Studi Cassinati, anno 2014, n. 1
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di Ferdinando Corradini
Come talvolta accade nelle amicizie profonde e durature, anche la nostra ebbe un inizio burrascoso: quando seppe che ero borbonico, mi cacciò letteralmente di casa. A nulla valse fargli presente che lo ero diventato facendo tesoro dei suoi scritti. Anzi, questo fatto lo mandò su tutte le furie. Per difendermi, presi a snocciolare i dati tratti dalla sua opera prima: La Questione Meridionale in Terra di Lavoro 1800-1900, data alle stampe nel 1976, a Napoli, per i tipi delle Edizioni Storiche Meridionali. Il suo maestro, Carlo Zaghi, nella Prefazione, in cui è sunteggiato il contenuto del libro, così aveva scritto: «Terra di Lavoro! Una delle province più vaste, più popolate, più sviluppate e ricche di infrastrutture dell’intero Meridione sotto il dominio borbonico; una delle più diseredate, delle più sfruttate e abbandonate del nuovo Regno d’Italia». E poi proseguiva evidenziando come ciascun abitante di Terra di Lavoro, nel 1867 pagasse allo Stato italiano lire 35,99 di tasse mentre nel 1859 ne pagava al Regno borbonico lire 16,11. E ancora, nel 1850 la sola industria della lana, nella Valle del Liri, dava lavoro a dodicimila persone, mentre nel 1887-88 «gli operai impiegati nei dieci maggiori tipi di opifici della provincia erano 4.716». «Ecco allora spiegato l’aumento dei crimini che da 500 nel 1855 passarono a 5.000 nel 1870, quello dei mendicanti e quello dei reclusi, che da meno di un migliaio nel 1855 raggiungono le 10.000 unità nel 1870». Passai al contrattacco e gli chiesi: «Come fa lei a professarsi antiborbonico, dopo aver scritto queste cose?». Rimase stupito dal fatto che conoscessi il contenuto del suo scritto, da poco uscito. Si calmò, mi invitò a sedersi accanto a lui e mi dedicò una copia del suo libro, che conservo fra le mie cose più care. Per capire l’importanza che ha la sua Questione Meridionale in Terra di Lavoro, basta vedere la copia che è conservata presso la biblioteca dell’Archivio di Stato di Caserta: è ridotta uno straccio, tanto è stata consultata dagli studiosi.
Nel 1994, poi, “in segno di amicizia”, mi donò una copia del suo Il passo del Garigliano nella storia d’Italia. Il ponte di Luigi Giura, con prefazione di Pasquale Villani, edito da Caramanica di Marina di Minturno. Nello stesso ha ricostruito le vicende del “passo” nonché quelle degli altri ponti, evidenziando come il ponte a catenaria sul Garigliano, progettato da un giovanissimo ingegnere lucano e inaugurato il 10 maggio 1832 alla presenza di Ferdinando II di Borbone, fosse il primo di quel tipo realizzato in Italia.
L’anno successivo dette alle stampe Terra di Lavoro olim Campania Felix. Configurazione territoriale e istituzioni amministrative. L’età moderna. Dal Decennio francese all’Unità d’Italia, in La nascita della provincia di Terra di Lavoro. Istituzioni e Territorio, Archivio di Stato di Caserta, «Quaderni di studi storici e archivistici» n. 2. E ancora, nel 1997, di nuovo con Caramanica, Territorio e viabilità del Lazio meridionale. Gli antichi distretti di Sora e di Gaeta 1800-1860 in cui ha ricostruito, traendo le notizie dagli Archivi di Stato di Napoli e di Caserta, le vicende della realizzazione delle principali strade rotabili dell’odierno Lazio meridionale, precedenti alle attuali autostrada e superstrade, quali, fra le altre, la via Appia e la via Casilina, e ha definito la strada Civita-Farnese, che va da Itri a Arce, costruita in soli due anni dal 1854 al 1856 per congiungere le dette due Consolari da poco ricostruite, «un gioiello della tecnica ingegneristica napoletana», in quanto, pur attraversando un territorio montano, in nessun punto supera la pendenza del 5%, che era ritenuta il limite massimo tollerabile per il trasporto delle merci con i carri a trazione animale.
Nel 1998, per il Comitato di Caserta dell’Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano, ha curato il volume dal titolo Economia, società e politica in Terra di Lavoro e in Campania tra Ottocento e Novecento. Studi in memoria di Carmine Cimmino, Luciano Editore, Napoli. In tale volume, a conferma dell’attenzione da lui dedicata a quella parte dell’odierno Lazio meridionale un tempo compresa nella provincia storica di Terra di Lavoro nonché al Decennio francese, ha pubblicato La riforma amministrativa nel processo di modernizzazione dello Stato avviato dai francesi nel Regno di Napoli. Gli atti del Consiglio distrettuale di Gaeta.
