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Il primo che leggiamo, di Giovanni D’Orefice, ci presenta il Museo Archeologico di Aquino, che da alcuni anni è ben radicato nel nostro territorio e in cui sono raccolti oggetti provenienti da Aquinum e dal suo agro. Vi sono reperti che coprono un periodo molto ampio, che va dalla preistoria ai nostri giorni.
Il terzo numero del bollettino è quasi interamente dedicato all’archeologia. S’inizia con la presentazione, a cura di Emilio Pistilli, del “Giornale di scavo” di Gianfilippo Carettoni (a cui è stato intitolato il Museo Archeologico Nazionale di Cassino). Dopo una presentazione della vita e delle opere dell’archeologo, e dopo una lettura di alcuni appunti degli anni 1934 e 1936 tratti dal quaderno dell’allora custode Gaetano Fardelli, il “Giornale” di Carettoni, scritto in modo lineare e meticoloso, ci fa quasi “assistere” agli scavi del teatro. Seguono “Alcune considerazioni” sul “Giornale di scavo” a firma di Massimiliano Valenti, che mettono in risalto l’ottimo lavoro di scavo eseguito dall’archeologo romano. Chiudono il bollettino un articolo di Alberto Mangiante e Sergio Saragosa su alcuni tratti, finora ancora sconosciuti, dei resti dell’acquedotto romano di Casinum rinvenuti recentemente nei pressi di Caira.
Nel n. 2 anno II, Maurizio Zambardi pubblica un articolo sulla scoperta, avvenuta a S. Pietro Infine, dei resti dell’acquedotto romano di “ad Flexum”. Dell’esistenza dell’acquedotto, come dice l’autore, si è sempre saputo in quanto in passato ne sono state ritrovate alcune tracce, e, grazie a dei lavori di sistemazione nei pressi della fonte di Maria SS dell’Acqua, ultimamente è venuto alla luce un lungo tratto del manufatto consistente in un cunicolo di circa 9 metri di lunghezza, e, dice l’autore, probabilmente risalente al II o I secolo a. C.
Nel bollettino seguente, ancora Maurizio Zambardi c’informa di altri rinvenimenti archeologici fatti nel luogo dove sorgeva “ad Flexum”, in particolare, oltre a vari muri di abitazione, i resti di una fornace di forma circolare. Un rinvenimento che arricchisce ancora di più la conoscenza di questa località romana, dove dalla Via Latina, che andava in direzione di Capua, si staccava la strada che conduceva a Venafro ed oltre.
Interessante, poi, l’articolo di Silvano Tanzilli, attuale direttore del Museo Archeologico di Cassino, sulla statua, definita “dell’eroe”, ora presso il Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Rinvenuta durante gli scavi eseguiti nel 1936 da Carettoni e portata allora a Napoli, l’originale non è più ritornato a Cassino, ma soltanto una copia. E sembra che qui non tornerà più, a meno di qualche “miracolo”.
Sempre di Tanzilli, ma in collaborazione con Alessandro Cassatella, leggiamo un breve ma molto interessante articolo sul ritrovamento di alcune tombe lungo la Via Latina Nova, in direzione di Aquinum, a qualche centinaia di metri da Casinum. Da notare che alcune tombe sono di bambini. Il tutto risalente ad un periodo compreso tra fine repubblica ed inizio impero, ma il sito continuerà a servire come necropoli anche nel periodo successivo e ci mostra l’evoluzione dal rito di incinerazione a quello di inumazione.
In un ampio articolo di Giovanni Petrucci, apparso nel numero del bollettino anno III n.2, leggiamo della scoperta di alcuni ponti romani che servivano la strada che da Casinum conduceva ad Atina, strada in uso, quasi interamente e meglio sistemata, fino ad alcuni decenni or sono. È la cosiddetta Via Sferracavalli, nome prettamente medievale. L’articolo è accompagnato da molte fotografie e grafici, che ben documentano la bontà e la validità dello scritto.
