Studi Cassinati, anno 2015, n. 2
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di Emilio Pistilli
L’attuale comune di Cervaro è il risultato della fusione tra il castello di Cervaro con l’antica terra di Trocchio, dominata dal castello medioevale detto Torroculum, cioè grossa torre. L’unione tra le due entità territoriali avvenne nel 16011, dopo, cioè, che il borgo di Trocchio si era spopolato a causa delle ricorrenti epidemie di peste che afflissero il Regno di Napoli negli anni 1528-1529 e nel 1576.
La prima menzione del castello di Trocchio risale alla metà del sec. X: era il tempo in cui i monaci di Montecassino erano rifugiati a Teano a seguito dell’invasione dei saraceni del territorio abbaziale nell’883. Approfittarono dell’assenza dei monaci i conti di Teano, che si appropriarono di gran parte di quella che sarà poi la Terra di S. Benedetto. Nel narrare tali fatti il Chronicon di Montecassino elenca i territori occupati; tra questi figura anche il castello di Trocchio: «… usque ad monticulum monasterio proximum, qui Torocclus dicitur»2.
Un altro cenno al castello è nel diploma di Papa Vittore II dell’anno 1057 con il quale si confermavano tutti i beni appartenenti a Montecassino; nel diploma si citano tra gli altri i castelli di «Turucculum» e di «Cervara»3.
Il nome di Trocchio compare in svariate forme nei documenti cassinesi: Torroclus, Terruculi, Terrucoli, Terrucculi, Terruculo, Torocclu, Toroculi, Toroculo, Teruculum, Torocclum, Torocclus, Toroclum, Torrocolo, Toruculum4; in un disegno di fine Cinquecento è scritto «Turrichiu»5. Nella forma «Torocclu» è scritto sul terzo pannello della prima valva della Porta Bronzea dell’attuale basilica dell’abbazia cassinese: la porta fu fatta costruire nel 1066 dall’Abate Desiderio a Costantinopoli.
Nell’atto di unione del 1601 fu stabilito che tutti i beni pubblici e privati di Trocchio: terreni, piazze, strade, acque, molini, gabelle, censi, ecc. dovessero stare in comunione con l’università di Cervaro, tutto ciò fu sancito in una pergamena munita di sigillo a ceralacca6.
«Nel suo distretto il Monastero possedeva, oltre a terreni di piccola superficie, quattro vaste tenute denominate La Foresta, Campolungo, Colli e Vallevecchia, sulle quali la popolazione aveva sempre esercitato gli usi civici di pascere e legnare, onde al tempo della divisione dei demani chiese al commissario ripartitore il compenso dovuto per detti usi. Questi, con ordinanza 7 novembre 1811, nel definire i confini fra i territori di Cervaro e San Germano nei termini segnati nel Registrum Censuum et confinium del 1278 dell’abate Bernardo, dichiarò che il fondo La Foresta in tenimento di Trocchio della estensione di mille tomoli era di natura burgensatica come risultava da uno istrumento d’acquisto da parte del Monastero dell’anno 1694, e pertanto lo escluse dalla divisione»7.
Ma non starò qui a rifare la storia di Trocchio. Mi occuperò, invece, dei suoi confini prima dell’accorpamento con Cervaro, confini più volte discussi e contestati da parte di Montecassino e della città di San Germano, odierna Cassino.
La fonte primaria per tali confini è il Registrum Censuum et Confinium (1278-1410), manoscritto inedito in Archivio di Montecassino8. Nel Registro sono descritti minutamente i confini tra i vari castelli dell’abbazia cassinese. Va subito detto che dei toponimi ivi menzionati non pochi sono oggi scomparsi: ciò rende difficile la determinazione della linea di confine dei singoli castelli/comuni. Tuttavia ho avuto modo di riscontrare e segnalare che gli attuali confini tra i comuni di questa parte del Lazio meridionale seguono abbastanza fedelmente quelli indicati dal Registro medioevale9.
Sulla cartografia moderna è tracciata una unica linea di confine per i territori di Cervaro e Trocchio, e non potrebbe essere altrimenti.
