Studi Cassinati, anno 2013, n. 1/2
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di D. Luigi Tosti**
benedettino cassinese
Dirò breve dell’antica Cassino. Poco ne tramandarono gli scrittori romani di questa nobilissima città, come quelli che, superbi della loro Roma, e sprezzatori delle altre città, non curarono che di questo i posteri sapessero; perciò è grande difetto di antichi geografi. Varrone#1 narra come la prima denominazione di Cassino sia stata Cascum, voce sabina ed osca, che suona antico, della quale significazione egli toglie argomento dalle scritture di Accio, di Ennio, di Manlio e di Papinio, che usarono di quella voce come significante antico: ed inoltre narra, come questi volendo frizzare un giovine che aveva menata sposa una vegliarda, scrisse: “Ridiculum est cum te Cascum tua Casca decit”. Cicerone#2 e Aulo Gellio3# chiaro dicono, i vecchi scrittori avere usato Cascos e Casce per antiquos, ed antique. Anzi Erasmo da Rotterdam4# afferma a suoi tempi queste parole: Casca Cascum ducit essere un adagio nato da quel motto Papiniano, del quale proverbiavasi o che vecchio che disposava donna vecchia o uomo che stretto si teneva con altri con cui era analogia di alcun vizio, o del corpo o dell’anima. Ma, seguono la opinione del Facciolato, del Passerazio, e di altri, che Cascos sia voce greca, chiaro si mostra Cassino essere sorta innanzi la rovina di Troja: conciossiachè e Livio e Virgilio e Dionigio ed altri non discordano nel narrare come le voci greche furono disusate in Italia dopo la caduta di Troja, quando venendo Enea in queste parti, e rotto e ucciso Latino re degli Aborigini, occupato suo stato, i varii popoli che vi erano, tutti Latini volle si addimandassero, e la favella del Lazio parlassero. Laonde di molto questa città avanzava di antichità la stessa Roma in balìa di cui venne, poiché l’ebbero successivamente dominata gli Osci, i Volsci ed i Sanniti, secondo Varrone5#.
Strabone6# pone al confine del Lazio Cassino, che chiama memorabile ed ultima per sito della città latine: ma, poiché troviamo nella antiche scritture, questa città giacere ora nel Lazio, ora nel Sannio, ora nella Campania, giova brevemente dire di questa apparente discordanza. Tutto quel tratto di paese che abitarono gli Aborigini, i Lavini, i Rutuli Laurentini, e Trojani, poiché Enea li ebbe uniti in una sola gente detta Latina, fu nominato Lazio, che signoreggiò Enea, e tutti i re Albani suoi successori fino ai re di Roma. Imperando Tarquino il superbo7# la regione latina si dilatò con conquiste fatte da lui, poi francatosi il popolo romano in libertà, e soggiogati gli Equi, gli Ernici, gli Aurunci, il paese di questi popoli aggiunto al Lazio, con questo nome fu appellata tutta quella regione che dal Tevere al promontorio Circeo si prolungava#8: ed in quel tempo Cassino non fu città latina. Ma lo divenne quando, al dire di Plinio, oltre il promontorio Circeo, accresciutasi la signoria de’ Romani delle terre de’ Volsci, degli Osci e degli Ausonii, il Lazio si distese fino al Liri; non pertanto questo fiume fu confine alla regione latina, poiché Sinuessa (castello di Mondragone) che giaceva al di là del Liri più lungi di Cassino, da Plinio#9 è messa nel Lazio. Oppidum Sinuessa extremum in adjecta Latio. Laonde, essendosi dilatato tre volte il confine del Lazio, venne a questa triplice denominazione: di vecchissimo, essendo i re Albani; di vecchio, quando fu terminato dal promontorio Circeo; di nuovo, quando dal Liri; e per ciò Cassino fu città del nuovo Lazio. Troviamo poi presso San Gregorio10# ed in altri scrittore del medio-evo, Cassino essere nella Campania; e presso Eginardo11# nel Sannio; e quegli disse bene, perché nel suo tempo il Lazio aveva già preso il nome di Campania (della quale mutazione non è facile stabilire l’epoca) e questi locò nel Sannio questa città, poiché in quella regione era Benevento capitale del ducato longobardo di questo nome, in cui era compresa la terra di Cassino.
