Studi Cassinati, anno 2016, n. 2
> Scarica l’intero numero di «Studi Cassinati» in pdf
> Scarica l’articolo in pdf
.
Il 20 maggio 2016 nella «Sala degli Abati» del Palazzo Badiale di Cassino si è tenuta la presentazione del Diario di guerra. Cassino-Portella-Nicastro 10 settembre 1943-5 luglio 1944 (a cura di Mariella Tomasso, CDSC 2015) scritto da Giuseppe (in famiglia Peppino) Tomasso nell’arco di quasi un anno, un lasso di tempo che coincide con il periodo più drammatico vissuto dalla popolazione di Cassino e del Cassinate in genere. Non a caso il Diario si apre al 10 settembre 1943, giorno in cui Cassino subì il suo primo, e grave, bombardamento e si chiude il 5 luglio 1944. Nel mezzo i cinque difficili mesi trascorsi a Portella, frazione di Sant’Elia Fiumerapido, tra bombardamenti, rastrellamenti, razzie, il «tutto nel gelo di un inverno particolarmente rigido e piovoso», prima fianco a fianco con i soldati germanici e poi con quelli coloniali del Corpo di spedizione francese. Quindi lo sfollamento coatto a partire dal 29 febbraio 1944 con trasferimento a Catanzaro, quindi a Nicastro dove Peppino Tomasso poté riprendere il suo ruolo di docente. Nel 1946 il ritorno prima nel centro profughi di Frosinone, poi a Sora fino al 1951 e, infine, il definitivo rientro a Cassino.
Mariella Tomasso, nipote di Peppino, opportunamente incoraggiata e spronata da Emilio Pistilli, ha provveduto, con tenacia e caparbietà, alla trascrizione e poi ne ha curato la pubblicazione. A lei, dopo aver convinto tempo addietro il padre Benedetto ad aprire il cassetto dei suoi ricordi infantili riportati nel volumetto Raccontami, Papà, va il merito di aver voluto donare il Diario del nonno che offre uno spaccato di un particolare momento della vita vissuta nel corso dei catastrofici eventi del secondo conflitto mondiale.
Dopo i saluti iniziali del sindaco della Città di Cassino, Giuseppe Golini Petrarcone, il prof. Ciro Attaianese, già rettore dell’Università di Cassino e del Lazio Meridionale, nel suo intervento, ha messo in evidenza i molteplici stati d’animo che si possono riscontrare nelle pagine del Diario, a testimonianza di come l’immediatezza della trascrizione abbia reso in modo così pregnante quanto imprevedibile fosse la vita e la singola giornata in quei tragici giorni. L’Abate Donato ha, dal canto suo, sottolineato come, nelle giornate descritte da Peppino Tomasso, non manchi mai il riferimento alla fede, quell’affidarsi e quel-l’aggrapparsi alla fede che permette di superare momenti difficilissimi e a volte di scon- forto, celato agli occhi dei suoi cari che avevano bisogno di tutta la forza del capofamiglia per poter pensare ad un epilogo positivo dei momenti che stavano vivendo (http:/ /www.abbaziamontecassino.org/abbey/index.php/blog-storia/417-tomasso-diario-guerra).
Una forte commozione ha raggiunto i presenti quando la prof.ssa Marisa Errico Catone ha ricordato la sua esperienza personale iniziata quando, tre giorni dopo il bombardamento di Montecassino, la sua famigliola partì da Mestre per tentare di raggiungere i parenti materni nei Sudeti in Boemia, un viaggio che, per disguidi burocratici, li portò nei campi di concentramento nazisti sottoposti a lavori forzati e da dove furono faticosamente salvati vivendo un’esperienza rimasta indelebile per tutta la vita. Marisa Errico Catone ha firmato anche la Prefazione del Diario nella quale definisce Peppino Tomasso un antieroe, oppure lo paragona, di volta in volta, a Enea, a Mosè, a un pastore errante di leopardiana memoria che interroga la luna sul dolore umano.
