La Pace di San Germano del 1230

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di Emilio Pistilli

Un capitolo della nostra storia poco conosciuto.
Il trattato di pace tra papa Gregorio IX e l’imperatore Federico II, firmato nella chiesa di S. Germano (Cassino) il 23 luglio, segnò una svolta nei rapporti tra l’impero e la Santa Sede.

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Il quadro storico
Federico II nacque a Iesi nel 1194; fu re di Sicilia col nome di Federico I dal 1198, re di Germania dal 1198 al 1245, re dei Romani nel 1196 e imperatore nel 1220. Nacque da Enrico VI di Svevia, (della casa Hohenstaufen, figlio di Federico I il Barbarossa), e da Costanza d’Altavilla (figlia di Ruggero II, incoronata imperatrice a Roma nel 1191 e regina di Sicilia nel 1194). Perse il padre a tre anni e la madre l’anno successivo; fu posto da questa sotto la tutela di papa Innocenzo III, che lo incoronò re di Sicilia e di Puglia a soli quattro anni; ma solo nel 1208 poté assumere effettivamente il titolo, dopo aver dovuto contendere il territorio alle varie fazioni.
Con la costituzione di Eger garantì alla Chiesa tutti i diritti ed i possessi in Italia.
Per la corona di Germania dovette allearsi con Filippo II di Francia e contenderla ad Ottone IV; nel 1215 fu incoronato re di Germania ad Aquisgrana e confermò la sua devozione al papa, impegnandosi a condurre una crociata in Terrasanta.
Con la salita al soglio pontificio di Onorio III (1216) cominciò a non sentirsi più legato agli obblighi verso la chiesa; la crociata fu rinviata di anno in anno con pretesti vari.
Nel dicembre 1220 fu incoronato imperatore a Roma da Onorio III; all’incoronazione partecipò anche l’abate di Montecassino Stefano I, che ottenne, in seguito al passaggio dell’imperatore per S. Germano, la conferma della giurisdizione criminale. Subito dopo Federico dovette tenere a freno la ribellione dei comuni lombardi, aiutato, in ciò, da papa Onorio III e dal suo successore Gregorio IX (1227-1241); per contrastare il potere dei baroni ordinò, nel 1221, l’abbattimento di tutte le rocche costruite dopo il 1189; tra esse fu compresa anche la Rocca Janula di S. Germano (Cassino), che, benché edificata dall’abate Aligerno nella seconda metà del sec. X, fu distrutta nel 1126 e ricostruita dopo il 1189.
Nel 1224 furono abbattute parzialmente anche le mura di S. Germano per volere dell’imperatore; a lui più volte Montecassino dovette versare ingenti somme di danaro.
Nel 1225, 22 luglio, Federico II, di ritorno dalla Puglia, seguito da prelati del regno, si recò a S. Germano. Lì, nella chiesa maggiore, il 25 luglio, giurò di fare la crociata in Terrasanta entro due anni, pena la scomunica a lui ed alla sua terra; alla missione fu chiamato a contribuire anche l’abate di Montecassino che fornì 100 soldati armati e 1.100 once d’oro; ma la spedizione venne continuamente rinviata.
Gregorio IX, dopo avere ripetutamente e inutilmente imposto all’imperatore di intraprendere la crociata, lo scomunicò (il 29 settembre 1227 nella cattedrale di Anagni). Nel giugno 1228 finalmente partì per la Terrasanta ma, anziché combattere gli infedeli, si limitò, con abili negoziati, ad acquistare Gerusalemme ed altri luoghi santi dal sultano d’Egitto Al-Kamil, che era in conflitto con quello di Damasco. Accampando diritti sul territorio della città santa come erede di Giovanni di Brienne, per aver sposato la figlia Isabella Iolanda (morta nel 1228), si fece incoronare re di Gerusalemme (1229).