Narra Livio#12 che nell’anno 441 dalla fondazione di Roma furono mandati quattro mila Romani a Cassino ed Interamne. “Interamnam, et Cassinum ut deducerentur coloniae senatus consultum factum est; sed triumviros creavere, ac misere colonorum quatuor millia insequentes consules M. Valerius, P. Decius”. Il qual fatto è anche confermato da due iscrizioni che leggonsi nel libro del Grutero P. Junio. P. F. Stel. Severo. II. Viro. Curato. Reip. Interamnam. Lirin. Eorumdem. Patrono. Col. Casinatium. Venuta colonia romana, la città di Cassino crebbe in molto splendore, conciossiachè le civili cose moderandosi in essa a norma delle romane (essendo le colonie quasi figlie delle città da cui ebbero gli abitatori)13# ne venne, che, come negli edifici pubblici, nel maestrato, nelle cerimonie di religione decorosi e magnifici erano i Romani, tali divenissero i Cassinati: né io congetturo. Mando il leggitore pel Gattola, che nella seconda parte delle sue dissertazioni#14 produce moltissime iscrizioni di lapidi rinvenute nel territorio di Cassino, nelle quali leggesi come i Cassinati avessero un loro senato, il corpo dei decurioni e duumviri ministratori di giustizia; quadrumviri, decemviri giudici alle private liti; altri ben quattrocento giudici, edili eletti in ciascun quinquennio, e procuratori delle vettovaglie, e pontefici, e sacerdoti, ed auguri. Il numeroso maestrato è pure argomento di moltissimo popolo; né a questo avviso combatte lo spedire che fu fatto de’ coloni, come diserta di abitatori fosse stato Cassino, perocchè le grandi città, o per angustie di terre, o per esuberanza di popolo solevano sgravarsene con mandarne fuori una parte ad abitare altre terre ove fosse stato più ampio il territorio. Strabone15# ricorda ben tredici città nell’Asia minore e nell’isole del Mediterraneo nate per emigrazione di greci, stantechè questi, cresciuti di numero, e stretti da due mari Ionio ed Egeo, non più capivano nella regione avita, e, trasandando i confini del paese, traevano altrove in procaccio di nuove sedi. Laonde la missione di quelle colonie ne chiarisce del moltiplicato popolo di Roma, non di poco popolo abitante a Cassino. Tuttavia, ove noi vogliamo prendere la voce Oppidum, con cui nominarono gli antichi Cassino, in senso di castello, o di terra, non pare questa colonia essere stata grande cosa. Ma egli è nascosto nelle vecchie scritture, solo Roma aver nome di città, Urbs, e qualunque altra, avvegnachè nobilissima città, non di altra voce nominarsi di oppidum? Non fu famosa (per non dire di altre cose) quella Segeste in Sicilia? Eppure Tullio nella sesta Verrina disse Segesta est oppidum pervetus Siciliae. La qual cosa non da romana superbia veniva, ma pure dall’uso che gli antichi facevano della voce Oppidum, o che di città, o che di misera terricciuola parlassero; e lo disse Cicerone16# “Quamquam locis manuque sepissent, eiusmodi coniunctionem tectorum Oppidum, vel Urbem, appellarunt, delubris distinctum spatiisque comunibus”. Nè poi la moltitudine del popolo, la ricchezza de’ cittadini, lo splendore degli edifici faceva che città si appellasse una ragunata di case abitate: ben altra fu l’origine della voce Urbs come è bello vedere presso Varrone#17. Finalmente possiamo conchiudere il discorso di Cassino colonia con le parole di Gellio18#, essere stato simulacro ed immagine della maestà del popolo romano.