Confines et determinaciones territorii Teruculi
Trascrizione
A prima parte incipiente ubi dicitur Rivo verna / tico sive Arenaro et mergit per forestam et descen /ndit in flumen liris. – A secunda parte incipiente / ubi dicitur ponte marmoreo et ascendit per viam silicatam / et vadit ad sanctam mariam de spiritu sancto et / directe vadit per ipsam viam et vadit ad pontem fagii
et salit ad fossam de latrone et pergit ad locum qui / dicitur Petra vulchiacca et salit per serram que dicitur lo/ cetolo et descendit ad locum qui dicitur la coscella et / intrat in viam publicam usque ad montem qui dicitur por / chia. – A tertia parte incipiente ab ipso monte por / chia sicut aqua descendit deinde vadit ad locum qui dicitur / lo limastri et pergit ad silvam que dicitur li mastrazzi et / vadit ad eclesiam sancte marie Magdalene et deinde / vadit ad viam de fossatus traversus et pergit ad Arenam / de Zombarellis et mergit ad pesclos de li martini et / deinde descendit ad rivum Arenoticum sive vernoticum / que est prima finis.
Confini e disposizioni del territorio di Trocchio
Traduzione
La prima parte inizia dal rio vernotico / o arenario e prosegue per la Foresta e scende / al fiume Liri.
La seconda parte inizia / dal ponte Marmoreo (Marozzo) e sale per la via lastricata / fino a santa Maria dello Spirito Santo (La Pietà), / prosegue direttamente per la stessa via e va al ponte del Faio, / sale alla fossa del Ladrone e si dirige al luogo / detto Pietra Vulcacchia e sale per il crinale detto il / cetolo (Collecedro) e scende al luogo detto la coscella e / entra nella via pubblica fino al monte denominato / Porchia.
La terza parte inizia dallo stesso monte / Porchia e lungo il versante di displuvio va al luogo detto / il limastro e si dirige verso la selva denominata i mastrazzi e / va alla chiesa di Santa Maria Maddalena, di qui / va alla via del fossato traverso e volge alla rena / di Zompariello e prosegue ai dirupi dei Martini e / di qui scende al rio Arenotico o vernotico / che è il confine iniziale.
Qui, però, vorrei ripercorrere la demarcazione antica così come è delineata nel Registro cassinese, ma limitatamente al castello di Trocchio.
Il nostro documento inizia dal «Rivo vernatico sive Arenaro», che non puó che essere il vallone dell’Ascensione, che si diparte dall’omonima chiesa a monte tra Cassino e Cervaro. Lo stesso rio vernotico è segnalato, nel Registro, sul confine locale di Cassino. Prosegue verso la località «Foresta» e scende al fiume Gari («et mergit per forestam et descendit in flumen liris»), seguendo, qui, gli attuali confini tra Cervaro e Cassino (vd. Tav. 1 IGM).
Riprende la descrizione dal fiume Gari, nella zona tra il ponte Marozzo e ponte Murato, presso la via per S. Angelo in Theodice10; segue il tracciato dell’antica strada «Romana seu Silicata seu Campanina»11, probabile antica via Latina («A secunda parte incipiente ubi dicitur ponte marmoreo et ascendit per viam silicatam»).
