Studi Cassinati, anno 2013, n. 4
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di Gaetano de Angelis-Curtis
Nel corso del 1943 la guerra giunse, con il suo carico di distruzione e di morte, direttamente sul suolo italiano. Ancor prima della fine delle operazioni belliche sul fronte nord africano i comandi anglo-americani cominciarono a pianificare l’invasione dell’Italia, con lo sbarco di Sicilia effettivamente avvenuto nella notte tra il 9 e il 10 luglio, preceduta da un’intensificazione dei bombardamenti su obiettivi militari e civili. Anche Napoli, già toccata da attacchi aerei alleati negli anni precedenti, a partire dall’11 gennaio 1943 fu bombardata quotidianamente. In quei drammatici frangenti, accanto alle questioni relative alla sopravvivenza della popolazione civile, si intensificò la preoccupazione2 per la salvaguardia dei beni artistici e culturali conservati in musei pubblici e privati e in istituti religiosi prospettando il trasferimento di quei preziosi tesori in siti ritenuti sicuri3. Uno di questi luoghi fu individuato nel monastero di Montecassino che per la notorietà mondiale dell’abbazia benedettina, veniva reputato come sito che non sarebbe mai divenuto un obiettivo bellico. Ecco dunque che la quotidiana minaccia dei bombardamenti su Napoli se da un lato spinse parte della popolazione locale a trovare rifugio tra S. Pietro Infine e la Valle del Liri, dall’altro indusse a mettere in salvo a Montecassino opere d’arte, carte private e oggetti di culto. Giunsero così in abbazia tesori di valore inestimabile come vari quadri della Galleria Nazionale di Capodimonte o che erano in esposizione nella città partenopea, sculture e reperti di Ercolano e Pompei del Museo archeologico nazionale di Napoli4, l’archivio privato dei Savoia, il Tesoro di San Gennaro. Quest’ultimo fu portato a Montecassino il 26 maggio 1943, racchiuso in tre casse di legno d’abete numerate progressivamente, la prima di cm. 42x42x44, la seconda di cm. 64x55x29 e l’ultima di cm. 63x53x17. Sul lato superiore riportavano la scritta, eseguita con lapis copiativo nero, di «R. Deputazione Tesoro di S. Gennaro». Erano legate con filo di ferro zincato fissato a croce i cui capi erano riuniti con un bollo di piombo che riportava, da un lato, lo stemma con la colonna e, dall’altro, la sigla «S.C.». Le motivazioni di provvedere al ricovero nel monastero benedettino discendevano dalla convinzione che «per la sua ubicazione» Montecassino fosse «da ritenersi meno di ogni altro al pericolo delle incursioni aeree» e dalla «fiducia» che ispiravano la «santità dell’Ordine e la rigorosa osservanza dei Monaci». La consegna fu fatta dal principe Stefano Colonna di Paliano, nella qualità di vice presidente della Deputazione della R. Cappella del Tesoro di S. Gennaro, all’abate Gregorio Diamare5 che fece riporre la casse nei locali della Biblioteca6.
Quindi a Montecassino, in cui erano già giunte le cose più preziose del Museo Keats di Roma, il 3 luglio arrivarono altre sette casse contenenti il «preziosissimo e celeberrimo» Medagliere assieme a vari reperti provenienti dal Museo archeolo-gico di Siracusa che furono collocate «in un salone dell’Abbazia, dove erano depositate le opere d’arte del Museo Nazionale di Napoli»7.
Poi la guerra investì fortemente e profondamente il Cassinate. Fece la sua comparsa il 19 luglio con il bombardamento dell’aeroporto di Aquino (nello stesso giorno del primo bombardamento di Roma, quartiere di S. Lorenzo) finché il territorio fu inglobato dalle autorità militari germaniche nel sistema difensivo approntato per sbarrare l’avanzata alleata di cui la «linea Gustav», con caposaldo proprio in Montecassino e nella sottostante città, era quella più fortificata. Il 10 settembre Cassino subì il primo di una lunga serie di bombardamenti (fino alla distruzione completa della città avvenuta il 15 marzo 1944). Anche il sovrastante millenario monastero correva fortissimi pericoli di essere distrutto (e lo fu effettivamente il 15 febbraio 1944). Fra i vari problemi che si vennero a porre in quei frangenti si prospettò anche la questione della salvaguardia dei beni artistici, culturali e religiosi presenti nel monastero, sia quelli di proprietà dello Stato italiano8, sia quelli di proprietà dei monaci benedettini sia quelli lì ricoverati nei mesi precedenti. Il 14 ottobre 19439, all’insaputa l’uno dell’altro, si presentarono a Montecassino due militari germanici, il tenente colonnello austriaco Julius Schlegel10 e il capitano medico tedesco Maximilian J. Becker, ambedue della Divisione «Hermann Göring», i quali nel prospettare a mons. Diamare i pericoli che correva l’abbazia posta «proprio sulla linea del fuoco», lo invitarono a mettere in salvo il «patrimonio culturale ed artistico della Badia» utilizzando i mezzi di trasporto che la Divisione avrebbe messo a disposizione per il trasferimento di quei beni in luoghi più sicuri. Schlegel racconta che l’idea di provvedere al salvataggio gli balenò quando il comandante della Divisione «Göring», gen. Paul Conrath, nel corso di una riunione tenutasi all’inizio dell’autunno del 1943, mostrò su una cartina geografica il luogo dove la resistenza dei tedeschi all’avanzata degli Alleati sarebbe stata «più ostinata, più accanita» e indicò l’area di Cassino con il sovrastante monastero benedettino. Spinto dalla sua coscienza che gli imponeva il «grave dovere di difender[e]» i «gioielli della corona della cultura occidentale» minacciati di distruzione, decise di recarsi in abbazia a incontrare mons. Diamare. Quel 14 ottobre si ritrovò così nella sala d’aspetto dell’abate anche se non aveva «ancora la benché minima idea di ciò» che gli avrebbe detto o di cosa gli avrebbe proposto11. Un atteggiamento non prettamente consono a un ufficiale militare, diretto, invece e ancor di più in tempo di guerra, a pianificare strategie, a programmare, a scegliere e poi a organizzare e metterle in atto il più velocemente possibile (tant’è che, in questo caso, solo tre giorni dopo quell’incontro già fervevano i preparati per il trasporto dei beni). Invece sulla base di quanto ricordato da Becker, si può presupporre che se Schlegel era giunto per primo dall’abate Diamare dipendeva dal fatto che vi era stato inviato dall’ufficiale responsabile degli automezzi della Divisione «Göring», il ten. col. Jacobi, il quale era stato messo a conoscenza del proposito di attuare il salvataggio, il giorno precedente, dallo stesso medico tedesco. Schlegel, dunque, sembra essere entrato casualmente nella vicenda, anche se alla fine fu fra quelli che riuscirono a trarne i maggiori meriti12. Differentemente rispetto a Becker, rimasto quasi sempre nell’ombra, anche se sembra apparire come il vero ispiratore dell’operazione. Nato attorno al 1910, era un giovane colto e raffinato (aveva studiato anche storia dell’arte, aveva partecipato a una spedizione archeologica di tre anni in Persia, suonava armonium e pianoforte e fin da adolescente era stato invogliato dai genitori ad appassionarsi alla letteratura angloamericana, in particolare imparando a memoria alcune poesie, in originale, dello statunitense Henry Wadsworth Longfellow, il poeta in lingua inglese preferito dal padre), con doppia cittadinanza, tedesca e inglese, quest’ultima per parte di madre. Prima della scoppio della guerra svolgeva la sua attività professionale a Berlino, dove viveva con la moglie e un figlio adolescente. Nel 1943 si trovava in Italia, assegnato come medico militare alla Divisione «Hermann Göring» e aveva potuto vedere personalmente i devastanti effetti delle incursioni aree alleate sul patrimonio artistico-culturale italiano. Ad esempio poté assistere alla distruzione dei «preziosi archivi» di Palermo in seguito ai bombardamenti cui il capoluogo siciliano era stato sottoposto nell’estate di quell’anno. Quando ancora si trovava in Sicilia, tra le macerie di una casa abbandonata nei pressi di Catania rinvenne una vecchia Fiat cabriolet. La rimise a posto e riuscì a imbarcarla sul traghetto da Messina a Reggio Calabria quando i tedeschi evacuarono l’isola a metà di agosto del 194313. Poi capitò sotto il bombardamento di Pompei, scampando fortunosamente il mitragliamento operato da uno degli aerei alleati. Infatti un giorno stava raggiungendo, con la sua Fiat cabriolet, la sua unità impegnata a Salerno. Poco dopo aver lasciato Napoli si trovò nel mezzo di un attacco aereo. Una lunga colonna di autocarri si bloccò lungo la strada con autisti e altri militari che cercavano riparo nella boscaglia lì vicino mentre il bombardamento provocava «immensi danni», riducendo «in macerie il museo davanti» ai suoi «occhi». Becker con la sua piccola automobile sorpassò i mezzi militari parcheggiati a bordo strada e si diresse verso l’area archeologica. «Armato di matita e album da disegno» si apprestò a eseguire alcuni schizzi degli scavi quando fu egli stesso oggetto di mitragliamento aereo assieme a uno dei custodi del parco archeologico che gli faceva da guida. Accovacciati fra le rovine scamparono il pericolo assieme, ma il custode rimase leggermente ferito per cui gli medicò la ferita e gli dette dei medicinali14. L’assegnazione, come medico militare, allo Stato maggiore della Divisione, portò Becker a Teano dove fu sistemato in un’ala del chiostro del convento dei francescani, una parte del quale era stato utilizzato per ricoverarvi segretamente, il 30 settembre, oltre 600 casse di libri della Biblioteca nazionale di Napoli. Sulla base di questa vicenda e dei colloqui avuti con i frati francescani nacque l’idea di giungere al salvataggio anche dei beni di Montecassino. Becker decise di attivarsi immediatamente. Tuttavia prima di andare a parlare con l’abate Diamare, contattò il ten. col. Siegfrid Jacobi, responsabile degli automezzi della Divisione, per avere l’assicurazione che qualche autocarro potesse essere messo a disposizione per il trasporto dei beni.
