Studi Cassinati, anno 2013, n. 3
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di Costantino Jadecola
È difficile poter descrivere la reazione che la scena provocò in chi, quella notte, ebbe l’occasione di imbattersi in essa. Definirla raccapricciante forse non è esaustivo: «abbiamo trovato al piano superiore della cartiera e precisamente nella stanza detta della caldarella il cadavere del Iadecola Giovanni giacente bocconi tra i due punti d’appoggio dell’asse motore, completamente denudato e con l’arto inferiore mutilato. I vestiti e la biancheria erano strettamente avvolti ed intrisi di sangue all’asse del motore mentre per quasi tutta l’altezza delle pareti abbiamo visto del sangue spruzzato, in taluni parti a larghe chiazze e brandelli di carne»1.
È la relazione del comandante la stazione dei RR.CC. di Aquino, il brigadiere Pasquale Corsale, subito accorso con i carabinieri Nicola Rossi e Antonino De Maio dopo essere stato avvertito dell’«incidente» dal sindaco Gaetano Pelagalli in persona.
Erano intorno alle tre della notte fra il 29 e il 30 gennaio 1902. L’«incidente», invece, era accaduto due, tre ore prima.
La vittima, Giovanni Iadecola, soprannominato «Polenta», 48 anni, fu Marco, era coniugato con Francesca Bisozio ed in cartiera aveva l’incarico di «pigiatore», cioè di addetto alla macina della paglia. Quella notte, oltre a Iadecola, lavoravano in cartiera, almeno nel suo stesso reparto, suo fratello Vincenzo, 45 anni, Tommaso Capraro (26), detto «Zingardello», fu Giuseppe e Donata Cincirrè, coniugato con Luisa Giorgio, e Marcantonio Cincirrè (30), detto «Spapecchia», fu Pasquale e Maria Di Folco, coniugato con Maria Biasielli e zio di Capraro.
Stando alle dichiarazioni rese successivamente agli inquirenti da quest’ultimo, quella notte, circa le 24 lui e Vincenzo si erano vicendevolmente scambiato il tipo di lavoro: dalla «montana» al trasporto della paglia dall’esterno della cartiera2.
«Avevo fatto una ventina di viaggi», dichiara Cincirrè, «e sempre avevo visto i due Iadecola ed il Capraro al proprio posto: Giovanni Iadecola stava vicino la ‘montana’, alla prima stanza di entrata, e Tommaso Capraro vicino al cilindro n. 5 distante circa dodici metri dal posto di Giovanni Iadecola».
Tutto tranquillo, insomma.
È appena dopo, invece, che esplode la tragedia: mentre Cincirré sta compiendo l’ennesimo trasporto di
paglia, Tommaso Capraro sarebbe andato da Vincenzo Iadecola per avvertirlo che il fratello si era fatto male. Vincenzo si attiva subito correndo nella stanza dove avrebbe dovuto trovare Giovanni ma, non avendolo trovato, si sposta in quello detto «la caldarella», dov’era il cilindro con la puleggia che da moto a tutto il macchinario. Cincirrè testimonia: «Trovai nella stanza del Giovanni il fratello Vincenzo col lume in mano cercando del suo germano e quando l’ebbe trovato sfracellato sotto l’asse di maneggio, si diede a piangere. Vidi anche io il Giovanni Iadecola ivi sfracellato e andai a fermare la macchina».
Nella relazione del dott. Celestino Quagliozzi, che esegue l’esame esterno del cadavere alla presenza dell’avv. Michele Pasquale, pretore di Roccasecca, e del cancelliere Francesco Pagnani, si legge: «il cuoio capelluto della metà sinistra distaccato completamente con scovrimento delle ossa craniche sottostanti. Si vedono rivoletti di sangue fuoriuscire dagli orecchi, dal naso e dalla bocca. Intorno al collo notasi un solco circolare in direzione trasversale ed orizzontale all’asse mediano di esso, più profondo ed evidente nelle parti posteriori e postero-laterali: sulla laringe e propriamente a sinistra di essa vedesi una lividura, e più sotto, sulla regione tracheale e sul giugolo delle graffiature varie e piccole come di uguale su varie parti del corpo vedonsi contusioni e costrizioni. La mano sinistra chiusa a pugno; il gomito sinistro completamente lussato; frattura della 9 e 10 costola di sinistra lungo la linea d’angolo scapolare; frattura di tutte e due le cosce in corrispondenza del terzo inferiore del femore; avulsione completa della gamba destra dal suo 3 medio; le dita del piede sinistro penzoloni ed avulso il 2 metatarso di detto piede».