Questa illustre città divenne poi Municipio romano, come appare in una lapide presso Cluverio19#:
Quinc . In . Municipio . Suo . Casini.
e nell’orazione di Cicerone pro En. Planco. Il Gattola si avvisa, Cassino essere stato dichiarato Municipio nell’anno di Roma 663 quando per la legge Giulia, dopo la guerra sociale, ebbero le italiche città la cittadinanza romana, come se dal diritto de’ suffragi, e del potere esercitare cariche o civili o sacre in Roma debbasi argomentare il diritto municipale di Cassino. Ma a noi non va a sangue la sentenza dell’erudito Cassinese; perocché sin dall’anno 441 godeva Cassino della cittadinanza romana; non essendo stata una delle colonie latine o italiche, ma delle romane, gli abitanti delle quali erano riputati cittadini romani, come è chiaro presso Livio#20 che chiama cittadini di Roma quei di Velletri che era colonia romana. Per la qual cosa non abbiamo prova che ci costringa ad affermare, Cassino essere stato dichiarato Municipio nel 663, e meglio giova dire incerto il tempo in che avvenne questo fatto. Sebbene pubblicata dal Gattola, pure è bello rapportare un’iscrizione riguardante uno della casa degli Ummidi, tra i Cassinati nobilissimi; la quale meglio chiarirà come i Casinati godessero del Jus honorum nella città di Roma, argomento fermissimo della loro cittadinanza romana.
C . Ummidio . C . F . Ter . Durmio
Quadrato . Cos . XV . Vir . S . F .
Leg . Ti Caesaris . Aug . Prov . Lusit .
Leg . Divi . Claudi . In Illyrico . Eiusd . Et .
Neronis . Caesaris . Aug . In . Syria . Procos .
Provinc . Cypri . Q . Divi . Aug . Et . Ti . Caesaris .
Aug . Aed . Cur . Pr . Aer . X . Vir . Stilit . Iud . Curat .
Tabular . Publicar . Praef . Frum . Danti . Ex . S . C .
Benissimo rispondevano al decoro della cittadina governazione, all’antichità di origine di Cassino, i pubblici edifici, gli avanzi dei quali sono testimoni a’ dì nostri della ricchezza, de’ gentili costumi de’ Casinati. Un anfiteatro è ancora in piedi, il quale ove non il martellare del tempo, ma le furie delle guerre in avesse in alcuna parte guasto, ora lo si vedrebbe intero: tanto magistero di arte, e sceltezza di mezzi vi adoperarono a levarlo! Ummidia faceva costruire del suo questo anfiteatro col tempio ai Casinati. È una lapide presso l’Archivio cassinese che lo dimostra: Ummidia C. F. Quadratilla Anphiteatrum, et Templum Casinatibus sua pecuna fecit. È a far voti che quel pochissimo di terra che ne copre l’arena venga, quando che sia, rimossa da qualche amatore della veneranda antichità, ed io porto certezza, che il molto che potrebbe rinvenirsi di lapidi, o di altri antichi monumenti lo rinfrancherebbe di cento tanti della misera quantità di biade che se ne ricava. Sono anche su per la costa del monte gli avanzi del teatro, di acquedotti, opera del tutto romana, ed un magnifico sepolcro, che altri malamente si avvisò essere tempio, il quale, interissimo com’è, mette grande meraviglia per solidissima costruzione di mura formate di grandissime pietre calcari, non unite e fermate da cemento; dalla quale fattura, e dalla nessuna decorazione interna di basi e trabeazioni potrebbe dirsi quell’edificio opera etrusca anzi che nò. Nè credo essere stata ultima cagione dello splendore e magnificenza de’ cassinati edifici il molto numero de’ Romani, che accorrevano alla città loro tratti dalla dolcezza e temperanza dell’aere, e dal bellissimo territorio, che Tullio nell’aringa contro Rullo21# appellò ottimo e fruttuosissimo, e Silio Italico22# lo disse abitato da ninfe, dal rompere che gli fanno nel seno cento vene di freschissime acque, che poi in vari rivoli lo corrono. Quelle tre facili