Quindi il 14 ottobre prese la sua Fiat cabriolet e, accompagnato dai frati francescani del convento di Teano, fra Giovanni Giuseppe Carcaterra e fra Baldassarre Califano, si presentò a Montecassino. Qui era stato preceduto da Schlegel, che non conosceva. Lo incontrò, prima di essere ricevuto, nella sala d’aspetto e Schlegel lo mise al corrente del motivo del suo colloquio con l’abate. Seppur meravigliato, decise di parlare ugualmente con d. Gregorio Diamare. All’incontro non vi parteciparono i due frati francescani ma furono presenti d. Emanuele Munding15 e d. Mauro Inguanez16. Fu proprio l’archivista cassinese a opporsi, «con vivaci obiezioni», al pressante invito di trasferire i beni artistici e culturali, ma anche l’abate Diamare manifestò la sua ferma contrarietà ritenendo che «nessuna sciagura pote[sse] colpire l’Abbazia». Becker, come Schlegel prima, fece leva sul recente bombardamento di Cassino che aveva provocato danni anche al palazzo della curia, all’allestimento in atto in quei momenti della linea di fortificazione difensiva e, in più, volle assumere su di sé la piena responsabilità delle operazioni di trasporto e di consegna dei beni di proprietà dello Stato italiano a funzionari del ministero dell’Educazione Nazionale in un «luogo stabilito come deposito» (inizialmente aveva ipotizzato il loro trasferimento ad Assisi, nel Convento dei francescani perché all’interno della zona neutrale), così come ebbe occasione di ricordare a d. Tommaso Leccisotti il bombardamento del monastero di S. Chiara a Napoli17 e quello del quartiere S. Lorenzo a Roma18.
Nel pomeriggio di quel giorno o di quello successivo mons. Diamare incontrò la comunità monastica per decidere in merito alla questione del trasferimento dei beni culturali e artistici del monastero. Fu una «riunione agitatissima»19, «molto movimentata» con «pareri discordi e naturalmente, data la gravità eccezionale della cosa, accesi»20 in quanto i monaci non riuscivano a convincersi della gravità della situazione. Mons. Diamare non riteneva assolutamente che Montecassino potesse divenire un obiettivo militare e che, dunque, potesse essere bombardato. Tuttavia respingeva con forza l’idea che quei beni potessero andare distrutti e pur consapevole dei pericoli che avrebbero potuto correre nel corso dello spostamento e, soprattutto, dei rischi di sottrazione, come sosteneva d. Mauro Inguanez, decise di consegnarli ai tedeschi in modo da «conservali alla civiltà e un giorno più facilmente riaverli».
Nel frattempo Becker, tornato a Teano e sacrificata anche una licenza che gli avrebbe consentito di provvedere al trasferimento della moglie, del figlio e al trasloco dei beni della sua casa da Berlino in luoghi più sicuri e più al riparo dai bombardamenti cui era sottoposta anche la capitale tedesca, pianificò con vari ufficiali l’organizzazione dell’operazione. Quindi fece ritorno a Montecassino assieme a Schlegel. Nessuno dei due sapeva, fino a quel momento, della presenza dei beni preziosi giunti a Montecassino nel corso dell’estate precedente. Essi erano convinti di dover provvedere a mettere in salvo solo quelli di proprietà del monastero e quelli dello Stato italiano gestiti dai monaci cassinesi. Curiosamente tutti e due gli ufficiali della «Göring» raccontano di esserne venuti a conoscenza da uno dei custodi dell’area archeologica di Pompei che entrambi affermano, nelle loro memorie, di aver conosciuto qualche tempo prima. Schlegel per averlo incontrato nel maggio precedente quando aveva visitato gli scavi di Pompei assieme a un colonnello, Becker per averlo curato un mese prima dalle ferite provocate dall’attacco aereo cui tutti e due erano stati oggetto. Il custode, come il collega vestito nella sua uniforma grigia, riferì di trovarsi lì perché nel monastero erano state depositate una trentina di casse contenenti «preziosi oggetti degli scavi di Ercolano e Pompei del Museo di Antichità». Non solo ma rivelò pure che a Montecassino vi erano 180 casse con «numerosi importanti dipinti delle Gallerie di Napoli». Tuttavia nessun militare tedesco seppe mai della presenza in abbazia di ulteriori beni preziosi, come il Tesoro di San Gennaro e il Medagliere siracusano. Nel secondo incontro avuto con l’abate Diamare alla presenza di Schlegel, di d. Emanuele Munding, del priore d. Gaetano Fornari21, ma non di d. Mauro Inguanez22, Becker sollevò la questione del salvataggio anche dei reperti archeologici e dei quadri. L’abate tornò a esprimere le sue perplessità sull’operazione per i rischi insiti in essa dovuti a eventuali danni durante il trasporto e, soprattutto, ai pericoli su «furti, saccheggi, sottrazione o appropriazione dei beni da salvare». Alla fine, però, si convinse e già il giorno seguente quell’incontro iniziarono i lavori di imballaggio.
Diversamente Schlegel racconta di essere riuscito a convincere l’abate dimostrando che le intenzioni dell’operazione erano finalizzate alla salvaguardia dei beni e non alla loro appropriazione. Infatti propose a mons. Diamare, che accettò l’idea, «dapprima di caricare, a libera scelta dell’Abate, un camion» che sarebbe partito per Roma accompagnato da due monaci i quali al termine del viaggio avrebbero provveduto a rilasciare all’autista una «conferma». Secondo i ricordi di Schlegel così fu fatto e quando mostrò a mons. Diamare la «conferma dell’arrivo ben riuscito del camion a Roma, egli capitolò completamente» e poterono essere avviate, con il pieno consenso dell’abate, le operazioni di salvataggio23. Tuttavia altre fonti ricostruiscono la vicenda in modo decisamente diverso. Infatti nel Diario Grossetti-Matronola è annotato che il giorno 17 ottobre partì da Montecassino il primo convoglio formato da tre autocarri su cui era stato caricato «parte dell’Archivio appartenente allo Stato Italiano»24. Nel suo Diario d. Tommaso Leccisotti25 è ancor più preciso e riferisce che lo stesso Schlegel aveva impartito l’ordine (confermato anche nel memoriale scritto da Becker)26 di provvedere prima al trasporto dell’ingente mole del materiale statale (archivio e biblioteca monumentale e beni del museo partenopeo) e solo in un secondo tempo al trasferimento di quello di proprietà del monastero. Così in quella giornata del 17 partì il «primo trasporto con capsule dell’archivio, per ignota destinazione». Dunque, in ottemperanza agli ordini emanati, furono i materiali dell’archivio statale, posti nei cassetti degli armadi, a essere caricati per primi sugli automezzi tedeschi. Quindi gli autocarri si avviarono per raggiungere un luogo di deposito che, per disposizioni militari, non fu mai rivelato ai monaci cassinesi né mai nessuno di essi fu autorizzato a viaggiare sui mezzi che trasportavano quei beni statali. Invece i primi automezzi diretti a Roma partirono qualche giorno più tardi, il 19 ottobre. Su uno di quegli autocarri c’era d. Tommaso il quale appena arrivato scrisse all’abate e quel biglietto a Montecassino «fu accolto da tutti con senso di vivo sollievo, dato che si dubitava dei fini dei Tedeschi e quindi dell’esito» del viaggio appena intrapreso e «dei successivi trasporti»27. Va aggiunto che cose e persone di Montecassino poterono raggiungere la capitale in anticipo rispetto ai tempi dettati dall’ordine che dava assoluta priorità al trasporto dei beni statali perché si giunse alla modifica di tale disposizione su proposta di d. Tommaso Leccisotti. Quest’ultimo aveva prospettato, infatti, le difficoltà logistiche che si sarebbero dovute affrontare nel momento in cui giungevano nella capitale religiosi e religiose «tutti assieme e all’improvviso». Alla fine, dunque, fu deciso di scaglionare le partenze per cui nel corso della stessa giornata una parte degli automezzi si dirigeva, con il suo carico di beni e persone, verso la capitale mentre altri, carichi solo di materiali, raggiungevano la località di deposito28.
Tornando alle operazioni di salvataggio, da una fabbrica di bibite ubicata nelle vicinanze del fronte, lungo il Volturno, in cui si trovava del tavolato «già tagliato e pronto», furono prelevati attrezzi, chiodi, tavole di legno e assi di cipresso da utilizzare per l’allestimento delle casse. Per questa fase di imballaggio e poi per il trasporto fu preziosa l’esperienza di Schlegel che in tempo di pace gestiva una ditta di spedizioni a Vienna, mentre Becker nel monastero si intratteneva tracciando schizzi nella «Loggia del Paradiso». Ai militari tedeschi furono affiancati i civili italiani presenti in abbazia che offrirono il loro aiuto. Un’«alacre attività» pervase in quei giorni Montecassino nei cui ambienti «risuonava, ingigantito dall’eco, il rumore di martelli e seghe alternato da richiami e ordini».
Le casse, man mano preparate, venivano riempite di materiali, annotati in «lunghe liste» dai monaci benedettini, inchiodate e segnate con una sigla. Invece i documenti dell’archivio, catalogati da generazioni di studiosi, furono trasportati negli stessi cassetti in cui erano conservati che, posti uno sull’altro a tre o a quattro, furono inchiodati lateralmente con assi di legno, aggiungendo un coperchio superiore.
Complessivamente furono allestite più di 500 casse e 128 capsule, cioè i cassetti inchiodati. Dei beni di proprietà dello Stato, i volumi e gli stampati della Biblioteca monumentale furono riposti in 235-240 casse (il loro numero risulta variabile a causa della rottura di alcune di esse prima o durante il trasporto) con la sigla «MC-BIBL»; i codici in 26 casse, con la sigla «MC-CODICI»; i documenti d’archivio in 128 capsule o tiretti aperti. Il materiale di proprietà del monastero (manoscritti, incunaboli, bolle di nomine degli abati, bolle papali, lettere, diplomi di laurea, archivio notarile, atti di professione, volumi della biblioteca Paolina, oggetti sacri, paramenti, quadri ecc.) fu sistemato in circa 275 casse (la numerazione in alcuni casi fu ripetuta o ebbe dei salti) con la sigla «MC-PRIV». Inoltre secondo i ricordi di Schlegel «interi carichi di grandi volumi manoscritti» viaggiarono senza imballaggio ma «semplicemente coperti con tappeti»29. Sia il Tesoro di San Gennaro che il Medagliere di Siracusa furono inclusi fra la «roba privata» del monastero, il primo riposto nelle casse 6, 7 e 8, mentre le sette cassette del secondo nelle casse 111, 112, 113 e 11430. Quindi tali beni furono depositati nell’abbazia di S. Paolo fuori le mura assieme a quelli di proprietà del monastero, questi ultimi in parte collocati anche a Sant’Anselmo31. Non poterono invece essere trasportati altri beni come «l’Archivio del monastero, di grande valore, una parte della Biblioteca di lavoro del cenobio»32 e tante altre cose preziose, come il coro ligneo, che andarono persi con la distruzione del monastero.