Al suo ritorno in Italia dovette riconquistare il regno meridionale che era stato invaso dalle truppe del papa, che ormai gli era dichiaratamente nemico. Tutti i suoi avversari si posero dalla parte del papa costituendo il partito guelfo, mentre i suoi alleati costituirono il partito ghibellino. In tale frangente l’abate di Montecassino Landolfo si trovò schierato dalla parte dell’imperatore; ne ottenne come conseguenza la ricostruzione della Rocca Janula e la riparazione delle mura. La città fu assediata dalle truppe papali e dovette arrendersi stipulando un accordo con il legato pontificio. In reazione a ciò Federico si impadronì della città di S. Germano e confiscò tutte le terre del monastero.
Però in questa fase della riconquista del regno del sud e di affermazione del potere centrale, l’imperatore trovò conveniente cercare un trattato di pace con papa Gregorio IX, trattato che fu sottoscritto nella chiesa maggiore di S. Germano dallo stesso imperatore  e dal rappresentante del papa, il cardinale di S. Sabina, il 23 luglio 1230.
Federico fu scomunicato una seconda volta dal papa Gregorio IX il 20 marzo 1239; il mese successivo occupò di nuovo S. Germano e scacciò i monaci dal monastero, fortificandolo insieme alla sottostante Rocca Janula e rinforzando le mura della città.
La Terra di S. Benedetto fu coinvolta nelle vicende tempestose di quel periodo, fu teatro di scontro tra le forze di Federico II – ancora scomunicato (Concilio di Lione 1245) e dichiarato decaduto dal trono – ed il papato, impegnato nella cacciata degli Svevi dal regno di Sicilia.
I preliminari della pace di S. Germano
L’imperatore Federico II si recò in S. Germano per la prima volta il 22 luglio 1225; vi sostò per almeno tre giorni: infatti il 25 dello stesso mese dinanzi al vescovo di Albano, il cardinale Pelagio, e al presbitero di S. Martino, il cardinale Gualo, in rappresentanza del papa Onorio III, giurò solennemente, sotto pena della scomunica, di effettuare entro due anni una crociata in Terrasanta per liberarla dagli infedeli.
Tale impegno non fu mantenuto, nonostante le ripetute sollecitazioni del pontefice, e la scomunica giunse da parte di papa Gregorio IX nel 1227.
La crociata fu effettuata nel 1228 ma si risolse con un accordo incruento col sultano d’Egitto Al-Kamil per il possesso di Gerusalemme e con l’incoronazione di Federico a re di Gerusalemme.
Al ritorno in Italia, nel 1229, l’imperatore dovette riconquistare una ad una le terre del suo regno meridionale invaso dalle truppe del papa.
Dalla Puglia inviò ambascerie dal papa per trattare la pace, ma non ottenne nulla; allora con il suo esercito di crociati nel mese di settembre marciò verso Capua preparandosi allo scontro con l’esercito papale guidato dal vescovo di Albano.
Mentre Federico si era recato a Napoli per raccogliere rinforzi, il vescovo di Albano ordinò al vescovo di Calvi di impadronirsi del tesoro di Montecassino e della chiesa di S. Germano: tale cosa fu evitata con l’esborso di danaro da parte dei chierici di S. Germano.
Di ritorno da Napoli l’imperatore spostò l’esercito da Capua per attaccare Calvi, che era difesa dai papalini. Riconquistata Calvi avanzò impadronendosi di Vairano, Alife e Venafro.
L’esercito papale ripiegò verso Mignano e si rifugiò in S. Germano, dove gli abitanti, prevedendo una vittoria dell’imperatore, misero al sicuro i loro più preziosi averi.
Il vescovo di Albano, Pelagio, cominciò preparare Montecassino e Rocca Janula ad una lunga difesa, ma l’imperatore, informato di ciò, si precipitò verso S. Germano provocando la fuga dell’esercito papale verso la Campania, mentre Pelagio, con i vescovi di Alife e di Aquino, si rifugiò in Montecassino con un gruppo di soldati rimastigli fedeli; a S. Germano fu proibita la celebrazione dei sacri riti.
