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Dei monumenti esaminati dal prof. Coarelli: teatro, statua, anfiteatro e mausoleo, ci limitiamo a riportare le descrizioni di Carettoni relative alla statua, all’anfiteatro e al mausoleo, rinviando, per il teatro, all’ampio servizio già pubblicato da noi nel n. 3/2001 (leggibile anche on-line sul sito web www.studicassinati.it)
e. p.
Pag. 88 – […] La statua
Numerosi frammenti di altre statue, togate e loricate […]. Una di queste, in marmo greco, trovata con numeroso altro materiale decorativo ed epigrafico del teatro in un pozzo di epoca tarda nell’interno della scena, costituisce indubbiamente per la buona esecuzione e per lo stato di eccellente conservazione, il pezzo più pregevole restituito dallo scavo. Rappresenta un ignoto personaggio, nudo e stante, nell’atteggiamento dell’Alessandro Rondanini (12): nelle mani stringe l’elsa di una spada, e si tratta certamente di un capitano della fine della repubblica, poiché la testa dai lineamenti fieri ed energici è un ritratto databile da quell’epoca (13).
(12) Monaco, Gliptoteca. Nella statua di Cassino la posizione è invertita, essendo piegata la gamba sinistra. La statua si trova al Museo di Napoli, in corso di restauro. Mancano soltanto una parte della gamba destra e frammenti di poca importanza.
(13) Vari altri oggetti di minori dimensioni sono stati raccolti nello scavo, quali bronzetti, un piccolo busto di Tiberio usato come ornamento, monete e numerosi frammenti di vasi aretini.
Pag. 78 – 6. – L’anfiteatro
Situato fuori delle mura poligonali, lungo il lato orientale di esse: la sua grigia mole spicca massiccia fra i campi, a sinistra della via Casilina, e dà il benvenuto della romana Casinum a chi giunge dall’Urbe (1).
L’edificio viene spesso ricordato nelle fonti medioevali, specialmente negli atti di compra vendita conservati nell’archivio di Montecassino, sotto il nome di Verlasci, Berlasi, Verlace. Viene detto anche Coliseum e con tale nome lo designa Erchemperto nella sua Cronaca, ed il cronista Riccardo da S. Germano. Nel 1266, durante la lotta fra Manfredi e Carlo d’Angiò sotto le mura di S. Germano, i Saraceni di Manfredi si asserragliarono nell’anfiteatro difendendosi accanitamente. Dopo questa parentesi storica non viene ricordato che dagli autori, a partire dal sec. XVII, con gli altri monumenti di Casinum (2).
Il perimetro esterno è conservato fino all’altezza del coronamento, e solo in alcuni punti ampie brecce (ora in parte restaurate) interrompono la linea continua dell’ultimo ordine; inferiormente, cinque ampi fornici s’aprono nel muro massiccio interrompendone la monotonia. I costruttori hanno sapientemente sfruttato le condizioni naturali del terreno, appoggiando l’anfiteatro al declivio del monte e utilizzando la roccia affiorante per le gradinate; mentre per la parte che guarda verso la valle si son dovute costruire volte di sostegno. La pianta è a forma ellittica (tav. V, e), e nel suo asse maggiore (esterno) misura m. 85 (3); nel punto di massima altezza raggiunge i 18 metri (tav. IV).
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(1) Vedi fig, 1, a, e tav. IV.
(2) Per il nome di «Verlasci »: GATTOLA, Access., II. Questa parola, di origine longobarda (berulasci ?) la ritroviamo anche per gli anfiteatri di Capua, Minturno e Venafro – Bibliografia: GATTOLA, Hist., II, p. 476 e Access., II, p. 765 e segg. (cronisti medioevali); TOSTI, op. cit. III, p. 8, (fatti del 1266); UGHELLIUS, Italia sacra, II, 1027; GATTOLA, Accessiones, II (e Tav. agg.); FLAVIO DELLA MARRA, Descriz. istor., p. CXI e segg.; BARTOLINI, Viaggio, p. 178 e segg., e tutti gli autori del sec. XIX. Uno studio particolare, abbastanza recente, sul monumento è quello di A. Di RAIMO, Int. a due monumenti… (1915), p. 4 e segg.
