Nonna Caterina e la guerra a S. Elia

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Studi Cassinati, anno 2014, n. 2
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di Giovani Petrucci

Il soldato
Mai avevano subito un’incursione aerea con tali esplosioni: alcune bombe caddero all’interno delle case e causarono tonfi cupi; altre, piombando sulla terra dura, produssero profonde voragini con scoppi assordanti, metallici. Erano dei boati paurosi, come quelli di mille temporali che tante volte squassano il cielo.
Nonno Andrea stava appoggiato ad una sedia pronto per sedersi sul letto alto, con doppio materasso, e riscaldarsi tra le coperte. Il fuoco non si poteva accendere per non innalzare fumo; del resto mancava la legna.
Alla prima bomba caduta in piazza Risi, verso le 11 dell’Immacolata del 1943, egli fu rovesciato violentemente a terra dallo spostamento d’aria. Pesante come era, restò immobile a pancia in su; poteva appena muovere le mani per afferrarsi ai tubi della testiera del letto. Cercava di mettersi in piedi, ma non ce la faceva. Tale posizione fu propizia: lo salvò da morte sicura!
Infatti al momento della sua caduta vennero sbatacchiate a lato le tre ante della porta e le schegge delle bombe ricamarono ad altezza d’uomo le pareti. Al rientro dallo sfollamento, ne trovammo molte conficcate nell’intonaco.
Nonna Caterina si trovava nel sottoscala; e a sentire i primi boati si era inginocchiata e aveva preso, come al solito, la corona tra le mani. Ma non riusciva a pregare, nemmeno ad iniziare un’Ave Maria, poteva solo gridare i nomi dei suoi protettori. Ad ogni scoppio era uno sbalzo verso l’alto e un Santo diverso; forse qualcuno l’ascoltò! I minuti trascorrevano lentamente, sembravano interminabili: dieci, venti, trenta … erano una eternità! Il tempo volava adagio, dolorosamente, come le gocce di sudore che cadevano ritmicamente dalle sue tempie, mentre una macchia giallastra si spandeva sul pavimento. Ad ogni scoppio una forza violenta la spingeva e la risucchiava come un fuscello. Provò ad alzarsi, ma la situazione peggiorò: lo spostamento d’aria le fece battere la testa contro il muro. Fu costretta a restare nella posizione iniziale e a poggiare addirittura le mani a terra. Finalmente la piazza tornò al silenzio! Ma questo era interrotto di tanto in tanto da lamenti, da qualche pianto flebile o da grida improvvise di terrore e di dolore.
Il suo primo pensiero fu di accorrere dal suo Andrea!
Il vecchio era sano e salvo; ma, steso a terra, non riusciva a rizzarsi. Le diceva solo: «Aiutami …».
Purtroppo la nonna, con i suoi settantotto anni sonati, non ce la faceva! Come poteva aiutare a sollevare un vecchio della sua stessa età, pesante quasi cento chili, priva di energie e con tanto spavento addosso che le tremavano le gambe!
Allora pensò di chiedere aiuto a qualche passante e si avvicinò alla porta, ma questa non più al suo posto, era tutta spalancata. In piazza non poteva distinguere: c’era una polvere fitta che ricadeva sulla testa e sulle mani e un puzzo acre di polvere. Non si poteva respirare e la gola era completamente riarsa.
Andò in cucina a prendere un bicchiere di acqua fresca alla cannata e lo porse delicatamente ’Ndrea, inginocchiandosi come si fa con un ammalato. Ma questi ne poté bere solo qualche sorso tra i baffi rossicci e unti, il restante si riversò a terra. Pazienza! Il poveretto non aggiunse parola, fu lieto di non avvertire dolore per ferite!