collinette che sorgono alla manca sponda del Rapido accolsero all’ombra dei loro pioppeti quel dottissimo dei Romani M. Varrone, il quale vi teneva una sua villa, di cui non so se sia mai stata altra più bella e dilettevole: giova leggere quello che ne dice esso Varrone23#. In questa beata stanza, al dir di Tullio24#, apriva quel sapiente lo spirito ad ogni maniera di studi, e se ne faceva quasi un tempio alle Muse. Poi ne venne M. Antonio possessore, che l’ebbe profanata e sozzata di bagordi, e tramutolla in bordello … Ab hac religionum perturbatione advolas in M. Varronis sanctissimi ac integerrimi viri fundum Casinatem … At quam multos dies in ea villa turpissime es perbacchatus. Ab hora tertia bibebatur, ludebatur, vomebatur. O tecta ipsa misera, quam dispari domino! (quamquam quomodo iste dominus?). Studiorum enim suorum M. Varro voluit esse illum non libidinum diversorium. Quae in illa villa ante dicebantur? quae cogitabantur? quae litteris mandabantur? Santa e famosa villa era dunque quella villa Varroniana presso Cassino, la profanazione di cui scaldò di tanto sdegno il petto del terribile oratore.
Io non so, né è facile argomentarlo, quando una tanta città, figlia nobilissima della madre Roma toccasse quell’ultima rovina, che ridussela a condizioni di misera terricciuola, quale nominolla San Gregorio nel sesto secolo. Certo è per altro che l’eccidio patito da Roma negli anni 455, 472, 546, 549, fu arrecato da Genserico, da Ricimero, e Totila in tutta la regione cistiberina, ed in quel torno di anni rovinò quella città. E qui cade in acconcio emendare il fallo del Comerci napoletano, il quale nel vocabolario universale della lingua latina da lui compilato (Napoli 1829) alla voce Casinum scrive: Casino or San Germano castello de’ Volsci nel Lazio appiè del monte che anticamente chiamavasi Castrum Casinum oggi Montecassino”. Non il monte, ma la città rovinata fu detta Castrum ai tempi di San Gregorio. La quale terra di Cassino, mutato il nome in quello di San Pietro a Monastero nell’ottavo secolo, come apparendo chiaro da un diploma di re Ladislao pubblicato dal Gattola, scritto a favore della vecchia Cassino appellata in quel momento San Pietro a Monastero; ed esisteva essa San Germano fin dal nono secolo, poco lungi dal territorio suo su la costa boreale del monte Laonde né il monte fu detto Castrum, né Cassino fu tramutato in San Germano.
Ci sembra opportuno riportare anche la prima pagina della scheda dedicata a Ummidia Quadratilla e inserita nel volume Degli uomini illustri del Regno di Napoli ornata dei loro rispettivi ritratti compilata da diversi letterati nazionali, Tomo V, Nicola Gervasi calcografo, Napoli 1818. Compilata da Giovanni Battista Gennaro Grossi*, nella scheda, accanto a varie notizie, appare inserito uno dei passi più famosi della letteratura in cui si ritrova citato il nome di Cassino e cioè i vv. 37-45 del Paradiso, della Commedia di Dante Alighieri. Da notare che il giurista arcese riporta la versione in cui la città che si trova «nella costa» del monte in cima al quale è ubicata l’abbazia benedettina, è denominata «Casin», diversamente nelle pubblicazioni della terza cantica del capolavoro dantesco adottate già da tempo negli studi scolastici e accademici si è andato attestando il nome di «Cassino»:
* Il testo è estratto da: D. Luigi Tosti, Storia della Badia di Montecassino, vol. I, L. Pasqualucci Editore, Roma 1888, pp. 263-269, collocato nella sezione Documenti e note nel primo dei quattro tomi di cui si compone la pubblicazione. Si tratta di un sintetico ma dettagliato e analitico brano linguistico, storico, geografico su Casinum-S. Germano-Cassino.
