Studi Cassinati, anno 2012, n. 2
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di Annamaria Arciero
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S. Filippo Neri, chi non lo conosce? Il suo motto bonario “ State buoni, se potete”, rivolto ai ragazzi di strada della Roma cinquecentesca, corrotta e pericolosa, è famoso quanto la sua opera di educatore. Fu un prete anticonvenzionale e originalissimo che fondò scuole ed oratori, affollatissimi grazie al suo carisma e alla contagiosa allegria, tanto da meritarsi gli appellativi di “santo della gioia”, “giullare di Dio”, “Pippo buono”, oltre che di “compatrono” di Roma.
Scoprire che S. Filippo Neri è vissuto a S. Germano per circa due anni, che ha respirato la nostra stessa aria non puó che farcelo amare di più.
È documentato che dalla nativa Firenze il padre, il notaio Ser Francesco Neri, lo mandò, diciottenne, a S. Germano, presso uno zio, tal Bartolomeo Romolo Neri, per essere avviato all’arte della mercatura. Lo zio, privo di figli, avrebbe trovato in lui un aiuto e lo avrebbe lasciato erede del commercio e di tutti i suoi beni, tanto più che, essendo morto fanciullo il fratello Antonio, Filippo era l’unico Neri che avrebbe potuto assicurare discendenza alla famiglia. (Se ne puó dedurre che i Neri del Cassinate non siano imparentati col nostro Santo?). La casa dello zio, in cui visse Filippo, è andata distrutta con i bombardamenti del ’44, ma è certo che prima della guerra era un palazzo sito in via Vittorio Emanuele, poi via Napoli, 28, ora via E. De Nicola, un palazzo sorto sull’abitazione dei Neri e ingrandito dalla famiglia Mascioli che, non si sa da quando, lo possedeva1. La nuova casa non conservava purtroppo più nulla delle antiche memorie. I Padri dell’Oratorio di Roma, coadiuvati da quelli di Napoli, avevano avviato delle pratiche presso l’Abate di Montecassino per ottenere dal Mascioli la concessione di tale camera, al fine di ridurla a chiesetta da dedicare al Santo. Ma gli avvenimenti politici del 1860 avevano fatto saltare il progetto. C’era però, in onore del Santo e fatta erigere dal proprietario, una cappella al di sopra della stanza dove dormiva Filippo, al secondo piano, stanza che ai tempi di Filippo non esisteva certo. Per riverenza e devozione, la signora Mascioli, consorte del gr. uff. Giuseppe Mascioli, la frequentava solo “vestita con tutto il decoro signorile”. La famiglia vi faceva celebrare ogni tanto la Messa, vi recitava il Rosario, vi compiva il Mese mariano e i battesimi, vi esponeva le salme dei propri membri. Anche l’Abate di Montecassino, i sacerdoti e i fedeli vi salivano di tanto in tanto a pregare, per devozione alla memoria del Santo. Si conservava anche, come una reliquia, un mattone rettangolare di legno, con cui pare che Filippo chiudesse il foro attraverso il quale dalla stanza superiore si faceva scendere la lucerna per illuminare la bottega sottostante. Tutto perito con la guerra.
Connessa alla memoria dell’abitazione c’è quella della devota visita quotidiana al “Crocifisso” della chiesa collegiata di S. Germano. Un Crocifisso che riscuoteva grandissima venerazione dal popolo della città, fin dal medioevo. Si narrava – e anche il Tosti nella sua “Storia della Badia di Montecassino” lo riferisce – che, al principio del sec. XIII, uno dei soldati tedeschi saccheggiatori di S. Germano, mentre sacrilegamente l’offendeva, fu invaso da tale furore che “rodendosi la lingua se ne morì”. Anche se meno frequentemente, data la distanza e le difficoltà del viaggio, Filippo visitava la Montagna Spaccata, per raccogliersi in preghiera preso il Santuario del Santissimo Crocifisso.
È dunque probabile che il giovane Filippo abbia frequentato anche l’abbazia, incline com’era alle cose dello spirito. Certamente sarà stato attratto dal fascino mistico che emanava da quel luogo, fonte di vita spirituale per virtù di S. Benedetto e dei suoi monaci.