L’esercito imperiale si accampò presso Aquino facendo saccheggiare Villa S. Lucia e la chiesa di S. Matteo; il monastero di Montecassino fu assaltato senza successo. Intanto molte località si consegnarono all’imperatore: Sessa, Presenzano, Rocca d’Evandro, Isernia, Alife, Arpino, Fontana e in ultimo Teano. Inutilmente l’imperatore cercò di assicurarsi Sora tramite il conte di Acerra. Provvide a nominare castellani o camerari suoi uomini di fiducia: il castello di Piedimonte fu concesso ai signori di Aquino, Tommaso del Maestro fu castellano di Rocca d’Evandro, a Rocca Janula fu posto un calabrese, Guglielmo di Vandra e Matteo Dionisio furono baiuli di S. Germano, mentre furono camerari della Terra di S. Benedetto Rainerio Pellegrino e Bartolomeo di Vandra, che decisero di devolvere al fisco imperiale il demanio della curia cassinese.
Il 10 ottobre 1229 Federico inviò una lettera ai principi di Lombardia annunciando trionfalmente le sue vittorie ed invitandoli a recarsi immediatamente presso di lui con cavalli e adeguatamente armati.
Fece rifornire Rocca Janula di vino e vettovaglie e decise di cambiarne il castellano consegnando la fortezza, insieme ai castelli di Pontecorvo e Castelnuovo, ai signori di Aquino, Pandolfo e Roberto.
Il 14 ottobre l’imperatore tolse l’accampamento da Aquino ma fu costretto da una violenta pioggia a sostare in S. Germano, dove rimase per sette giorni, dopo di che ritornò ad Aquino. Di qui inviò messaggi a tutti i principi per giustificare il suo operato in Terra Santa e per difendersi dalle accuse del patriarca di Gerusalemme, che lo rimproverava di aver firmato un trattato con il sultano con vergogna per i cristiani. Lì ricevette un’ambasceria del senato di Roma.
Intanto per fortificare la città di S. Germano furono abbattute case in alcuni quartieri (Coraria e Valle).
Il 28 ottobre Federico assaltò Sora e la diede alle fiamme: molti furono i morti e i prigionieri; anche Guglielmo di Sora fu impiccato fuori le mura.
Subito dopo ritornò ad Aquino.
Il 27 novembre il maestro dell’Ordine Teutonico, Ermanno di Saltz, accompagnato da Tommaso di Capua, cardinale di S. Sabina, portò all’imperatore in S. Germano buone notizie dal papa circa le possibilità di riconciliazione.
Proprio in seguito a tali notizie Federico scrisse una lettera di perdono all’abate ed ai monaci cassinesi per le offese ricevute nell’ambito della discordia tra lui ed il papa. Con un’altra lettera invitò gli abitanti della Terra di S. Benedetto ad obbedire come prima all’abate ed ai monaci. Restituì, poi, all’abbazia tutto il patrimonio cassinese. Furono graziati i vescovi di Albano e di Alife e lasciati liberi di uscire dal monastero con i soldati che vi si erano rifugiati. Tutto il patrimonio del monastero con le sue terre fu affidato al maestro dell’Ordine Teutonico, che nominò come suo procuratore, durante la sua assenza, un certo frate Leonardo. Lo stesso Ermanno di Saltz  si recò con il vescovo di Albano a Roma per definire alcuni dettagli dell’accordo di pace con il papa.
Furono imposte esazioni di danaro a Venafro, Isernia e Teano; anche nella Terra di S. Benedetto fu raccolta l’annona per i cavalli dell’imperatore, che intanto si era trasferito a Capua per trascorrevi il Natale; in tale occasione furono liberati anche i prigionieri di Sora.
Nel mese di gennaio 1230 il procuratore frate Leonardo scelse 40 uomini in S. Germano e nei paesi circostanti per la difesa del monastero, facendo loro giurare di difenderlo insieme alle persone che vi abitavano.
L’imperatore si era trasferito in Puglia, a Melfi, mentre il papa, in seguito ad un’alluvione del Tevere, fu richiamato a Roma da Perugia il 24 febbraio.
Nello stesso mese il notaio dell’imperatore, Francesco di Capua, portò a S. Germano una lettera imperiale con la quale si invitavano gli uomini a mettersi al servizio militare dell’imperatore con la promessa dell’esonero da qualsiasi altro servizio e la prospettiva di tenersi le armi ed i cavalli una volta ritornati a casa.
In questo periodo vi fu un via vai di personaggi nobili e di messi tra il papa e Federico II per le trattative di pace e finalmente nel mese di aprile l’imperatore ebbe dal papa un documento con la proposta di pace.
