Studi Cassinati, anno 2015, n. 2
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di Giovanni Petrucci
Al di fuori della cerchia muraria di Sancto Helia, ad ovest di Porta S. Cataldo, tra l’attuale Cartiera e la Peschiera, alla riva destra del Rapido, vi era un vero e proprio sobborgo, con la Chiesa dall’alto campanile al centro e un caseggiato all’intorno. Il Guiraud1, dai fertili terreni ivi esistenti e rifacendosi ai documenti dei Regesti citati in avanti, lo chiama «Limata»2; noi, per distinguerlo da altre località omonime, aggiungiamo il nome della Chiesa e la denominazione diviene così «Limata di S. Onofrio».
Questo era unito al castrum tramite il Ponte Magistri Poy e il Ponte de Parruza, ambedue di legno: il primo sorgeva nei pressi di quello attuale.
La campagna rasentata, dove il Rapido nei mesi di piogge era ancora rapido ma domava la violenza prorompente, era soggetta ad essere spesso danneggiata dalla sua forza; il che è documentabile, in quanto fino a un centinaio di anni or sono, quando per il letto scorrevano tutte le sua acque, proprio al limite dei terreni della Limata, divenivano furiose; vi fu posto rimedio frenandole con una briglia costituita da enormi basole sistemate in declivio e con un lungo muro di contenimento del terreno, esistenti ancora oggi.
Il fiume continuava a far scorrere le acque abbondanti che sulle pietre di freno divenivano spumose creando un lieto spettacolo. Fu costruita in epoca recente, dopo i guasti causati ripetutamente a Sant’Elia fino a San Germano3, perché di essa non si ha menzione per tempi anteriori nei testi consultati. Sappiamo inoltre che il sobborgo veniva danneggiato continuamente da alluvioni succedutesi negli anni e fu distrutto da un terremoto.
Oggi, dalla placida visione dello scorrere dei pochi scoli restati, ci chiediamo increduli come le distruzioni siano potute accadere.
chiesa di s. onofrio
Della chiesa di S. Onofrio sono scomparsi anche i ruderi; non esiste più nulla, nemmeno nella toponomastica o nei ricordi degli anziani4.
«Fu edificata per avventura a divozione del monaco di Valleluce Almondo, o certo per memoria di ciò che gli accadde in morte; come per lo stesso motivo i Monaci di Montecassino fecero edificare l’altra, che stava in quelle vicinanze. Distrutta poi dal tremuoto nel 1367 (Arch. Cas. fasc. 12, n. 111), ed una seconda volta dall’alluvione, dopo essere stata ricostruita, venne eretta quella contigua alla chiesa di S. Cataldo»5. In verità quest’ultima era piuttosto una cappella6, oggi androne del palazzo Mario e Michele Iucci.
Abbiamo documenti dai quali risulta con sicurezza che essa esisteva fuori dalle mura del castrum7; infatti viene citata nei Regesti di Bernardo I8, nel patrimonio librario dell’Inguanez9, nel Catasto Onciaro10, nell’inventario dei beni appartenenti al Monastero di Vallelluce11 e in alcune raffigurazioni12.
Da anni ormai i ruderi della Chiesa sono stati portati via dalla corrente del Rapido. Gli abitanti del posto sanno solo localizzarne l’area nei pressi di una calcara in una località chiamata Pantano, dove esisteva; ma anche questa oggi è scomparsa; sono rimaste al margine della strada solo alcune pietre. Il Pantoni ci riporta anche le misure, piuttosto rilevanti: era lunga oltre 16 m., larga 4,50 m., e alta 5,50 m.; le pareti laterali avevano cinque finestre ed un rosone era al centro della facciata, sulla porta principale13. La sua importanza si può desumere dai numerosi testi sacri documentati da d. Mauro Inguanez, nei quali è dichiarata la sua esistenza nel secolo XIII: «sita prope Castrum Sancti Helie» e dipendeva dal monastero di Valleluce. Anche se «dipendente» e non parrocchiale, era tra le prime di Sant’Elia. Di essa ricordiamo la vecchia Confraternita del paese fondata nel 1550.
