Cassino e Montecassino simboli della ricostruzione

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di Fulvio de Angelis*
 foto-06.jpgAlla vigilia del sessantesimo anniversario della consegna della medaglia d’oro alla memoria dell’abate Diamare (avvenuta il 15 febbraio 1953 nell’ambito delle celebrazioni per la nona ricorrenza della distruzione della millenaria badia di Montecassino), pubblichiamo un articolo apparso, per l’occasione, sul giornale «Il Mattino d’Italia» a firma di Fulvio de Angelis. L’autore non si limita a dare un resoconto giornalistico dell’evento ma, con prosa asciutta, senza fronzoli e, al tempo stesso, efficace, dipinge con tratti rapidi e incisivi il rapporto secolare tra la città e l’abbazia, la distruzione di entrambe, la Cassino nel passaggio dalla ricostruzione, oramai in via di completamento, l’avvio di una nuova fase quale quella del­l’industrializzazione, autentica novità per quell’area che si voleva lanciare come punto di raccordo tra settentrione e meridione d’Italia, fino all’atmosfera di profonda commozione generale che permea la cerimonia vera e propria. Infine si precisa che ci siamo permessi, per una migliore fruibilità, di corredare il testo originale con note.

L’alto significato della consegna della medaglia d’oro al v.c. alla memoria dell’Abate Diamare1 che guidò verso la salvezza, dopo il bombardamento dell’Abbazia il dolorante corteo dei profughi.
Cassino, febbraio 1953
Se il 15 febbraio 1944, giorno in cui per ben otto ore consecutive furono rovesciate sulla Abbazia di Montecassino alcune centinaia di tonnellate di esplosivo ad alto potenziale, ci si fosse messo pure il maltempo eccezionale di questo nono anniversario, la catastrofe avrebbe assunto più gravi proporzioni perché le centinaia di persone rifugiate nell’interno dell’Abbazia non avrebbero avuto il coraggio di uscire fuori dalle mura che crollavano. La gente, invece, quel giorno maledetto dagli uomini, si trovò dinanzi un febbraio primaverile e se ne stette in gran parte spaurita tra le rocce sconvolte, nelle buche delle bombe, tra gli alberi che saltavano a pezzi come fuscelli, respirando afrore di fosforo2, con il naso all’aria, a gridare impazzita o a contare gli aeroplani più fastidiosi delle mosche di agosto. Se, ancora, quel giorno, un regista alto seicento metri con un megafono colossale si fosse drizzato in quella modesta piana e con tono seccato avesse detto ai mille cannoni, alle centinaia di mitragliatrici, ai mortai, ai fucili di smetterla per qualche momento ed avesse ordinato agli aeroplani di cambiare rotta per lasciare libertà di espressione solo all’uomo, da quel colle schiacciato, disfatto e polverizzato si sarebbe potuto udire inumano e disordinato il coro angosciato e straziante dei Cassinati con le gambe spezzate, con le braccia a un metro di distanza, con i figli, le madri, i padri, le sorelle, i fratelli supini sul terreno sbiancati in volto senza vita e imbrattati di sangue. La storia di Montecassino e dei Cassinati finisce quel giorno e si trascina per qualche tempo con angosciata miseria per rimanere solo un fatto drammatico. Perché altri uomini hanno affrontato la non lieve fatica di levare di mezzo quell’enorme pozzanghera che era la città distrutta e di cancellare le rovine dell’Abbazia per far riprendere ad entrambe un posto nel mondo.
A nove anni di distanza
A nove anni di distanza, guardavamo la nuova città mentre, tra i fulmini e gli spietati rovesci d’acqua l’auto del cortese ospite, l’industriale Benedetto Malatesta, s’inerpicava per la ripida strada che portava all’Abbazia. Cassino, dall’alto, oggi fa piacere a guardarla. Non offre più l’impressione di un affrettato immenso cantiere di lavoro, non è più caotica nella sua topografia. È una cittadina nuova, ordinata, con le sue strade ben definite, con le sue case linde, con il complesso degli edifici pubblici poderosi, con un grande ospedale che servirà tutto il Cassinate, con le opere di sistemazione idrica a buon punto, con le sue industrie.
Le industrie per Cassino sono state una novità. Il vice sindaco della Città, professore Pietro Malatesta3, indicando i vari complessi industriali, il loro stato attuale e la loro possibilità di sviluppo, ci spiegava le enormi difficoltà che erano state superate dalla ferrea volontà del Sindaco di Cassino, Senatore Pier Carlo Restagno4.