Il 10 di aprile il contestabile di Capua, filippo di Citro, fu nominato direttore dei lavori di fortificazione di S. Germano; egli recò una lettera imperiale agli abitanti della stessa città e a quelli dei territori dell’abbazia con l’ordine di ottemperare alle sue decisioni per tutta la durata delle opere di fortificazione delle terre di S. Germano e di prestare lavoro, ovunque fosse necessario, per la costruzione delle mura, delle torri e dei fossati, con la sola eccezione degli abitanti di S. Angelo in Theodice il cui castello l’imperatore aveva precedentemente fatto fortificare.
Nel frattempo diverse città del meridione e della valle del Liri furono ricondotte in potere dell’imperatore.
Il 18 aprile questi inviò all’abate di Montecassino una nuova lettera di perdono tramite il duca d’Austria Leopoldo ed il patriarca di Aquileia.
La pace
Per dar corso al trattato di pace il vescovo di Sabina ed il cardinale di S. Sabina diedero appuntamento a Federico a Capua per l’assoluzione dalla scomunica; in attesa del loro arrivo i cardinali sostarono in S. Germano. L’incontro avvenne il 30 maggio in Capua, ma l’imperatore non accettò il trattato di pace perché la chiesa voleva tenersi S. Agata e Gaeta. Gli abitanti di Gaeta, interpellati, non furono convinti a passare dalla parte dell’imperatore, perciò le trattative durarono a lungo senza possibilità di sbloccarle. Mentre i cardinali sostavano a S. Germano l’imperatore fece richiamare dalla Lombardia il maestro dell’Ordine Teutonico che, recatosi dal papa, non ottenne nulla. Allora da Roma fu inviato a S. Germano il monaco Guala Romanoni, dell’ordine dei Predicatori, con la proposta d’accettazione di pace.
Dopo il 25 giugno l’imperatore da Capua andò a S. Germano dove, a tarda sera, incontrò il monaco Guala e finalmente decise di accettare le condizioni del papa.
Alla notizie suonarono tutte le campane di S. Germano, mentre Guala raggiunse il papa ad Anagni.
Il 23 luglio – e non il 9 luglio, come erroneamente ricorda Riccardo da S. Germano –, martedì, festa di S. Apollinare, il vescovo di Sabina ed il cardinale di S. Sabina, nella chiesa maggiore di S. Germano – alla presenza del patriarca di Aquileia, dell’arcivescovo di Salisburgo, dei vescovi di Ratisbona e di Reggio, dei duchi di Carinzia e di Moravia, dei principi di Germania, visto che era assente il duca d’Austria gravemente ammalato (morì cinque giorni dopo, il 28 luglio), presenti anche i prelati del regno, gli arcivescovi di Palermo, di Reggio e di Bari, nonché gli abati di Montecassino, di Casamari e di S. Vincenzo al Volturno e gli altri prelati che avevano lasciato il regno per paura, inoltre il duca Rainaldo di Spoleto, Tommaso di Aquino conte di Acerra, il maestro giustiziere Enrico di Morra e gli altri giustizieri del regno, baroni e gente del popolo – a soddisfazione di santa Romana chiesa, tramite coloro dai quali era stato scomunicato, ricevettero pubblicamente dall’imperatore il giuramento sulla sua anima; giurarono per lui anche Tommaso d’Aquino conte di Acerra, nonché i prelati ed i principi germanici insieme a lui sui seguenti capitoli. L’arcivescovo di Salisburgo a discolpa dell’imperatore pronunziò un lungo sermone, al quale rispose con un’orazione non meno bella il cardinale di Santa Sabina.
Privilegio dei prìncipi di Germania.