Il primo convoglio partì da Montecassino il 17 ottobre. Il 19 partì il secondo convoglio. Come già accennato, su proposta di d. Tommaso Leccisotti e «su insistente preghiera del P. Abate», su due automezzi furono caricati i beni del monastero, fra cui si trovavano anche le tre casse del Tesoro di San Gennaro. Sul primo autocarro presero posto anche quattro monaci, fra cui lo stesso d. Tommaso inviato a Roma da mons. Diamare al fine di seguire le vicende del collocamento dei beni culturali, prendendo contatto con il Vaticano e con le autorità italiane33. La partenza avvenne «fra grande strazio, mentre tutta la scena v[eniva] ripresa cinematograficamente». L’autocarro si avviò verso le ore 11.30 ma poco più avanti, a Sant’Agata, si fermò fino alle 13.30 in attesa del secondo autocarro. Il viaggio si svolse senza problemi. Solo a Frosinone una breve sosta fu interpretata, erroneamente, come un allarme per incursione aerea, poi alle 5.30 del pomeriggio il convoglio giunse a Sant’Anselmo34. Nei giorni successivi gli autocarri continuarono a fare la spola tra il monastero e i luoghi di deposito (furono effettuati un centinaio di viaggi)35 fino all’ultimo convoglio partito il 3 novembre36. Il ritardo dell’avanzata alleata, bloccata i quei momenti a nord del Volturno, aveva permesso il prolungamento del piano di salvataggio che, secondo i programmi iniziali, era «circoscritto appena a due giorni» anche se originariamente prevedeva pure il «trasporto a mezzo treni speciali, cosa però impossibile» in quelle circostanze37. Le operazioni di imballaggio e di sgombero si svolsero «con ordine», i «soldati germanici furono disciplinatissimi» né gli ufficiali si interessarono dei materiali riposti nelle casse, né le perquisirono38. Parimenti tutti gli automezzi partiti da Montecassino raggiunsero le rispettive destinazioni. In qualche caso furono oggetto di attacchi aerei che però non provocarono alcun danno. «Neanche un camion fu annientato, dei tesori d’arte nulla fu distrutto, niente subì il minimo danno», su tutta l’operazione di salvataggio, come scrive Schlegel, «vegliava in maniera visibile la benedizione di Dio»39.
Quasi alla fine delle operazioni di sgombero del patrimonio artistico, a Montecassino fu celebrata una Messa di ringraziamento. Becker lanciò l’idea della consegna di un «documento di ringraziamento in caratteri longobardi su pergamena al generale Conrath, comandante della Divisione Hermann Göring per il suo generoso appoggio all’azione, così come anche al ten. col. Schlegel per la sua abile e disinteressata attività». Degli operatori cinematografici filmarono i diversi momenti dell’operazione soffermandosi anche sugli interni della Basilica. Terminata la Messa mons. Diamare consegnò le pergamene, redatte in latino e miniate da d. Eusebio Grossetti40, per ringraziare Conrath41, Schlegel42 e Becker43. Gli altri «ufficiali e i soldati ricevettero una bella medaglia-ricordo dell’Abbazia come ringraziamento e riconoscimento per le loro prestazioni»44.
Conclusa la semplice cerimonia d. Mauro Inguanez, che voleva raggiungere la capitale per assicurarsi del deposito dei beni di proprietà del monastero, e Becker, che vi doveva andare per motivi di servizio, partirono assieme per Roma. Percorsero la strada per Sora-Avezzano-Tivoli, ritenuta più sicura. Viaggiarono «attraverso la selvaggia e romantica valle del Liri», per cui, evidentemente, utilizzarono, nel primo tratto, la Casilina fino ad Arce. Prima di raggiungere Avezzano la strada si inerpica sul monte Salviano, che separa la valle di Roveto da quella del Fucino, e sul punto più alto i due poterono godere, «con tempo magnifico e chiara visibilità», dello spettacolo offerto dalla «spaziosa regione»45.
Dunque le cose private dell’abbazia, che nel viaggio erano scortate da monaci benedettini, raggiunsero Roma, collocate presso l’abbazia di S. Paolo fuori le mura o nel collegio di Sant’Anselmo. Invece i beni di proprietà statale, comprese le opere della Galleria Nazionale e del Museo archeologico di Napoli, furono depositate nel magazzino della riserva della Divisione «Hermann Göring» ubicato in una «villa di campagna, dall’aspetto di castello che si trovava in una pineta nei pressi di Spoleto»46.
Poiché sugli autocarri diretti in Umbria non era ammessa la presenza di religiosi o di altro personale italiano né era stata comunicata ai monaci cassinesi il luogo di destinazione, l’abate Diamare e d. Mauro Inguanez, temendo che i tedeschi potessero appropriarsi dei beni destinandoli in Germania, informarono Becker e, attraverso d. Tommaso Leccisotti a Roma, il Vaticano e le autorità statali italiane. Nella capitale d. Tommaso si era già ripetutamente incontrato con personalità della cultura, soprintendenti del Lazio e funzionari della Direzione generale delle Arti del ministero dell’Educazione Nazionale (Camillo Scaccia Scarafoni, Salvatore Aurigemma, Emilio Re, Marino Lazzari, Angelo de Sanctis) e la Segreteria di Stato Vaticana (il card. Luigi Maglione, il sostituto mons. Giovanni Battista Montini). Quotidianamente, anche più volte, faceva la spola tra Sant’Anselmo, S. Paolo e il Vaticano allo scopo di trovare una sistemazione per i beni dello Stato prelevati a Montecassino che si voleva depositare nei locali della Biblioteca vaticana, cercando di vincere le resistenze della Curia romana per le difficoltà dovute alla dimensione e al numero delle casse, per l’ingresso di mezzi militari di trasporto in Vaticano, per i rischi che i tedeschi potessero fare un’irruzione in Vaticano e portare via tutto ecc. Negli stessi momenti d. Tommaso si prodigava per allertare le autorità civili italiane e quelle religiose in merito ai materiali prelevati a Montecassino, di cui si ignorava la sorte e di cui si richiedeva la consegna.
Nonostante i tentativi fatti, anche «per mezzo di d. Nazzareno Bergs, tedesco e priore di S. Paolo», non fu possibile sapere dai soldati tedeschi dove fossero stati trasportati i beni. Solo il 24 ottobre mons. Montini comunicò a d. Tommaso di aver avuto notizie, non ancora verificate, del loro trasporto a Spoleto. Inoltre propose che, al momento della consegna, quei beni venissero depositati non in Vaticano ma in un altro luogo, insistendo sopratutto su S. Paolo o a S. Anselmo o altrove47. Il 29 ottobre d. Tommaso incontrò alcuni funzionari dell’Istituto archeologico germanico, Friedrich Wilhelm Deichmann e Horst Fuhrmann, incaricati dall’ambasciatore tedesco presso la Santa Sede, Ernst von Weizsäcker, di «interrogare i soldati sulla sorte dei trasporti». Inoltre la «protesta diplomatica vaticana» da parte del sostituto mons. Giovanni Battista Montini indusse il diplomatico a chiedere all’ambasciata tedesca presso la Repubblica di Salò di intervenire e dall’altro nonché a ordinare a un sottotenente delle SS, Peter Scheibert, di avviare delle indagini entrando direttamente in contatto con la Divisione «Göring»48. Per espletare l’ordine ricevuto, il 30 ottobre Scheibert si portò a Montecassino utilizzando gli stessi autocarri che avevano trasportato a Roma cose e persone dal monastero benedettino49.
Anche nel Diario Grossetti-Matronola e nei ricordi di Schlegel e Becker sono registrati queste ispezioni. Nel primo caso è ricordata quella di un capitano inviato da qualche comando dove era giunta «voce che si saccheggiava il monastero». In quel frangente non era presente a Montecassino Schlegel al quale fu riferito in seguito della visita. Se ne meravigliò, provocando, allo stesso tempo, non poca apprensione a Montecassino perché «egli aveva detto al P. Abate che agiva per ordine superiore»50.
Schlegel nel suo memoriale ricorda la visita di un colonnello che pose alcune domande. Rassicurato dalle risposte, chiese di essere accompagnato a visitare il monastero ma appena iniziato il giro se ne andò in tutta fretta. Poco dopo si udì lo «stridere dinanzi al portone» del monastero di un autocarro seguito dal rumore del «calpestio di stivali» e dallo «strepito di armi. Venti gendarmi da campo, guidati da un ufficiale, avevano assalito il Monastero». Il Supremo comando del sud, sicuro del saccheggio che si stava perpetrando a Montecassino, li aveva inviati per «constatare subito lo stato delle cose» e arrestare i saccheggiatori. Schlegel riuscì a chiarire l’equivoco e i gendarmi lasciarono il monastero51. Le ispezioni sono ricordate anche da Becker precisando che il capitano della gendarmeria era stato inviato «dal O.S.B. (Comandante in capo della zona sud)52 in seguito ad un rapporto del generale feldmaresciallo [Wolfram] von Richthofen della seconda flotta aerea, con l’incarico di accertare se veramente la Divisione Hermann Göring si dava al saccheggio di Montecassino». Tranquillizzato dalle autorizzazioni ottenute per il trasporto, effettuato con il consenso dell’abate Diamare, e dalla conferma di d. Emanuele Munding, il capitano si fece accompagnare a visitare Montecassino prima di accomiatarsi (nessuna ulteriore menzione fa Becker sull’arrivo degli uomini della gendarmeria)53. Per scongiurare l’eventualità del saccheggio, Becker, fin dall’inizio del piano, era ricorso a un piccolo stratagemma, cioè quello di dare pubblicità all’operazione di salvataggio. Le fasi di imballaggio e la partenza degli automezzi militare da Montecassino erano state fotografate e riprese da cineoperatori. Quindi l’attività svolta dalla Divisione «Hermann Göring» sul piano culturale fu oggetto di un servizio da parte dell’emittente radiotelevisiva «Zeitfunk» che inviò a Montecassino un redattore del notiziario di guerra per intervistare Becker. Poi altri giornalisti e operatori di una «compagnia cinematografica di propaganda» si portarono nel monastero. Tuttavia sembrava che questo accorgimento non riuscisse a salvaguardare dal pericolo di saccheggio e lo stesso Becker cominciò a preoccuparsi sempre più che effettivamente quei beni, in parte o tutti, potessero essere avviati verso la Germania. A Teano incontrò il ten. col. Jacobi il quale gli mostrò una lettera inviata qualche giorno prima a Berlino nella quale si affermava che la Divisione intendeva offrire al «Maresciallo del Reich»54, da cui traeva il nome, un «dono» per cui si proponeva l’invio a Spoleto di un esperto d’arte che avrebbe dovuto sceglierlo tra «alcuni quadri ed altri oggetti d’arte»55.
Nel frattempo a Roma il 4 novembre, presso la Direzione generale delle Arti del ministero dell’Educazione nazionale, si tenne il primo incontro tra soprintendenti e dirigenti italiani e i rappresentanti del Kunstschutz56, il servizio di protezione delle opere d’arte appena istituito. Nell’incontro fu affrontata anche la questione di Montecassino e i funzionari italiani, all’oscuro del luogo dove fossero stati collocati i beni artistici e culturali di proprietà dello Stato italiano, poterono apprendere «che le opere portate via da Montecassino da una divisione germanica operante nella zona si trova[vano] ora a Spoleto presso il deposito di quell’unità». Furono anche informati che nello stesso luogo erano state depositate circa 600 casse di libri della Biblioteca nazionale di Napoli, trasferite da Teano. Infine fu data comunicazione della disponibilità delle autorità tedesche alla restituzione di quei beni e al loro trasferimento a Roma57.