Di un interessante oggetto si occupa Giovanni Murro nel bollettino n. 3 del 2003: si tratta di un frammento di meridiana romana in travertino, in altre parole di una orologio solare, rinvenuto ad Aquinum. Siccome Antonio Giannetti, nel 1986, aveva pubblicato un altro frammento rinvenuto inlocalità “San Pietro Vetere” e cioè nel centro urbano di questa città, l’articolista avanza l’ipotesi che i due frammenti facciano parte della stessa meridiana. Il frammento che esamina Giovanni Murro è conservato nel Museo di Aquino, mentre del secondo si sono perse le tracce.
Nel numero successivo del bollettino, Nicola Severino riprende il discorso sulle meridiane romane e ci spiega come esse erano fatte e a che servivano. Dopo una brevissima storia delle meridiane, l’autore prendere in esame l’articolo precedente di Giovanni Murro, ma non ne condivide le ipotesi, e inoltre ci descrive altre due meridiane, una conservata nel Museo Archeologico di Velletri e l’altra ritrovata a Stabiae.
Molto interessante, poi, l’articolo di Giovanni D’Orefice riguardante gli scavi del sepolcreto di S. Biagio Saracinisco. Gli scavi della necropoli, fatti in più fasi ed iniziati subito dopo la fine della seconda guerra mondiale, grazie a lavori di sminamento della zona, hanno permesso di ritrovare moltissime tombe, datate dagli esperti al IV-III secolo a. C. e contenenti defunti di origine sannitica, prevalentemente di sesso maschile. Il corredo funerario è costituito da vasetti in terracotta, fibule, lance e giavellotti, e non mancano frammenti di vasi costosi, tra i quali qualcuno in bucchero.
Nel I numero del 2004, leggiamo un articolo (in verità una comunicazione) scritto a “quattro mani” (Tanzilli, Cassatella, Bazzucchi e Lezzi) riguardante alcune tombe romane ritrovate in località “Agnone” di Cassino, la zona che si trova immediatamente a sud della stazione ferroviaria, luogo in cui sorgeva la villa di Varrone, o meglio le varie costruzioni che costituivano la villa. È, questa, una zona molto prodiga di rinvenimenti archeologici, fatti a più riprese, ad iniziare da quelli fatti da Ponari nell’Ottocento. Ma è la zona posta ai due lati della superstrada quella che ultimamente, a partire dagli anni ’70 del secolo scorso, ci ha restituito più reperti, così come quella compresa tra il fiume e la strada per S. Angelo in Theodice, nei pressi del ponte ferroviario. Considerando tutti i rinvenimenti fatti finora, ci si è fatta l’idea, ormai certa, della presenza, in questa località, di un pagus, costruito in varie fasi dopo il periodo varroniano e protrattosi fino alla fine dell’Impero.
Seguono due articoli di epigrafia, il primo di Giovanni Petrucci ed il secondo di Emilio Pistilli. Si tratta del rinvenimento di un’epigrafe e una nuova lettura di una seconda. La prima è stata ritrovata in località “Prepoie”, tra Valleluce e Belmonte e potrebbe essere la “Petra scripta” riportata nella donazione di Gisulfo II e che costituiva uno dei punti del confine dei possedimenti di Montecassino. La seconda, rinvenuta nell’800 non lontano dal teatro romano ma non in situ secondo il parere di Ponari, oggi la possiamo vedere in Piazza Labriola a Cassino. Ma il fatto veramente sorprendente è che entrambe riportano esattamente lo stesso testo. L’ipotesi, molto probabile, che fa Pistilli, è che la prima sia stata posta quasi all’inizio dell’acquedotto, mentre la seconda segni la fine di esso, nell’abitato di Casinum.