Le industrie per Cassino rappresentavano una questione di vita o di morte. Cassino non poteva risorgere sulla base economica su cui si era mal retta fino agli anni della guerra. L’agricoltura era andata a rotoli, la vita decadeva di giorno in giorno. Era necessario far uscire la Città da quello stadio di depressione economica e provvedere in tempo all’assorbimento della mano d’opera che, alla fine della ricostruzione, si sarebbe trovata senza occupazione. Nello stesso tempo occorreva lanciarla come trampolino del nord verso il sud in modo da farle riprendere pian piano e senza intoppi quella funzione che effettivamente aveva esercitato in un tempo molto lontano. Tutto questo è stato in gran parte fatto.
Le montagne portano sui loro fianchi i segni dell’uomo che costruisce condotte d’acqua per le grandi centrali elettriche, il terreno, in altra zona, è stato adibito a vivaio forestale, sarà il più grande vivaio d’Italia, Cassino potrà mettere fuori dalle sue industrie i cuscinetti a sfera, i tubi fluorescenti, la carta, manufatti in falegnameria, ceramiche e prodotti della terra secondo un criterio più razionale. Cassino ormai lanciata su questa strada raggiungerà ben presto quel traguardo che il Governo desidera farle conseguire. Non sembra, diceva il professore Malatesta, che Cassino e Montecassino rappresentino il simbolo della ricostruzione della nostra Patria?
Montecassino, per gli italiani e per gli stranieri, prima della distruzione era una sosta obbligatoria negli itinerari turistici. Operai e professionisti, donne colte ed umili vecchiette non tralasciavano di andare almeno una volta nella loro vita a Montecassino. Processioni di gente, venute a piedi dagli Abruzzi, si recavano salmodiando guidati da una croce di legno su per quegli aspri tratturi che già erano stati battuti dal piede di San Benedetto. Tutti restavano abbacinati da quel trionfo di mosaici, di architetture, di opere di scultura lignea e in marmo, dagli affreschi, dagli olivi, dai boschi di lecci e di querce, dai corvi che saltellavano nella pace dei chiostri, dalle voci dei cantori, la famosa cantoria di Don Mariano, dalla compostezza e dalla signorilità dei monaci. Tutti a Montecassino trovavano ospitalità nel senso più largo della parola e tutti ne scendevano lieti con una punta di nostalgia. Per i Cassinati, poi, Montecassino, era qualcosa di più: era un bonario e paterno protettore. Gli studenti ci andavano per studiare e per trattenersi qualche giorno con i monaci in dotte conversazioni e per consultarvi libri rari, i perseguitati dalla sorte raggiungevano a piedi l’Abbazia e non ne scendevano mai a mani vuote, erano sovvenzioni, era la dote data alla sposa che non poteva andare a nozze per mancanza di mezzi, erano sussidi concessi a chi doveva studiare. L’abate Gregorio Diamare fu tra gli abati di Montecassino quello tra i più ligi alle regole di San Benedetto. Dotto, democratico e nello stesso tempo signorile nel gesto si umiliava agli umili. A Cassino aveva il palazzo abbaziale ove tramite il suo segretario particolare, don Oderisio Graziosi, svolgeva una larga assistenza a favore dei bisognosi. A Montecassino, allora, i Cassinati ci si sentivano come in casa. Perciò quando seppero che il Governo italiano aveva deciso di offrire alla memoria di «Don Gregorio» la medaglia d’oro al valor civile e che questa medaglia sarebbe stata consegnata da S.E. Giuseppe Spataro5 nelle degne mani del successore sul soglio di Benedetto, l’abate Ildefonso Rea6, proprio nel nono anniversario della distruzione di Montecassino, tutti i Cassinati stettero a guardare la cima del colle con la nuova Abbazia in gran parte ricostruita. Pioveva su Cassino e nubi fosche nascondevano ai Cassinati il loro monte.