In quegli stessi momenti d. Tommaso Leccisotti continuava la sua preziosa opera per la tutela dei beni e nel pomeriggio del 4 novembre si recò presso l’Istituto archeologico germanico dove incontrò Fuhrmann che gli consigliò di indirizzare al barone Bernard von Tieschowitz, il dirigente del Kunstschutz, una richiesta di restituzione dell’archivio e della biblioteca. Il giorno successivo andò all’hotel Quirinale per consegnare personalmente a Tieschowitz la domanda firmata dall’abate di S. Paolo. Non gli riuscì di incontrarlo per cui si portò all’Istituto archeologico germanico. Lì apprese che qualche giorno prima il sottotenente Scheibert, assieme a un ufficiale della Divisione «Göring», il ten. col. Ulrich Bobrowski, e a Deichmann dell’Istituto archeologico germanico, erano stati a Spoleto dove avevano potuto vedere l’archivio «che stava depositato così per terra» in un
locale del deposito58. Secondo Becker era stato Albert Kesselring, comandante di tutte le forze tedesche in Italia, a inviare a Spoleto «alcuni signori di un ufficio del O.K.S. reparto protezione artistica»59.
Poiché però i vertici militari della «Göring» non sembravano intenzionati a trasferire i beni a Roma, fu lo stesso feldmaresciallo Kesselring a ingiungere alla Divisione di consegnare, le casse al Vaticano60.
Tuttavia Becker, avendo saputo che un esperto d’arte era giunto dalla Germania a Spoleto, a metà novembre si precipitò al magazzino della Divisione per scongiurare il pericolo di sottrazione dei beni. Entrato nel deposito trovò, appesi alle pareti, dei «grandi preziosi dipinti», mentre al centro della stanza c’erano delle casse di diversa grandezza aperte e con i sigilli rotti, così come del «materiale da imballaggio giaceva sparso sul pavimento», segni inequivocabili che i quadri erano stati tolti dalle casse e alcuni prelevati. Fra essi la Danae di Tiziano che Göring, nel giorno del suo cinquantunesimo compleanno (il 12 gennaio 1944), mostrò ai suoi ospiti61 a Carinhall, sua residenza di campagna62. Becker, a Spoleto con il comandante del magazzino e a poi Teano con Schlegel e Jacobi, si scontrò duramente a livello verbale minacciando di fare rapporto direttamente a Kesselring. Quindi il 14 novembre, frequentemente in viaggio, tornò a Montecassino recapitando alcune lettere da Roma da dove proveniva.
Il 17 novembre l’archeologo Amedeo Maiuri63 lanciò in «radio un appello contro la depredazione di Montecassino operata dai Tedeschi»64.
Quindi il 18 novembre 1943 d. Tommaso Leccisotti e d. Mauro Inguanez consegnarono i beni del Museo siracusano a tre sovrintendenti del ministero dell’Educazione Nazionale. Le casse furono caricate su un carrettino che, «trainato a mano da due custodi» sotto l’imperversare di una «pioggia fitta ed insistente», trasportò, accompagnato pure da d. Mauro, il «dovizioso carico» da S. Paolo fuori le mura a S. Pietro dove fu introdotto nel Cortile di Santa Marta per essere depositato nei locali della Biblioteca Vaticana65.
Oramai la questione del ricovero dei beni in Vaticano, evidentemente, si era andata definendo e il 29 novembre giunse l’autorizzazione, su disposizione, pare, del card. Maglione, al deposito dell’archivio e della biblioteca di Montecassino nei locali della Sante Sede66.
Il 7 dicembre d. Tommaso, utilizzando un’autovettura delle Figlie di S. Paolo, trasportò il Tesoro di San Gennaro in Vaticano67.
Quindi l’8 dicembre68 si giunse alla riconsegna dei beni artistici e culturali di proprietà dello Stato italiano che erano stati portati a Spoleto. L’ordine di provvedere al loro recupero era stato dato a Schlegel che, nella notte precedente, inviò dodici automezzi al deposito della cittadina umbra. Quindi, coordinandosi con il maggiore Evers69, organizzò il conferimento dei tesori culturali a Castel Sant’Angelo a Roma. Nel corso di una breve cerimonia, svoltasi in quella piovosa giornata con grande cerimoniale militare e presenza di personalità religiose e della Rsi, le autorità tedesche consegnarono oltre 260 casse, 128 capsule e il mappamondo70. Parole di ringraziamento furono espresse, in un breve intervento, dal presidente della Congregazione benedettina cassinese, d. Ildebrando Vannucci71. Alla cerimonia partecipò il priore d. Gaetano Fornari ma non d. Tommaso Leccisotti72 e neppure Becker che non fu avvertito per cui, anche se «con rincrescimento», non vi prese parte.
Invece partecipò al pranzo offerto dai benedettini a Sant’Anselmo a Roma, sedendo al fianco dell’abate primate Fidelis von Stotzingen73, mentre nell’altro c’era Schlegel, e a cui parteciparono anche il vescovo Alois Hudal74 e vari monaci cassinesi (fra cui l’archivista d. Mauro Inguanez, il bueronese d. Emanuele Munding, il priore d. Gaetano Fornari), mentre un ufficiale dell’Esercito italiano provvedeva a fare delle riprese per conto di «Radio Roma»75. Quel giorno così scriveva a Roma nel suo Diario d. Angelo Pantoni76: «Oggi giornata fausta per Montecassino. Infatti la roba del monastero, mandata a Spoleto, è stata ricondotta a Roma, con dodici autocarri e consegnata a noi a Castel Sant’Angelo, da dove sarà mandata in Vaticano. Colà sarà certamente più al sicuro che in qualsiasi altro luogo, e vi è una quasi certezza di poterla, a suo tempo, ricondurre nella sede originaria. I giornali, fino da stasera, danno rilievo alla notizia, per smentire la propaganda anglo-americana che asseriva essere stata trasportata in Germania la roba di cui sopra. Ma forse, a parte l’efficace intervento della S. Sede, può aver affrettato la conclusione, anche questo clamore propagandistico, onde farlo tacere. Si tratta di molte cose dell’Archivio, e di tutta la Biblioteca monumentale, con le sue edizioni rare e le sue serie d’imponenti “in folio”, che sarebbe stata impresa difficilissima ricostruire»77.
Il 10 dicembre i beni giunti a Castel Sant’Angelo due giorni prima furono consegnati alla Santa Sede perché fossero presi in deposito dalla Biblioteca Apostolica Vaticana.
Invece i dipinti e i reperti della Galleria nazionale e del Museo archeologico di Napoli furono riconsegnati direttamente alle autorità italiane. Quaranta autocarri vennero disposti a Piazza Venezia il 4 gennaio 1944 e a mezzogiorno si svolse la cerimonia di riconsegna con gran partecipazione di autorità civili italiane78 e militari tedesche, di fotografi e operatori dei mezzi di comunicazione, ma, ancora una volta, non vi prese parte Becker79. In quella stessa occasione vennero consegnate anche le 600 casse con i libri della Biblioteca nazionale di Napoli che vennero portate alla Sapienza. Il prof. Alfonso Bartoli80, su incarico della Direzione generale delle Arti del ministero dell’Educazione Nazionale, tenne il discorso di ringraziamento e consegnò dei diplomi di omaggio a ufficiali e militari tedeschi per l’opera svolta81.
Nel frattempo Becker era stato convocato dal suo superiore ad Arce, dove era stato trasferito il suo reparto. Alle accuse di essersi occupato di questioni non concernenti il suo ruolo di medico militare, di aver avuto rapporti «estranei al servizio con italiani e monaci», «di aver usato o disposto di automezzi dell’esercito, senza autorizzazioni, per fini non militari», di essersi allontanato senza autorizzazione per i suoi viaggi a Spoleto, rispose di non aver «agito contro gli interessi tedeschi» ma di aver operato «per la civiltà europea». Al che il suo superiore, rosso in viso e balzando in piedi, gli preannunciò che avrebbe richiesto il suo spostamento sul fronte russo. Qualche giorno dopo gli giunse l’ordine di trasferimento con l’obbligo di presentarsi prima «al medico della seconda flotta aerea in un luogo vicino a Bologna»82. Tuttavia raggiunto il capoluogo emiliano, con i tedeschi in ritirata sul fronte orientale, rimase a Bologna fino alla fine della guerra. Dall’inizio degli anni ’50, e per i dodici anni successivi, si trasferì in centro America dove continuò la sua attività professionale per tornare nel 1964 in Europa e stabilirsi, almeno inizialmente, a Dublino83.
In sostanza la sensibilità artistico-culturale nonché gli incontri casuali di un medico tedesco riuscirono a salvaguardare quei preziosi beni non solo dalla furia bellica ma anche dalla depredazione da parte dei suoi connazionali. L’animo sensibile di Becker che lo aveva portato, durante i mesi di guerra tra distruzione e morte, a riandare con la mente ai suoi anni giovanili, alle aspettative culturali dei sui genitori i quali lo avevano spinto a imparare a memoria una lunga poesia, in inglese, di Henry W. Longfellow, il Salmo di vita, il colloquio con d. Tommaso Leccisotti avvenuto presso la Torretta del monastero cassinese mentre fervevano i lavori di imballaggio nel corso del quale gli riecheggiarono in testa i versi di un’altra poesia di Langfellow, Montecassino (Terra di Lavoro)84, ispirati al poeta americano proprio dal millenario cenobio e quasi premonitori85, le conversazioni con i monaci francescani del convento di Teano, i fortuiti incontri con un custode degli scavi archeologici di Pompei, sulla base dei quali gli «insostituibili tesori artistici» depositati a Montecassino poterono «essere inclusi nel piano di salvataggio» al pari di altri beni della cui presenza nel monastero né l’ufficiale medico né gli altri militari tedeschi furono mai a conoscenza, tutto ciò portò a vagheggiare, ideare, progettare, pianificare e, soprattutto, a mettere in pratica l’opera di salvataggio di tanti beni preziosi, preservandoli dall’opera distruttiva dei bombardamenti oltre che da quella di sottrazione.
Non bisogna dimenticare, tuttavia, che tutto ciò non sarebbe stato sufficiente senza l’intervento delle più alte sfere del comando tedesco in Italia, Kesserling e altri, gli unici in grado di riuscire a bloccare il trasporto in Germania da parte di una Divisione che prendeva ordini direttamente da Hermann Göering a Berlino. Ma soprattutto la salvaguardia di opere e beni non sarebbe stata possibile senza la determinazione dell’abate Gregorio Diamare. Di certo le circostanze non gli avevano offerto, in quei frangenti, molte possibilità di poter rifiutare il non disinteressato “aiuto” dei tedeschi della «Göering» i quali, fin dall’inizio, dimostrarono di attuare una netta distinzione tra i beni dello Stato italiano e quelli di proprietà benedettina, mentre di altri (e non tutti) ne vennero a conoscenza solo nel corso delle fasi di trasporto. Tuttavia il sostegno offerto da mons. Diamare al trasferimento dei beni artisti e culturali, accettando anche il rischio della loro perdita nelle fasi di trasporto o della loro sottrazione, ha consentito di preservarli dalla distruzione. Per di più l’abate riuscì a sfruttare l’occasione per salvare religiosi, religiose, orfanelle, studenti, alunni, facendoli trasferire, tutti e in poco tempo, a Roma.
