abbiano accolto tra i servi giusti e fedeli.
Tuttavia, se da una parte la nostra fede ci fa gioire al pensiero che D. Gregorio abbia raggiunto la dimora eterna dove tutto è beatitudine in Dio, dall’altra avvertiamo come una grande perdita la sua scomparsa. Anche perché con lui se ne va un pezzo di storia della nostra abbazia, un testimone che faceva da tramite con la comunità monastica prebellica, rammentandoci le nostre radici e quel flusso vitale che ci ha raggiunto attraverso le generazioni di monaci che ci hanno preceduto. Anche in tal senso, la sua memoria resti in benedizione.
Nonostante il distacco fisico, tuttavia, siamo certi che D. Gregorio non smetterà di pregare per noi e di seguire dal cielo questa sua comunità che ha tanto amato e per la quale ha offerto le sue gioie e le sue sofferenze. Nella fede della risurrezione dei morti ti raccomandiamo al Signore, carissimo D. Gregorio, perché accolga la tua anima nella pace eterna, e trasfiguri il tuo corpo per conformarlo al suo corpo di gloria nell’ultimo giorno.
Riposa in pace! Amen.
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La recente scomparsa di d. Gregorio, monaco-bibliotecario, ha privato la comunità monastica cassinese nonché quella formata dagli studiosi, di una figura affidabile e competente. Con l’omelia svolta nel corso della Messa esequiale, il padre abate Donato ha offerto un ritratto estremamente fedele di d. Gregorio riuscendo a rappresentarlo nella sua essenzialità e semplicità. Proprio in considerazione del ruolo da bibliotecario esercitato da d. Gregorio, sempre a contatto con opere a stampa (libri, volumi, opuscoli, bollettini, riviste ecc.) è sembrato opportuno dare all’omelia svolta nel corso della Messa esequiale dal padre abate Donato, rintracciabile on line sul sito dell’Abbazia di Montecassino, anche una veste tipografica tradizionale pubblicandola su carta, nelle pagine della nostra rivista. «Studi Cassinati», dunque, ringrazia sinceramente il padre abate Donato per la sua disponibilità e per la sua sensibilità.
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