Una Messa per le prime vittime di guerra a Cassino

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Studi Cassinati, anno 2014, n. 3
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di Adriana Letta

foto-15Il 10 settembre 2014 si è celebrato il 71° anniversario del primo bombardamento della città di Cassino, che avvenne solo due giorni dopo l’armistizio, in modo inatteso e tragico, da parte delle forze angloamericane e in cui persero la vita più di cento persone innocenti, il cui numero non è tuttora accertato.
La mattina, a cura del Comune, in piazza De Gasperi, davanti al Monumento ai Caduti, una sirena ha suonato l’allarme per un minuto per ricordare quella tragica mattina, poi il Vicesindaco Mario Costa ha deposto una corona di alloro in onore delle vittime, gesto significativo, seguito da un intenso minuto di silenzioso raccoglimento.
Nel pomeriggio, come di consueto, è stata l’iniziativa del Centro Documentazione e Studi Cassinati a ricordare, con una Messa nella centralissima chiesa parrocchiale di S. Antonio, tutte le vittime di quel bombardamento nonché le innumerevoli altre, civili e militari, dei successivi mesi di guerra, immortalate nel Muro del Martirologio della Città. La celebrazione, partecipata e raccolta, ha visto riuniti familiari superstiti di quelle vittime e cittadini memori e sensibili.
Il celebrante, Don Benedetto Minchella, ha invitato tutti alla preghiera di suffragio, guidando a fare memoria consapevole e attiva.
A prendere la parola è stato il Presidente del CDSC, Gaetano de Angelis-Curtis, il quale ha esordito così: «Si è appena spento l’eco delle celebrazioni del settantennale, conclusesi il 18 maggio scorso e che hanno visto una larga partecipazione sia delle più alte cariche istituzionali che di semplici persone (dalla visita del presidente della Repubblica e di alti rappresentanti politico-diplomatici, a un folto pubblico italiano e straniero) per un ampio spettro di manifestazioni che eccoci già a ricordare il 71° anniversario.
Questa mattina – ha proseguito – una manifestazione organizzata dall’Amministrazione comunale, sobria ma sentita davanti al muro del martirologio con il suono della sirena anche a ricordare come percezione sensoriale e poi un incontro in Comune, e ora questa Messa a suffragio che, come ogni anno, il Centro Documentazione e Studi Cassinati ha inteso far celebrare per ricordare, affinché le generazioni di quelli che non hanno conosciuto le drammatiche e luttuose vicende della guerra non dimentichino chi ha sacrificato la propria vita, i propri affetti, i propri beni.
Una Santa Messa per ricordare, dunque, quanti sono scomparsi quel 10 settembre di settantuno anni fa a Cassino ma idealmente per ricordare tutte le vittime del territorio anche perché quel primo bombardamento non provocò la morte di persone solo di Cassino ma pure di persone dei paesi circostanti che stavano raggiungendo il loro posto di lavoro nella città come, ad esempio, Ferdinando Soave di Cervaro, classe 1909, ferroviere (frenatore), padre di tre figli che fu colpito da una scheggia in località “Quinto ponte” mentre in bicicletta si dirigeva verso la stazione ferroviaria.
Oltre al centinaio di vittime, – ha voluto ricordare De Angelis Curtis –  il bombardamento provocò il ferimento di moltissime altre persone. Alcune hanno portato per tutta la loro vita i segni indelebili di quel bombardamento. È stato il caso, ad esempio di Immacolata Bianchi, sorella di don Pietro, monaco benedettino a Cava dei Tirreni e a Montecassino, di cui si è occupato qualche anno fa il periodico della nostra diocesi “Presenza Cristiana”». E dopo aver tracciato il profilo biografico (v. riquadro) De Angelis Curtis ha concluso: «È giusto, allora, che in questo giorno di memoria la sua città la ricordi e che un pensiero affettuoso giunga a lei che da 71 anni porta impressa nel corpo e nell’anima la tragedia di Cassino».
Subito dopo sono stati letti uno ad uno i 67 nominativi rintracciati delle oltre cento vittime innocenti di quel 10 settembre 1943. Un elenco lungo e triste, più eloquente di ogni discorso, soprattutto se si considera il caso di tre famiglie, De Cesare, Panaccione e Rossi che, tragedia nella tragedia, persero in una sola volta rispettivamente sei, quattro e tre figli, e se si considera l’età media delle vittime: su 67, solo 7 superano i 50 anni e tra loro figura addirittura un bambino di un giorno di vita.
Al termine della celebrazione la mesta assemblea, toccata nel profondo, si è sciolta, ma sembrava che tutti facessero fatica a lasciarsi, per il desiderio di stare ancora insieme, legati da quei terribili ricordi.