(3) Asse minore (est.) m. 69; rapporto fra gli assi 1,23 (Per Roma e Capua tale rapporto è di 1.22; per Verona 1.24: G. Cozzo, Ingegneria rom., p. 200). Per misure di assi, l’anfiteatro di Casinum sta fra quello di Baeterrae (86; 70) e quello di Isca Silurum (83; 67): v. L. FRIEDLANDER, Sittengesch. Roms, IV, p. 240.
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Pag. 79 – Il materiale adoperato per la costruzione è esclusivamente lo stesso calcare del monte, durissimo e compatto, che nelle parti più esposte alle intemperie ha assunto un colore grigiastro; l’opera laterizia viene usata in un tribunal che è una modifica posteriore alla costruzione originaria. Il nucleo dei muri principali è a scheggioni di pietra impastati con malta resistentissima, ed è rivestito da un paramento in opera pseudo-reticolata: gli elementi del reticolato sono di forma e grandezza assai variabili nella parte inferiore del muro perimetrale, mentre superiormente tendono a forma più regolare dando un reticolato d’aspetto più uniforme. Il paramento manca per larghi tratti.
Le cinque porte che davano accesso all’ interno sono voltate ad arco a tutto sesto, e l’estradosso è rivestito di grandi blocchi pure in pietra; un masso sporgente costituisce la chiave di volta. Di tali porte, la prima, a S-0, è in parte interrata, ma conserva integro il rivestimento (tav. V, 6), che invece è stato completamente asportato dalla seconda (a sud) nel 1717 per essere utilizzato a Montecassino nella costruzione della « porta dei leoni » (4); uguale sorte segui più tardi la terza, sotto la quale si nota, all’ esterno, lo sbocco di un cunicolo, creduto il passaggio per le belve, mentre forse si tratta semplicemente di uno scolo per le acque. La quarta, che guarda ad oriente, conserva invece per intero il rivestimento ed è l’unica oggi praticabile (Tav. V, a); l’ultima è pure integra, ma quasi completamente interrata. Ad occidente, infine, è una porta di servizio, a livello differente dalle altre, e di proporzioni più modeste; è in corrispondenza di avanzi di costruzioni adiacenti all’anfiteatro (ambienti per i servizi e magazzini).
Sopra le porte si osserva lungo tutto il muro perimetrale una serie di mensole in pietra sporgenti dal paramento ad intervalli variabili fra m. 3,50 e 4,20; nella parte superiore esse recano un incavo circolare in cui veniva infisso il palo del velario (5). La stabilità delle antenne era as-
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(4) Di Raimo, op. cit., p. 6.
(5) Nell’anfiteatro Flavio la distanza fra le antenne è di m. 2,25; in quello di Pola, m. 5,55. Tali variazioni si devono forse, come osserva il Cozzo (Il velario negli ant. edif. anfiteatri in « Atti II Congr. St. Romani») ad una maggiore o minore disponibilità di personale per la manovra del velario.
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Pag. 80 – sicurata facendole passare attraverso altri fori (od incavi) ricavati, in corrispondenza delle mensole, nel cornicione di coronamento, oggi mancante; nella parte a monte le mensole sono sostituite da pietre rettangolari murate nella parete interna della precinzione superiore. Nel muro di coronamento, sopra le mensole, si aprivano ad intervalli regolari delle finestre quadrate, larghe in media m. 1,40: una di queste, ancora aperta ed integra, è nel lato meridionale (6).