Quest’ultimo passaggio è estremamente importante per riconoscere il tracciato della via Latina dopo aver oltrepassato il sito dell’antica Casinum. Infatti se si ritiene condivisibile il percorso della consolare da Aquino fino a Casinum ricalcante la già ricordata «strada romana seu silicata» (parallela all’odierna Casilina), dobbiamo per forza di cose considerare il ponte Marozzo in funzione della via Latina. Questo ponte, di cui documenta ampiamente Lena12, fu costruito molto più a valle rispetto alla posizione di Casinum, e cioè subito dopo la confluenza del Rapido nel Gari (località detta «la fiumara»), per l’ovvia necessità di evitare il doppio attraversamento dei due fiumi. Il passaggio del nostro Registro: «et ascendit per viam silicatam» ci fa sapere che subito dopo il ponte proseguiva la strada selciata che si inerpicava verso la collina («ascendit»). Di tale tratto basolato non abbiamo più traccia, però ne abbiamo più ad ovest alle radici di monte Trocchio, presso il casello ferroviario della località La Pietà13, che potetti fotografare insieme al prof. Antonio Giannetti verso la metà degli anni Settata, prima che fosse definitivamente interrato. In quella occasione con il compianto Giannetti percorremmo tutto il tracciato della via Latina, che si snodava parallelamente alla odierna via Appia e alla linea ferroviaria, ma più a monte: riconoscemmo tratti di strada, attacchi di ponticelli, numerosi resti di laterizi di sicura epoca romana, fino al territorio di Rocca D’Evandro, dove affiorava ancora tra i campi un ampio tratto di strada basolata che volgeva nettamente verso S. Pietro Infine («ad flexum»).
Ora il collegamento tra la «via silicata» del Registro e quello del casello di La Pietà/Fontanarosa, non è più individuabile essendo stata sconvolta l’area dalla profonda incisione della linea ferroviaria; tuttavia è presumibile che, andando a ritroso in direzione di Casinum, la strada basolata, una volta attraversata la ferrovia in zona del casello, si immettesse sull’odierno tracciato della via Appia seguendolo per buon tratto fino al fondovalle per poi collegarsi al ponte Marmoreo/Marozzo: stesso percorso della linea di confine tra Cervaro e Cassino.
Ma riprendiamo l’esame del nostro documento: «ascendit per viam silicatam et vadit ad sanctam Mariam de spiritu sancto». Il toponimo di S. Maria dello Spirito Santo non è più presente nell’area in questione, tuttavia è facile constatare che debba trattarsi senz’altro del santuario de La Pietà. Infatti in una relazione del 1717 del sacerdote d. Filippo Di Fazio si dice proprio che la chiesa della Pietà era anticamente intitolata S. Maria dello Spirito Santo14.
Poi «et directe vadit per ipsam viam et vadit ad pontem fagii»: proseguendo per la stessa via – per un primo tratto coincidente con l’odierna via Appia, ma poi dipartendosene per seguire la via Latina al di là della ferrovia per alcune centinaia di metri e quindi, riattraversata la via ferrata, riprendere di nuovo la via Appia –, giunge al ponte sul rio Faio, di qui: «salit ad fossam de latrone et pergit ad locum qui dicitur Petra vulchiacca»: il fosso del Ladrone è ancora presente come toponimo, mentre della «petra vulchiacca» non è rimasta traccia (vd. Tav. 2 IGM). Tuttavia sappiamo di essere in prossimità della contrada Collecedro. Ce lo conferma il successivo passo: «et salit per serram que dicitur lo Cetolo», dove è evidente che «lo cetolo» sia l’originaria denominazione di «colle Cedro». In questa zona abbiamo lasciato il tracciato della via Appia per salire sulla cima del colle. Di qui il confine antico scende a valle per riprendere la strada pubblica: «et descendit ad locum qui dicitur la coscella et intrat in viam publicam usque ad montem qui dicitur porchia». Il luogo «La coscella» non è più identificabile, ma dalla cartografia moderna possiamo ritenere che si tratti della confluenza dei confini di tre attuali comuni: Cervaro, S. Vittore e Cassino. La strada pubblica non è più la via Appia ma una traversa che sbocca sul tracciato della via Latina cui si accennava sopra; e qui siamo alle radici del monte Porchio (vd. Tav. 3 IGM).
«A tertia parte incipiente ab ipso monte porchia sicut aqua descendit deinde vadit ad locum qui dicitur lo limastri». Il confine, come quello odierno, seguiva il crinale del colle Porchio risalendolo da sud per poi scendere sulla linea di displuvio15 del versante opposto fino ad una non riconosciuta località detta «limastri», che dovrebbe essere una profonda depressione in prossimità dell’attuale via Casilina, in prossimità della vecchia casa cantoniera.