Quanto alla devozione a Sant’Onofrio (Onufrius), annotiamo che questi era un eremita della Tebaide, morto forse agli inizi del quinto secolo. Sul Santo nacquero delle leggende che descrivevano la sua vita errabonda condotta per settanta anni circa nella miseria e nella solitudine del deserto; qui, seguendo l’esempio di Elia e di Giovanni Battista che attraverso la vita eremitica avevano raggiunto il sommo delle virtù, si cibava di erbe e di quanto un angelo gli portava ogni giorno. «In realtà tutta la storia è un elogio della vita monastica cenobitica e nel contempo una presentazione dello stato di vita più perfetto: la solitudine nel deserto»14.
Il suo culto per questo motivo era molto vivo a Montecassino e ricordiamo che un caseggiato dell’Albaneta ne portava e porta il nome. E ciò spiega la diffusione della devozione del Santo anche a Sant’Elia, dove gli era dedicata, oltre alla Chiesa in parola, anche una cappella adiacente alla Chiesa di S. Cataldo, citata.
Sulle sue strutture non abbiamo più notizie di sorta.
Dalla pubblicazione della illustrazione di Marco Lanni del 1873, possiamo dedurre che in questo anno la Chiesa era ancora integra.
il borgo
Il caseggiato della Limata di S. Onofrio nei secoli passati doveva essere fittamente abitato e il terreno, come dice il nome, assai fertile. Dinanzi alla facciata della Chiesa era una piazza, un palazzo con relativa corte ed abitazioni; nei pressi, costruiti evidentemente su un canale di derivazione dal Rapido, un mulino e una gualchiera15; questa fu la prima di Sancto Helia, di cui possediamo notizie sicure; infatti sappiamo che fra Nicola da Marano il 21 maggio 1269 concesse ad Angelo de Guidone16 di riparare a sue spese il valcatorio, il lanificio, che allora già esisteva nelle vicinanze. Inoltre lo stesso fra Nicola gli procurò anche una licenza dall’Abate a costruirne, per utilità dei frati di S. Michele, uno nuovo, sempre nella piana di S. Onofrio, utilizzando il corso del Rapido. Intorno al tempio vi erano tante case, che formavano un vero e proprio abitato. Questo andò crescendo col tempo e con la scomparsa dei pericoli dovuti alle invasioni dei Saraceni.
Una chiara testimonianza della sua esistenza l’abbiamo ancora oggi. Infatti in un’abitazione di cui restano solo i ruderi si nota una chiave di volta dell’arco di pietra, sulla quale è scolpito lo stemma con figure ormai consunte dal tempo; nel quarto in basso è un assicellato obliquo, prova della nobiltà di chi vi abitava. I suoi resti sono stati risparmiati dalla violenza del Rapido perché le strutture erano in una zona più interna e sicura. Forse facevano parte del caseggiato una seconda, di cui esistono ancora tracce di un muro nascosto da fichi d’India e in una vecchia foto, una terza appartenente agli eredi di Gennaro Iucci, all’inizio della strada Sant’Elia-Valleluce Santa Maria Maggiore e una quarta degli eredi Gabriele, con caratteristico portale di entrata del tempo, ormai demolito. Ve ne erano anche altre andate distrutte con le alluvioni. Che la Limata di Sant’Onofrio fosse popolosa lo attesta un altro particolare: in una zona molto interna e sicura della Peschiera, erano i ruderi di una seconda chiesa, esistente fino al 195017.