La medaglia d’oro al valor civile
La cerimonia fu intima: in una semplice ed austera sala dell’Abbazia. La ieratica figura dell’abate Ildefonso Rea e ventiquattro monaci benedettini. Ancora gli abati di San Paolo di Roma, mons. Vannucci e di Cava dei Tirreni, mons. De Caro. Il Ministro Spataro, presenti gli on.li Cerica, Jervolino7, Palma, il prof. Malatesta, altre autorità e un ristrettissimo numero di intervenuti, dopo averne letto la motivazione8, consegnò la medaglia d’oro al valor civile alla memoria dell’abate Gregorio Diamare al suo successore, abate Ildefonso Rea. Poi il ministro Spataro pronunciò un’orazione con quello slancio e quella commozione che poteva dargli il fatto di essere stato uno tra i più diligenti allievi di quel nobile Collegio. E a sua volta l’abate Rea si rese interprete dei sentimenti dell’Ordine e dei presenti. Più tardi a Cassino, in una sala cinematografica, i Cassinati resero omaggio al loro abate Diamare. Parlarono il vice sindaco prof. Malatesta, l’on. Jervolino, l’assessore alla Provincia prof. Angelo Gaetani9. Di lì a poco fu scoperta una lapide di marmo sulla facciata della Chiesa di Sant’Antonio. In mattinata, nella medesima chiesa, i Cassinati avevano onorato i morti del bombardamento del 15 febbraio 1944 facendo celebrare un servizio funebre.
Le lacrime del Sindaco
La Cripta di San Benedetto era ed è rimasta l’anima dell’Abbazia. Ma le bianche candele non potranno più riverberarsi in quei magici mosaici che oramai avevano acquisito le marezzature del tempo. I sarcofaghi dei Santi Benedetto e Scolastica non sono più quelli di una volta, i loro simulacri in prezioso legno del Libano si sono dissolti. E così le pareti che conoscevano la paziente ed ingegnosa mano dell’uomo, i suoi sogni, le sue idee mistiche tradotte in marmo con la dura e intelligente opera dello scalpello. Dalla cripta venivano fuori un tempo i canti gregoriani. La cripta di San Benedetto faceva abbassare la testa ai contadini ed ai potenti per la sua maestà che non tollerava esclamazioni di stupore. Il marmo era freddo e gli echi erano rumorosi. Ora, nella medesima Cripta, a nove anni di distanza dal giorno in cui fu sconvolta, erano presenti l’abate Rea, i monaci tutti in composta umiltà, ligi alle regole del rito. Si ricordavano i morti del 15 febbraio proprio in quelle ore tremende in cui l’Abbazia fu polverizzata. Don Mariano, solo all’armonium, alto, compassato, senza la sua scuola, i monaci con i segni del passato sul volto, l’abate Rea commosso. Oltre ai rappresentanti del Governo una piccola folla anonima che aveva lasciato pezzi del suo sangue e della sua carne lassù quel giorno dannato. Scialli e pezzuole nere sulle teste e lacrime represse. C’era un signore nobile d’aspetto, dalla larga chioma tempestata di bianco, raccolto in una severa compunzione. Dinanzi ai suoi occhi erano ancora le rovine di Cassino e quelle dell’Abbazia, le sue nari sentivano ancora la putredine dei cadaveri, i suoi muscoli facciali ancora fremevano per le mille difficoltà che aveva dovuto vincere e gli ardui ostacoli che aveva dovuto superare. Dinanzi alle sue pupille sfilavano uomini e donne stremati dalla malaria perniciosa, madri che dovevano rintracciare figli, passavano barelle dirette a qualche raro posto di soccorso – le mine! le mine! -, si ergeva spettrale una città disfatta. L’avvocato Gaetano Di Biasio10 primo Sindaco di Cassino distrutta, piangeva.


* Astigiano di nascita, cassinate d’adozione (1921-1971), in gioventù aveva frequentato il Liceo classico «G. Carducci». Dopo i primi bombardamenti della città si rifugiò con la famiglia nella masseria «La Valletta» nei pressi del monastero, poi a S. Onofrio, per tenersi entro i 300 metri dalle mura dall’abbazia, quindi nella «conigliera» di Montecassino, registrando su un taccuino gli avvenimenti più salienti (lo stralcio di alcune di quelle note sono state pubblicate in F. Avagliano, Il bombardamento di Montecassino. Diario di guerra, Pubblicazioni Cassinesi, Montecassino 1997, pp. 144-156). Scampato alla distruzione di quel 15 febbraio, dopo breve ma sofferta diaspora, trovò nel napoletano la sua definitiva sistemazione. Laureatosi in giurisprudenza iniziò l’attività di pubblicista, redattore del giornale il «Mattino» di Napoli e poi del periodico torrese «Il Foglio», e quindi fu dirigente del Comune di Torre del Greco (si ringrazia Italo de Angelis per la copia dell’articolo e per le notizie biografiche del fratello).
