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Nello stesso periodo, per coincidenza, la casa editrice Sellerio ha riportato nelle librerie l’opera di Dante Troisi “Diario di un giudice”, scritta nel 1955, la quale vede raccontate storie giudiziarie e riflessioni personali fatte dall’allora giudice Dante Troisi nella città C., identificata in Cassino, città nella quale ha lavorato negli anni successivi al secondo conflitto mondiale. Il libro, nonostante i quasi sessanta anni, ha una particolare attinenza con i nostri giorni, forse perché anche questi possono essere assimilati, per alcuni aspetti, ad anni di ricostruzione.
Il legame tra questi due eventi si puó trovare anche perché parte non marginale della riflessione di Troisi trova il suo apice nel confronto tra l’opera del giudice e quella del monaco. E poi perché il Troisi uomo, magistrato e letterato conserva a Cassino ancora un bel ricordo, come riferitomi dal direttore Pistilli1.
Dante Troisi nacque nel 1920 a Tufo in provincia di Avellino, esercitò la professione di magistrato dal 1947 al 1974, anno delle sue dimissioni, è stato autore di molti libri tra i quali “L’odore dei cattolici” del 1963 che gli valse la finale del premio Strega, “L’inquisitore dell’interno 16” (finalista del Campiello nel 1986) e quel “Diario di un giudice” che gli costò una condanna disciplinare da parte della Magistratura. Troisi morì a Roma nel 1989.
Le storie raccontate (attraverso un diario nel quale sono segnati genericamente solo i giorni della settimana), le riflessioni sulla giustizia e sulla vita privata, risentono in maniera importante di ciò che era una piccola città distrutta dalla II guerra mondiale che pian piano stava riemergendo dalle macerie; macerie non solo materiali e scorie che non potevano non irradiare comportamenti violenti.
Troisi consegna, nelle sue pagine, anche un doppio registro che Guido Vitiello (sul Corriere della Sera del 25 marzo scorso) ben riporta nella sua recensione, cioè quello del ruolo del giudice che incrocia e confronta la propria azione con i monaci dell’abbazia cassinese.
Così scrive Troisi: “Siamo allo stesso modo dei monaci del convento situato sulla collina, che aspettano la gente andare a pentirsi; e come questi conoscono la città dalle voci del confessionale, così noi vediamo solo momenti della vita che ci scorre intorno”. E chiude, segnando una domenica, così la sua raccolta di pensieri:“E ora basta con il diario. Sono come il cattolico che segna i digiuni, le elemosine e quante ore ha portato il cilicio. Ho la vocazione a fare il giudice. Mi sono agitato per negarlo, ma in questa professione ho il migliore rifugio, la difesa più sicura”.
Nella nota conclusiva, infine, Andrea Camilleri ricorda come lo scrittore Troisi avesse trovato attenzione e ospitalità in letterati come Mario Pannunzio ed Elio Vittorini. E ne ripercorre soprattutto la vicenda giudiziaria e i legami con figure alte della storia della giurisprudenza italiana, come Pietro Calamandrei, Alessandro Galante Garrone e Vittorio Bachelet.
Storia nella quale, ci rammenta la ristampa di Sellerio, Dante Troisi merita un giusto tributo.
1 Le considerazioni di Emilio Pistilli mi hanno spinto a questa riflessione (e a un approfondimento sulla figura di Troisi) che in diverse parti è stata pubblicata il 5 maggio 2012 nella sezione Cultura dell’agenzia di stampa Zenit.
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