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Studi Cassinati, anno 2017, n. 3
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di Emilio Pistilli*
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Nasce nel 1908, muore nel 1936 e … nel 2003 pubblica un libro sulla distruzione di Montecassino!
Un veggente? O io ho bevuto un po’ troppo?
Macché! Nulla di ciò. Sono i miracoli di internet che, tra motori di ricerca ed enciclopedie on line, sembra aver fatto confusione tra due omonimi De Rosa: uno anarchico antifascista, milanese vissuto a Torino; l’altro cassinate, sopravvissuto miracolosamente al bombardamento dell’abbazia di Montecassino e vivente.
Ma vediamo cosa è accaduto.
Il 24 ottobre del 1929 il principe Umberto di Savoia si trovava in Belgio per chiedere la mano della principessa Maria José; quella mattina si era recato alla tomba del Milite Ignoto per il tradizionale omaggio. Un colpo di pistola interruppe la cerimonia: il bersaglio mancato era proprio il principe Umberto.
Dell’attentato fu accusato un certo Fernando De Rosa, che era in stretto contatto con Carlo Rosselli, il teorico del Socialismo Liberale.
Negli stessi momenti, come si tramanda oralmente nella famiglia De Rosa di Cassino, una mattina si presentarono a casa (ubicata all’ingresso sud della città, alle «tre pompe») degli agenti; donna Bettina (Benedetta Luciani, figlia di Sebastiano, “scalpellino”, autore degli angeli in altorilievo lungo le scale che, in abbazia, scendono alla cripta) spaventata, chiese cosa volessero. Quelli dissero che dovevano arrestare Fernando De Rosa. A quel tempo il nostro Fernando aveva da pochi mesi compiuto il primo anno di vita.
La madre Bettina riprese il suo sangue freddo, fece entrare gli agenti e disse: «Eccolo qui; prendetevelo!». Naturalmente l’equivoco fu subito chiarito.
Il De Rosa attentatore fu arrestato e condannato a cinque anni di carcere; ma ne scontò appena la metà. Nel 1932 si trasferì in Spagna dove, nel 1936, partecipò come volontario tra i repubblicani alla guerra civile spagnola: morì in combattimento nel 1936.
Il De Rosa cassinate, ancora tra noi grazie a Dio, in occasione dei frequenti bombardamenti anglo americani su Cassino e Montecassino, si era rifugiato con la famiglia a Montecassino, nella convinzione che nessun esercito avrebbe osato assaltare il glorioso monastero. Purtroppo, come è noto, non andò così.
Pochi furono gli scampati tra le macerie dell’abbazia rasa al suolo il 15 febbraio 1944. Tra essi il sedicenne Fernando De Rosa. Nel bombardamento aveva perso il padre ed il fratello di 27 anni.
Con lo sfollamento si trasferì a Roma dove ha vissuto a lungo. Notaio, brillante giornalista, ha infine scelto Pescara come attuale residenza.
La sua preziosa testimonianza l’ha raccontata nel libro L’ora tragica di Montecassino, lo stesso che erroneamente appare attribuito al De Rosa anarchico.
In realtà Wikipedia riferisce correttamente le vicende di quest’ultimo; è il motore di ricerca Google che a margine della biografia inserisce un riquadro con la sua foto e, a chiusura, il titolo del libro del De Rosa cassinate.
Forse è il caso di provvedere alla rettifica.
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Chissà che gli inquirenti del tempo non abbiano inviato la polizia in casa De Rosa anche sulla base del ricordo dell’accusa (rivelatasi poi infondata) di correità in regicidio formulata nel 1912 a carico di un altro cassinate come Gaetano Di Biasio.
Da notare, inoltre, che il curioso caso prodotto tra motori di ricerca ed enciclopedie on-line sui due Fernando De Rosa sembrerebbe essere stato corretto perché effettuando la ricerca nominativa ora, nell’identico modo fatto nel luglio sorso, il risultato ottenuto non abbina più dati biografici e pubblicazioni riferite a due persone distinte che hanno in comune solo l’omonimia. In sostanza la sollecitazione con cui Emilio Pistilli concludeva il suo articolo sembra essere stata recepita ed è stato provveduto alla rettifica.
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* «L’Inchiesta», 28 luglio 2017.
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