estensione
Rientravano nell’orbita della Limata le case sparse nei terreni molto fertili, che andavano da Sancto Helia Vecchio alla Chiesa di S. Maria Maggiore e potevano facilmente essere irrigati con paratoie lungo le acque del Rapido e dai canali di derivazione, del Rio Valleluce e da quelle delle sorgenti della Pietrosa. Qui venivano coltivati il lino e la canapa, i cui tessuti erano di notevole necessità per la Comunità di Montecassino. Per tali colture successivamente ci furono precise disposizioni con l’art. 63 degli Statuti del 1559 e con l’art. 15 di quelli del 1818; oggi esse, sempre ostacolate dalle amministrazioni comunali, sono scomparse del tutto e sostituite dagli orti. È da presumere che in questi luoghi fossero anche dei frantoi, mulini e qualche altra gualchiera. Certo è che dai documenti citati e dagli altri esistenti nei Regesti si hanno testimonianze di una vita agricola piuttosto rigogliosa.
testimonianze visive
Riferimenti a tale sobborgo si possono cogliere con evidenza in tre disegni e due illustrazioni. I primi tre sono vedute dall’alto a volo d’uccello, che comportano «la scoperta del significato reale, divenendo così uno straordinario strumento di interpretazione della realtà storica»18:
– nel primo di M. A. Scipione del 1630, vicino all’abbozzo del castrum n. 6119, sulla sponda sinistra di un affluente del Rapido, forse il Rio Valleluce, è tratteggiata un’abitazione, che richiama la Limata;
– nel secondo di Innocenzo Lobelli del 174520, nel punto corrispondente alla località in questione, sorge lo stesso simbolo;
– nel terzo del Gattola del 173421 è disegnato con molta evidenza un caseggiato, proprio alla destra di un fiume, all’approssimativa altezza della terra oggetto della ricerca;
– nella quarta, la litografia di Giuseppe Santilli22, anteriore al 1873, con le case disposte come sono ancora oggi, perciò sostanzialmente molto fedele alla realtà, l’agglomerato è dipinto assai chiaramente proprio alla destra del fiume, tra alti alberi e vegetazione, in mezzo al quale in lontananza si innalza un campanile, senz’altro quello della Chiesa.
– nella quinta23, una stampa ottocentesca dell’Opificio dei Fratelli Picano, si scorge lo stesso alla destra del Rapido con la croce di S. Onofrio in mezzo a molte piante.
Oggi si sono dissolti tutti i ruderi di questo borgo, portato via proprio dalla violenza del Rapido, cui doveva il suo sorgere: la Chiesa «ora scomparsa era […] in località Pantano, quindi soggetta alle alluvioni del Rapido»24; il medesimo inconveniente documenta il Lanni. Nel secolo XVI esisteva ancora, in quanto nell’articolo 62 degli Statuti del 1559 si parla della piena funzionalità del mulino di S. Onofrio. Ed esisteva ancora nel 1734, perché nelle illustrazioni del Gattola, da noi precedentemente descritte, esso era disegnato ad ovest del castrum e a destra del Rapido in maniera inequivocabile; e non era scomparso nemmeno nella metà del XIX secolo, visto che si scorge con chiara evidenza nella citata litografia di Giuseppe Santilli e più tardi nella stampa dei Picano. Queste chiesa è elencata fra i beni posseduti da Montecassino nel Catasto Onciario insieme con un mulino25.
Forse alla Limata di S. Onofrio allude il Riga quando nel 1864 dice che «circa 30 anni indietro, andando a Valleluce, quasi ad un chilometro prima di giungere al luogo denominato Molino del Cancelliere, tra la sponda […] di sinistra si osservavano le contrade Formiglio, Vituozzo, Peschio di Fano, Lecìna, S. Onofrio[…]»26.
Oggi si notano ai margini di un sentiero alcune grandi pietre non lavorate formanti probabilmente l’interno della calcara tante volte citata che si levava vicino alla Chiesa; di questa non resta più nulla, come se non fosse mai esistita.
