Studi Cassinati, anno 2014, n. 3
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di Vito Mancini*
Nel «Corriere della Sera» del 5 marzo u.s., a pag. 39, appare riprodotta una vecchia stampa d’epoca, raffigurante l’inaugurazione della ferrovia Napoli-Portici, che ha richiamato alla mia memoria, appassionato di storia postale, le prime disposizioni relative al servizio postale nel regno di Napoli (Domini al di qua del Faro). «Tutti coloro i quali desiderano che le loro lettere o pieghi sieno spediti per maggior celerità e frequenza col mezzo tanto della regia strada ferrata, quanto di quella in concessione del Sig. Bayard de la Vingtrie, dovranno scrivere sulle lettere l’indicazione -PER LA STRADA FERRATA-. Così nell’officina generale delle poste, come nelle officine secondarie della capitale, si procederà alla segregazione delle lettere o pieghi diretti à paesi di fermata delle stazioni delle strade ferrate, apponendo a ciascuna un marchio con le iniziali S.F. (STRADA FERRATA)». Così recitano gli artt. 1 e 2 del regolamento annesso al decreto del 4 novembre 1857, n.ro 4258, riguardante il trasporto della corrispondenza postale col mezzo “delle strade ferrate”. Due le spedizioni giornaliere.
All’epoca il regno borbonico aveva in esercizio le tratte Napoli-Portici di Km. 7,847, Napoli-Cancello-Caserta di Km. 33,349, Portici-Torre Annunziata di Km 14,154, Caserta-Capua di Km 10,357, Cancello-Nola di Km12,402 e Nola-Sarno di Km. 15,545 per complessivi 37,546 chilometri verso sud e 56,108 chilometri verso nord, all’incirca. Successivamente furono costruite le tratte Torre Annunziata-Vietri e Sarno-Sanseverino, cosicché quando Ferdinando II morì le ferrovie del regno, partendo da Napoli, avevano come estremo limite a nord Capua e Sarno a sud Castellammare e Nocera.
Come erano queste ferrovie? Tranne la Napoli-Castellammare erano quasi tutte regie. Avevano rotaie di eccezionale bontà perché ottenute laminando le canne dei fucili ricavati nel disarmo del 15 maggio 1848. Ottime le locomotive costruite con materiali inglesi che consentivano una prestazione eccellente; in altri termini non vi furono lesinerie nella costruzione del materiale fisso e mobile, onde si può dire che le ferrovie napoletane erano poche (assai poche, tant’è che nella Sicilia non ve ne era neppur un chilometro) ma buone.
La costruzione delle linee fu affidata al genio militare diretto da uomini di valore (alcuni militari) come il Fonseca, il Del Carretto, il Vernau, l’Andruzzi, cooptati poi nell’amministrazione italiana. Anche le linee erano esercitate dai militari che fungevano da sorveglianti e cantonieri. Il tracciato molto spesso era dettato dai capricci del sovrano e dagli intrighi dei cortigiani. Erano espressamente vietate le gallerie perché davano luogo a «immoralità». Ferdinando II non amava i «pertusi» e quel piccolo tunnel sotto il ponte della Maddalena gli procurava non pochi fastidi, sicché seguitò a servirsi della carrozza da diporto per andare a Portici. In ogni stazione vi era un cappellano per dar modo al personale di ascoltare la messa nei giorni festivi. Il servizio pubblico era sospeso nei giorni della settimana santa e di notte non vi era movimento di treni.
Si disse che nessuna linea fu più solidamente e accuratamente costruita di quelle napoletane, poiché nessuna difficoltà ebbe a verificarsi in sede di realizzazione, basti dire che il consolidamento della base per le traversine di quercia lungo le paludi che circondavano Napoli e Casalnuovo fu ottenuto con terreno «pistonato» dai soldati.
Oltre Pietrarsa, le cui officine lavoravano per le ferrovie, officine per la manutenzione e la riparazione delle locomotive e dei vagoni furono apprestate nella stazione di Napoli. Gli operai di queste officine chiesero «in grazia» al sovrano di costruire una locomotiva a dimostrazione che non solo le officine di Pietrarsa ne fossero capaci. La locomotiva fu costruita e intitolata al duca di Calabria e il re, adoperandola nei suoi viaggi a Caserta, soleva dire che «trottava» meglio delle altre. Questa locomotiva fu sempre guidata dal macchinista Coppola, al quale il re, prima della partenza, porgeva la mano per il reverente bacio prima di affidargli la vita. Il luogo più adatto per ottenere favori e grazie da Ferdinando II era il marciapiede della stazione al momento della partenza del treno reale ove il re si compiaceva di parlare con tutti e di tutto.
Il Coppola guidava la locomotiva a sua discrezione; pare che i trentatré chilometri fino a Caserta li percorresse in mezzora, velocità eccezionale per l’epoca! A quest’audacia, non essendo di prammatica, si rimediò facendo viaggiare un capo-convoglio sul predellino della vettura reale, afferrato alla maniglia dello sportello. Il capo-macchinista Coppola guardava continuamente quell’infelice Marcellino Belli che gli trasmetteva gli ordini reali, ora di rallentare, ora di accelerare, oppure di fermare il treno. Un giorno, preso da capogiro il nostro capo-convoglio stava per cadere sulle rotaie quando fortunatamente fu sorretto da uno del seguito del re che lo fece entrare nel vagone, ove fu confortato e promosso. Fu l’occasione per rinunziare al segnale “umano” con una campanellina. Gli impiegati delle ferrovie, pertanto, erano tenuti in concetto di “fedelissimi”.