Non tutti i beni furono restituiti il 4 gennaio 1944, in quanto risultò mancante il contenuto di una quindicina di casse. Nell’estate 1944 la stampa alleata accusò la Divisione «Hermann Göring» di aver rubato varie opere per la collezione d’arte dello stesso gerarca nazista. Un articolo del 24 luglio della rivista «Time», intitolato Nudes for Hermann, ne elencava alcune sottratte a Spoleto (quadri come la Danae e la Lavinia di Tiziano, un ritratto di giovane donna del Parmigianino, la Madonna del Divino Amore opera tarda di Raffaello, sculture come l’Apollo di Pompei e l’Hermes di Lisippo, una coppia di cerbiatti) e in vari musei di Firenze e poi inviate in Germania86.
Quelle opere vennero ritrovate, a guerra finita, in Austria, nascoste in una galleria sotterranea presso il villaggio di Altaussee a 70 chilometri da Salisburgo87. Fu soprattutto per merito dell’infaticabile opera di recupero dei tesori sottratti dai tedeschi svolta da Rodolfo Siviero88, dal 1946 responsabile dell’Ufficio inter-ministeriale per il recupero delle opere d’arte presso il ministero degli Affari Esteri italiano, se poterono far ritorno in Italia89.
Nel marzo 1947 il principe Stefano Colonna di Paliano si recò presso l’abbazia di S. Paolo a Roma a ritirare le tre casse del Tesoro di San Gennaro. Quando esse furono aperte a Napoli, vi fu trovato «tutto in perfetto stato di conservazione, come se mai fosse stato rimosso dalla Sacrestia» della Cappella90.
L’opera di salvataggio svolta da Julius Schlegel è stata ricordata, a Vienna, con una lapide affissa su una parete della sua casa, con un’altra posta in una cripta dell’abbazia benedettina degli Scozzesi (Schottenstift) e con un monumento collocato nel Parco di Wertheimstein (alla cui inaugurazione partecipò, in rappresentanza del monastero di Montecassino d. Faustino Avagliano), mentre un busto del colonnello è stato sistemato nei locali adiacenti al Cimitero militare germanico di Colle Marino a Caira.
Nessuna lapide, nessun monumento sono stati collocati per ricordare quanto fatto da Becker.
In omaggio ai due protagonisti del piano di salvataggio, in premessa dell’undicesimo volume de I regesti dell’Archivio, curato da d. Tommaso Leccisotti e d. Faustino Avagliano e pubblicato nel 1977 dal Ministero per i Beni culturali e ambientali, fu apposta la seguente dedica: «In queste pagine rievocanti le memorie della martorizzata Cassino sia consacrato il ricordo del tenente colonnello Julius Schlegel e del capitano medico Massimiliano Giovanni Becker e dei loro collaboratori nel sottrarre all’immane rovina tanta parte del patrimonio culturale cassinese, rendendo così possibile la redazione di questi Regesti».
L’8 agosto 2008 nella chiesa di S. Martino a Montecassino, è stata celebrata una messa di commemorazione per il cinquantenario della morte di Julius Schlegel, officiata da d. Faustino Avagliano che nell’omelia tracciò una «breve biografia del Colonnello, ricordandone le vicissitudini che portarono lo stesso insieme al Capitano Maximilian Becker al salvataggio dell’archivio di Montecassino e ai vari tesori colà custoditi nell’Ottobre del 1943»91.
Dopo la guerra tutti e due i protagonisti scrissero dei memoriali sulla vicenda del salvataggio. Julius Schlegel pubblicò il suo articolo, intitolato Il mio rischio a Montecassino. Il salvamento degl’insostituibili tesori d’arte dell’abbazia di Montecassino, nel settimanale austriaco «Die Österreichische Furche» (Vienna 3 novembre – 1 dicembre 1951, nn. 40-50). Quindi l’8 novembre 1951 il «Times» pubblicò uno scritto di Schlegel che l’anno successivo, invitato da mons. Hudal a tenere due conferenze in merito alla «verità su Montecassino e sui soldati tedeschi», tornò a Roma e fu di nuovo ospitato a Sant’Anselmo «per un pranzo d’onore»92. Becker scrisse una sorta di memorandum che inviò il 18 febbraio (o novembre) 1964 a fra Giovanni Giuseppe Carcaterra, il frate francescano con cui vent’anni prima aveva discusso sulla questione del salvataggio. Tutti e due i memoriali sono stati ripubblicati nel volume curato da d. Faustino Avagliano, Il bombardamento di Montecassino, edito nel 1997 dalle Pubblicazioni Cassinesi, rispettivamente alle pp. 203-234 e 235-278. Schlegel nel suo memoriale non cita nemmeno una volta Becker, né in merito al casuale incontro nell’anticamera dello studio dell’abate Diamare né circa la seconda visita a Montecassino fatta assieme (tutte e due le circostanze attestate nei Diari Grossetti-Matronola e Leccisotti), né lo ricorda tra coloro che ricevettero la pergamena di ringraziamento donata dai monaci cassinesi, né lo nomina tra i conviviali che parteciparono al pranzo dell’8 dicembre offerto dai benedettini a Roma dopo la cerimonia di consegna dei beni a Castel Sant’Angelo. Parimenti nella relazione stesa da Schlegel manca qualsiasi riferimento alla vicenda della sottrazione dei quadri a Spoleto e dell’invio in Germania. In essa egli appare assumere su di sé la totale paternità dell’ideazione e realizzazione del piano di salvataggio potendo contare sul benestare, oltretutto ottenuto a operazione già ampiamente in corso, del suo superiore gerarchico, il gen. Conrath. Al contrario Becker menziona nel suo memorandum varie volte la figura e l’opera di Schlegel. Lo ricorda di «natura gioviale» anche se, a suo giudizio, tendeva a sfiorare il «confine della spacconeria» quando raccontava di essere stato uno «spericolato aviatore» o di aver fatto parte dell’artiglieria a cavallo nella prima guerra mondiale. Tuttavia spende parole di apprezzamento e ammirazione per il tenente colonnello austriaco per le capacità dimostrate e l’impegno profuso (l’«uomo giusto al posto giusto», capace di trovare la soluzione a tutti i problemi, così lo ricorda), al pari delle altre persone, militari, civili e religiose, che si impegnarono per la riuscita del piano di salvataggio.
* * *
Carissimo Don Agostino93,
ho visto in TV la trasmissione su Montecassino ed ho seguito anche sulla stampa tutte le vicende del Cenobio. In particolare ho notato che – per il salvataggio dei volumi, incunaboli, pergamene – in nessun luogo ho trovato una indicazione atta a chiarire il percorso seguito dai Tedeschi da Montecassino a Roma. Io sono in grado di fornirla. In quel periodo mi trovavo ad Avezzano ed in un giorno, che non so precisare, di quell’autunno, ho ricevuto la visita di Don Mauro Inguanez. Era scortato da un ufficiale tedesco e, nell’abbracciarmi, mi sussurrò nelle orecchie di non chiedergli il motivi della visita. Dopo i primi convenevoli, l’Ufficiale tedesco ci pregò di esprimerci in francese, per poter capire cosa ci dicessimo94. Don Mauro si fermò appena un quarto d’ora e, quando lo riaccompagnai all’uscio della mia casa, vidi che in strada vi erano molti camions tedeschi: capii allora che lo sgombero delle opere d’arte di Montecassino era iniziato95. Da quanto ho sinteticamente esposto, si può con certezza affermare che il percorso seguito fosse il seguente: Cassino – Arce (o Atina) – Sora – Avezzano – Roma, itinerario certo più lungo della Casilina, ma, forse ritenuto più sicuro. Spero che questa mia testimonianza – anche se marginale – giovi a dare una più completa visione del salvataggio compiuto dall’indimenticabile Don Mauro.
Dall’intervista del documentario, andato in onda la sera del 14.2.1984, ho rilevato che il P. Abate Don Bernardo D’Onorio avrebbe preferito puntare l’occhio più sul presente che sul passato. Saggio proposito il suo! […]
Montecassino ha avuto tanti uomini eccezionali che hanno saputo farlo risorgere dalle macerie insanguinate, dall’Abate Desiderio all’Abate Ildefonso, il quale, nell’accingersi ad un’opera che sembrava impossibile ed immane, aveva fatto suo il motto che già fu per il campanile di S. Marco in Venezia (crollato il 14.7.1902): «Com’era, dov’era»! Ed è singolare questo ideale gemellaggio con Venezia! Lì la chiesa di S. Giorgio Maggiore è tutta benedettina, nello stile, nell’atmosfera; anche il coro ligneo somiglia in modo impressionante a quello distrutto di Montecassino. Anche a Venezia si pose il problema degli affreschi del Tiepolo, distrutti dalle cannonate austriache, nella Chiesa degli Scalzi, così come ora si presenta per Montecassino per gli affreschi di Luca Giordano. Mi diceva un Uomo valentissimo, di cui mi vanto d’essere umilissimo ed indegno discepolo, Don Francesco Vignanelli, che ricopiare a Venezia gli affreschi del Tiepolo sarebbe stato «un falso in arte» per cui il rifacimento fu affidato ad Ettore Tito. Il concetto, analogo, vige per Montecassino che ha già trovato in Pietro Annigoni ed in Stefanelli gli Artisti insigni che non saranno da meno di Luca Giordano. Peccato che Don Francesco non sia più con noi! L’ho visto – fervente e alacre – quando ha restaurato le mani, il volto, le braccia delle statue del Chiostro dei Benefattori. L’ho visto quando stava eseguendo la lunetta per il San Martino e, per il cavallo del Santo, aveva come modello l’asino di un uomo addetto al trasporto delle pietre. In quel momento ho rivisto Don Gaetano Fornari nell’atto di spiegarci l’espressione di Antistene a Platone: «Vedo il cavallo, non la cavallinità». E Don Francesco non vedeva l’asino, ma vedeva la cavallinità! […]
Caro Don Agostino, cinquant’anni fa non immaginavo certo quello che sarebbe avvenuto, ma, ora che il sacrificio è compiuto, piuttosto che volgere l’occhio alla penombra che abbiamo attraversato, volgiamolo verso il futuro, fidanti in un avvenire di pace, di tranquillità. L’uomo distruggendo Montecassino, ha mostrato tutta la parte deteriore del suo animo, la sua belluinità, la fiera che è nel suo inconscio. Diceva Francisco Goya in uno dei suoi Sogni: «Il sonno della ragione genera mostri!». La distruzione di Montecassino è stata una cosa mostruosa! […]
Cervaro 16 febbraio 1984
Alberto de Angelis-Curtis
1 «Studi Cassinati» ha già trattato la questione pubblicando l’articolo di E. Lodolini, 1943: il salvataggio dell’Archivio e della Biblioteca di Montecassino, a. V, n. 3, luglio-settembre 2005, pp. 179-183.