Osservando il muro esterno si distinguono nettamente le varie fasi della costruzione: dalle fondamenta si venne su costruendo fino ad un livello corrispondente alla chiave di volta delle porte: qui si costituì un piano orizzontale per la posa in opera delle mensole. Si continuò poi fino alla precinzione superiore, in corrispondenza della quale si stabilì un secondo piano di posa; infine si completò il muro fino al coronamento. Il monumento aveva le pareti rivestite d’intonaco, sia internamente che all’esterno: resti se ne osservano all’interno nel settore meridionale e settentrionale, all’esterno sopra la porta di sud-ovest. L’uso del marmo doveva esser limitato a qualche palco o suggesto per le autorità.
Semplici e sobrie, come la decorazione, sono nel complesso le linee del monumento. Una sua particolarità è la completa assenza di ambulacri (od anche semplicemente arcate come nell’anfiteatro di Pompei) all’esterno ed anche internamente.
Se l’aspetto dell’esterno puó ingannare sullo stato di conservazione del monumento, penetrando nell’interno si ha modo di constatare la devastazione cui fu sottoposto: le gradinate sono state completamente asportate (avendo servito l’edificio per secoli come cava di pietre per Montecassino) e delle volte che le sostenevano verso la valle rimangono appena le tracce. L’arena è interrata. Della precinzione superiore, larga circa m. 3, rimangono invece avanzi in più parti, specialmente nell’emiciclo a monte; il suo sviluppo non è perfettamente ovale, ma si allarga a ridosso del monte per dar luogo ad alcuni ambienti rettangolari: i primi
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(6) Queste aperture mancano naturalmente nella parte a monte, dove in loro vece si osservano internamente piccole nicchie, diverse per forma e dimensioni; una di queste ha il fondo rivestito di mattoni, alcuni dei quali, alternati a quelli normali, di 7-8 cm. di spessore.
Pag. 81 – due (A e B) sono rivestiti in opera reticolata come le altre parti dell’edificio e coperti da una volta in conglomerato, sopra la quale correva un iter per i servizi. L’ambiente che segue (C) è invece costruito completamente in mattoni, e più alto del vicino ambiente (B): poiché si trova esattamente sull’asse minore dell’anfiteatro, è certo un tribunal destinato al magistrati od a qualche cittadino ragguardevole. Il palco aveva il pavimento e le pareti rivestite di marmo (7), e non lega in alcun modo le sue strutture col resto della costruzione: ciò, oltre la cortina in mattoni, rende evidente che si tratta di una modifica, o di un’aggiunta posteriore alla costruzione dell’anfiteatro. Nel settore settentrionale esiste un ingresso (D) che dall’esterno, scendendo alcuni gradini, immetteva al piano della precinzione superiore; doveva corrispondere ad una rampa esterna che seguiva il muro perimetrale. Tracce di un altro ingresso particolare (E), forse riservato alle autorità, si rilevano nella parte occidentale, attiguo all’ambiente (A). Il muro perimetrale nel tratto che segue al tribunal conserva per alcuni metri il cornicione in pietra, dalle linee semplicissime, che coronava l’edificio (8).
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(7) Lo si è constatato in un piccolo saggio eseguito alcuni anni fa. I mattoni delle pareti sono posti in opera con calce piuttosto abbondante, ed hanno uno spessore di 0,035-0,040 (16 filari in 1 m); la cortina come tipo, è databile dal II sec. d. C.
(8) Un notevole blocco di cornice pure in pietra venne alla luce durante l’alluvione dell’inverno 1937 davanti alla 5ª porta.
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Pag. 89 – 8. – La chiesa del Crocefisso ed il “templum” di Ummidia.
È questo il monumento meglio conservato di Casinum ed anche il più interessante come tipo di costruzione; si trova ad occidente dell’anfiteatro, di fianco alla via principale della borgata del Crocefisso. La Cronaca di Leone Ostiense (1) ci parla della sua trasformazione in chiesa, avvenuta alla fine del sec. XI ad opera di Teobaldo, preposito dell’abate Giovanni III; cadde poi in abbandono e soltanto alla fine del XVII secolo l’abate Andrea Deodato lo fece liberare dalla terra che l’aveva invaso e lo dedicò al Crocefisso. Negli autori non ne troviamo notizia fino al sec. XVIII, ma da allora viene ricordato e descritto da quanti parlano più o meno ampiamente delle antichità di Casinum, e tutti esercitano la loro fantasia sulle sue origini e sulla sua funzione, con una gamma di attribuzioni che va dalla tomba etrusca alla cappella bizantina! (2).
