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Le grandi costruzioni in blocchi poligonali di calcare rappresentano senza dubbio uno dei tratti più caratteristici del Lazio antico: dominano i panorami urbani, segnano i fianchi di colline solitarie, emergono dalla vegetazione a riaffermare la loro presenza determinante, lontana eco di una straordinaria capacità di plasmare e dominare il paesaggio. Sopravvissute a millenni di distruzioni, spesso uniche superstiti delle epoche in cui furono realizzate, da secoli esercitano il loro fascino, severo e discreto a un tempo, su appassionati e studiosi. Oggetto di discussioni infinite da parte di archeologi, topografi e architetti, che in verità hanno però cominciato a sostanziarsi di dati tecnici solidi solo assai di recente, le mura poligonali mancano troppo spesso di una documentazione adeguata: rilievi e immagini fotografiche nelle pubblicazioni scientifiche sono frequentemente limitati a pochi tratti, mentre di altri esistono tuttora solo testimonianze descrittive.
E mancava, fino a ora, un occhio che sapesse valorizzarne l’imponenza straordinaria, la solidità strutturale e la consistenza materiale, così come la suggestione dei giochi di luce e l’impatto visivo nei contesti urbani e in quelli naturali; oggi quell’occhio c’è. Daniele Baldassarre, architetto, fotografo e grande appassionato delle antichità delle sue terre, ci propone ora il primo dell’annunciata serie di due volumi illustrati sulle mura poligonali del Lazio antico, dal titolo “Latium Vetus et Adiectum. Architetture megalitiche. Pars prima: Acropoli e cinte urbane in opera poligonale”. Pubblicata a cura dell’associazione culturale “Bottega della Memoria” e del Centro Studi sull’Opera Poligonale per i tipi dell’Ars Graphica Tofani di Frosinone in mille esemplari numerati, dell’opera si renderà certo ben presto necessaria una ristampa.
Il volume si apre con le parole di Marianna Candidi Dionigi, che evocano l’atmosfera trasognata del Lazio a cavallo fra Settecento e Ottocento: “Vi pascono d’intorno gregge, ed armenti numerosi; il belato, e il muggito rompono quell’antico silenzio, e rare volte vi s’ode il suono di voce umana…”. Certo non si puó imputare alla gentildonna romana, pioniera degli studi sull’opera poligonale, di aver imitato il Leopardi, che scrisse ben dopo di lei: ma corre immediato alla mente il ricordo del leopardiano “odi greggi belar, muggire armenti”. Tanto bene la studiosa, che occhieggia nel suo autoritratto al fondo della pagina, seppe cogliere l’atmosfera del suo tempo, lontano appena un battito d’ali di farfalla – come quella posata su un blocco poligonale in un bel dipinto iniziale del libro – dalle epoche remote in cui nacquero le mura stesse. E tanto più lontano dal nostro, responsabile di tanti beceri scempi nei confronti di monumenti e paesaggi: Baldassarre c’invita allora a “farci antichi” insieme alla Candidi Dionigi, la cui ombra aleggia nella pagina e nel libro intero, a ripercorrere il cammino dei viaggiatori d’antan, a riviverne emozioni e fantasie, superando quel baratro che la modernità ha scavato fra noi e l’antico, ma anche fra noi e la sensibilità d’un viaggiatore dell’età romantica. Ricercata è dunque la coincidenza con il secondo centenario dell’uscita dei “Viaggi” della Candidi Dionigi, apparsi in fascicoli fra il 1809 e il 1812.
L’opera è introdotta da prefazioni di Renato Mammucari e Francesco Maria Cifarelli, e accompagnato da un’accurata scelta di testi. La selezione d’immagini d’epoca e l’obiettivo sicuro delle macchine fotografiche di Daniele Baldassarre sostanziano poi lo scorrere delle pagine di questo splendido volume, basato su un impianto grafico concepito dallo stesso Autore, e del resto ottimamente stampato dall’Ars Graphica Tofani di Frosinone, della cui perizia artigianale, unita a cortesia d’altri tempi, chi scrive ha avuto recente prova diretta. Alla grafica d’epoca e alle foto attuali si uniscono inoltre i disegni di Sandro Scascitelli, evocativi delle atmosfere antiche, che rendono il volume ancora più accattivante e fanno da ulteriore ponte fra il presente e l’antichità, con il loro tipico e attualissimo tratto fumettistico: tratto che emerge ancor più nel disegno del “Guerriero del Latium” che appare a pagina 20; la mano è qui eccezionalmente quella del celebre illustratore Sergio Toppi. La documentazione fotografica, raccolta in anni di sopralluoghi, si potrebbe quasi dire di “appostamenti” dall’Autore, è però senz’altro il pezzo forte dell’opera: di qualità eccellente, riesce a cogliere gli aspetti pittoreschi così come i più minuti dettagli tecnici, spesso non rilevabili nelle pubblicazioni scientifiche esistenti; si puó dire che l’obiettivo di Baldassarre abbia saputo interpretare lo “spirito architettonico” di queste strutture megalitiche. Si tratta in realtà di una piccola parte di un archivio sterminato, a mia conoscenza senza uguali presso istituzioni scientifiche o centri di ricerca, preziosa risorsa cui gli studi futuri dovranno fare riferimento.
Ma l’Autore dà anche libero sfogo alla sua passione e alla sua creatività, giocando a costruire paesaggi popolati da antichi guerrieri, che sembrano vegliare per sempre su quei luoghi risparmiati dalla moderna barbarie; o a sovrapporre foto e disegni d’epoca mettendo a confronto l’occhio contemporaneo e quello romantico, in un coinvolgente gioco di specchi. Quando si tratta di testimonianze scritte, emerge invece il suo pudore: dopo brevi introduzioni, preferisce lasciare la parola ad autori antichi e studiosi moderni. Commuove quasi il fatto che i testi antichi siano citati costantemente in lingua originale – oltre che in traduzione ad opera di Bruno Alessandra – in un’epoca in cui non pochi studiosi di rango accademico si permettono di ignorare le asperità dei testi antichi, sostituendoli acriticamente con comode traduzioni, o s’illudono addirittura di praticare un’archeologia senza testi.
Si susseguono così, pagina dopo pagina, le splendide immagini di luoghi noti e meno noti, accompagnate dai documenti che le illustrano: grazie all’occhio di Daniele Baldassarre nessun luogo appare uguale a un altro, ognuno emerge nella sua peculiarità e unicità.
Dopo una lettura così coinvolgente, riesce difficile capire come le mura ciclopiche del Lazio stentino ancora a trovare una collocazione fra le gettonatissime meraviglie del passato che riempiono a sazietà i documentari archeologici: per limitarci alle costruzioni megalitiche si pensi soltanto alle città Inca e alle rocche micenee. A Daniele Baldassarre, di cui attendiamo con ansia la prossima fatica editoriale, va la gratitudine personale di chi scrive, ma spetta anche quella di tutti gli studiosi e appassionati che troveranno in questa e nelle future opere dell’Autore una miniera inesauribile di spunti e suggestioni.
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