“Nel nome del Signore, amen. Noi, Bertoldo patriarca di Aquileia, [Eberardo] arcivescovo di Salisburgo, [Sigfrido] vescovo di Ratisbona, Leopoldo duca d’Austria e di Stiria, [Bernardo] duca di Carinzia e Ottone duca di Moravia, per grazia di Dio principi dell’impero, con la presente scrittura vogliamo render noto a tutti che tra la sacrosanta Romana chiesa nostra madre e signora ed il serenissimo nostro signore Federico sempre augusto imperatore, re di Gerusalemme e di Sicilia, hanno convenuto che di comune accordo si cercherà una strada per la quale, con onore della chiesa, ritornino all’imperatore le città di Gaeta e di S. Agata e tutti gli abitanti del regno di Sicilia che con i loro beni la chiesa aveva accolto nella sua fede e che ancora permangono nella devozione della chiesa. Per questo trattato si dà un anno di tempo, ammesso che non si riesca prima a trovare un accordo, per il quale madre chiesa ha promesso attenzione ed impegno; tale termine non puó essere prorogato senza il consenso delle parti. Ma se, ci auguriamo di no, entro il termine suddetto non sarà possibile trovare una comune via, da quel momento si cercherà una soluzione tramite arbitri scelti di comune accordo, di cui due saranno di parte della chiesa e due dell’imperatore. Ma se non ci si potrà  ancora accordare ne sarà eletto un quinto ed allora si dovrà accettare la decisione della maggioranza.”
L’imperatore, poi, prestò giuramento per mezzo di Tommaso conte di Acerra, che giurava sulla sua anima su suo incarico, che nel frattempo non avrebbe arrecato danni alle suddette terre ed agli abitanti, né avrebbe permesso che i suoi lo facessero, e che avrebbe accettato la soluzione stabilita per trattato comune di santa Romana chiesa e di lui stesso imperatore.
“Rendiamo inoltre noto che l’imperatore perdona ogni offesa ai Tedeschi, ai Lombardi, ai Toscani ed agli abitanti di Sicilia in genere ed ai Francesi che parteggiarono per la chiesa contro di lui, e, come già detto, fece giurare il conte di Acerra che mai avrebbe recato offesa ai suddetti né avrebbe permesso che lo si facesse al suo posto, poiché avevano parteggiato per la chiesa contro di lui a causa della discordia insorta, ma avrebbe osservato la pace con essi e la chiesa. L’imperatore ritira anche quelle sentenze, costituzioni e bandi da lui o altri emanati in tale occasione contro di loro. E promette che né lui né altri invaderanno o devasteranno le terre della chiesa situate nel ducato o nella marca o in altro possedimento della chiesa, così come ampiamente risulta nelle scritture fatte dallo stesso imperatore munite delle bolle auree e dei sigilli di sua maestà. Anche noi abbiamo giurato sui sacrosanti vangeli di adoperarci con buona fede affinché l’imperatore osservi le cose predette e non venga meno alle promesse. E se lo facesse e non decidesse di emendarsi entro tre mesi nel regno, quattro in Italia, cinque fuori d’Italia, ci adopereremo con forza ed apertamente nell’interesse della chiesa contro lo stesso inperatore fino a quando questi non avrà adempiuto ai patti. E se l’imperatore indugiasse, non nominasse gli arbitri o impedisse agli arbitri di procedere, noi parteggeremo per la chiesa così come è scritto. Se invece fosse la chiesa a non voler indicare gli arbitri o, una volta indicati, a impedire che procedano, da quel momento noi non saremo tenuti al rispetto del giuramento limitatamente a questa clausola. A memoria di ciò abbiamo fatto redigere insieme la presente scrittura munita dei nostri sigilli. Redatto in S. Germano il 1230, nel mese di luglio, il 23 dello stesso mese, indizione terza.”
Nello stesso giorno i cardinali a nome del papa ordinarono all’imperatore, vincolato dal giuramento, di restituire tutto ciò che era stato preso da lui o da altri suoi ministri nella marca o nel ducato o in altro patrimonio della chiesa e tutto ciò che era stato preso da lui, dai suoi ministri, dai suoi baiuli, dai castelli, dai possedimenti monastici, in particolare del monastero di S. Quirico di Antrodoco, delle chiese, dei Templari, degli Ospitalari, dei baroni e degli altri nobili del regno dovunque, e anche di quegli altri che in questa contesa avevano parteggiato per la chiesa contro di lui; ordinarono inoltre di restituire alle loro sedi ed ai loro beni l’arcivescovo di Taranto e tutti i vescovi e prelati che ne erano stati scacciati.