1 D. Gregorio (al secolo Vito) Diamare (1865-1945), divenuto abate di Montecassino nel 1909, fu consacrato vescovo titolare di Costanza d’Arabia nel 1928 e nel 1934 fu nominato «Assistente al soglio pontificio». Già fortemente attivo negli anni della grande guerra, fornendo sostegno e assistenza «alle famiglie bisognose e prive dell’aiuto de’ loro giovani» impegnati al fronte, anche nel corso del secondo conflitto mondiale si prodigò in difesa della popolazione locale e a partire dal 10 settembre 1943 accolse nel monastero numerosi profughi, salvaguardandoli «da soprusi e angherie». Quando si vide costretto ad allontanare i monaci da Montecassino, rimase «con soli cinque padri e cinque fratelli nel sotterraneo» dell’abbazia, conducendo una «vita dura e di stenti per oltre cinque mesi», fino alla distruzione del monastero (F. Avagliano, a cura di, Gregorio Diamare abate di Montecassino 1909-1945, Archivio Storico di Montecassino, Montecassino 2005, pp. 54-74).
2 Nelle sue Memorie di guerra, Fulvio de Angelis ricorda, accanto alle «migliaia di fiammelle somiglianti ai fuochi di S. Vito», quest’odore acre e penetrante caratteristico delle centinaia di bombe al fosforo sganciate sull’abbazia. Al termine della terza ondata di bombardamenti aveva cercato, con i suoi familiari (oltretutto in lutto per la morte, una settimana prima, del capofamiglia), di mettersi in salvo, ma era stato costretto a far ritorno alla conigliera. Solo nella notte tra il 15 e il 16 poté lasciare le macerie di Montecassino. Scese, attraverso S. Rachisio e la Pietà, fino alla Casilina e quindi raggiunse Roma (F. Avagliano, Il bombardamento di Montecassino … cit., pp. 155-156).

3 Docente di Lettere (1919-1987), era vicesindaco di Cassino dal 1949. Fu poi sindaco della «città martire» dal 2 luglio 1958 all’11 aprile 1961. Fu anche consigliere provinciale dal 1960 al 1964, assessore e poi presidente dell’Amministrazione provinciale di Frosinone nel biennio 1961-1963.
4 Bancario e politico torinese (1898-1966), segretario amministrativo nazionale della Democrazia cristiana, eletto all’Assemblea Costituente, sottosegretario ai Lavori pubblici nel II governo De Gasperi, venne inviato a Cassino a sovrintendere la fase della ricostruzione della «città martire» in particolare e del Lazio meridionale in generale. Eletto il 18 aprile 1948 sia alla Camera dei deputati che al Senato nel collegio Sora-Cassino, optò per quest’ultimo ramo del Parlamento in cui fu riconfermato anche per la II, III e IV legislatura. Fu sindaco di Cassino dal 29 maggio 1949 fino alla primavera del 1958 quando si dimise per incompatibilità con il mandato parlamentare in quanto la «città martire» aveva superato i ventimila abitanti. Il sen. Restagno quel 15 febbraio 1953 non poté presenziare alla cerimonia, trattenuto a Torino da un lutto familiare.
5Avvocato abruzzese (1897-1979), ex-allievo del Collegio benedettino e compagno di studi dell’abate Rea, eletto all’Assemblea Costituente e alla Camera dei deputati per la I, II e III legislatura repubblicana e al Senato per la IV, V e VI legislatura sempre con la DC, era ministro delle Poste e Telecomunicazioni del VII governo De Gasperi. Diresse poi i dicasteri della Marina mercantile, dei Lavori Pubblici, dell’Interno e dei Trasporti. Il 15 marzo 1945 aveva presenziato a Cassino alla cerimonia per il primo anniversario della distruzione, proseguita poi a Montecassino.