Esternamente l’edificio ha un aspetto assai modesto, con la povera, nuda facciata della chiesa, senza età nè caratteri speciali (3): tanto più vivo perciò è il contrasto quando, penetrati nell’interno, si presentano al nostro occhio le nobili e severe linee del monumento, classico e graniticamente solido, perfettamente conservato dal pavimento alla volta. La pianta è a croce greca ed i quattro bracci (profondi m. 2,75) sono simmetrici: uno di essi si prolunga, restringendosi, verso l’esterno a formare un dromos o corridoio di accesso, che costituisce tuttora l’ingresso della chiesa. Al centro è coperto da una cupola sferica, alta m. 8,50; mancano finestre, poiché l’ambiente è circondato da terrapieni
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(1) Lib. II, 25: « .. .betato Nicolae eidem basilicam aptavit apud Castrimi Seti Petri… in crypta antiqua, quae ingentibus saxis gentilium opere pulchro in daemonum honore constructa, iuxta eiusdem beati Petri ecclesiam sita est ». Lo ricorda anche riccardo da S. Germano nella sua Cronaca, all’ anno 1208.
(2) Montfaucon, Diarium, p. 322; Gattola, op. cit., Access, (con pianta e sezione); Fl. Della Marra, op. cit., p. cix, e seg.; Romanelli, Viaggio, p. 40 e seg.; Corcia, op. cit., p. 424; Ruggiero, Scavi nelle prov. nap., p. 421; Bartolini, Viaggio, p. 180 e segg.; Keppel Craven, op. cit., p. 44 e segg.; Ponari, op. cit., p. 106 e segg. e p. 219; Di Raimo, op. cit., p. 11 e segg.; Alinari, art. cit., p. 53; ecc.
(3) Sull’architrave della porta è segnata la data del restauro dell’ab. Deodato: 1690.
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Pag. 90 – che esistevano anche in antico, ma la luce proveniva da quattro spiragli nella volta, ora otturati, e forse anche da un foro al centro della stessa.
Tutta la costruzione, dal pavimento alla copertura, è in grossi blocchi di pietra locale perfettamente squadrati e disposti a filari orizzontali; i blocchi non sono tenuti insieme da malta, ma da grappe impiombate (4), e la coesione è perfetta. Al termine del dromos, verso l’interno, era l’antica porta: i blocchi dell’architrave ora mancano, ma ne è rimasta nitida l’impronta, inoltre sul pavimento si notano i segni circolari dei cardini; quando la costruzione venne trasformata in chiesa, o in occasione di qualche restauro della medesima, l’ingresso fu spostato avanti dove è attualmente. Il pavimento del dromos finisce a 3 m. dall’ingresso moderno, e poco più innanzi anche le pareti in blocchi cedono il posto ad un paramento in opera laterizia che dal tipo dei mattoni e della malta si riconosce come opera romana: il muro di destra piega subito ad angolo, ed è su questa linea che dobbiamo porre l’antica facciata del monumento. Tra questa e la facciata della chiesa sono state ricavate in età medioevale due piccole cappelle, di cui è ora accessibile quella di destra, che conserva avanzi di pregevoli affreschi della scuola benedettina; quella di sinistra, chiusa da un muro moderno, è disegnata nelle piante del sec. XVIII ed è simmetrica all’altra (5).
Difficile è poter stabilire, da quanto è ora visibile nei tratti dove manca l’intonaco, se tale facciata in laterizi sia quella originaria oppure se si tratti di un restauro. Probabilmente il livello antico della fronte era più basso dell’attuale, e si giungeva al piano del monumento per mezzo di una scala.