Nel numero successivo, Silvano Tanzilli pubblica un articolo riguardante nuove scoperte fatte riguardanti una domus romana, venuta alla luce dopo il crollo accidentale di un muretto che costeggia la statale per Montecassino, a circa cento metri dopo la prima curva della strada. Sono stati riportati alla luce una tubazione di scarico, un tratto di muro, l’angolo di un ambiente interno con relativa pavimentazione della domus. Così si arricchisce sempre più la conoscenza topografica di Casinum.
Di una nuova scoperta leggiamo nel n. 4 del 2006. Si tratta di un rinvenimento fatto da Giovanna Rita Bellini, della Soprintendenza Archeologica di Roma, consistente in una cisterna romana in Piazza Garibaldi ad Atina situata a 5 m. sotto il terreno attuale. Il manufatto, di forma circolare, ha la muratura perimetrale formata da blocchi calcarei, con il fondo pavimentato da tegoloni di terracotta. Certamente è un castellum aquae, da dove si dipartivano delle condutture che portavano l’acqua ad abitazioni circostanti. Il tutto risale al I sec. a. C.
Nello stesso numero del Bollettino, Maurizio Zambardi c’informa, con un ampio articolo, della scoperta di alcuni tratti di mura fatti con grandi blocchi di pietra rinvenuti su Monte Santa Croce a Venafro. Grazie ai grafici che l’autore ci mostra, possiamo avere un’esatta idea dell’andamento delle mura e degli spazi in esse racchiusi. Queste mura vanno da una quota di 500 m. fino ai 1000. Il tutto risalirebbe al periodo sannitico. Nell’ultimo grafico possiamo vedere tracce dell’opera continuata in periodo romano, che, scendendo ancora più a valle, in seguito hanno racchiuso la città di Venafrum. Scoperte, queste, che contribuiscono ad una conoscenza sempre più completa della topografia antica della zona in questione.
Nel I numero del 2008, di nuovo Maurizio Zambardi ci propone un breve articolo su una scoperta fatta a San Pietro Infine, nell’antico sito di ad Flexum. L’autore ha rinvenuto un frammento di un miliare. L’importanza di esso è che vi è inciso ciò che resta di un’epigrafe inedita. Vi è riportato il nome dell’imperatore Massenzio ed il numero 95, che indica la distanza in miglia da Roma. Sappiamo che in questa località la Via Latina si divideva in due tratti, l’uno andava a Venafrum e l’altro a Teanum e Capua.
Nel numero successivo del bollettino, a firma di Costantino Jadecola, leggiamo un articolo che riguarda il ritrovamento di qualcosa di veramente eccezionale. Si tratta di un letto funerario rifinito con ossi lavorati proveniente da una tomba scavata dalla Soprintendenza Archeologica di Roma nei pressi dell’area di servizio Casilina Est dell’autostrada Roma-Napoli. Il letto è di notevole bellezza, specialmente nelle gambe, ricoperte da decorazioni che rappresentano delle figure alate, e, sopra le gambe, dei fulcra. Sul letto era adagiato uno scheletro femminile. È, questa, una zona in cui sono state rinvenute molte decine di tombe a camera contenenti oggetti dei più svariati: balsamari, specchi in bronzo, lucerne, pedine in pasta vitrea, strigili in ferro, pesi fittili, monete, ceramica di varia qualità.
Il numero 4 del 2008 ospita un articolo di Filippo Coarelli. Il suo articolo “Varrone e Cassino”, breve, conciso e compendioso, viene a “rivoluzionare” tutto quello che fino ad ora abbiamo imparato su Casinum. L’archeologo tende a retrodatare tutti i grandi manufatti della città romana alla prima metà del I sec. a. C. In particolare, il teatro a prima del 49 a. C., in quanto la sua pianta è diversa dal modello vitruviano ed è paragonabile a quella del teatro di Pompeo a Roma costruito tra il 61 e il 55 a. C., ed anche per la diversa edilizia utilizzata. Inoltre, sempre secondo Coarelli, un frammento di epigrafe (patronus praefecturae) ci indica che a costruire il teatro (e forse anche l’anfiteatro) è stato un prefetto (certamente Varrone), quando la città era ancora una prefettura, prima della sua trasformazione in municipio e poi in colonia. Quindi il periodo è la metà del I secolo a. C.