Presenti in sala Antonio Tomasso l’ultimo dei figli di Peppino, che all’epoca aveva sei anni, e Mafalda Di Mambro figlia di Michele e Rosina Iannarelli che ospitarono la famiglia Tomasso a Portella. Fra le tantissime persone presenti c’erano, graditissima sorpresa, anche dei testimoni del tempo fra cui il notaio Fernando De Rosa, il dott. Manlio Del Foco, l’avv. Andrea Paliotta. Se il 15 febbraio, «Giornata di lutto più aggravato», come la definisce Peppino Tomasso nel suo Diario, egli assistette al bombardamento di Montecassino da Portella assieme a una «folla di soldati e graduati» tra chi rideva, o saltava, o commentava, ma anche chi era commosso, anche Manlio Del Foco e Andrea Paliotta, uno a Esperia e l’altro a Terelle, furono testimoni della distruzione, mentre Fernando De Rosa come Mentina e Michele, i due protagonisti della storia scritta da Marisa Errico Catone (Come la polvere. L’odissea dei profughi di Montecassino) si trovavano all’interno delle mura del monastero, riuscendo fortunosamente a salvarsi.
Intervento del presidente del CDSC-Onlus
Gaetano de Angelis-Curtis
Il Diario redatto da Peppino Tomasso su tre quaderni a quadretti per complessive 315 pagine con un inchiostro sempre più sbiadito, assume una importante connotazione per la conoscenza dei patimenti vissuti e delle tribolazioni conosciute dalla popolazione locale in quei tristi mesi di guerra. Riveste anche una importante valenza perché non è stato scritto a distanza di tempo, di anni dai fatti narrati con il rischio che i ricordi potessero sbiadire o essere collocati in situazioni e ambiti differenti, invece le sensazioni, la percezione di quanto vissuto risulta fissata in presa diretta.
Quando la guerra si affacciò con il suo carico di distruzione e violenza a Cassino, Peppino Tomasso, poco più che quarantenne, commercialista e docente di francese in varie scuole, da poco vedovo con sei figli, si ritrovò a dover gestire la difficilissima situazione nel prendere le decisioni più opportune a protezione e salvaguardia del suo nucleo familiare (in tutto 17 persone, sei figli tra i 5 e i 15 anni, il padre, la madre, la sorella con marito e figlio, il fratello e alcune zie).
Dopo un mese trascorso tra continui attacchi aerei alla città, la situazione divenne insostenibile per cui il 10 ottobre la famiglia Tomasso sfollò a Portella, frazione di Sant’Elia Fiumerapido. La guerra, tuttavia, raggiunse anche quell’angolo di terra che, di lì a poco, si venne a trovare giusto a metà delle due linee del fronte, quella difensiva tedesca e quella d’attacco degli eserciti alleati. Peppino Tomasso rifiutò di sfollare portando la famiglia a Roma, così come, quando si fece sempre più pressante il pericolo, non volle lasciare la casa di Portella e salire sulla montagna a causa del freddo e della difficoltà nel garantire protezione, soprattutto, a bambini e anziani. Grazie alla sua abilità, alla conoscenza del francese e del tedesco, ad abili doti di mediatore, riuscì a imbastire proficui rapporti con ufficiali e soldati di ambedue gli schieramenti militari. Infatti l’esperienza vissuta a Portella può essere divisa in due fasi: la prima fianco a fianco con i militari della Wehrmacht la seconda con quelli dell’esercito alleato.
Anche Peppino Tomasso racconta di razzie, soprattutto dei prodotti alimentari, subite dai tedeschi così come dei rastrellamenti di uomini da inviare al lavoro. L’usurpazione, la sottrazione, la requisizione cui furono soggetti fu definita alla stregua del «subire il brigantaggio». Una situazione di violenze alle quali gli italiani non si opponevano a causa, a giudizio di Peppino Tomasso, dell’educazione ricevuta nel corso del ventennio fascista che aveva portato a essere «negletti, egoisti, freddi, incapaci di reagire» perché per paura non si osava protestare di fronte ai soprusi. Attraverso il suo scritto ritroviamo la gamma di diversità che animavano i combattenti tedeschi (o boches come li definiva): quando passavano in zona quelli delle SS o altri della polizia tedesca ecco che bisognava dileguarsi e anche Peppino Tomassi si andava a nascondere; poi c’erano anche militari germanici dal volto umano, particolarmente soldati austriaci, che giungevano fino a commuoversi a contatto con i bambini e, pensando alle proprie mogli, ai propri figli, cercavano di aiutare quelle persone. Sebbene frammentarie e talvolta contraddittorie le notizie giungevano anche a Portella. Anche lì si sapeva che la «battaglia del Volturno e di Cassino non [aveva] precedenti nella storia»; che la «sfortunata Cassino sta[va] facendo parlare il mondo intero», che «ogni vittima alemanna [veniva] pagata con dieci paesani».