Da questo punto il confine medioevale di Trocchio si diparte da quello moderno in direzione ovest per circoscrivere la demarcazione dal contermine Cervaro (vd. Tav. 4 IGM) «et pergit ad silvam que dicitur li mastrazzi et vadit ad eclesiam sancte marie Magdalene». Percorso un breve tratto della via Casilina verso sinistra, imbocca l’attuale via Mastrazze, zona che nel documento è definito come «selva»; ed infatti ancora oggi è ricca di vegetazione folta e spontanea. La via Mastrazze (vd. Foto) va ad innestarsi sulla via S. Maria Maddalena nel punto in cui è eretta una cappelletta che anticamente era dedicata alla omonima santa16.
«et deinde vadit ad viam de fossatus traversus et pergit ad Arenam de Zombarellis et mergit ad pesclos de li martini»: attraversata quest’ultima via si prosegue su via «Taverna vecchia». L’esistenza di una taverna su questa strada ne testimonia l’importanza, almeno fino alla costruzione della moderna via Casilina (1795), che si snoda parallelamente più ad ovest. Non sarebbe azzardato ritenere che si trattasse dell’unico percorso agibile in quella zona dall’epoca medioevale fino all’Ottocento, quando era denominata «Via Neapolitana». Ora della taverna non si ha più traccia perché sul sito è sorto un vero e proprio villaggio di case moderne. Va però segnalato che in quell’area sopravvivono due toponimi «taverna»: uno presso il bivio di S. Vittore del Lazio sulla via Casilina, l’altro quello appena ricordato e che dovrebbe avere attinenza con il «Colle Taverna» di cui si parlerà più avanti.
Tuttavia conviene anche richiamare la carta del Sagrino17, dove lungo la «Via Neapolitana» troviamo due località denominate «hospicium», una in corrispondenza di S. Vittore ed una di Cervaro: è di tutta evidenza che l’«Hospicium» sta per Taverna.
La via Taverna vecchia va a confluire, come naturale proseguimento, in via Romanelle attraversando il «fossatus traversus» che potremmo identificare con il valloncello di Acqua Candida oppure con il parallelo Rio Pisciarello. Anche qui il nome della via «Romanelle» ci invita a collegarlo con un relitto toponomastico riferito alla strada che conduceva a Roma.
Proseguendo per questa via si giunge ad una contrada denominata ancora «Colle Taverna». C’è da osservare, però, che via Romanelle subito dopo aver attraversato il rio Pisciarello si biforca: il tratto a monte si inerpica verso la carrozzabile per Cervaro, confluendo in essa al secondo tornante, quota 169 s.l.m. Il braccio più a valle è la continuazione rettilinea della via Romanelle e va ad inoltrarsi verso una zona in ascesa e attualmente poco frequentata. Infatti va restringendosi sempre più fino a diventare una stradicciola dal fondo sconnesso ed accidentato. All’inizio della salita verso quota 122 è sopraffatta dalla vegetazione spontanea fino a scomparire. Ne è rimasta traccia solo sulla tavola IGM del 1942, dove risulta sfociare sulla Casilina in prossimità della frazione Pastenelle, prima che il gomito stradale della moderna carrozzabile fosse ristrutturato per attenuarne la pendenza e la pericolosità.
Nel passo citato del Registro si fa menzione di località come «Arena de Zombarellis» e «ad pesclos de li martini». Purtroppo questi toponimi non sono giunti fino a noi. Circa l’«Arena» possiamo supporre (ma solo supporre) che si trattasse del fondovalle stagnante che si snoda a quota 72, prima dell’ascesa di circa 50 metri verso le prime pendici di monte Trocchio («ad pesclos de li martini»).
Quanto al «Zomparelli» va osservato che una località con nome simile, «Zupparielli» si trova al di là del monte Trocchio presso il rio Faio. Ma nel nostro Registro capita sovente di trovare nomi di località odierne ubicate in zone del tutto diverse rispetto al passato. Lo stesso dicasi per «li Martini», che trova richiamo con la contrada «Cesa Martina» vicina ai «Zupparielli» e attraversata dal rio Faio. Errori dei cartografi medioevali o duplicazione di toponimi derivanti dai nomi degli antichi proprietari che estendevano i loro possedimenti in più zone? Forse non lo sapremo mai.
