Guido Barbato, un poeta cassinate nelle trincee della Grande Guerra

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Studi Cassinati, anno 2011, n. 1
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di Cosmo Barbato

Caro Direttore, permettimi di ricordare sulle pagine di “Studi cassinati” un poeta, Guido Barbato1, mio padre, che fu un figlio benemerito della nostra città di cui onorò il prestigio con la sua professione, con il rigore morale e politico, con la battaglia che condusse per la sua ricostruzione, con un’intensa attività pubblicistica e infine, non ultimo, con la sua poesia, che conobbe negli anni giovanili durante la Prima guerra mondiale momenti altissimi che qui vorrei rievocare.
Nato nel 1895, non ancora ventenne fu chiamato alle armi interrompendo gli studi di giurisprudenza (che riprenderà a guerra finita) per seguire un corso accelerato di sei mesi presso la Scuola allievi ufficiali di Modena, dalla quale uscì col grado di sottotenente di fanteria, pronto, come tutti i giovani in quegli anni, per essere spedito sui fronti di guerra. I ragazzi della sua età a Cassino erano stati tutti scolari della maestra Maria Scardamaglia nella classe unica elementare delle Scuole Pie: per l’intero corso del conflitto, quella maestra seguì per corrispondenza tutti i suoi ex allievi, cancellando mestamente di volta in volta dal suo carnet i nomi dei tanti caduti, dispersi o prigionieri. Mio padre ancora da anziano spesso la ricordava con tenerezza.
Presi i gradi, fu immediatamente assegnato alla Brigata Savona che si accingeva a salpare con tre navi dal porto di Taranto per portare soccorso, dall’Albania, agli alleati serbi in ritirata sotto una furiosa controffensiva degli austro-ungarici. Quella campagna di guerra gli ispirò delle liriche di alta poesia, che poi pubblicò nel 1935 insieme a molti altri componimenti poetici in un “Luna Park ‘900” stampato a Cassino dalla Tipografia Ciolfi. I “Canti d’Albania” seguono passo passo l’epopea di quella spedizione italiana a favore dell’alleato, dando un drammatico squarcio degli orrori della guerra, del sacrificio dei nostri fanti e della tragedia delle migliaia di austro-ungarici prigionieri che la ritirata serba si trascinava dietro.

***

Canti d’Albania
La Brigata Savona salpa da Taranto
È l’anno millenovecentoquindici,
Decembre… Memorabile è la data!
Dello ignobile oblio, o giorni vindici!
S’apre il ponte di Taranto, o Brigata
Savona; con tre navi al tuo destino
salpi: al fuoco e alla gloria già provata,
ché col sangue scrivesti il tuo ruolino
a Fogliano, a Polazzo ed a Sei Busi,
t’impone ancor la Patria altro cammino.
I cuori dei tuoi fanti si son fusi,
– su le giberne preme il salvagente,
ché per il mare i fanti non son usi -,
fusi per la vittoria, e verso oriente
salpano in chiusa e muta nostalgia
per l’Italia, che vedono a ponente …
Ma non sbarcano tutti in Albania*.
*Una delle tre navi del convoglio verrà infatti affondata dalla marina austriaca.

L’arrivo a Valona
Ancor prima di doppiar Sasèno,
proprio all’insidia di Punta Linguetta,
delle tre navi ve n’è una in meno!…
Brigata, avanti! Che val se ti aspetta
l’amara delusione di Valona,
cui Castriota non è più in vedetta?
La gente Skipetara quivi è prona
agli Essad, ai Pascià della ventura …
L’alma è palude qui, come la zona!
Si salvaron due cose a la pressura
delle fameliche orde musulmane
e all’insidia del tempo che perdura:
le immortali vestigia veneziane,
e i castelli e le mura e gli oliveti;
le indomate cavalle maremmane!
Il resto è accidia sotto i minareti …

La marcia nella palude
La sconfinata desolata plaga
per la tua meta devi traversare,
o Fante, e la palude, che dilaga,
dev’essere la strada consolare.
Cammina! Affondi fino al cinturone?
Solo il fucile non dovrai bagnare,
e nulla della scarsa munizione.
Cammina! ché impossibile è la sosta;
la stanchezza è fatale in queste zone,
ché la morte nel limo è qui nascosta.
e la tua meta è ancora assai distante …
Ti fermerai appena che una costa
emergerà da l’acqua ristagnante …
Da più giorni non usi la gavetta?
Ha del prodigio la tua forza, o Fante!
Tu campi di canzoni e di galletta.