Quindi il 15 gennaio giunsero a Portella le avanguardie francesi. Tuttavia la popolazione locale sembrò essere caduta «dalla padella alla brace». Anche con i nuovi arrivati le razzie erano all’ordine del giorno e venivano depredati non solo i prodotti alimentari ma anche oggetti e valori preziosi. Il «sistema pecca di maggiore prepotenza dei tedeschi», scriveva Peppino Tomasso il 19 gennaio. Tuttavia le preoccupazioni erano destinate ad aumentare, un’altra pericolosa insidia si annidava con le donne che non potevano più circolare liberamente mentre gli uomini dovevano stare a far la guardia alle case e alle donne.
Peppino Tomasso lancia anche una specifica accusa nei confronti di varie persone del luogo che speculavano sulla situazione venutasi a determinare. Infatti la maggior parte della popolazione locale, cancellando i sentimenti di fratellanza, cooperazione e mostrandosi «incomprensiva, empia, egoista, cattiva», faceva affari con i militari alleati, soprattutto americani che avevano a disposizione soldi per fare acquisti, per cui si rifiutava di vendere i prodotti agli italiani per poter lucrare prezzi maggiori con i soldati.
Mentre i giorni trascorrevano nell’attesa, risultata vana, di un immediato sfondamento del poderoso sbarramento difensivo approntato dai tedeschi (di cui anche a Portella, attraverso il giornale «La Patrie», si conosceva il nome, Linea Gustav, e che si estendeva «da nord est di Cassino, lungo il Rapido, e il corso del Garigliano»), Peppino Tomasso non poté esimersi dall’offrire un giudizio militare sui contendenti: «Ma questi alleati ne hanno di fuoco» scriveva in quei giorni, «ma questi tedeschi sono diavoli invisibili», e pur se avvantaggiati nella difesa da un clima ostile e dalle difese naturali, aggiugeva, che i «tedeschi sanno fare la guerra, bisogna riconoscerlo». «Pochi uomini sostengono posizioni non favorevoli … essi però sono elementi scelti, agguerriti da quattro anni di combattimenti … i germanici si sono asserragliati in case matte corazzate e in appartamenti ingannatori». A Portella transitarono anche soldati italiani che combattevano a fianco degli alleati. Le persone del luogo ebbero modo di fraternizzare «con i connazionali» dai quali poterono apprendere della visita fatta dal principe Umberto alle truppe italiane il 29 gennaio.
Poi gli Alleati presero la decisione di distruggere anche la città di Cassino. In previsione di quel nuovo intensissimo bombardamento le autorità militari alleate allontanarono la popolazione civile dalle vicinanze di Cassino e stavolta anche anche la famiglia Tomasso non poté sottrarsi all’ordine di sfollamento. Il 29 febbraio 1944 fu portata prima a Venafro e poi, attraverso, Caianello e Aversa, giunse a Catanzaro. In Calabria poté contare sulla solidarietà umana solo di una parte della popolazione locale. Poi, a partire dal 9 marzo, Peppino Tomasso poté riprendere il suo ruolo di docente presso le scuole di Nicastro.
La stesura del Diario termina il 5 luglio 1944. Quindi nel 1946 il viaggio di ritorno prima nel centro profughi di Frosinone e poi a Sora dove Peppino Tomasso svolse le funzioni di preside incaricato del Liceo Classico di Cassino. Nel 1951 il definitivo ritorno a Cassino. Otto anni erano trascorsi da quel 10 ottobre 1943.
(183 Visualizzazioni)