Verso la parte settentrionale del regno operava la tratta ferroviaria Napoli-Cancello-Caserta-Capua spingendosi verso la zona di confine, cioè, la Valle del Liri, che costituiva un importante asse di penetrazione e collegamento con lo Stato Pontificio e viceversa. Pur modesto come entità territoriale e di scarsa rilevanza statistica, l’abitato di Isoletta, ubicato proprio a confine, costituiva all’epoca un importante centro di comunicazione sulla rotabile che congiungeva il distretto di Sora con Napoli, passando per San Germano e Arce, la cui realizzazione fu deliberata da Ferdinando IV nel 1796.
In ambito postale la Valle del Liri, sin dal 1839, dipendeva da Sora, nel cui circondario operava un corriere pedone. Isola Liri invece era «Officina di posta», aperta molto probabilmente verso la fine del 1810 (chiusa nel 1847/49), in provincia di Terra di Lavoro, nel distretto di Sora. Modesta come entità territoriale, abbiamo detto, Isoletta assunse una certa importanza allorché divenne stazione terminale della «Regia Strada ferrata» che da Napoli, attraverso Caserta, Capua, Presenzano e San Germano, si spingeva verso lo Stato Pontificio. Un’altra strada ferrata si inoltrava verso sud in direzione di Portici-Torre Annunziata e Vietri; mentre la prima era «regia», la seconda era data in concessione. Le due reti ferroviarie, distinte e separate, avevano ciascuna una stazione adiacente alla strada «dei fossi». I lavori della strada ferrata Napoli-Caserta ebbero inizio il 20 dicembre 1843. L’anno dopo fu aperta la tratta Caserta-Capua. Il 14 ottobre 1864 fu attivata la tratta successiva Capua-Presenzano di Km. 41, 831. Il prolungamento era ben avviato col resto della linea fino al fiume Liri e di lì a Ceprano onde completare il collegamento ferroviario Napoli-Roma. Evidentemente i sopravvenuti avvenimenti storici rimandarono a tempi migliori il proseguimento dei lavori che si arrestarono a Isoletta che divenne, dunque, stazione terminale della linea ferroviaria ascendente.
A Ceprano invece terminava la linea proveniente da Roma, inaugurata il 10 dicembre 1862 e gestita dalla Società delle Strade Ferrate Romane. In questa località avveniva lo scambio dei sacchi con le corrispondenze tra i funzionari italiani e quelli pontifici. Sulla linea Roma-Ceprano funzionava infatti un ambulante delle poste pontificie.
Dopo il passaggio della linea ferroviaria borbonica all’amministrazione italiana, il primo, diretto collegamento ferroviario tra Roma e Napoli avvenne il 25 febbraio 1863 e riguardò solo i viaggiatori. Soltanto il 10 maggio avvenne, invece, il primo scambio delle corrispondenze allorquando entrò in funzione un vagone ambulante postale Napoli-Isoletta. Nello stesso mese Isoletta ebbe il suo ufficio postale, mentre Isola Liri (allora denominata «Isola presso Sora») fu momentaneamente declassata a Cancelleria comunale.
Poiché da parte pontificia erano stati vietati i contatti tra il personale postale pontificio e quello italiano, inizialmente un impiegato pontificio si recava da Ceprano a Isoletta per effettuare lo scambio manuale delle corrispondenze. Sia questo sistema che quelli escogitati successivamente, dettero luogo a inconvenienti e reclami, cosicché il 4 agosto 1863 tra il capoufficio dell’ambulante di Napoli e quello pontificio di Ceprano si addivenne a uno scambio delle sacche nel modo seguente: all’arrivo del treno da Napoli (ore 13) un facchino, accompagnato da un impiegato pontificio, consegnava al capotreno dell’ambulante napoletano le corrispondenze pontificie per Napoli e contemporaneamente ritirava quelle in arrivo dirette a Roma per poi rientrare a Ceprano col treno delle 15.
Nel 1870, dopo la conquista di Roma, le reti vennero unificate. Presso la stazione di Napoli funzionava un ufficio postale per lo smistamento delle corrispondenze in transito, ed ivi faceva capo l’ufficio dell’ambulante italiano Napoli-Roma, nato dall’unificazione dei servizi Napoli-Isoletta e Ceprano-Roma.
* Esperto di storia postale, giurato internazionale, vincitore di vari premi, residente a Santa Francesca di Veroli, è autore di numerosi saggi e articoli che ha raccolto nel volume Storia postale e filatelia. Normative, testimonianze, curiosità e dintorni, Editrice frusinate 2013, 292 pp., imm. b.n. e colori. Il volume, fuori commercio, è offerto in omaggio ai richiedenti i quali potranno versare un libero contributo che sarà devoluto a organizzazioni umanitarie e senza fini di lucro.
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