Tanto più che, proprio in quel periodo, intorno al 1535, il monastero era teatro, oltre che di santità, anche di scienza e di arte2. E nell’arte si distinguevano alcuni fiorentini: Ignazio Squarcialupi, abate per ben tre periodi, che ora si dedicava ai codici corali, facendoli eseguire e miniare dai fratelli Boccardi, fiorentini anch’essi; i fratelli Sangallo, che stavano approntando il sepolcro per Piero de’ Medici3, fratello del mediceo papa Leone X, che era stato l’ultimo abate commendatario di Montecassino. Quindi Filippo nella Badia poteva respirare quasi un’aria di casa, un’aria di amico e benevolo ritrovo. Sono tutti dati che rendono verosimile che Filippo Neri abbia frequentato il monastero, però documenti coevi che esplicitamente lo attestino non ci sono, forse perché le notizie non sono state segnate oppure perché sono andate perse con i saccheggi e gli scompigli del tempo. C’è tuttavia un’attestazione, posteriore di non molto, che si conserva in un’opera dell’abate Costantino Gaetani, pubblicata nel 1641. In essa l’autore assicura di aver saputo della visita di S. Carlo Borromeo alla Badia dall’abate Sangrino,4 che morì vecchio di 93 anni nel 1593, e che S. Carlo vi salì nel 1562 certamente su consiglio di S. Filippo Neri, suo confessore, il quale volentieri suggerì al Borromeo ciò che egli stesso aveva sperimentato utilissimo per sé: il soggiorno nel cenobio. Se ne deduce, dice il Gaetani, che egli “in questi luoghi attinse lo spirito delle sante virtù”.
Un’altra prova delle relazioni di S. Filippo col cenobio cassinese è la grande tela, a olio, m. 6,30 x 9, anch’essa purtroppo andata distrutta5, fatta eseguire nel refettorio tra il 1591 e il 1594, per ordine dell’abate Ruscelli, dai fratelli Bassano. In essa Leandro Bassani, come racconta il Tosti, dipinse molte figure dal vivo, cioè visitatori illustri del tempo (nel secolo XVI, Montecassino fu il monastero che più coltivò le lettere e quindi meta di letterati): il Tasso, S. Ignazio di Loyola, il doge di Venezia, Calvino, Pier Luigi da Palestrina, S. Teresa D’Avila (forse) e S. Filippo, proprio al centro, a dar sembianza a S. Benedetto, mentre distribuisce il pane della sua Regola. Certo, è memoria storica che i lineamenti di Filippo siano stati prestati a S. Benedetto, solo tradizione orale tramandata dagli anziani e sostenuta pure dalla vecchia guida di Montecassino. Anche se la conclusione non è apodittica, è vero che il quadro ritraeva personaggi che furono in quel secolo nella Badia (S. Filippo era quasi alla fine della sua vita) e la conclusione è avallata anche dal Leccisotti in “ Tracce di correnti mistiche cinquecentesche nel codice cassinese”.
Altre piccole immagini del Santo sono rimaste nell’abbazia: un bozzetto del Solimena, un altro di ignoto, un altro ancora forse del Mazzaroppi. Come pure è rimasta la memoria di S. Filippo Neri nell’ufficio liturgico del monastero, che lo celebra obbligatoriamente il 26 maggio. Sono tracce, è evidente, ma trovano riscontro nella memoria e nella tradizione. I documenti, i ricordi, le immagini sono stati travolti dal tempo, nel naufragio dei saccheggi e delle devastazioni belliche, ma resta l’immagine di questo grande apostolo della gioventù romana che ha respirato la nostra aria e a Montecassino respirò certamente “aria di sante virtù”.
Scoprire che S. Filippo Neri è vissuto a S. Germano per circa due anni, che ha respirato la nostra stessa aria non puó che farcelo amare di più.
È documentato che dalla nativa Firenze il padre, il notaio Ser Francesco Neri, lo mandò, diciottenne, a S. Germano, presso uno zio, tal Bartolomeo Romolo Neri, per essere avviato all’arte della mercatura. Lo zio, privo di figli, avrebbe trovato in lui un aiuto e lo avrebbe lasciato erede del commercio e di tutti i suoi beni, tanto più che, essendo morto fanciullo il fratello Antonio, Filippo era l’unico Neri che avrebbe potuto assicurare discendenza alla famiglia. (Se ne puó dedurre che i Neri del Cassinate non siano imparentati col nostro Santo?). La casa dello zio, in cui visse Filippo, è andata distrutta con i bombardamenti del ’44, ma è certo che prima della guerra era un palazzo sito in via Vittorio Emanuele, poi via Napoli, 28, ora via E. De Nicola, un palazzo sorto sull’abitazione dei Neri e ingrandito dalla famiglia Mascioli che, non si sa da quando, lo possedeva1. La nuova casa non conservava purtroppo più nulla delle antiche memorie. I Padri dell’Oratorio di Roma, coadiuvati da quelli di Napoli, avevano avviato delle pratiche presso l’Abate di Montecassino per ottenere dal Mascioli la concessione di tale camera, al fine di ridurla a chiesetta da dedicare al Santo. Ma gli avvenimenti politici del 1860 avevano fatto saltare il progetto. C’era però, in onore del Santo e fatta erigere dal proprietario, una cappella al di sopra della stanza dove dormiva Filippo, al secondo piano, stanza che ai tempi di Filippo non esisteva certo. Per riverenza e devozione, la signora Mascioli, consorte del gr. uff. Giuseppe Mascioli, la frequentava solo “vestita con tutto il decoro signorile”. La famiglia vi faceva celebrare ogni tanto la Messa, vi recitava il Rosario, vi compiva il Mese mariano e i battesimi, vi esponeva le salme dei propri membri. Anche l’Abate di Montecassino, i sacerdoti e i fedeli vi salivano di tanto in tanto a pregare, per devozione alla memoria del Santo. Si conservava anche, come una reliquia, un mattone rettangolare di legno, con cui pare che Filippo chiudesse il foro attraverso il quale dalla stanza superiore si faceva scendere la lucerna per illuminare la bottega sottostante. Tutto perito con la guerra.