2 Le preoccupazioni erano tali che la questione si era venuta a porre fin dai giorni immediatamente successivi allo scoppio della guerra, quando ancora l’Italia non aveva fatto il suo ingresso nel conflitto. Ad esempio l’8 settembre 1939 la Sacra Sindone, una delle reliquie più care nel mondo cattolico che si trovava nella cappella dei Savoia nel Palazzo reale a Torino poiché, allora, di proprietà della casa regnante, fu inviata a Roma e da qui, il 25 successivo, trasferita nell’abbazia di Montevergine (in provincia di Avellino) dove fu tenuta nascosta per tutta la durata della guerra per ritornare a Torino nel 1946 (M. Zambardi, L’Abate Marcone custode della Sacra Sindone, in Don Giuseppe Ramiro Marcone Abate di Montevergine, Atti del Convegno, Edizioni Eva, Venafro 2010, pp. 62-69). Sempre nel 1939 il ministro all’Educazione Giuseppe Bottai si preoccupò della messa in sicurezza del patrimonio artistico nazionale e assegnò l’incarico a Pasquale Rotondi (1909-1991), originario di Arpino, che per il ricovero delle opere individuò inizialmente la rocca di Sassocorvaro nelle Marche, dove furono trasportate oltre 7.000 casse, e poi Urbino.
3 «Per la salvaguardia del patrimonio archeologico, storico ed artistico italiano non si mossero soltanto diplomatici e capi militari, ma anche storici dell’arte, archeologi sia tedeschi che italiani. A Roma, sin dal settembre 1943 e nonostante il vuoto politico-istituzionale» dovuto all’abbandono della capitale da parte del «re e del governo, alcuni soprintendenti della Direzione generale delle Belle Arti del ministero dell’Educazione nazionale» (fra cui Giulio Carlo Argan, Guglielmo De Angelis d’Ossat e Pietro Romanelli), preoccupati per il destino dei tesori d’arte italiani, si attivarono per tutelare monumenti e opere» non solo da «eventuali distruzioni belliche», ma anche salvaguardarle da possibili asportazioni da parte tedesca (L. Klinkhammer, Distruggere o salvare l’arte: i tedeschi in Campania, lungo la linea Gustav, a Montecassino, in «Poloniaeuropae», Ricordare la seconda guerra mondiale, n. 1/2010, p. 8).
4 Si trattava di oltre duecento casse, anche di grandi dimensioni, in cui si trovavano quadri di grande pregio (tra l’altro undici di Tiziano, uno di El Greco e due di Goya nonché il materiale che si trovava in esposizione alla Mostra d’Oltremare a Napoli nel 1941) e reperti archeologici provenienti.
5 D. Gregorio (al secolo Vito) Diamare, nato a Napoli il 13 aprile 1865, era divenuto abate di Montecassino nel 1909. Fu poi consacrato vescovo di Costanza d’Arabia il 12 marzo 1928 e nominato assistente al Soglio pontificio nel 1934. Già negli anni del primo conflitto mondiale si era attivato fornendo sostegno e assistenza «alle famiglie bisognose e prive dell’aiuto de’ loro giovani» impegnati in guerra, adoperandosi per l’invio di pacchi a combattenti e prigionieri e prendendosi cura degli «ammalati e feriti diocesani che tornavano dal fronte di combattimento». Anche nel corso della seconda guerra mondiale si prodigò in difesa della popolazione locale. Dopo il primo bombardamento di Cassino confortò i sinistra ti anche con contributi economici, aprì le porte del monastero alle suore Benedettine, a quelle di Carità e alle Stimmatine con le loro cinquanta orfanelle (Cappuccinelle) i cui immobili nel centro della città erano stati danneggiati, poi difese la popolazione locale da rappresaglie e accolse nel monastero un sempre crescente numero di profughi, salvaguardandoli «da soprusi e angherie». Quando si vide costretto ad allontanare i monaci da Montecassino, rimase «con soli cinque padri» (d. Martino Matronola, d. Agostino Saccomanno, d. Nicola Clemente, d. Eusebio Grossetti e d. Oderisio Graziosi), cinque conversi, un sacerdote secolare e un oblato in abbazia, conducendo una «vita dura e di stenti per oltre cinque mesi», fino alla distruzione del monastero. Ottantenne, si spense a causa della malaria il 6 settembre 1945 a S. Elia Fiumerapido. Per «l’eroico comportamento tenuto negli anni 1943-44 in Cassino» il presidente della Repubblica, con decreto del 5 marzo 1951, conferì a mons. Diamare la medaglia d’oro al valor civile che fu consegnata all’abate Ildefonso Rea il 15 febbraio 1953 (F. Avagliano, a cura di, Gregorio Diamare abate di Montecassino 1909-1945, Archivio Storico di Montecassino, Montecassino 2005, pp. 54-74).
6 F. Avagliano (a cura di), Il bombardamento di Montecassino. Diario di guerra di E. Grossetti – M. Matronola, Pubblicazioni Cassinesi, Montecassino 1997, pp. 198-200.
7 Già con lo scoppio della guerra il Medagliere siracusano, comprendente «esemplari rarissimi, o addirittura unici al mondo» (come il Decagramma argenteo con Il profilo di Aretusa, oppure la Moneta della Regina Filistide), era stato imballato e nascosto nei sotterranei del Museo siciliano. Poi quando cominciò a profilarsi lo sbarco alleato in Sicilia, si giunse alla decisione di trasferirlo in un luogo più sicuro. Il 7 giugno 1943 le casse furono portate in aereo da Catania a Roma e poste nei sotterranei della Galleria Borghese per essere quindi trasferite a Montecassino (Ivi, pp. 203-206).
8 La Biblioteca monumentale, composta da circa 70.000 volumi, e l’archivio, con circa 80.000 documenti, che si trovavano a Montecassino erano divenuti beni dello Stato italiano, gestiti dai monaci benedettini, per effetto della leggi di soppressione degli ordini religiosi approvate qualche anno dopo l’Unità d’Italia (7 luglio 1866 n. 3036 e 15 agosto 1867 n. 3848). Quei provvedimenti legislativi sancirono da un lato la revoca della personalità civile delle corporazioni religiose e dall’altro l’incameramento di un terzo dell’asse ecclesiastico immobiliare. Conseguentemente «buona parte delle congregazioni maschili – specie quelle monastiche e mendicanti – fu quasi annientata … Anche per i benedettini il colpo fu molto duro: i monasteri, con alcune eccezioni, furono chiusi». Montecassino, al pari di poche altre grandi abbazie (Cava de’ Tirreni, la Certosa di Pavia, S. Martino della Scala), poté continuare a operare ma, persa la personalità giuridica, fu dichiarata monumento nazionale e divenne proprietà demaniale e i monaci cassinesi riuscirono a conservarla «occupandola come custodi di un bene dello Stato» (A. Riccardi, La soppressione delle corporazioni religiose e la liquidazione dell’asse ecclesiastico, in Il Parlamento italiano, vol. II, 1866-1869, La costruzione dello Stato da La Marmora a Menabrea, Nuova Cei, Milano 1988, p. 226).
9 Il giornale o diario di guerra redatto da d. Eusebio Grossetti, inizia proprio il 14 ottobre 1943. Da questa data il monaco cassinese annotò quotidianamente gli avvenimenti accaduti a Montecassino fino alla fine del gennaio successivo quando si ammalò gravemente (finché morì il 13 febbraio 1944) e la stesura fu continuata da d. Martino Matronola fino al 18 febbraio. Il quaderno su cui da d. Eusebio annotava gli eventi rimase sotto le macerie del monastero e «fortunatamente fu ritrovato e solo in parte danneggiato». D. Martino lo trascrisse completamente «integrandolo con altri particolari e notizie» di cui era a conoscenza essendo stato in quei momenti segretario particolare dell’abate Diamare. Le pagine del Diario Grossetti-Matronola sono state utilizzate da d. Tommaso Leccisotti per la stesura del suo volume Montecassino, la vita l’irradiazione, uscito nelle successive nove edizioni con il titolo di Montecassino.
10 Nato il 14 agosto 1895 a Vienna e ivi morto l’8 agosto 1958, dal 1941 al 1943 aveva partecipato alle operazioni di guerra in Russia come ufficiale della Luftwaffe, poi nel maggio 1943 era stato trasferito alla Panzer Division «Hermann Göring» in Italia dove comandava il «Reparto Riparazioni».
11 F. Avagliano (a cura di), Il bombardamento di Montecassino … cit., p. 214.
12 Alla fine della guerra fu catturato. La prigionia durò solo sette mesi e per la sua liberazione, molto probabilmente, influì positivamente proprio la partecipazione all’operazione di salvataggio dei beni di Montecassino così come anche altri esperti e protagonisti di ulteriore salvataggi di opere d’arte, alla fine della guerra furono nascosti e tutelati con la motivazione che avevano contribuito alla loro preservazione nei mesi dell’occupazione.
13 F. Avagliano (a cura di), Il bombardamento di Montecassino … cit., p. 247.
14 Ivi, p. 257.
15 D. Emanuele Munding, monaco di Beuron in Germania, da qualche anno era ospite dell’abbazia benedettina. In quei frangenti «si rese molto utile per la conoscenza della lingua tedesca nelle operazioni di sgombero di Montecassino». Lasciò il «monastero la mattina del 3 novembre 1943 insieme all’ultimo contingente di monaci trasferiti dai soldati tedeschi a Roma» (F. Avagliano, Gregorio Diamare … cit., pp. 139-140, n. 34).
16 D. Mauro Inguanez (1887-1955), di origine maltese, era l’archivista del monastero.
17 Il 4 agosto 1943 un bombardamento alleato su Napoli provocò notevoli danni alla basilica di S. Chiara con la perdita degli affreschi e dell’interno barocco. Va ricordato pure che il 30 settembre un incendio appiccato dai tedeschi in ritirata distrusse villa Montesano a San Paolo di Belsito, vicino Nola, in cui erano state trasferite dall’Archivio di Stato di Napoli 866 casse di documenti, oltre a migliaia di fasci e di volumi senza imballaggio, causando la perdita delle più preziose serie di documenti provenienti dai vari archivi del Mezzogiorno d’Italia.
18 Il primo bombardamento subito da Roma che colpì il quartiere di San Lorenzo, lo scalo ferroviario Littorio e l’aeroporto di Ciampino, causò la morte di numerosi civili e provocò ingenti danni alla basilica di San Lorenzo fuori le mura.
19 F. Avagliano (a cura di), Il bombardamento di Montecassino … cit., p. 19.
20 Ivi, p. 109.
21 D. Gaetano Fornari (1868-1960), docente di Filosofia e Lettere a Montecassino, dal 1931 era priore claustrale del collegio.