Nel silenzio temporaneo, a nonna Caterina parve di sentire un fioco lamento provenire dalla cantina. Si avviò! Era proprio così. Più si addentrava, più i gemiti divenivano distinti. Salì i gradini della scala di legno interna che metteva in comunicazione con il portoncino di Via delle Torri, e vide un Tedesco, un santantonio che si era trascinato all’interno con le ultime forze rimaste. Si spaventò, perché il soldato perdeva tanto sangue da una spalla e si lamentava per fitte di dolore.
La vecchia capì che il giovanotto era agli stremi! Sapeva come si muore, del rantolo, del respiro affaticato e debole, degli occhi velati e riusciva a prevedere quando il moribondo reclinava la testa. A Sant’Elia prima di andare da don Gennaro per l’Estrema Unzione, passavano da lei.
E zi’ Caterina correva; da casa cominciava a dire le preghiere: una volta arrivata, faceva il segno di croce sulla fronte del moribondo; prendeva un bicchiere d’acqua e gliene porgeva un cucchiaino: sapeva che il rantolo della morte asciugava le vie respiratorie, così ella diceva, e bisognava allora alleviare gli ultimi istanti di vita. Era una carità cristiana! E poi chiedeva un Crocifisso da mettere tra le mani e faceva preparare un piccolo cuscino di foglie di alloro o di limoni, perché non si avvertisse col passar del tempo cattivo odore. Lavava il viso del trapassato e lo consegnava ai familiari perché provvedessero alla vestizione.
Si avvicinò al ferito e cercò di trascinarlo con tutte le sue forze e a disporlo con le spalle su una coperta accomodata delicatamente sui gradini di pietra e, sotto la testa, il suo scialle morbido di lana a mantellina, poi lo accarezzò come faceva con noi nipoti. Il soldato ebbe la forza di indirizzarle lo sguardo che chiedeva aiuto e di disporre le labbra come a voler abbozzare un sorriso. Scambiò mia nonna con sua madre, assaporò la dolcezza di una mano che voleva dargli conforto, cercò anche di stringerla con la sua ma gli ricadde inerte lungo il fianco, mentre articolava la “m” forse di Mama!1
Gli mise la sua coroncina tra la mani poste in croce, gli passò l’indice sugli occhi e, inginocchiata come era, riuscì a rivolgere un pensiero a Dio.
Quel monosillabo appena percepito, le si conficcò nella testa e lei non faceva altro che ripeterlo chiaro e preciso a noi e, mentre parlava, qualche lacrima le cadeva dagli occhi, che erano rimasti sempre asciutti anche di fronte alla morte di amici e parenti.
Il cestino
Non ti ho mai detto nulla circa il tuo comportamento: un nipote non tentava nemmeno di scherzare con la nonna. Ma oggi ho la tua stessa età e mi devi permettere di farti qualche lieve osservazione.
Eri serena e decisa nel tuo agire. Avevi comperato in un pellegrinaggio a Isernia un cestino a bauletto molto capace. Durante le nostre piacevoli corse per le montagne circostanti il paese lo avevi preparato delicatamente. Vi avevi messo nel fondo delle foglie di limone, l’abito nuovo indossato solo al matrimonio di zia Anita, il Santo Rosario con un grande Crocifisso, le calze nere e le scarpe nuove di vacchetta, che mio padre aveva acquistato da Carotenuto a Cassino e regalato per la nascita di mia sorella Maria Cristina. Lo tenevi vicino al giaciglio e te lo portavi sempre con te in tutti i nostri frettolosi spostamenti.
«Desidero essere vestita come una sposa e non voglio presentarmi a Dio come una cenciosa. Io sorriderò anche alla fine!»
Cara nonna Caterina! Tu andavi scalza per i viottoli di montagna, di notte, sotto la pioggia e le scarpe nuove le portavi gelosamente nel bauletto di vimini bianchi. Non l’ho mai capito!

 

1 Da opportune ricerche da me effettuate presso il Cimitero Tedesco di Caira non risultano militari deceduti l’8 dicembre 1943. Allora potrebbe darsi che il soldato, ferito gravemente durante il bombardamento, non morì o che la data del suo decesso sia stata registrata in un giorno successivo.

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