E poi, nel 2001, per il Centro di ricerca Guido Dorso di Avellino, utilizzando documenti conservati presso l’Archivio di Stato di Napoli: Rivoluzione e controrivoluzione nell’alta Terra di Lavoro. La Repubblica napoletana del 1799, in Il Mezzogiorno d’Italia e il Mediterraneo nel triennio rivoluzionario 1796-1799, a cura di Francesco Barra. Da notare che con l’espressione “alta Terra di Lavoro” intendeva far riferimento al territorio degli antichi distretti di Sora e di Gaeta, oggi compreso nel Lazio meridionale. Da fervente napoleonico qual era, non poteva certo mancare all’appuntamento con il bicentenario del Decennio francese nel Regno di Napoli. Nel 2006, insieme con Imma Ascione, curò la pubblicazione del volume dal titolo Caserta al tempo di Napoleone. Il Decennio francese in Terra di Lavoro, casa editrice Electa di Napoli. Tale volume, dopo la introduzione di Luigi Mascilli Migliorini, si apre con il suo saggio Il Decennio francese in Terra di Lavoro. Le carte dell’Archivio di Stato di Caserta. Vi è da aggiungere che, da infaticabile ricercatore qual era, conosceva come pochi i Fondi sia di questo Archivio che di quello di Napoli.
Concludo questa breve rassegna delle sue pregevoli pubblicazioni di interesse per così dire “locale” a mia conoscenza (alle quali mi sono limitato per ovvi motivi di spazio) con La Terra di Lavoro nella Storia. Dalla Cartografia al Vedutismo, da lui curata insieme con Simonetta Conti per la Associazione «Roberto Almagià», Associazione Italiana Collezionisti di Cartografia Antica, edita a Caserta nel 2012. In tale volume sono riprodotte le antiche carte della nostra provincia storica e numerose “vedute” dei principali centri della stessa, nonché il suo scritto Terra di Lavoro olim Campania Felix. Allegato a tale prezioso volume è un foglio più volte ripiegato che contiene cinque piante della Provincia, in cui ha ricostruito, con pazienza certosina, i vari passaggi della sua organizzazione amministrativa dal 1807 al 1927. Seguiva tutto ciò che si pubblicava nella media valle del Liri, non esclusa La Cantina, un foglio che usciva a Cassino una volta al mese, allegato all’allora settimanale «L’Inchiesta», nella seconda metà degli novanta del Novecento. Tale foglio era curato da un gruppo di amici, delle più svariate tendenze culturali (leggi giacobine e borboniche) e politiche, ma uniti dalla passione per la ricerca storica locale, che si ritrovavano periodicamente nell’osteria di Andreuccio a Pontecorvo. A tali simposi anch’egli talvolta ha partecipato. E quando, esauritasi l’esperienza de La Cantina, lo stesso gruppo ha preso a collaborare a «Studi Cassinati» e ai «Quaderni Coldragonesi», ha continuato a seguirne con attenzione gli scritti. Mi chiamava spesso perché gli procurassi le novità. «Ho saputo che è uscito il tale libro. Quando me lo porti?». Mi attivavo con piacere anche perché egli ricambiava generosamente. Una volta, sapendo di farmi cosa gradita, mi donò una pianta del Regno delle Due Sicilie in cui – evidenziò – era riprodotta la Napoli-Portici, la prima ferrovia italiana.
Per tutta la vita ha insegnato presso l’Università «Orientale» di Napoli, dove si era laureato con una tesi sulla Rivoluzione francese. Da un paio di anni era andato in pensione, ma non per questo aveva abbandonato l’attività didattica né quella di ricerca. Di recente, ad esempio, nella sua veste di profondo conoscitore delle vicende dell’economia dell’Italia meridionale e di Terra di Lavoro, era stato incaricato dalla seconda Università di Napoli di redigere una corposa monografia sul Sito Reale Borbonico di Carditello. La Parca ha spezzato il filo della sua vita all’improvviso, la sera di giovedì 2 gennaio 2014, mentre era intento a una ricerca sulla storia postale. Era nato nel 1947 a Latina, dove la famiglia era sfollata da Santi Cosma e Damiano, paese distrutto dalla guerra perché posto in prossimità della linea Gustav. Al funerale, tenutosi presso la sua abitazione la mattina del 4 gennaio, hanno partecipato numerosi studiosi, che hanno perso, con lui, un punto di riferimento sicuro e ineludibile, di cui restano, però, segno indelebile, gli scritti.
È andato a raggiungere il padre «cui le miniere di Liegi (Belgio) e i cantieri edili di Martigny (Svizzera) in anni assai difficili furono dura scuola di libertà e di democrazia», come si legge nella dedica «alla memoria», posta in fregio alla sua opera prima.
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