** Don Luigi Tosti (1811-1897) è stato uno degli studiosi più eminenti del panorama culturale italiano dell’Ottocento. Di nobile famiglia napoletana trasferitasi a Gaeta, entrò giovanissimo a Montecassino («nel settembre del 1819» già «indossava le sacre lane benedettine» che poi «avrebbe portato e illustrato pel corso di quasi 80 anni»). Emise i voti religiosi il 13 febbraio 1832 a Roma in S. Paolo e fu ordinato sacerdote il 21 dicembre dell’anno successivo sempre a Roma in S. Giovanni in Laterano. Tornato definitivamente a Montecassino fu lettore di fisica e matematica e poi di teologia, incarico che tenne per sedici anni. Si dedicò agli studi storici e letterari, prodigandosi per l’installazione a Montecassino di una tipografia (inaugurata nel 1843) e nel progetto teso alla pubblicazione di un periodico che doveva «raccogliere la più bella parte dell’ingegno e della cultura italiana». Tra il «1842 (inizio della pubblicazione della Storia della Badia di Montecassino) e il 1860 (Prolegomeni alla Storia della Chiesa)» si colloca la sua «operosità storica» (T. Leccisotti, D. Luigi Tosti agli inizi della sua attività intellettuale, in «Benedectina», III-IV, 1947, pp. 259-317). Con l’Unità d’Italia furono tre i tentativi di conciliazione tra Stato e Chiesa cattolica che videro protagonista don Luigi Tosti: nel 1861, nel 1868 e 1887 (su tale vicenda cfr., in questo stesso numero, Don Simplicio Pappalettere e le dimissioni da abate nel 1863).
1 Lib. 6 de Lingua lat., cap. 3.
2 Tunc. Quaes. 43.
3 Lib. 1, cap. 10.
4 Centur. 2. chiliad 1, pag. 99.
5 Loc. cit
6 Lib. 5, pag. 237. R..
7 Liv. Lib. 1, cap. 53 e Lib. 2, cap. 25.
8 Virg. Aene. VII, – Pli. Lib. 3, cap. 5 – Tacit., Ann., Lib 4.
9 Loc. cit.
10 Lib dialog.
11 Ann. Franc., tom. 2.
12 Lib. 9, cap. 28.
13 Florus. Lib. 1, cap. 2 – Curtius. Lib. 4, cap. 3 – Plinio. Lib. 5, cap. 19.
14 Acces. Ad Hist., tom. 2.
15 Lib. 14, pag. 633.
16 De Rep., lib. 1.
17 De Lin. lat., lib. 4, pag. 32.
18 XVI, 13.
19 Lib. 3, cap. 8.
20 VI. 12. VII. 14.
21 De leg. Agr.
22 De bel. Punic., lib. 12, vers. 527.
23 De re rust., lib. III, cap. V, pag. 197.
24 Philip. 2.
* La scheda è già stata pubblicata, per la gran parte in «Studi Cassinati», anno VIII, n. 2, Aprile – Giugno 2008, pp. 84-85, a cura di Fernando Sidonio, in cui si legge anche che G.B. G. Grossi nacque ad Arce il 24 giugno 1856, e morì a Napoli il 23 marzo 1823. Laureato in “utroque iure” ebbe affidati dal re Ferdinando IV di Borbone innumerevoli incarichi tra i quali quello del 1799 di Segretario della “Reale officina dell’Amministrazione generale dei Beni de’ Rei di Stato”, e nel 1802 quello di “Uditore Generale dello Stato di Montecassino”.
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