22 Dal 17 ottobre, temendo di incorrere in «disturbi personali dai Tedeschi per la sua cittadinanza maltese» ma anche per non assistere allo smembramento dell’archivio, si era rifugiato a Terelle, anche se fece ritorno in abbazia qualche giorno dopo (Ivi, p. 145).
23 Ivi, p. 219.
24 Ivi, p. 21.
25 D. Tommaso (al secolo Domenico) Leccisotti (1895-1982), originario di Torremaggiore (Foggia), era entrato giovanissimo a Montecassino, assumendo vari incarichi nel corso degli anni (bibliotecario, docente del seminario, archivista) oltre a impegnarsi in studi scientifici da cui scaturì una vastissima e preziosissima produzione.
26 F. Avagliano (a cura di), Il bombardamento di Montecassino … cit., p. 264.
27 Ivi, p. 118.
28 Infatti con gli stessi mezzi utilizzati per il trasporto dei beni privati di Montecassino, furono portati a Roma quasi tutti i componenti della comunità monastica cassinese (si trattava di un’ottantina di persone tra monaci professi, novizi, conversi e aspiranti monaci oltre a vari alunni, meno quella decina rimasta assieme all’abate Diamare a Montecassino fino alla distruzione), le suore di Carità, le suore Stimmatine con le orfanelle, e le monache benedettine (trenta tra coriste e converse) che si erano rifugiate nell’abbazia in seguito al primo bombardamento di Cassino (Ivi, p. 114).
29 Ivi, p. 221.
30 Ivi, p. 179.
31 Ivi, pp. 137, 139.
32 Ivi, p. 262.
33 A d. Tommaso, in quel giorno, fu consegnata una «valigia contenente la grande reliquia del S. Legno della Croce e le reliquie di S. Benedetto e di S. Scolastica». Mons. Diamare, poco prima della partenza, «disse al Ten. Col. Schlegel che gli affidava le cose più preziose» che il monastero possedesse. L’ufficiale, commosso, strinse la mano all’abate e impartì «ordini severissimi ai militari che guidavano i camion, facendo appello all’onore del soldato germanico» (Ivi, p. 22). Inoltre a d. Tommaso l’abate affidò anche l’incarico di seguire presso la Santa Sede le vicende diplomatiche sull’andamento della guerra in relazione alla salvaguardia dell’abbazia di Montecassino.
34 Ivi, p. 113.
35 Ivi, p. 231.
36 Quotidianamente gli automezzi, trasportando cose e persone, raggiungevano Roma: nel pomeriggio del 20 giunsero quattro monaci e tre collegiali su due autocarri; il 21 due monaci con le suore, le monache e le orfanelle; il 22 sei religiosi con un convoglio di cinque o due autocarri (furono trasportate in quest’occasione le reliquie di S. Bertario e S. Vittore, un grande Crocifisso trecentesco, le immagini su legno dei SS. Pietro e Paolo, vari quadri, tutto il materiale della Biblioteca Paolina, oltre a cassette dell’archivio e a cose della Biblioteca privata); il 23 due monaci e altrettanti collegiali su due automezzi; il 24 cinque religiosi e tre alunni; il 25 due religiosi e uno studente; il 26 d. Anselmo Lentini con altri automezzi; il 30 tre religiosi più d. Mauro Inguanez portato da Becker; il 3 novembre il resto della comunità, con l’esclusione di monaci e religiosi che restavano a Montecassino, su due autocarri. Nei giorni successivi arrivarono, alla spicciolata, vari sacerdoti diocesani, Testa, Masia, Fuoco, Matrundola ecc. (Ivi, pp. 113-119, 124).
37 Ivi, p. 121.
38 Ivi, pp. 20-21.
39 Ivi, pp. 228-229. Il 21 ottobre un autocarro, su cui erano state sistemate circa la metà delle suore e monache che si erano rifugiate a Montecassino, mentre era ancora antistante al portone «Pax» si trovò nel mezzo di un attacco aereo che aveva come obiettivo la stazione di Cassino. L’abate, il priore e d. Emanuele «si misero in ginocchio in mezzo alla strada, nell’oscuro abito benedettino, col capo scoperto e abbassato, con le mani giunte, e aspettavano tranquillamente e con umiltà la volontà di Dio: sia la vita, che la morte». Le religiose sull’autocarro, «pazze dalla paura» a causa del «sibilo acuto delle bombe», delle esplosioni che provocavano, dello «scoppiettio delle armi antiaeree», «agitavano confusamente le braccia da tutti i lati, nelle loro bianche cuffie ancor più visibili alla luce del sole». Schlegel, che era presente in quell’occasione, intervenne cercando, invano, di calmare le religiose, ma poi gli aerei si allontanarono. In un’altra occasione tra due autocarri che viaggiavano, come era stato loro ordinato, a trecento metri l’uno dall’altro, si inserì un terzo automezzo militare. Il convoglio fu attaccato da un aereo che distrusse il mezzo non proveniente da Montecassino, mentre gli altri due poterono riprendere il viaggio.
40 D. Eusebio Grossetti (1911-1944), nato a Vercelli, entrato diciottenne a Montecassino, era un valente decoratore e restauratore di quadri, affreschi e miniature. Tenne il giornale o diario di guerra fino a poco prima della sua morte. Faceva parte della piccola comunità che era stata autorizzata dal Comando tedesco a rimanere nell’abbazia assieme all’abate Diamare. Dopo l’8 settembre 1943 aveva iniziato una nuova e intensa “attività” nel monastero, prodigandosi in soccorso di soldati sbandati e dei civili rifugiati nell’abbazia o nelle vicinanze e riducendosi, come egli stesso scrisse alla famiglia, «a fare l’infermiere e il becchino». Ammalatosi, probabilmente di tifo contratto nell’opera di seppellimento, si spense nell’antivigilia della distruzione di Montecassino (Febbraio 1944, in «Echi di Montecassino», gennaio-giugno 1974, a. II n. 4, p. 12).
41 Il gen. Paul Conrath (1896-1979) era stato riconfermato al comando dell’unità, rinominata «Panzer-Division Hermann Göring», al momento della sua ricostituzione avvenuta nel maggio del 1943, a Santa Maria Capua Vetere.
42 Quella per il gen. Conrath, definito come «dux ferrae Legionis», fu ritirata da Schlegel. La pergamena di quest’ultimo riportava il testo: «Nomine Dei Nostri Iesu Christi / Illustri ac dilecto viro tribuno / militum Julio Schlegel / qui servandis monachis rebusque sa- / cri Coenobii Casinensis amico a- / nimo, sollerti studio ac labore ope- / ram dederit, ex corde gratias / agentes, fausta quaeque a Deo / suppliciter Casinensis adpre- / cantur / Montiscasini Kal. Nov. MCMXLIII / Gregorius Diamare / O.S.B. / Episcopus et Abbas / Montiscasini».
43 Quella per Becker riportava il testo: «Nomine Dei nostri Iesu Christi. Spectabili viro Maximiliano Becker medicinae doctori qui in magno rerum discrimine propensa cura rebus nostris consuluit, laudem debitam gratumque animum libentissime profitemur. Montiscasini Kal. Novembris MCMXLIII. Gregorius Diamare O.S.B. Episcopus et Abbas Montiscasini».
44 F. Avagliano (a cura di), Il bombardamento di Montecassino … cit., p. 271.
45 I rapporti fra i due, che erano tesi fin dal loro primo incontro, nel corso del viaggio si andarono ammorbidendo. D. Mauro portava con sé una valigia nera nella quale si trovavano due urne che contenevano i «resti mortali di due noti poeti inglesi e cioè Percy Bysshe Shelley e John Keats». Il trasporto delle ceneri di Shelley è confermato anche da d. Tommaso Leccisotti, che, nel suo Diario, registra il viaggio alla data del 30 novembre (Ivi, pp. 121, 227).
46 Ivi, p. 273.
47 L’abate di S. Paolo, d. Vannucci, accogliendo la proposta di mons. Montini prospettò l’ipotesi di depositare quei materiali in una navata laterale della basilica, isolandola con tramezzi murari (Ivi, p. 120).
48 L. Klinkhammer, Distruggere o salvare l’arte … cit., p. 8. Peter Scheibert, laureato in storia e dopo la guerra docente universitario, faceva parte del Sicherheitsdienst (SD, Servizio di Sicurezza), il servizio segreto delle SS.
49 F. Avagliano (a cura di), Il bombardamento di Montecassino … cit., p. 121.
50 Ivi, p. 23.
51 Ivi, p. 223.
52 L’OB Sud, Oberbefehlshaber Südwest, (Oberkommando der Heeresgruppe C), istituito come organo di controllo e di rappresentanza, a partire dall’estate 1943 andò assumendo compiti militari operativi. Il 6 novembre l’OB Süd fu trasformato in un comando militare alla cui direzione fu nominato il 21 novembre il feldmaresciallo Kesselring.
53 F. Avagliano (a cura di), Il bombardamento di Montecassino … cit., p. 269.
54 In seguito alla vittoriosa campagna di Francia, nel 1940 al feldmaresciallo Hermann Göring venne conferita una nuova carica, appositamente istituita, quella di Reichmarshall, «Maresciallo del Reich», che lo rese il più alto ufficiale della Wehrmacht.
55 F. Avagliano (a cura di), Il bombardamento di Montecassino … cit., pp. 267-269.
56 Il 31 ottobre 1943 era giunto a Roma, proveniente da Parigi dove dirigeva il Kunstschutz francese, il barone Bernard von Tieschowitz, con il compito di istituire un analogo organismo che non esisteva in Italia a causa della morte, avvenuta nel corso di un bombardamento aereo, del direttore del Kunsthistorisches Institut di Firenze, prof. Friedrich Kriegbaum. Il Kunstschutz, istituito come Ufficio tutela delle opere d’arte dell’amministrazione militare tedesca, aveva il compito di tutelare i monumenti e le opere d’arte sul suolo italiano, e, in particolare, della protezione di archivi e biblioteche (diversamente rispetto all’ERR, Einsatzstab Reichsleiter Rosenberg, creato nel luglio 1940 come unità speciale dell’Ufficio politico estero con l’incarico di confiscare tutto il materiale ritenuto politicamente importante nei paesi occupati). L’ufficio era composto da storici dell’arte, archeologi, storici, alcuni dei quali vivevano in Italia da parecchi anni e avevano rapporti di collaborazione con i colleghi italiani (L. Klinkhammer, Distruggere o salvare l’arte … cit., p. 8). Inizialmente l’attività del Kunstschutz fu impostata in modo che fosse riconosciuta agli italiani la competenza sulla tutela del patrimonio e per suo interessamento furono trasferiti presso l’Archivio di Stato di Roma gli Archivi di Tuscania e Viterbo. In seguito a un accordo tra il Vaticano e l’ambasciatore tedesco presso la Santa Sede, furono organizzate delle ispezioni in trentasette Comuni compresi tra Roma e il Lazio meridionale che portarono al trasferimento ndella Santa Sede degli Archivi vescovili, capitolari, diocesani di Anagni, Frascati, Gaeta, Montefiascone, Tarquinia e Veroli.