Connessa alla memoria dell’abitazione c’è quella della devota visita quotidiana al “Crocifisso” della chiesa collegiata di S. Germano. Un Crocifisso che riscuoteva grandissima venerazione dal popolo della città, fin dal medioevo. Si narrava – e anche il Tosti nella sua “Storia della Badia di Montecassino” lo riferisce – che, al principio del sec. XIII, uno dei soldati tedeschi saccheggiatori di S. Germano, mentre sacrilegamente l’offendeva, fu invaso da tale furore che “rodendosi la lingua se ne morì”. Anche se meno frequentemente, data la distanza e le difficoltà del viaggio, Filippo visitava la Montagna Spaccata, per raccogliersi in preghiera preso il Santuario del Santissimo Crocifisso.
È dunque probabile che il giovane Filippo abbia frequentato anche l’abbazia, incline com’era alle cose dello spirito. Certamente sarà stato attratto dal fascino mistico che emanava da quel luogo, fonte di vita spirituale per virtù di S. Benedetto e dei suoi monaci.
Tanto più che, proprio in quel periodo, intorno al 1535, il monastero era teatro, oltre che di santità, anche di scienza e di arte2. E nell’arte si distinguevano alcuni fiorentini: Ignazio Squarcialupi, abate per ben tre periodi, che ora si dedicava ai codici corali, facendoli eseguire e miniare dai fratelli Boccardi, fiorentini anch’essi; i fratelli Sangallo, che stavano approntando il sepolcro per Piero de’ Medici3, fratello del mediceo papa Leone X, che era stato l’ultimo abate commendatario di Montecassino. Quindi Filippo nella Badia poteva respirare quasi un’aria di casa, un’aria di amico e benevolo ritrovo. Sono tutti dati che rendono verosimile che Filippo Neri abbia frequentato il monastero, però documenti coevi che esplicitamente lo attestino non ci sono, forse perché le notizie non sono state segnate oppure perché sono andate perse con i saccheggi e gli scompigli del tempo. C’è tuttavia un’attestazione, posteriore di non molto, che si conserva in un’opera dell’abate Costantino Gaetani, pubblicata nel 1641. In essa l’autore assicura di aver saputo della visita di S. Carlo Borromeo alla Badia dall’abate Sangrino,4 che morì vecchio di 93 anni nel 1593, e che S. Carlo vi salì nel 1562 certamente su consiglio di S. Filippo Neri, suo confessore, il quale volentieri suggerì al Borromeo ciò che egli stesso aveva sperimentato utilissimo per sé: il soggiorno nel cenobio. Se ne deduce, dice il Gaetani, che egli “in questi luoghi attinse lo spirito delle sante virtù”.
Un’altra prova delle relazioni di S. Filippo col cenobio cassinese è la grande tela, a olio, m. 6,30 x 9, anch’essa purtroppo andata distrutta5, fatta eseguire nel refettorio tra il 1591 e il 1594, per ordine dell’abate Ruscelli, dai fratelli Bassano. In essa Leandro Bassani, come racconta il Tosti, dipinse molte figure dal vivo, cioè visitatori illustri del tempo (nel secolo XVI, Montecassino fu il monastero che più coltivò le lettere e quindi meta di letterati): il Tasso, S. Ignazio di Loyola, il doge di Venezia, Calvino, Pier Luigi da Palestrina, S. Teresa D’Avila (forse) e S. Filippo, proprio al centro, a dar sembianza a S. Benedetto, mentre distribuisce il pane della sua Regola. Certo, è memoria storica che i lineamenti di Filippo siano stati prestati a S. Benedetto, solo tradizione orale tramandata dagli anziani e sostenuta pure dalla vecchia guida di Montecassino. Anche se la conclusione non è apodittica, è vero che il quadro ritraeva personaggi che furono in quel secolo nella Badia (S. Filippo era quasi alla fine della sua vita) e la conclusione è avallata anche dal Leccisotti in “ Tracce di correnti mistiche cinquecentesche nel codice cassinese”.