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Immacolata Bianchi

Il suo nome non è da annoverare tra i morti, perché è vivente, ultranovantenne, e da 70 anni vive a Roma presso l’Istituto San Pio X dell’Opera femminile Don Guanella a San Pancrazio, curata dalle suore Figlie di Santa Maria della Provvidenza. Si chiama Immacolata Bianchi, rimasta inferma da quel tragico giorno.
Immacolata aveva 22 anni quel 10 settembre 1943 e quella mattina si trovava nella casa privata dove lavorava. Rimasta parecchie ore sepolta sotto le macerie, fu salvata dalla tenacia di uno zio che, sentendo i suoi lamenti, scavò con le mani sotto le macerie fino a liberarla.

Nonostante le gravissime infermità che l’hanno costretta a vivere sempre nell’Istituto Don Guanella  (e per gran parte del tempo in carrozzella), Immacolata è divenuta un punto di riferimento per le stesse Suore dell’istituto, per il suo carattere disponibile e mansueto e per il suo incessante attaccamento alla preghiera. Immacolata, che il 29 novembre ha compiuto 93 anni, passa la sua giornata pregando continuamente, affermando sempre che la sua vita, nonostante le continue sofferenze, è uno splendido dono che lei trascorre sotto la protezione di  San Benedetto e del Beato Don Guanella.
Immacolata ricorda con nitidamente personaggi, luoghi e tradizioni della Cassino di un tempo. In particolare ricorda quando, insieme alla sua famiglia, ogni anno si recava, scalza, sino all’abbazia per la processione della Pentecoste, la cosiddetta “Pasqua delle Rose”, e nei giorni scorsi aspettava, con impressionante lucidità, l’anniversario del 10 settembre.

In memoria di quella infelicissima madre
L’8 settembre 1943 il governo italiano, presieduto dal maresciallo Badoglio, firmò l’armistizio con le Nazioni Unite. Il popolo, stanco di una guerra indesiderata, che tanti lutti aveva apportato, credette nella pace ritrovata ed esultò. Invece fu allora che il conflitto si spostò nella nostra città ed ebbe inizio quello che l’avv. Tancredi Grossi definì “il calvario di Cassino”, descrivendo in una prosa chiara, sofferta, essenziale, gli eventi succedutisi per ben otto mesi nella nostra città, che fu definita “martire” perché non ne rimase pietra su pietra, essendo diventata teatro della battaglia decisiva della II guerra mondiale. Vi lasciarono la vita, secondo il Martirologio di Cassino, ben 1660 persone di ogni età in circostanze più che tragiche.
Tanti sono gli episodi tristi che vengono alla mente, ma indimenticabile è la sorte di una famiglia fino a quel momento serena. Erano le 10,30 del 10 settembre 1943 quando i bombardieri americani iniziarono la loro opera distruttiva sulla città inerme, incredula, impreparata.
Il padre si era recato al lavoro, la madre era andata al mercato lasciando a casa i sei bambini, da uno a undici anni, a giocare con altri tre della vicina di casa. Le bombe centrarono in pieno il fabbricato, causando la morte dei nove innocenti.
Inimmaginabile dev’essere stato il dolore di quella madre, paragonabile solo alla tragedia di Niobe, cui la rivale Latona uccise i figli dei quali era tanto orgogliosa. Niobe si trasformò in sasso – narra la leggenda – e malgrado ciò, continuò a versare lacrime eterne.
Dell’infelice madre dei nostri tempi non si è saputo più nulla. A distanza di settant’anni e più la sua sorte continua a commuovermi, come sempre mi ha commosso il pianto della capinera che, dopo la caduta della quercia, “cerca il nido che non troverà”.

Maria Laura Santoro

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