Nel verbale di rimozione del cadavere, avvenuta sempre alla presenza del pretore di Roccasecca, si precisa che esso è «completamente nudo» ed è situato sotto l’asse «tra i due appoggi su di una vecchia ed inservibile macchinetta taglia stracci con ruota d’ingranaggio. Il cadavere si trova tra la posizione laterale sinistra e quella bocconi con l’arto inferiore destro mutilato, l’arto inferiore sinistro in completa flessione e distorto. L’arto inferiore destro in semiflessione con la mano in posizione supina. Varie contusioni a corpo vivo. La
testa trovasi bocconi e fortemente flessa sul collo, poggiando al muro adiacente all’asse, ed a parte del suolo, mentre la gamba mutilata rivolta al vano di accesso alla stanza di fuori. Attorno all’asse, sul cadavere si osservano avvolti strettamente dei panni e biancheria, che si presume debbano essere appartenuti all’individuo sottostante cadavere. A centimetri sessanta dalla gamba amputata, verso la porta della macina, vi sono due vecchie scarpe di cui una è interamente fatta a brandelli e vicino alle scarpe vi è pure una cordicella. Innanzi al punto d’appoggio di destra si vede per terra una manica di giacca. Contro il muro che divide la stanzetta della caldarella dalla stanza di fuori si osservano schizzi di sangue, brandelli di carne e pezzetti di osso sino a tutta l’altezza di una tavola di legno infissa al muro. Per terra si osservano pure brandelli di carne e di ossa». Che fra Capraro, Cincirrè e Iadecola non corresse buon sangue, pare fosse cosa risaputa.
«Domenica scorsa», testimonia Marcantonio Cincirrè, «i due fratelli Iadecola si lagnavano perché si andava molto solleciti a buttare il pisto nei tubi e ciò perché loro dovevano fare più lavoro al trasporto della paglia. Siccome il Giovanni Iadecola diceva che non poteva sopportare tanto lavoro, al che il Capraro rispose: ‘Per la madonna! Se non vi fidate andate via!’ Non disse il Capraro altre parole, ed io non udii da questi pronunziare minacce di volere assestare la pala sulla testa».
L’episodio è confermato da Capraro: «È vero che domenica scorsa ebbi a litigare col Giovanni Iadecola, il quale non voleva accudire al lavoro, ed io gli dissi: ‘Ti do una pala in testa’ ciò dopo che il Giovanni minacciò di farmi mandar via dallo stabilimento. È vero che stanotte, stando al cilindro n. 1 ho detto al Giovanni: ‘dimmi se debbo mettere paglia o pisto nel cilindro’. Ciò perché egli lavorava male e mi dava pisto misto a paglia».
Del resto, scrive il giudice istruttore, «già il Capraro ed il Cincirrè avevano dimostrato di non veder bene i fratelli Iadecola tanto è vero che la domenica non mangiavano in loro compagnia la minestra, pure essendo consuetudine che i quattro operai del piano superiore, al pari di quelli del piano inferiore, si unissero insieme a quel pasto frugale. Inoltre il Cincirrè erasi già dimostrato dolente di non aver potuto occupare il posto di Giovanni Iadecola quale pigiatore, posto che implica un lavoro meno faticoso di quello incombente a che trasporta la paglia; e già il Capraro aveva avuto una questione con lo stesso Giovanni Iadecola la domenica antecedente.
“Insomma il Capraro ed il Cincirrè odiavano Giovanni Iadecola e forse anche perché il medesimo, vecchio operaio della cartiera Procaccianti era fedele ai padroni, contro i quali essi talora sparlavano.
