Studi Cassinati, anno 2014, n. 1
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di Lucio Meglio
La memoria del passato, mediante il ricordo di chi ci ha preceduto, è lo strumento tramite il quale riusciamo a dare profondità al pensiero ed alla coscienza individuale e collettiva; essa ci aiuta a ricordare, a riconoscere ed a ricostruire ciò che in una società senza memoria apparirebbe irrimediabilmente perduto. È sicuramente la famiglia uno dei principali strumenti mediante i quali la memoria storica si tramanda e si perpetua. Ed è proprio dall’interno della mia famiglia che prende origine questo mio articolo che vuole inserire, all’interno dei percorsi della memoria storica del nostro territorio, la figura di un monaco, divenuto in seguito sacerdote semplice, che contribuì, seppur dietro le quinte, alla rinascita dell’antico monastero di Montecassino. Nei racconti in casa sulla guerra e la famiglia di mio nonno, costretta in quegli anni difficili ad una forzata diaspora poiché nulla restava delle proprietà familiari cassinesi, emergeva sempre la figura austera dello zio monaco, segretario dell’Abate, che fu l’unico che restò nel dopoguerra nella sua città natale. Tali racconti, man mano che gli anni passavano, mi incuriosirono sempre più e così la scorsa primavera mi sono deciso a salire nell’archivio storico dell’abbazia per cercare notizie sul mio prozio. Erano anni che volevo intraprendere la ricerca, ma continui rinvii mi fecero sempre desistere dall’impresa; sarà stata la mano invisibile della Divina Provvidenza a portarmi dal custode dell’archivio cassinese, don Faustino Avagliano, che di lì a breve improvvisamente ci avrebbe lasciato. Inizialmente diffidente dinanzi alla figura di un ragazzo che si presenta senza preavviso in archivio, gli occhi di don Faustino si illuminano quando gli chiedo notizie sulla figura di don Girolamo Panaccione, suo maestro di noviziato a Cava dei Tirreni, grazie al quale, mi disse subito, decise di farsi monaco, e da qui iniziò il suo racconto, a cui pian piano affiancai le notizie già in mio possesso.
Don Girolamo Panaccione, al secolo Loreto Panaccione, nasce a Cassino il 19 aprile del 1920, terzogenito dei sette figli di Vincenzo Panaccione e Elvira Tomassi. La famiglia paterna era proprietaria di una conceria a Cassino nella quale andarono a lavorare due dei suoi fratelli, Giuseppe e Romolo, mentre gli altri due intrapresero la via degli studi; Italo come medico veterinario, professione che esercitò nel dopoguerra a Monte San Giovanni Campano ed Alatri, mentre Remo si laureò in Legge a Roma, dove lavorerà al Ministero degli Affari Esteri.
Loreto, viceversa, all’età di 18 anni decise di entrare nell’ordine dei benedettini. Dopo gli anni del noviziato il primo ottobre del 1941 emette la professione religiosa e nel 1943 quella del Credo. In questi anni si trasferisce a Roma per compiere gli studi in Lingue e Teologia presso il collegio universitario internazionale di Sant’Anselmo sull’Aventino. È qui che nel 1944 don Girolamo accolse l’abate Gregorio Diamare in esilio romano dovuto alla distruzione di Montecassino. Assieme al suo inseparabile compagno di studi don Anselmo Lentini, don Girolamo fu scelto per seguire l’abate nel suo rientro nella città martire, viaggio che avvenne il 31 ottobre del 1944. Ospiti nel mese di novembre a Valvori, in dicembre don Girolamo seguì l’abate a Sant’Elia Fiumerapido, mentre altri monaci furono ospitati a Casalucense; un periodo questo che lo vide molto attivo, assieme a don Enrico Mallozzi, per la riorganizzazione della comunità monastica. Il 6 settembre del 1945 l’abate Diamare moriva, sostituito l’8 dicembre seguente dall’arpinate Ildefonso Rea. Il giovane neo-abate scelse come suo segretario don Girolamo Panaccione, che a tale incarico affiancò quello di tesoriere responsabile della sezione tecnica. A lui furono