6 Ildefonso Rea, originario di Arpino (1896-1971), professo dell’ordine benedettino dal 1915, nel 1929 fu eletto abate della Santissima Trinità di Cava dei Tirreni. Il 27 maggio 1944, dieci giorni dopo la conquista di Montecassino e lo sfondamento della «Linea Gustav», fu inviato a visitare e presenziare le rovine dell’abbazia. Alla fine del 1945 successe all’abate Diamare, nel frattempo deceduto, spendendo la sua opera per la ricostruzione del monastero, iniziata, sul piano pratico, il 1° aprile 1949, secondo un progetto sintetizzato nella formula «dov’era, com’era». Quindi l’8 settembre 1952 la comunità cassinese poté tornare nella sua sede mentre nel 1957 fu riaperto il collegio laicale, affiancando il seminario diocesano, finché il 24 ottobre 1964 papa Paolo VI riconsacrò la ricostruita basilica cassinese. Per la sua infaticabile opera d. Ildefonso Rea, che nel 1963 venne nominato vescovo di Corone, è ricordato come l’abate ricostruttore, huius loci restitutor.
7 Angelo Jervolino, avvocato napoletano (1890-1985), tra i fondatori del Partito popolare e poi della DC, eletto nell’Assemblea Costituente, alla Camera dei deputati per la I e II legislatura e al Senato per la III e IV legislatura, fu più volte sottosegretario e ministro (delle Poste e Telecomunicazioni, della Marina mercantile, della Sanità dei Trasporti, mentre nel 1951 fu nominato ambasciatore straordinario in Brasile). Immediatamente dopo lo sfondamento della «Linea Gustav» aveva accompagnato d. Ildefonso Rea alle rovine del monastero.
8 La medaglia d’oro al valor civile era stata conferita a mons. Diamare con decreto del Presidente della Repubblica del 5 marzo 1951 mentre la motivazione fu pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, n. 92, del 21 aprile 1951: «Luminosa figura di sacerdote, confermava durante le lunghe e sanguinose vicende belliche svoltesi nei pressi dell’Abbazia di Montecassino i suoi elevati sentimenti di carità cristiana, più volte affrontando, con esemplare fermezza ed indomito coraggio, la morte, pur di apportare la Sua parola di Fede ed il Suo soccorso in favore di tutti coloro che, rifugiatisi nell’Abbazia, invocavano la sua paterna protezione. Unica Autorità rimasta sul posto, interveniva ripetutamente e con energia presso il Comando militare tedesco, ottenendo il rilascio di numerose persone che, prelevate come ostaggio, erano state condannate a morte ed evitando la distruzione, disposta in segno di rappresaglia, di alcune località abitate. Dopo aver posto in salvo innumerevoli tesori d’arte depositati nell’Abbazia, riconosciuta l’inutilità dei suoi sforzi diretti a preservare dalla distruzione l’insigne Monumento, decideva di allontanarsene ed, attraversata la linea del fuoco profonda circa 20 Km, alla testa di un corteo di donne, malati e feriti, riusciva, tra l’infuriare della battaglia, a potare tutti alla salvezza».
9 Originario di S. Maria Capua Vetere (1905-1970), docente di Lettere e poi preside della Scuola Media «Diamare» e del Liceo classico «Carducci», fu anche consigliere comunale di Cassino, componente del Consiglio scolastico provinciale di Frosinone, presidente della Giunta diocesana di Azione Cattolica. Eletto al Consiglio provinciale nel 1952, riconfermato nel 1956, ricoprì la carica di assessore alla Pubblica Istruzione in tutti e due i mandati. Fu autore, fra l’altro, di studi letterari (Introduzione e note all’Eneide e alle Georgiche di Virgilio nella traduzione esametrica offerta da Gaetano Di Biasio) e biografici (L’abate mons. Gregorio Diamare, educatore della gioventù cassinate, Tip. dell’Abbazia di Casamari, Casamari 1966; Caio Fuzio Pinchera sindaco di Cassino dal 1909, ora in «Studi Cassinati», anno IV, nn. 1-2, gennaio-giugno 2004) e di poesie e novelle (Voci di un’anima: novelle e versi, M. Pisani, Isola del Liri 1972).10 Avvocato, letterato e amministratore comunale (1877-1959) era stato sindaco di Cassino dal luglio 1944 all’ottobre 1946, per decreto prefettizio, e poi fino al 22 giugno 1948 eletto dal ricostituito Consiglio comunale. Fu, dunque, il primo sindaco della ricostruzione di Cassino che, fin dalle primissime richieste e istanze inviate alle autorità del tempo alla ricerca di aiuti e soccorsi per i suoi concittadini, iniziò a definire «Città sacrificata» e a denominarla «Città martire». Inoltre si fece carico delle questioni e dei problemi del territorio circostante creando l’Associazione dei Comuni dalle Mainarde al mare, uniti dal suo motto «una croce – una voce».

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