Sempre secondo Coarelli, la famosa statua cosiddetta “eroe di Cassino” (anch’essa della metà del I sec. a. C.) raffigurerebbe Varrone, un tipo di statua risalente “ad un simulacro lisippeo di Poseidon riutilizzato per immagini eroiche di sovrani ellenici”.
Per quanto riguarda l’anfiteatro, sempre secondo Coarelli, dalle epigrafi risulterebbe che Ummidia Quadratilla si sarebbe limitata a far realizzare soltanto le gradinate di pietra, mentre la costruzione dell’edifico sarebbe da datare ad età tardo-repubblicana.
Prendendo in esame il cosiddetto mausoleo di Ummidia Quadratilla, Coarelli sarebbe del parere di considerarlo come tomba di Varrone, per il fatto che esso è costruito all’interno del pomerio, quindi da attribuire ad un personaggio veramente eccezionale. Inoltre il modello cruciforme e a blocchi, con cupola centrale inserita in un cilindro, rammenta l’ideologia neopitagorica, di cui Varrone era adepto. Le tre grandi nicchie dovevano ospitare dei sarcofagi e sappiamo da Plinio il Vecchio che Varrone preferì farsi seppellire in un sarcofago di terracotta e non essere cremato, metodo che l’ideologia neopitagorica proibiva.
Come dicevo prima, sono, queste, delle assolute novità e direi anche “rivoluzionarie”, un po’ difficili da accettare subito, anche se sono argomentazioni di uno dei nostri più grandi archeologi.
Nel n. 2 del 2009 Maurizio Fora ci propone una nuova interpretazione di un’epigrafe già studiata da Carettoni. Essa, formata da tre frammenti (più da un altro, ma che sembra far parte di un’altra iscrizione, per la diversità delle lettere), ci informa che Ummidia fece restaurare il teatro che era in rovina, che ci fu una distribuzione al popolo di cibo e di denaro e che probabilmente fu fatto costruire un settore dedicato soltanto alle donne. Epigrafe databile alla fine del I secolo d. C.
Segue un piccolo articolo di chi scrive. In esso si fa l’ipotesi che la porta meridionale di Casinum (quella che attualmente è nota come “Porta Romana”), almeno intorno al 222-235 d. C. si chiamasse “Porta Aquinatis”, perché rivolta verso il territorio di Aquinum. Ciò si dedurrebbe dall’epigrafe CIL, X, 5175, rinvenuta nel 1746 “in agro Casinati in diruta ecclesia Sanctae Luciae nel campo del sig. Brocchi in agro di Casino”, in cui si dovrebbe leggere “portam Aquinatis” e non “portum Aquinatis”. Non avrebbe senso collocare nel territorio di Casinum un’iscrizione riguardante Aquinum. Da tener presente che l’epigrafe è scomparsa da molto tempo. Cadrebbe così l’ipotesi che ad Aquinum ci fosse stato un porto, come sempre supposto, ipotesi derivata dalla probabile errata lettura dell’epigrafe in questione.
In un articolo senza firma, pubblicato sul successivo bollettino, leggiamo di recenti scavi effettuati nei pressi del cosiddetto “ Ninfeo Ponari” di Cassino, a cura della dott. Laura Coletti. È stato portato alla luce un muro di sostruzione posto a Sud-Ovest del detto ninfeo che probabilmente è testimonianza di un ambiente della domus precedentemente identificata, di cui il ninfeo faceva parte integrante.