Salendo la ripida scala moderna a destra del piazzale antistante la chiesa (6), si giunge al piano superiore della costruzione, ora occupato da misere casupole: è visibile un lato dello zoccolo di rivestimento, anch’esso di pietra e terminante in basso con una cornice dalle linee semplici, e l’angolo nord-est.
Circa l’originaria destinazione del monumento, le discordanti opi-
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(4) Come si puó vedere dall’impronta lasciata al posto di una pietra mancante, nel dromos.
(5) Vedi Gattola, op. cit., e tav. agg. alle Access., e pianta conservata nell’Archivio di Montecassino.
(6) Davanti al piazzale è infisso nel terreno un rocchio di colonna antica, nel quale la fantasia popolare vede 1’« ara dei sacrifìci ».
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Pag. 91 – nioni di quanti lo hanno descritto si possono riassumere in due ipotesi : tempio, o tomba. I fautori della prima ipotesi per lo più si sono fatti forti della famosa iscrizione di Ummidia, nella quale era ricordado con l’anfiteatro, un templum fatto costruire dalla munifica donna: è questa l’unica costruzione antica di notevoli proporzioni più prossima all’anfiteatro che sia oggi visibile, questo è dunque per essi il tempio di Ummidia (7). Vedremo come si possa mettere in rapporto con il templum di Ummidia un’altra notizia di Leone Ostiense che si riferisce alla chiesa di S. Pietro; per quel che riguarda poi la chiesa del Crocefisso non è possibile ammettere, in base alle cognizioni che ora abbiamo sui monumenti antichi, che si tratti di un tempio. Ce lo fa escludere senz’altro la pianta dell’edificio, a croce greca, che è comune invece a quella di altre tombe d’epoca romana; mentre il carettere di cripta sotterranea, senza finestre ma con lucernari nella volta, s’addice perfettamente all’uso di sepolcro, ed i tre nicchioni si prestano assai bene a contenere i sarcofagi o le urne dei defunti.
È dunque come tomba che si deve interpretarne l’originaria funzione: era composta inferiormente di un ipogeo, e superiormente, al livello della via Latina, di uno zoccolo quadrato, coronato, con ogni probabilità, da una piramide di terra (8), attraverso la quale dovevano passare gli spiragli dei lucernari. Il sepolcro doveva trovarsi a contatto delle mura della città, ma fuori di esse.
Quando venne costruito, ed a chi apparteneva? Per le sue dimensioni deve certo trattarsi di una tomba gentilizia, appartenente ad una delle più cospicue famiglie di Casinum; per quel che riguarda l’epoca cui dobbiamo attribuirlo, la bellissima e perfetta volta sferica non ci fa dubitare che si tratti di una costruzione romana, la struttura in opera quadrata poi ci avvicina ai sepolcri compresi fra la fine della repubblica ed il I secolo dell’impero: confronti non mancano, sia per la pianta, che per la struttura (9).
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(7) Per l’iscrizione, vedi pag. 81. Tra i più recenti autori che ammettono tale ipotesi ricordo il Ribezzo, art. cit. 212.
(8) Cosi la ricostruisce graficamente anche G. Giovannoni, La tecnica della costr. pr. i Rom., tav. 7, Anche G. Lugli, art. cit., in « Enc, It. », pensa sia una tomba.
(9) Uno dei più convincenti è quella suggeritomi dal prof. Lugli, con la tomba dell’Osteria Nuova, sulla via Salaria (N. persichetti, Via Salaria, p. 91 e segg). Cfr. anche il famoso mausoleo di Adalia, e Giovannoni, op. cit.
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Pag. 92 – Il Giovannoni la data al I secolo a. C, ma trattandosi di un luogo come Casinum, dove l’abbondanza della pietra locale da costruzione faceva ritardare, come si è visto, l’introduzione di nuovi sistemi costruttivi, si puó forse scendere anche al I sec. d. C. Ed allora ritorna spontanea l’attribuzione ad una gens di Casinum che in quel secolo divenne potente: la gens Ummidia; non più come tempio, ma come tomba di famiglia, forse fatta costruire dal padre di Ummidia, il console Ummidio Durmio Quadrato. Si spiegherebbe per un tale personaggio la concessione speciale che la tomba fosse costruita fuori della necropoli, presso al centro stesso della città.