«et deinde descendit ad rivum Arenoticum sive vernoticum que est prima finis». Una volta scollinato sulle prime propaggini di monte Trocchio è facile scendere al Rio Ascensione dopo aver seguito per breve tratto l’odierna Casilina. E qui si chiude il cerchio dei confini del castello di Trocchio.
Sulla questione dei confini del castello di Trocchio, però, sono sorte nel passato accese contestazioni, specialmente per la zona che divide i comuni di San Germano e Cervaro: il territorio contestato è quello della Foresta, sulle pendici nord occidentali del monte. Ma di questo ci occuperemo in un prossimo servizio.
1 L’unione, approvata da Regio Assenso del viceré di Napoli, avvenne nel novembre di detto anno: L. Fabiani, La Terra di S. Benedetto – Fine del dominio temporale dell’Abbazia di Montecassino, Vol. 3°, in Miscellanea Cassinese n. 42, Montecassino 1980, p. 84.
2 «…fino al monticello vicino al monastero, detto Torocclus», Sacri Monasterii Casinensis, di Leone Ostiense, in M.G.H., 34, a cura di H. Hoffmann, Hannover, 1980; II, 1, pp. 166-167; si veda anche F. Sidonio, A. Riefoli, Il castello di Trocchio nell’inquisizione del 1270, in «Studi Cassinati», n. 2/2002, pp. 51 e sgg.
3 E. Gattola, Ad historiam Abbatiae Cassinensis Accessiones, Venetiis, Coleti, 1734, p. 157.
4 F. Sidonio, A. Riefoli, Il castello di Trocchio … cit.
5 Speculum & exemplar Christicolarum: vita beatissimi patris Benedicti monachorum patriarchae sanctissimi … carmine conscripta, Sangrinus, Angelus, O.S.B., Roma 1587.
6 L. Fabiani, La Terra di S. Benedetto … cit.
7 Ibid.; Archivio di Stato di Napoli, fascio 1, fascicolo 3, ff. 1-2V. Ancora Fabiani La Terra di S. Benedetto … cit. in nota 32: Archivio di Stato di Frosinone, Incarto di Cervaro, fascicolo 26. Ricordiamo che i beni della rettoria di Cervaro furono acquistati da Diego Elia per 20 mila ducati.
8 Registrum confinium et determinaciones Abbatiae Casinensis continens et omnium terrarum et castrorum existentium infra et extra dictam abbatiam subiectarum ac subiectorum eidem per has determinations et confines infrascriptos.
9 E. Pistilli, Acquafondata e Casalcassinese, Comune di Acquafondata 2004, p. 19; e E. Pistilli, I confini della Terra di S. Benedetto, dalla donazione di Gisulfo II al sec. XI (Studio storico-topografico), CDSC-onlus, Cassino 2006, p. 24.
10 Il ponte Marozzo deriverebbe il nome proprio dal ponte «marmoreo»: vd. G. Lena, Scoperte archeologiche nel Cassinate, Lamberti, Cassino 1980, p. 42, foto 27.
11 E. Gattola, Accessiones, II, p. 735; Privilegio di Ugo e Lotario dell’anno 492.
12 G. Lena, Scoperte archeologiche … cit.
13 Ivi, foto 28 e 30.
14 E. Pistilli, Le chiese di Cassino. Origini e vicende, CDSC-onlus, Cassino 2008, p. 243. La relazione, con la descrizione della chiesa, è pubblicata integralmente da D. D’Epiro, S. Angelo in Theodice, frazione di Cassino, nel 50° della sua distruzione, 1944-1994, pp. 63-64.
15 La formulazione «sicut aqua descendit» è ricorrente nel nostro registro ed indica appunto il versante di displuvio.
16 Oggi restaurata ma dedicata alla memoria di Antonio Gaglione, autore del restauro.
17 Cit. in nota 5.
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