Più sopra si è parlato delle nuove ipotesi di Coarelli riguardanti varie costruzioni di Casinum. Come già detto, egli tende a retrodatare questi manufatti. Non si è fatta attendere la risposta all’archeologo, a firma di Alessandro Betori e Silvano Tanzilli, nel n. 4 del 2009 del bollettino del CDSC, i quali, pur rispettando il parere di Coarelli, tendono a riprendere le ipotesi fatte prima dell’intervento di quest’ultimo. Varrone non avrebbe avuto legami così forti da spingerlo ad intervenire così dispendiosamente in favore di Casinum. La datazione del teatro è riportata da Patrizio Pensabene al periodo augusteo, anche visti i risultati di scavi molto recenti. La tipologia dell’anfiteatro copre un periodo di tempo che va dal 70 a. C. fino alla piena età imperiale. La c.d. Tomba di Ummidia, Quadratilla, sempre secondo i due autori dell’articolo, risulta perfettamente allineata sia all’asse urbano da identificarsi ipoteticamente con il tratto urbano della Via Latina, sia con gli altri due tratti viari posti, l’uno ai piedi del Teatro (del periodo augusteo), l’altro a monte dello stesso. Per gli autori dell’articolo, quindi, il tutto è da attribuire ad un solo piano urbanistico della città e precisamente a quello augusteo, in linea generale.
Nel n. 3 del 2010 del bollettino leggiamo, a cura di Emilio Pistilli, un articolo in cui l’autore mette in rilievo i punti salienti della descrizione che Varrone fa della sua villa. Nel 2001 degli scavi archeologici, ma è meglio parlare di sondaggi, eseguiti dalla Soprintendenza, hanno interessato una vasta zona di terreno, posta sulla destra del fiume Gari, mettendo in luce la parte superiore di lunghi e numerosi muri, che mostrano la vastità dei resti archeologici, evidenziando tracce di molti ambienti. Tutto ciò meriterebbe un vero e sistematico scavo.
La parte finale dell’articolo di Pistilli riguarda il problema del fiume Vilneo. L’autore, partendo dal fatto che “da tempo immemorabile” il fiume in questione dai locali così è chiamato, accetta la versione “a Vinio fluvio”, come riportato dal Gattola, nelle sue Accessiones. A sostegno di quanto dice, Pistilli prende in esame anche la vegetazione del luogo, “salix viminalis”, detto volgarmente “vetica”, dal sanscrito “vìtica” (vinchi o vimini) che “ha familiarità glottologica con ‘vinea’ (vigna)”. Inoltre egli cita anche un’epigrafe locale in cui si legge di un certo L.C. Vinius, ed un uomo medievale di nome Petrus de Vinea, rilevato dai Regesti di Tommaso Decano.
Sullo stesso numero ci sono due articoli a firma di Stefania Patriarca. Il primo riguarda la quarta campagna di scavi condotti a Fabrateria Nova, grazie ai quali sono stati riportati alla luce i resti di un grande tempio su podio. Lo scavo ha permesso di individuare l’interno del podio e tracce di basamenti di colonne. Ci si è così accertati che il tempio era circondato su tre lati dallo stesso porticato e che davanti alla cella aveva quattro ordini di colonne su due file. Si tratta quindi di un tempio definito “periptero tetrastilo sine postico”.
Il secondo articolo riguarda due epigrafi inedite rinvenute in località “Pontrinie” di Sora. La prima, dedicata ad un certo “Marco liberto”, è un’urna cineraria che doveva contenere le ceneri del predetto Marco, la seconda è un cippo funerario dedicato probabilmente allo stesso personaggio dell’urna cineraria. Datazione delle epigrafi: prima età augustea – I metà del I sec. d. C.
ERRATA-CORRIGE
Nel titolo dell’articolo di Costantino Jadecola pubblicato sull’ultimo numero di “Studi Cassinati” (Anno XII, n. 2, Aprile-Giugno 2012, p. 165), “A proposito del monumento funebre ad Aurelio Vitto sulla via Casilina a Villa Santa Lucia”, è sfuggito un riferimento al gerarca fascista che con il monumento in questione ha poco o niente a che vedere. Ovvero, esso venne realizzato dai genitori di Vitto per ricordare la sorella di Aurelio, Ida, perita in quel luogo in un incidente stradale.
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