Studi Cassinati, anno 2014, n. 2
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di Maurizio Zambardi
Forse non tutti sanno che il vecchio cimitero ubicato nel territorio di Vallecupa (frazione di Venafro), sulle pendici settentrionali di Colle Salberta, propaggine nord orientale di Monte Cèsima, in località Tufo, a quota 290 metri, a confine con il Comune di Sesto Campano, era in origine una villa rustica di età romana, rimasta attiva per un periodo compreso tra la fine della Repubblica e il tardo Impero1.
Oggi ciò che rimane della villa è una grossa cisterna ipogea, formata da tre grosse camere contigue coperte a volta.
Col passare degli anni e a seguito di eventi catastrofici la villa rustica venne distrutta e anche la cisterna perse la sua funzione originaria, che era quella di raccolta dell’acqua piovana2. Probabilmente fu proprio un terremoto di forte intensità a generare una profonda lesione trasversale3, tutt’ora visibile, che si estende fino alla base della struttura e che ha fatto venir meno l’impermeabilità della cisterna. La lesione provocò anche una spaccatura laterale che in seguito dovette essere allargata dai contadini e dai pastori per crearvi un comodo varco, così da utilizzare la cisterna come deposito o anche come ricovero per gli animali4. A seguito di pestilenze varie, in particolare quella del 16565, l’apertura creata fu richiusa con un muro e l’ambiente fu trasformato in una grande “fossa comune”, a cui si poteva accedere solo dalle botole poste in chiave di volta. Da qui, sollevando dei pesanti blocchi in pietra di chiusura i cadaveri venivano letteralmente gettati nelle camere ipogee6.
Verso la metà del XIX secolo si giunse alla realizzazione del cimitero di Sesto Campano di cui finirono per usufruire anche gli abitanti di Vallecupa, per cui la «fossa comune» venne definitivamente abbandonata. Oggi, tramite una stretta apertura creata nel vano d’ingresso che era stato murato, è possibile accedere nuovamente all’interno della struttura.
Descrizione delle strutture rinvenute:
La grossa cisterna, visibile dall’esterno solo in parte, ha un lungo muro di terrazzamento in opera cementizia che delimita a nord ovest un’area pianeggiante di circa 1300 mq. Il muro è lungo 19 metri, è spesso 0,90 metri ed è alto mediamente 2 metri. Contiene, nella parte retrostante, un ambiente ipogeo a pianta rettangolare, ampio complessivamente 16,35×3,85 metri, coperto con una volta a botte a tutto sesto con altezza massima, presa in chiave di volta, pari a circa 4,85 metri. L’ambiente è diviso in tre parti da due setti murari trasversali: quello più a nord ovest è di 3,80×5,40 metri, quello centrale di 3,85×5,45 metri, il terzo 5,50×3,85 metri. Tutti e tre gli ambienti presentano, in corrispondenza della chiave di volta, delle piccole botole di forma quadrata, chiuse da appositi blocchi calcarei poggiati superiormente. Le pareti che delimitano l’intero ambiente e la volta di copertura sono realizzate in opera cementizia e in alcuni punti sono riconoscibili ancora le impronte delle palanche della cassaforma. I due setti murari trasversali, spessi 60 centimetri, sono realizzati invece in opera incerta. La parete sud ovest di terrazzamento contiene un foro circolare, foderato da due coppi in laterizio affrontati, che attraversa tutto lo spessore del muro e che consentiva, grazie ad altri fori, l’areazione della cisterna. Sulla facciata esterna della stessa parete, al di sopra del foro di aerazione, si conserva un lacerto di paramento in opera incerta, lungo 3,60 e alto 0,50 metri, formato da scapoli calcarei di dimensioni medie pari a 13×20 cm. Nella parte alta dei muri trasversali la malta di giunzione presenta delle doppie e triple striature a stecca che sembrano accentuare la tessitura dell’opera incerta, ma la cui funzione va ricercata nell’assicurare una migliore aderenza di un eventuale intonaco che vi veniva sovrapposto. Entrambe le parti inferiori dei muri trasversali presentano ampie zone divelte, proprio in corrispondenza di quelli che dovevano essere i due passaggi centrali che mettevano in comunicazione le tre camere. L’interno della struttura non presenta nessun tipo di intonaco, ciò tenderebbe a mettere in dubbio la sua funzione di cisterna, ma la compattezza dell’opera cementizia, che di per sé rende impermeabili gli ambienti, e l’assenza di aperture laterali portano a sostenere l’ipotesi che la grossa cavità ipogea doveva fungere proprio da contenitore-deposito per acqua.