57 L. Klinkhammer, Distruggere o salvare l’arte … cit., p. 9.
58 F. Avagliano (a cura di), Il bombardamento di Montecassino … cit., pp. 121-122.
59 Ivi, p. 273.
60 R. Böhmler, Montecassino, Baldini & Castoldi, Milano 1964, p. 293.
61 S. Bertoldi, Montecassino: i tesori strappati a Göring, in «Corriere della Sera», 14 marzo 1995.
62 Le opere non si trovavano assieme a tutte le altre inviate in dono a Göering ma, per ordine dello stesso Maresciallo del Reich, accantonate in attesa dell’allestimento di una mostra temporanea (D. Hapgood, D. Richardson, Montecassino, Rizzoli, Milano 1985, p. 102).
63 Amedeo Maiuri, nato a Veroli nel 1886 e morto nel 1963, insigne studioso, dirigeva il Museo Nazionale di Napoli e gli scavi di Pompei e di Ercolano. Era stato proprio Maiuri, temendo i bombardamenti di Napoli, a disporre il trasferimento a Montecassino dei beni della Galleria Nazionale e del Museo archeologico. Fra l’altro in quei frangenti fu vittima di un’incursione aerea sulla strada tra Pompei e Napoli che gli procurò la frattura di una gamba, un’invalidità che lo costrinse a utilizzare un bastone per il resto della vita.
64 F. Avagliano (a cura di), Il bombardamento di Montecassino … cit., p. 122.
65 Ivi, pp. 122, 206.
66 I primi trasferimenti in Vaticano riguardarono quelle opere d’arte di Roma che erano state precedentemente trasferite in appositi ricoveri a Casamari, Civitacastellana, Cantalupo, Caprarola, Genazzano, Ostia, Tarquinia, Carpegna e presso la Galleria Borghese. Per opera di Carlo Giulio Argan e di mons. Montini in Vaticano giunsero anche le casse fatte depositare da Pasquale Rotondi a Sassocorvaro e che furono portate, scortate dalle SS, dalle Marche a Roma.
67 Ivi, p. 124.
68 A Montecassino quel mercoledì dell’Immacolata si presentò un tenente pittore, Guglielmo Vessel, per eseguire «alcuni schizzi del fronte (Monte Camino, Trocchio, Sambucaro) a scopo artistico-documentario: ha fatto quattro discreti pastelli» annotava d. Eusebio (Ivi, p. 37).
69 Hans Gerhard Evers (1900-1993), maggiore delle SS e docente universitario di storia dell’arte, era giunto da Monaco per assumere la direzione del Kunstschutz in sostituzione del barone von Tieschowitz.
70 F. Avagliano (a cura di), Il bombardamento di Montecassino … cit., p. 140.
71 Ildebrando Vannucci (1890-1955), abate dell’abbazia di San Paolo fuori le mura, il 30 giugno 1942 era stato nominato vescovo titolare di Sebaste di Cilicia.
72 F. Avagliano (a cura di), Il bombardamento di Montecassino … cit., pp. 125, 233.
73 Fidelis von Stotzingen (1871-1947) benedettino tedesco, fu abate primate della Confederazione benedettina dal 1913 alla sua morte.
74 Alois (Luigi) Hudal (1885-1963) austriaco, rettore del Collegio Germanicum a Roma, alla fine della guerra fu tra i più attivi organizzatori della «via di fuga», «ratline», per i criminali di guerra nazisti.
75 F. Avagliano (a cura di), Il bombardamento di Montecassino … cit., pp. 233-234.
76 D. Angelo Pantoni (1905-1988), ingegnere e «insigne studioso di archeologia e storia dell’arte cassinese», negli anni immediatamente precedenti lo scoppio della guerra, con molto impegno e competenza curò le planimetrie e le altimetrie del monastero, un lavoro che si rivelò di grandissima utilità per la ricostruzione di Montecassino nel dopoguerra. Nell’ottobre del 1943 fu tra i monaci che avevano lasciato il monastero nell’ambito del piano di salvataggio.
77 F. Avagliano (a cura di), Il bombardamento di Montecassino … cit., pp. 124-125, n. 1.
78 Alla cerimonia partecipò anche d. Mauro Inguanez, mentre invece non vi dovette prendere parte d. Tommaso Leccisotti che continuava a fare la spola tra Sant’Anselmo, la Segreteria di Stato Vaticana e altre sedi per seguire le sorti di Montecassino (Ivi, p. 128).
79 «Il giorno della cerimonia era in licenza presso la famiglia a Tecklenburg». Invece Schlegel, nonostante, come sembra, avesse chiesto di essere esonerato dall’organizzare la consegna avendo saputo dei materiali spariti, presenziò alla cerimonia (D. Hapgood, D. Richardson, Montecassino … cit., p. 103).
80 Alfonso Bartoli (1874-1957) archeologo, era docente universitario, direttore degli scavi del Palatino e del Foro Romano, senatore del Regno.
81 L’operazione ebbe vasta eco mediatica. lI comandante del XIV Corpo d’armata, quello della «Göring» e di Roma, i gen. Frido von Senger und Utterlin, Paul Conrath e Kurt Mälzer, ricevettero molti elogi dalla stampa e dalla radio tedesche (L. Klinkhammer, Distruggere o salvare l’arte … cit., p. 9).
82 F. Avagliano (a cura di), Il bombardamento di Montecassino … cit., pp. 276-277.
83 Ivi, p. 235.
84 La «lunga (e quasi didascalica)» poesia dello scrittore e poeta statunitense Henry W. Longfellow (1807-1882) è stata già pubblicata per intero, in originale e traduzione, nell’articolo di P. Ianniello, Cassino e Montecassino nelle espressioni artistiche, in «Studi Cassinati», a. VIII, n. 4 ottobre-dicembre 2008, pp. 276- 277, e, in parte, nell’articolo di C. Jadecola, Sprazzi di gloria per una nobile decaduta, in «Studi Cassinati», a. XIII, n. 1-2, gennaio-giugno 2013, pp. 39-49. Viaggiando in ferrovia da Roma, Longfellow era giunto a Cassino probabilmente il primo marzo 1869, accompa-gnato dalla sorella Anna, dal fratello Samuel, dal cognato Thomas Appleton e dai suoi cinque nipoti.
85 Becker ricorda nel suo memorandum gli ultimi versi della poesia: «Il conflitto del nostro tempo e del passato, fra l’ideale e la realtà della nostra vita, mi tiene avvinto come su un campo di battaglia, mentre il nostro mondo si trovava in guerra con il resto del mondo» (F. Avagliano, a cura di, Il bombardamento di Montecassino … cit., p. 270).
86 L. Klinkhammer, Distruggere o salvare l’arte … cit., p. 7. La Danae era stata donata a Göring che l’aveva collocata nella sua camera da letto, l’Apollo fu regalato a Hitler che lo tenne in casa.
87 Ivi, p. 10.
88 Rodolfo Siviero (1911-1983), agente del Servizio informativo che dopo l’8 settembre 1943 iniziò a collaborare con le forze antifasciste occupandosi della raccolta di informazioni delle opere d’arte trafugate dai nazisti, nel dopoguerra si dedicò non solo al recupero dei beni sottratti dai tedeschi nel corso dell’occupazione ma anche di quelli che avevano raggiunto la Germania negli anni del fascismo con esportazioni considerate «illegali».
89 Non fu facile per Siviero convincere la Commissione Alleata ad autorizzare la restituzione delle opere ritrovate (vari governi stranieri, sulla base del trattato di pace secondo cui l’Italia doveva restituire quei beni che aveva sottratto ai Paesi occupati durante la prima fase della guerra, oppureli doveva compensare, chiedevano l’assegnazione delle opere italiane che erano state rinvenute in Austria e Germania e poi depositate a Monaco di Baviera). Alla fine, però, fu riconosciuta la validità delle ragioni italiane. Dunque il primo agosto 1947, il governatore militare americano della Germania, generale Lucius Clay, riconsegnò le opere trafugate a Montecassino. Quei beni, tornati in Italia, vennero esposti in mostra a villa Farnesina a Roma l’11 novembre 1947, alla presenza del presidente del Consiglio, Alcide De Gasperi, e del presidente della Repubblica, Enrico De Nicola. Oltre ai quadri e alle sculture già ricordate, furono recuperate da Siviero altre importanti tele come il San Girolamo di Colantonio, l’Annunciazione di Filippino Lippi, la Madonna del Velo di Sebastiano del Piombo, i Ciechi di Peter Bruegel, la Sacra Conversazione di Palma il Vecchio, un Paesaggio di Claude Lorrain, ecc. Siviero ricorda che i «dipinti ritrovati ad Alt Aussée avevano la superficie pittorica ricoperta di muffa e presentavano altri danni come perdite di colore e incurvatura dei supporti lignei». Inoltre la statua dell’Hermes, copia romana di un originale greco attribuito a Lisippo, era stata ritrovata senza la testa, «rotta in settantadue pezzi, fortunatamente raccolti in fondo alla cassa». A villa Farnesina la statua fu esposta senza testa, poi, dopo il restauro, fu ricollocata nel Museo archeologico di Napoli. Anche le statue dei due cerbiatti, copie romane di originale ellenistico, furono ritrovate con le zampe spezzate (www.museocasasiviero.it).
90 F. Avagliano (a cura di), Il bombardamento di Montecassino … cit., p. 200.
91 Commemorato il Colonnello Julius Schlegel a 50 anni dalla sua morte, in «Studi Cassinati», a. VIII, n. 3 luglio-settembre 2008, p. 232.
92 R. Böhmler, Montecassino … cit., pp. 294-295. Della questione si occupò, in quei frangenti, anche la stampa austriaca con un articolo pubblicato su «Vorarlberger Nachrichten», 6 maggio 1953, n. 102.
93 La lettera indirizzata al monaco cassinese don Agostino Saccomanno, fu scritta il 16 febbraio 1984, due giorni dopo la messa in onda di un documentario nel quarantennale della distruzione del monastero, da Alberto de Angelis-Curtis, ex collegiale di Montecassino dove aveva seguito tutto il corso degli studi fino alla maturità classica conseguita nel 1939, trasferendosi poi a Roma per iscriversi alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università «La Sapienza». Richiamato alle armi nel 1941, aveva partecipato alle operazioni di guerra nello scacchiere Mediterraneo in difesa degli aeroporti con il 236° Reggimento fanteria, ma a causa della contrazione della malaria, dovette essere ricoverato in un ospedale militare per poi essere inviato in licenza per convalescenza nella sua città d’origine, Avezzano, dove si trovava nell’autunno del 1943.
94 Dal Memorandum di Maximilian Becker c’è da presupporre, con ragionevolezza, che l’ufficiale citato sia proprio il medico tedesco.
95 La convinzione, formatasi in momenti caratterizzati da informazioni parziali, contraddittorie e distorte, è da rettificare essendo il piano di salvataggio oramai nelle sue fasi finali.
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