Un’altra ipotesi si puó fare: che cioè tutta questa zona compresa fra le mura e la via Casilina fosse proprietà degli Ummidi, e su di essa prima costruissero il mausoleo grandioso della gens, poi l’anfiteatro e il tempio donati ai Casinates.
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L’espressione generica templum nell’iscrizione dell’anfiteatro induce a credere, come già hanno fatto alcuni scrittori, che l’edificio in parola fosse tanto vicino all’anfiteatro ed al luogo dove era posta l’iscrizione da non potersi confondere con alcun altro da parte di coloro che la leggevano.
Un passo della Cronaca di Leone, trascurato dalla maggiore parte degli autori, narra di un templum idolorum in Castro Casino trasformato in chiesa in onore di S. Pietro, da Scauniperga, moglie di Gisulfo, nel secolo vIII: qualcuno ha voluto identificarlo con il Crocefisso, pensando forse ch’esso fosse poi consacrato a S. Nicola. Ma che si tratti invece di due edifici distinti lo fa comprendere il cronista stesso, perché nell’altro passo già citato a proposito della chiesa del Crocefisso dice che questa era « presso la chiesa del beato Pietro ». Di quest’ultima, che doveva dare il nome alla borgata sorta sulle rovine di Casinum, non troviamo più notizia negli scrittori posteriori al sec. XI ; ma da un documento del 1621, conservato nell’Archivio di Montecassino, apprendiamo ch’essa era allora in rovina («resto della chiesa de S. Pietro in Monast.ro») e venne demolita
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Pag. 93 – con autorizzazione dell’abate (10). Ora non ne rimane più traccia; però il documento la ubicava «vicino al Coliseo», e doveva essere dalla parte del Crocefisso, poiché Leone Ostiense dice che erano due edifici vicini.
Appunto in questa zona alcuni autori del secolo scorso ci danno notizia di ritrovamenti notevoli di marmi pavimentali e colonne di granito (ornanti oggi l’atrio della basilica di Montecassino) (11), ed ancor recentemente nel campo soprastante il grande muro in opera incerta a monte dell’anfiteatro si rinvennero molti frammenti di colonne, avanzi di pavimento a mosaico e di costruzioni, rimaste interrate. In questo punto sorgeva dunque un vasto e nobile edificio, ricco di marmi: vien naturale pensare al templum di Ummidia, e, per conseguenza, alla chiesa di S. Pietro. Infatti con tutta probabilità il templum idolorum della Cronaca ed il templum dell’epigrafe sono una cosa sola. Ma finché uno scavo regolare non ci avrà fornito elementi più sicuri, dobbiamo rimanere nel campo delle ipotesi (12).
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(10) È una lettera indirizzata al p. abate, in data 10-1-1621, ed in essa si chiede di poter vendere il materiale ricavato dall’edificio (fatto «refugio de bestie», essendo cascata anche tutta la facciata) per costruire in altra parte una cappella o altare in onore di S. Pietro. In calce è l’autorizzazione e la firma dell’abate Onorato.
(11) Non sappiamo da dove gli autori (Romanelli, Viaggio, p. 42 e segg.; Corcia, op. cit., p. 423; Bartolini, Viaggio, p. 179) abbiano tratto tali notizie; Di Raimo (op. cit., p. 11 e segg.) ricorda un pezzo di muro in reticolato a monte dell’anfiteatro.
(12) Nei campi accanto alla chiesa del Crocefisso e sottostanti ad essa, il custode Fardelli, zelante e benemerito difensore delle antichità di Casinum, va raccogliendo avanzi di decorazione fittile di rozza fattura (lastre frammentarie a motivi floreali e a teste Sileniche, gocciolatoi a testa di lupo), i quali però sembrano appartenere al compluvium di una casa, piuttosto che a un tempio.
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