1 J.F. Guiraud, Èconomie et Socété autour du Mont-Cassin au XIIIe siècle, Montecassino 1999.
2 «Limata», forma di plurale alla latina da limus, i, m. limo, fango: terreni ubertosi in cui venivano coltivati specialmente gli ortaggi. Il nome è diffuso nel Cassinate e anche oltre, a Pontecorvo, Ausonia e altrove, per indicare le terre situate a volte nelle anse dei fiumi e molto fertili.
3 G. Petrucci, I guasti del fiume Rapido nel passato, in «Studi Cassinati», a. IX, n. 1 gennaio-marzo 2009, p. 6.
4 Fra le testimonianze fornite in una ricognizione effettuata nel 1964 insieme con il compianto archeologo d. Angelo Pantoni ci venne indicato un sito nei pressi di una calcara da Nicolina Sofia e del marito Alfredo Palombo.
5 M. Lanni, Sant’Elia sul Rapido, monografia, Napoli 1873, p. 121.
6 G. Petrucci, Il terremoto fa scoprire un affresco, in «Laziosud», luglio-agosto 1986, p. 2.
7 A. Pantoni, «Bollettino Diocesano», XXI, luglio-settembre 1966, p. 127: «[…] Detta chiesa, ora scomparsa, era fuori del Paese, in località Pantano, quindi soggetta alle alluvioni del Rapido. Per ambedue gli edifici, dedicati a S. Onofrio, vi era un procuratore scelto ogni anno dall’abate di Montecassino».
8 Regesti Bernardi I Abbatis Casinensis fragmenta, Romae MDCCCLXXXX
D. n. 104, p. 55: «… Frater Nicolaus de Marano praepositus Ecclesiae S. Michaelis de Monte[…] fatetur[…] quoddam sedile extra portam S. Elie iuxta viam publicam et formam balcatorii Sancti Honufrii in quo extitit balcatorium ad usum fratrum S. Michaelis, sed nunc destructum, et Angelo promittenti sedile suis sumptibus reparare, ibidem balcatorium construere […]»;
D. n. 179, p. 82: «[…] testatur se vendidisse […] terram cum domo in S. Elia, ubi dicitur Limata iuxta viam publicam, flumen, terram ecclesiae S. Onufrii, praeter viam iuxta flumen[…] »;
d. n 189: «[…] Maria de Doda […] vendit […] in capite Clausure S. Onufrii, iuxta flumen Rapidum… super horto et domo positis iuxta palatium et curtem S. Onufrii […] insuper via per quam iter habetur iuxta Ripam fluminis ad obedientiam Sancti Onofrii»;
D. n. 193: «[…] vendit terram «ubi dicitur Pons Magistri poy» iuxta domum et hortum presbyteri Iacobi et formam aquae, quae labitur ad Molendinum Mauri et ad molendinum et balcatorium S. Onufrii […] »;
D. n. 234, p. 102: […] concedit praedictae Vigoritae molendinum in S. Elia «ubi dicitur Limata, prope pontem de parruza […]».
9 M. Inguanez, Catalogi codicum Casinensium Antiqui (sæc. VIII-XV), Montis Casini, 1941 XIX, p. 59: «Ecclesia S. Onufrii. 65 Sæc. XIII: Item Ecclesia Sancti Onufrii sita est prope Castrum Sancti Helie et subiecta est Monasterio Vallis Luci. In qua Ecclesia Sancti Onufrii est: Liber missalis, unum – Notturnale, unum – Psalterium, unum, Orationale, unum -Manuale, unum – Ympnarium cum orationale, unum – Evangelistale, unum -Antiphonarium de die, unum» (Fons: Caps. XXVI, fasc. Quaternus Invent. bonorum Monasterii Vallis Luci. f. 9v).