L’esodo serbo
Or che la Serbia è invasa dal magiaro,
Re Pietro ha comandato il grande esòdo,
ché allo scampo non v’è altro riparo.
La nemica mitraglia schianta sodo,
ma l’Esercito Serbo e il suo Re Pietro
sian tratti in salvo, e nel più degno modo,
dal natio suol, conteso metro a metro!
Ma, lì, i quarantamila prigionieri
austro – ungheresi non rimangan dietro!
Sono quarantamila ostaggi fieri,
che tolse all’inimico il Popol Serbo
nelle battaglie che sostenne ieri;
ora li spinge innanzi a suon di nerbo
verso Albania, ove una speme ammalia,
non d’ospitalità, qui scarso verbo,
ma della flotta che mandò l’Italia.

Serbi e prigionieri austro-ungarici
O Brigata Savona, a protezione
dello storico imbarco, i tuoi Soldati
già marciano con sacra comprensione …
E prigionieri inermi e Serbi armati
straripano sul suolo, d’Albania,
da Elbassano sfociando, incontrastati.
Però la morte qui dissenteria
e freddo e fame ha già posto in attesa,
quasi a schernire ogni speranza pia!
Giammai l’umana carne vilipesa
fu dalla sorte, come qui fu vista,
ché nel ricordo ancor l’alma n’è lesa!
Segue l’un prigioniero all’altro, e trista
la teoria dei miseri risuona …
a dimandare: “Ancora tanto dista
il porto di Durazzo , o di Valona?!”

Il calvario dei prigionieri
Vitree pupille azzurre, quasi agonici
sguardi tra chiome incolte e barbe bionde,
o somatici segni teutonici!
O prigionieri tristi, si confonde
il vostro pianto e l’ululo del vento,
mentre che i piedi sanguinanti fonde
lasciano l’orme … E scarso vestimento,
ormai ridotto a un logoro pastrano,
vi copre, o vivi scheletri, in tormento.
Muore senz’eco, disperato e vano,
il vostro grido di conservazione,
ché ai caduti nessun porge la mano!
Un rancio di nerbate serbe è sprone
per giungere alla fine del Calvario …
E su quei morti, che nessun compone,
di cornacchie una nube per sudario!

Il fatalismo albanese
Allah … È grande Allah! Dal minareto
più volte al giorno canta il muezzino,
col suo ritmo nasale consueto.
Lo skipetare crede nel destino!
Su le gambe incrociate, assiso, aspetta …
con la pietra focaia e l’acciarino
accende l’esca per la sigaretta…
Hanno le stelle anch’esse il loro fato!
Quindi, tu, uomo, tenue nuvoletta
di fumo, da orgoglio sollevato,
al paragon degli Astri, indifferente
accogli il tuo destino, già segnato.
La guerra in questo lembo d’orìente,
nell’immolare tanta gente affranta,
agì, com’era scritto, fatalmente!
Dal minareto il muezzino canta …

L’imbarco dei prigionieri e dei serbi
Ma chi bada ai cadaveri?! All’imbarco
tendono ansiosi serbi e prigionieri,
sì ch’ora ogni disagio è lieve carco.
Corri, torrente umano: verso Fieri
in parte per Valona t’incanali,
verso Cavaia per Durazzo speri …
Le nostre Navi, apppen burchielli frali,
miri lontano … in l’una e l’altra baia …
e alfin le vedi ingigantir, normali!
Prigionieri, falciati già a migliaia,
– ma ancor tanti … -, per la nostra Flotta,
luce di vita a gli occhi vostri appaia!
Popolo Serbo! Canta, non rimbrotta,
il Nostro Mare, per la umana gioia,
mentre che su Corfù per te fa rotta
il Navarca Luigi di Savoia*.
*Vice ammiraglio, comandante la Flotta della base di Taranto.