L’esistenza in questo luogo di una villa7 di un certo rilievo, databile tra la fine della Repubblica e il tardo Impero, è in pieno accordo con il contesto ambientale di questo settore di territorio nonché con il suo assetto topografico in antico. Si tratta infatti di un’area particolarmente favorevole, dal punto di vista morfologico in quanto caratterizzata da un ampio pianoro soprelevato rispetto ai terreni circostanti, ad accogliere le strutture di un’articolata struttura edilizia, disposta a sud e al contempo protetta e ventilata. Va precisato che poco più a valle, passava la diramazione della Via Latina che, staccandosi dal sito di Ad Flexum presso San Pietro Infine, raggiungeva Venafrum8.
L’individuazione di tale insediamento, sopraelevato ma non di molto, apporta un interessante esempio di criterio insediativo adottato in aree di pianura in prossimità di torrenti o fiumi dove la fertilità dei terreni è maggiore, risolvendo nel contempo le problematiche dovute all’impaludamento e ristagno delle acque superficiali9.
Le foto e i disegni sono dell’autore
1 Cfr. M. Zambardi, Ville rustiche e insediamenti produttivi-residenziali di età romana situati lungo la diramazione della Via Latina da Ad Flexum a Venafrum, in Poster GSA (Giornate Scientifiche di Ateneo) 2009, Seconda Università di Napoli; M. Zambardi, Carta archeologica di un settore di territorio a confine tra la Valle del Liri e la Piana di Venafro, Tesi di Dottorato di Ricerca in «Metodologie conoscitive per la Conservazione e Valorizzazione dei Beni Culturali», XXIII ciclo, Seconda Università di Napoli, anni 2007/10.
2 Ringrazio il signor Giovanni Pianesi per avermi indicato il luogo di altre antiche cisterne site nei pressi di quella descritta, purtroppo ora non più visibili perché spianate con mezzi meccanici dai proprietari per far posto a nuovi oliveti.
3 La lesione parte dalla piccola botola posta in chiave di volta e attraversa in maniera quasi trasversale tutta la camera centrale della cisterna.
4 Non è esclusa l’ipotesi che nello stesso punto esistesse già in origine una piccola entrata utilizzata per ispezionare la cisterna.
5 Cfr. Memorie della Peste che accadde a Venafro nel 1656 scritto dal Sig. Prim.rio D. Ludovico Valla (trascritto da Giovanni Antonio Monachetti).
6 Tutt’ora si osservano all’interno della cisterna i resti di ossa umane ed anche alcuni teschi.
7 Ma anche di molte altre ancora site nelle immediate vicinanze.
8 M. Zambardi, Organizzazione del territorio in corrispondenza della mansio Ad Flexum, in Casinum Oppidum, a cura di E. Polito, Ercolano 2007, pp. 161-169; M. Zambardi, Rinvenimenti archeologici nel sito di Ad Flexum, in Per la conoscenza dei beni culturali, II, Seconda Università degli Studi di Napoli, Napoli, 2009, pp. 41-51; M. Zambardi, La Via Latina nel territorio di Ad Flexum, in Spigolature Aquinati, Storia e archeologia nella media valle dell’antico Liris, II, Castrocielo, 2007, pp. 113-124; M. Zambardi, Rinvenimenti su Monte Sambúcaro – Un collare da schiavo e ceramica a vernice nera, in «Studi Cassinati», anno XII, n, 4, 2012, pp. 276-282; M. Zambardi, Il Valico fortificato delle Tre Torri, a confine tre Campania e Molise, in «Studi Cassinati», anno XIII, n. 3, 2013, pp. 164-169.
9 M. Zambardi, Recenti rinvenimenti archeologici nel territorio compreso tra Monte Sambùcaro e Monte Cèsima, in Heikki Solin (a cura di), Le epigrafi della Valle di Comino, Atti del Decimo Convegno Epigrafico Cominese, Sora-Abbazia di S. Domenico, giugno 2013, pp. 81–94.
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