così affidati gli anni più delicati della ricostruzione con la gestione degli uffici amministrativi e le relazioni con le ditte appaltatrici. Sempre in questi anni, grazie alla conoscenza della lingua inglese, iniziò a lavorare alla traduzione di molti articoli in inglese che raccontavano, in giro per il mondo, la tragedia del bombardamento di Cassino. È così che nel 1950 diede alle stampe il volume: La distruzione di Montecassino. Documenti e testimonianze (Arpino, La Tipografica Arpinate). Il testo, che come ricorda don Faustino ebbe molto successo perché per la prima volta si traducevano in italiano le testimonianze straniere degli eventi bellici cassinesi, risulta sfornito dell’indicazione del suo curatore poiché negli intenti iniziali doveva esser un opuscolo ad uso interno dei monaci dell’abbazia, ma l’importanza del contenuto superò di gran lunga le mura del convento ed oggi in questa sede vi riassegniamo la dovuta paternità. Nelle centotrentasette pagine del volume si presentano i documenti e le testimonianze estere di maggior rilievo riguardanti la distruzione di Montecassino, tra le quali il racconto del generale Frido Von Senger Und Etterlin, comandante dei reparti tedeschi a Cassino; un’intervista al generale Alphonse Juin, comandante delle truppe francesi; il resoconto del giornalista inglese Leonard Gander; ed infine un estratto dal libro The second worlds war del maggiore generale John F. C. Fuller, tutti contributi tradotti e raccolti dal nostro don Girolamo.
Purtroppo nel 1950 sorsero delle problematiche inerenti alcuni lavori di rifacimento di infissi dell’abbazia che videro coinvolto, in qualità di responsabile della sezione tecnica, don Girolamo. Tali difficoltà portarono a delle incomprensioni insanabili con l’abate Rea, entrambi con carattere fiero e forte, e così don Girolamo lasciò l’incarico di segretario e si recò nel monastero di Montevergine dove vi restò dal 1951 al ’52. Ma la sua erudizione in campo linguistico e teologico non fu di certo dimenticata, e così nel 1953 fu chiamato a ricoprire l’incarico di maestro dei novizi nell’Abbazia benedettina della Santissima Trinità in Cava dei Tirreni, ufficio che mantenne fino al 1955. Di carattere molto energico, a tratti altero, frutto di una rigida educazione, l’episodio di Montecassino toccò nel profondo il suo animo, tanto che un nuovo dissapore con l’abate di Cava lo portò a riflettere profondamente sulla sua chiamata monastica, ma non quella religiosa. È così che sul finire del 1958 dinanzi all’anziano padre Vincenzo, comunicò la decisione di lasciare l’abito da monaco per indossare quello di sacerdote semplice: don Girolamo divenne don Loreto. Lasciò così per sempre la sua amata terra natia per recarsi nella città di Civitavecchia dove fu calorosamente accolto dal vescovo locale. In breve tempo si acquistò la benevolenza dell’intera comunità del posto tanto da esser insignito, da lì a poco, del titolo di Cappellano di Sua Santità. L’opera più intensa la svolse nella Casa Circondariale di Civitavecchia dove ne divenne per oltre un decennio cappellano dell’Istituto. Non si guardò mai indietro, troppo grandi furono le delusioni ricevute, lo stesso don Faustino a malincuore affermò di avergli più volte scritto ma senza ricevere risposta alcuna. Quasi tutti i monaci anziani ricordano don Girolamo, chi per la sua erudizione, come don Gregorio De Francesco, chi per la sua operosità nella fase della ricostruzione, ma mentre lo ricordano, sul loro volto, sembra scendere una vena di malinconia come se il destino non sia stato fino in fondo benevolo con il loro confratello.
Il 21 novembre del 1998 monsignor Loreto Panaccione raggiungeva la casa del Padre. Una vita intensa la sua, che amava riassumere in una frase che ripeteva di continuo: «costanza nelle prove e fiducia in Dio».
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