La battaglia di Durazzo e l’imbarco della Brigata Savona
Da Sasso Bianco a Juba co’ tuoi Fanti,
o Brigata Savona, decimata
già dal colera e dai disagi tanti,
tu sola, tu gloriosa, sei restata
su tanto immenso fronte, a sostenere
del tremendo nemico l’avanzata.
Cento contro uno! Proporzioni vere!
Or che il nemico incalza a divisioni,
tu, eroica Brigata, le tue schiere
raccogli, ché già troppe immolazioni
offeristi … E a Durazzo il ponte varca,
e distruggi provviste e munizioni,
sì che il nemico trovi vuota l’arca …
L’abbraccio sol del nostro Marinaio
è premio al grande Fante che s’imbarca …
Del novecentosedici, o Febbraio!

Mio padre in Albania, come la maggior parte dei soldati di quella spedizione, contrasse la malaria. Si congedò nel 1919 alla fine del conflitto, decorato di croce di guerra, col grado di primo capitano (un grado che oggi non esiste più). Fu richiamato poi alla vigilia della Seconda guerra mondiale col grado di maggiore. Dal fronte d’Albania portò con sé una mascotte, una cagnetta, un fox terrier, Frufrù, che lo accompagnò per il resto della guerra e che fu pure ferita in un assalto alla baionetta. Morì vecchissima a Cassino.
Completati gli studi presso l’università di Napoli, egli fu a Cassino un solerte animatore di iniziative culturali. Non cessò mai di scrivere, in poesia e in prosa. Affrontò con ampi riconoscimenti la professione forense ma ben presto si trovò in difficoltà per il suo perentorio rifiuto di aderire al Fascio, finché fu radiato dall’albo e fu fatto oggetto anche di aggressioni fisiche.
Esule a Roma per la diaspora dello sfollamento, qui morì nel 1973, ma riposa nella sua Cassino. Gli fu sempre al fianco per sostenerlo nella sua battaglia ideale mia madre, Angelica Nugnes. Entrambi furono colpiti nel 1929 dal più grande dolore della loro vita, la perdita della adorata Iris, figlia unica allora di tre anni (poi, nel 1930, arrivai io e tre anni dopo mia sorella Fausta).
Erano andati a passare il Natale dal nonno materno a Napoli: lì la bambina si ammalò di una broncopolmonite che non le diede scampo.
Alla sua memoria mio padre dedicò la sua lirica più bella che fu scolpita con bei caratteri liberty sulla sua tomba a Cassino, più tardi sconvolta dalle bombe.
Oggi al cimitero è incisa su una fredda piastra metallica.

Iris
nel cobalto infinito del cielo,
che degli occhi tuoi azzurri
e dell’anima tua
è tutto quanto ci resta
di visibile
al nostro occhio mortale,
nell’ora che il sole si leva,
o dardeggia al meriggio,
o volge al tramonto,
e oggi e domani e sempre,
due cuori, due fiamme,
brucianti di eterna passione,
s’elevano a te.
È mammina, è il tuo babbo, o adorata:
Essi,
unendo lacrima a lacrima,
come perla unita alla perla,
di speranza creano un filo
per raggiungere Dio,
per vedere in un giorno,
fra gli Angeli eletta,
Te la più eletta,
o dolcissima IRIS

Un altro cassinate illustre della Cassino che fu, Raffaele Valente, così definì quei versi: “La lirica è eccedenza di passione. Per ispirare una lirica così nobile e alta, la passione deve eccedere al di là d’ogni confine terrestre e superare la stessa umanità”.

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