Altre piccole immagini del Santo sono rimaste nell’abbazia: un bozzetto del Solimena, un altro di ignoto, un altro ancora forse del Mazzaroppi. Come pure è rimasta la memoria di S. Filippo Neri nell’ufficio liturgico del monastero, che lo celebra obbligatoriamente il 26 maggio. Sono tracce, è evidente, ma trovano riscontro nella memoria e nella tradizione. I documenti, i ricordi, le immagini sono stati travolti dal tempo, nel naufragio dei saccheggi e delle devastazioni belliche, ma resta l’immagine di questo grande apostolo della gioventù romana che ha respirato la nostra aria e a Montecassino respirò certamente “aria di sante virtù”.
Riferimenti bibliografici
D. Anselmo Lentini O.S.B. – Memorie oratoriane, in “Quaderni di storia e spiritualità oratoriana”, nuova serie, nn. 3-4, pagg. 16-18, aprile 1981.
Emilio Pistilli, Cassino e S. Filippo Neri, in “Presenza Xna” n. 8/1992, pag.11.
D. Anselmo Lentini O.S.B. – Memorie oratoriane, in “Quaderni di storia e spiritualità oratoriana”, nuova serie, nn. 3-4, pagg. 16-18, aprile 1981.
Emilio Pistilli, Cassino e S. Filippo Neri, in “Presenza Xna” n. 8/1992, pag.11.
1 A. Capecelatro, La vita di S. Filippo Neri. Roma, 1889 .
2 Vi saliranno, tra gli altri, in visita S. Ignazio di Loyola, S. Carlo Borromeo, Torquato Tasso.
3 Piero de’ Medici, figlio di Lorenzo il Magnifico, succedette al padre nel governo di Firenze, però fu cacciato nel 1494 per non essersi opposto alle pretese di Carlo VIII. Si unì allora alle truppe francesi dirette verso Napoli e, durante la loro ritirata, annegò nel Garigliano.
4 G. De Faggis, detto Sangrino per essere nativo di Castel di Sangro, fu uno dei più illuminati monaci cassinesi di quel secolo, così illustre e stimato che con somma insistenza fu invitato al Concilio Tridentino.
5 Di questa tela esiste un bozzetto a Roma, nella Camera dei Deputati, (tav. LXX), M. Dell’Omo, “Montecassino, un’abbazia nella storia”, Montecassino 1999. Era consuetudine, all’epoca, che i pittori chiamati a dipingere o affrescare o intarsiare, facessero un bozzetto dell’opera che intendevano realizzare in grandi dimensioni. Grazie a questa usanza, oggi possiamo ancora ammirare, nella pinacoteca del Museo di Montecassino, le creazioni artistiche di Luca Giordano, Francesco Solimena, Marco Mazzaroppi, Sebastiano Conca, il Cavalier d’Arpino, il Domenichino, che erano affrescate sulle pareti e sulla volta o intarsiate sui pavimenti della basilica e che sono andate distrutte con il bombardamento del ’44. I bozzetti invece furono messi in salvo dai monaci insieme ai documenti.
2 Vi saliranno, tra gli altri, in visita S. Ignazio di Loyola, S. Carlo Borromeo, Torquato Tasso.
3 Piero de’ Medici, figlio di Lorenzo il Magnifico, succedette al padre nel governo di Firenze, però fu cacciato nel 1494 per non essersi opposto alle pretese di Carlo VIII. Si unì allora alle truppe francesi dirette verso Napoli e, durante la loro ritirata, annegò nel Garigliano.
4 G. De Faggis, detto Sangrino per essere nativo di Castel di Sangro, fu uno dei più illuminati monaci cassinesi di quel secolo, così illustre e stimato che con somma insistenza fu invitato al Concilio Tridentino.
5 Di questa tela esiste un bozzetto a Roma, nella Camera dei Deputati, (tav. LXX), M. Dell’Omo, “Montecassino, un’abbazia nella storia”, Montecassino 1999. Era consuetudine, all’epoca, che i pittori chiamati a dipingere o affrescare o intarsiare, facessero un bozzetto dell’opera che intendevano realizzare in grandi dimensioni. Grazie a questa usanza, oggi possiamo ancora ammirare, nella pinacoteca del Museo di Montecassino, le creazioni artistiche di Luca Giordano, Francesco Solimena, Marco Mazzaroppi, Sebastiano Conca, il Cavalier d’Arpino, il Domenichino, che erano affrescate sulle pareti e sulla volta o intarsiate sui pavimenti della basilica e che sono andate distrutte con il bombardamento del ’44. I bozzetti invece furono messi in salvo dai monaci insieme ai documenti.
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