“I biechi sentimenti del Capraro e del Cincirrè verso Giovanni Iadecola scoppiano la notte dal 29 al 30 gennaio dopo che lo zio ed il nipote hanno insieme premeditato e studiato uno fra i più selvaggi delitti. Dapprima il Capraro provoca un alterco e poi un secondo con l’infelice Iadecola, e quindi egli ed il Cincirrè lo afferrano a viva forza per gettarlo sotto il congegno motore e farlo travolgere nei suoi giri turbinosi. Oppone resistenza la vittima in vista del supplizio a cui è condannata, ma la resistenza è vinta facilmente perché i due aggressori gittano una cordicella al collo del Iadecola e con quella lo trascinano fin sotto la macchina che doveva dargli la morte e qui a forza lo tengono e lo trattengono finché il delitto è consumato ed il corpo dell’infelice operaio è ridotto a pezzi e a brandelli. Tutto ciò avviene mentre il rumore fortissimo ed incessante delle tante macchine in moto impediva al fratello della vittima di udirne un lamento solo.
“Il delitto, però, secondo il disegno dei suoi autori doveva apparire un infortunio. Ed ecco il Capraro e il Cincirrè mettere accanto al cadavere l’ampollina dell’olio destinata ad ungere le macchine per dare ad intendere d’essersi il Iadecola appressato al motore per ingrassarlo e d’essere stato disgraziatamente travolto. Ciò fatto cinicamente il Capraro ed il Cincirrè vanno ad annunziare ai compagni ed al fratello dell’ucciso, l’avvenuta disgrazia».
Non si esclude che l’ipotesi dell’infortunio, della quale si diceva convinta la moglie di Iadecola, Francesca Bisozio, per poter incassare la prevista assicurazione di 1.500 lire, potrebbe avere avuto la meglio se la presenza della «cordicina» in prossimità dei poveri resti di Iadecola ed una traccia intorno collo dello stesso non avessero suggerito una diversa lettura dell’accaduto. «Le lesioni al collo», scrivono i due medici incaricati dell’esame autoptico, il dott. Cristoforo Di Ruzza ed il dott. Celestino Quagliozzi, «potevano da se sole cagionare la morte, senza escludere però che con le debite cure avrebbero potuto anche guarire».
Il pretore di Roccasecca, dal canto suo, aggiunge che «il solco notato alla gola del cadavere e la cordicina rinvenuta accanto a questo mi hanno dato indizio che lotta il Giovanni Iadecola aveva dovuto sostenere, anche perché le unghiate alla regione tracheale mi avvertivano che l’infelice aveva dovuto imprimere sforzi per liberarsi della stretta alla gola; ed egli non avrebbe avuto tempo di ciò operare se fosse stato casualmente afferrato pei panni e travolto dall’asse (il quale fa oltre cento giri al minuto) ritenendosi che lotta non ci fosse stata».
Lo scalpore che provoca la notizia di questo efferato delitto è tale che il cav. Beniamino Palomba, sostituto procuratore del re presso il tribunale di Cassino, nell’inaugurare il 3 gennaio 1903 l’anno giudiziario, riferendosi ad «alcune rilevanti istruttorie» che nell’anno appena passato per la loro gravità avevano allarmato l’opinione pubblica, citò, manifestamente scandalizzato, quella contro Tommaso Capraro e Roccantonio Cincirré, «due operai di una cartiera in Aquino che, quasi senza causa, aggrediscono un loro compagno di lavoro, Giovanni Iadecola, ed a viva forza lo trascinano sotto l’asse motore, lo fanno travolgere nei turbini di quel congegno, e lo costringono così a morire, orrendamente mutilato, stritolato, sbrindellato»3.
1 Archivio di Stato di Caserta, Tribunale civile e correzionale Circolo d’Assise di Cassino, busta 242, fascicolo 1076 (per tutte le citazioni).
2 La cartiera di Aquino, specializzata nella produzione di carta paglia, data 1843 ed era stata voluta da Gaetano Pelagalli (1788-1857) papà dell’onorevole Pasquale (1826-1882). Ubicata in prossimità delle Chiesa della Madonna della Libera, sfruttava la forza idraulica prodotta dalla caduta delle acque della Forma (Cfr. C. Jadecola, La cartiera Pelagalli di Aquino, in «L’Inchiesta», 11 aprile 1999).
3 B. Palomba, Inaugurando l’anno giudiziario 1903 nel Tribunale di Cassino (3 gennaio), L. Ciolfi tipo-grafo editore, Cassino 1903, p. 27.
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