Studi Cassinati, anno 2016, n. 2
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di Francesco Di Giorgio
Novanta anni fa, a Cassino, all’alba della domenica del 15 agosto 1926 giorno della festa dell’Assunzione di Maria Vergine, si consumò uno degli ultimi duelli in Italia.
I protagonisti furono i giornalisti pubblicisti Luigi Filosa, corrispondente del «Mattino» di Napoli, e Umberto Lazzotti corrispondente dell’«Impero», periodico fascista nato a Roma tre anni prima ad opera di Mario Carli. La singolare sfida, atta a regolare problemi d’onore insorti a seguito di gravi divergenze e valutazioni di ordine professionale e politico, si svolse in una villa nei pressi del centro della città.
Come si conviene a procedure consolidate nel tempo, la tenzone fu celebrata secondo le regole che normalmente accompagnavano i duelli fin da epoca medievale. Rappresentanti del Filosa furono l’ing. Spartaco Orazio e l’avv. Vito Dessa; del Lazzotti il comm. Italo Foschi segretario politico del Fascio di Roma ed il capitano Vittorio Esposito, ispettore sportivo dell’Urbe. Il direttore dello scontro era il capitano Giulio Albertini, mentre per l’assistenza medica erano presenti i dottori Francesco Tocci e Pasquale Del Torto.
Le cronache del tempo ci dicono che «al settimo assalto il sig. Filosa riportava al terzo medio della faccia esterna dell’avambraccio destro una piccola escoriazione al derma». Al dodicesimo assalto il sig. Lazzotti «riportava al terzo medio faccia esterna dell’avambraccio una piccola ferita da punta al di sotto del derma con formazione di un piccolo lembo epidermico». Ambedue queste lesioni furono giudicate – dice il resoconto giornalistico del tempo – «tali da non menomare la validità dei primi». Al 21° assalto, dati gli evidenti segni di stanchezza dei due contendenti, di comune accordo i medici credettero opportuno proporre al direttore di scontro la cessazione del duello. Le cronache ci confermano che i due giornalisti dopo essersi battuti in un duello che avrebbe potuto causare gravi conseguenze per la loro vita, si riconciliarono.
Il duello di Cassino del 1926 fu uno degli ultimi consumati in Italia secondo le regole della legalità visto che qualche anno dopo lo stesso fu proibito per legge. Tuttavia ancora per molto tempo questa antico modo di risolvere le vertenze fu praticato in clandestinità.
Il duello per punto d’onore ebbe la sua massima stagione in Italia nel periodo rinascimentale. Era praticato in ben individuati ceti sociali quali il nobiliare e negli ambienti militari. Era considerato lo strumento più valido e immediato per riscattare offese da ingiurie o per lesa onorabilità.Il singular certamen all’italiana presupponeva una netta distinzione tra il duello, la vendetta o la gloria. Era strutturato come un vero e proprio processo, ne conseguiva che il duello non costituiva vendetta più di quanto lo fosse una qualsiasi azione giudiziaria diretta a veder affermati i propri diritti.Il «duello d’onore all’italiana» si svolgeva all’interno di un «campo franco» circoscritto da idonea e visiva delimitazione attraverso uno steccato, una fune o altro. Il confronto in armi era sorvegliato dal direttore del campo e – salvo diverso patteggiamento – proseguiva a oltranza, se necessario, dall’alba al tramonto del giorno prescelto. Scaduto questo tempo senza alcun risultato, si giudicava risolto l’onore del reo. I «padrini» o «avvocati dei combattenti» avevano il compito di tutelare i loro protetti in tutti i contrasti relativi ai problemi connessi con lo scontro cruento (es. controllo delle armi, controllo della regolarità del campo, ecc.), ma non su questioni dirette inerenti la causa d’onore.Erano coadiuvati da un notaio, da un armaiolo e da «confidenti» dell’una e dell’altra parte che avevano il compito di evitare ogni genere di scorrettezza tra i contendenti. In epoca più recente e fino agli anni della prima metà del Novecento, il duello consisteva in un combattimento a due, conforme alle regole e alle prescrizioni d’onore, e avveniva con il libero consenso dei partecipanti, alla presenza di quattro testimoni e di un medico.Le armi impiegate dovevano essere riconosciute adatte dal Codice penale e da quello cavalleresco.I padrini erano tenuti – in prima istanza – al tentativo di comporre in maniera amichevole la vertenza; in caso di un nulla di fatto, erano tenuti a impegnarsi a che le conseguenze fossero le meno gravi possibili. Dovevano, inoltre, provvedere a stendere il processo verbale di tutte le condizioni concordate tra le parti, a scegliere un terreno idoneo per il duello, a procurare le armi nonché assicurare la presenza di un medico chirurgo che presenziasse sul luogo dello scontro. Infine i padrini erano tenuti a verificare che tutti osservassero le condizioni e i patti prestabiliti.
A partire dalla metà del Novecento, grazie anche al diminuire dell’impatto sociale dei duelli, si fece strada tra i legislatori di tutta Europa l’idea che questa pratica dovesse essere rivisitata nei codici penali nazionali. In Italia, con una legge del 19 ottobre del 1930, fu introdotta la punibilità dei «duellanti» e dei «portatori di sfida» a cui che poteva essere inflitta la reclusione fino a sei mesi oltre a una contravvenzione, se non si fosse in presenza di danni o lesioni all’avversario. Pene poco severe che stanno a dimostrare come, anche in Italia, i duelli non fossero più indice di allarme sociale.
La suprema Corte di Cassazione una sola volta si è occupata di queste problematiche. È stato nel 1987 con una sentenza della V sezione penale: «Non può essere equiparato a un duello una colluttazione senza armi, svincolata da qualsiasi regola, condotta senza esclusione di colpi e in modo selvaggio e bestiale. Infatti, i reati cosiddetti di duello presuppongono l’osservanza delle consuetudini cavalleresche e, pertanto, perché uno scontro tra due persone possa considerarsi duello, deve svolgersi a condizioni prestabilite, secondo regole cavalleresche, mediante l’uso di armi determinate (spada, sciabola, pistola ecc), alla presenza di più persone (padrini o secondi), per una riparazione d’onore». Con legge 25 giugno 1999 n ° 205 il duello è stato definitivamente cancellato dal codice penale.
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