10 Archivio di Stato di Napoli, R. Camera di Sommaria, Catasto Onciario di S. Elia, Terra di Lavoro, Distretto di Sora, Volume 1430, Anno 1754, p. 175 e segg.: «Il Real Monastero di Montecassino […] più possiede due Molini ad acqua per macinare vittovaglie, uno nel luogo detto S. Onofrio, al confine con la Chiesa di S. Onofrio, con Gregorio Grimaldi e via pubblica, e l’altro dove si dice la Ripa della Portella, confinante con Giusepe Angelosanto, Francesco Figliolino, Michele Fionna e la Via pubblica[…]; p. 260: più possiede due montani ad acqua per macinare olive, uno nel luogo detto il Piano della Cartiera e l’altro nel luogo detto la Fontana […]».
11 E. Gattola, Historia … cit., p. 206: «Plures huic cœnobio ecclesiæ parebant:[…]: ecclesia S. Honuphrii sita in eodem territorio, cum Molendino, Valcatorio, et possessionibus suis […]».
12 Riferimenti a tale chiesa si possono cogliere con evidenza in alcune cartine.
13 Da una lettera del 4 novembre 1966 dell’archeologo d. Angelo Pantoni all’autore: «Nel proseguire le mie ricerche d’Archivio su S. Elia che durano da un mese e mezzo, ho trovato un’altra chiesa di S. Onofrio, di origini antiche, che stava fuori dell’abitato, distinta da quella addossata a S. Cataldo, e la prova è che vengono descritte ambedue nell’inventario dei primi anni del Settecento. Era posta nel loco detto lo Pantano, lunga palmi settantadue (oltre m. 16,00), larga diciassette palmi (m. 4,50 circa), alta ventidue palmi (m. 5,50 circa). Aveva undici finestre, una rotonda sopra la porta e cinque per parte sui muri lunghi fatte all’uso antico. Di questa chiesa si fa menzione in documenti di Montecassino fin dalla seconda metà del Trecento. Varrebbe quindi la pena di sapere se ne è rimasta qualche traccia; se sussiste il vocabolo Pantano, che sta da quelle parti, dovrebbe saperne qualcosa […] Ancora nel 700 vi andavano in processione per la festa annuale […]».
14 Bibliotheca Sanctorum … cit., voce Onofrio p. 1187.
15 Regesti Bernardi I Abbatis … cit.
16 L. Fabiani, La Terra di S. Benedetto, vol. II, p. 447: «Dalle carte risulta, nell’età feudale l’esistenza di tre balcatori, uno appartenente al Convento, l’altro alla chiesa di S. Onofrio, e il terzo a certo Angelo de Guido».
17 G. Petrucci, Le chiese minori di Sant’Elia Fiumerapido, in «Studi Cassinati», a. IV, n. 4, ottobre-dicembre 2004, p. 188. È bene vedere la ricostruzione grafica di Gino Alonzi alle pp. 194-195.
18 L. Cardi, La Terra di S. Benedetto nei disegni ad acquerello di Marcello Guglielmelli, Montecassino 1994, p. 18.
19 «DOMINII AC DIOCESIS SACRI MONAS. CASINEN. DESCRIPITIO di M. A. Scipione del 1630».
20 «Delineazione dei Confini del territorio di Sant’Elia e quello di Vallerotonda, copiata da P. D. Innocenzo Lobelli Cas. di Montescaglioso nel mese di agosto 1745, commissionato dal P. Archivista Priore D. Giuseppe Maria Franchini dal suo pp. originale eseguito da Marcantonio Rosa di Casalvieri, a richiesta dei Sindaci di S. Elia nel 1737 secondo il Registro dei Confini».
21 Una illustrazione di S. Elias del Gattola del 1734.
22 «Veduta del Comune di Sant’Elia in Terra di Lavoro», Lit. Cirelli.
23 Stampa del «Lanificio de’ Fratelli Picano di S. Elia in Terra di Lavoro».
24 A. Pantoni, «Bollettino Diocesano», XXI, luglio-settembre 1966, p. 127.
25 Archivio di Stato di Napoli, R. Camera di Sommaria, Catasto Onciario di S. Elia … cit.
26 A. Riga, Condizioni igienico-sanitarie di Sant’Elia Fiume Rapido, Aversa, 1894, p. 14.
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