In forza dello stesso giuramento ordinarono che per il futuro nessun ecclesiastico potesse essere giudicato da un giudice laico in una causa civile o criminale, fatta eccezione per i feudi ad amministrazione civile; ordinarono anche che nessuno potesse decidere taglie o imposizioni di danaro alle chiese, ai monasteri, ai preti o agli uomini di chiesa né ai loro beni; infine che le elezioni, le petizioni e le conferme delle chiese e dei monasteri avvenissero liberamente nel regno secondo quanto stabilito dal concilio generale.
Mercoledì 24 luglio, vigilia di S. Giacomo, il monaco Guala, tornando dal papa a S. Germano, forte dell’autorità apostolica, ordinò che i cardinali ripristinassero in S. Germano e nella terra dell’abbazia le celebrazioni religiose che erano state abolite dal vescovo di Albano; si ordinò anche che i riti religiosi si celebrassero in tutto il regno con esclusione di coloro che erano stati nella marca con il duca di Spoleto Rainaldo.
Su mandato dell’imperatore si restituì al conte Ruggero dell’Aquila Traetto, Suio e la contea di Fondi.
All’abate cassinese si restituì il libero possesso del monastero e della Rocca Janula, che, secondo i patti, affidò in custodia al più volte ricordato monaco Leonardo maestro dell’Ordine Teutonico, il quale a sua volta la affidò in custodia a Raniero Pellegrino di S. Elia, che riteneva fedele all’imperatore, affinché, dopo aver giurato, la custodisse fedelmente fino a quando l’imperatore non fosse sciolto dalla scomunica.
I vescovi di Teano, di Alife, di Venafro e gli altri prelati del regno, fecero ritorno liberamente alle loro sedi dalle quali erano stati estromessi.
L’ultimo giorno di luglio, verso sera, l’imperatore uscì da S. Germano e si recò ad Aquino.
In quei giorni un’infestazione di bruchi aggredì e devastò le terre dell’abbazia divorando tutto il miglio e le piante.
Nella festa dei santi Nazario e Celso, domenica di Pentecoste, 28 luglio, in S. Germano morì di morte naturale il duca d’Austria e di Stiria Limpoldo; le sue ossa furono portate in Germania, secondo l’usanza teutonica, mentre la carne fu tumulata con onori presso Montecassino.
Il primo agosto l’imperatore si recò a Roccadarce. Ordinò, quindi, che il castello di Pontecorvo e di Piedimonte con Castelnuovo fossero restituiti all’abate cassinese dal conte di Aquino, che ne deteneva il possesso per conto suo.
Lunedì cinque agosto il vescovo di Sabina ed il cardinale  di santa Sabina lasciarono S. Germano e si trasferirono a Ceprano, dove li raggiunse l’imperatore con il suo esercito.
Il 24 agosto Federico inviò ambasciatori e lettere a tutte le città e castelli della marca che gli erano stati fedeli nella scomunica affinché ritornassero all’obbedienza della chiesa.
Nello stesso mese di agosto, nella festa di S. Bartolomeo, il 24 agosto, un fulmine colpì il campanile del monastero di Montecassino abbattendone la parte alta ma lasciando integre le campane.
Mercoledì 28 agosto, festa di S. Agostino,  il vescovo di Sabina, nella cappella di S. Giusta a Ceprano, sciolse dalla scomunica l’imperatore ed i suoi fedeli.
Alla fine di novembre papa Gregorio ritornò a Roma e maestro Guglielmo di S. Germano, eletto canonicamente cappellano del papa, fu fatto arciprete di S. Germano.


Bibliografia di riferimento
– Ryccardi De S. Germano, Chronica, a cura di C. A. Garufi, in , L. A. Muratori, Rerum Italicarum Scriptores, T. VII, pars. II.
– Giorgio Falco, I preliminari della Pace di S. Germano, Archivio della Regia Società di Storia Patria, Vol. XXXIII, pagg. 441-479.
– Lucien Auvray. Les régistres de Gregoire IX, T. III, Paris, Fontemoing, 1896
– Eduard Winkelmann, Kaiser Friedrich II, Vol. II, Lipsia, 1889-1897.
– Historia diplomatica Friderici secundi, III, pp. 207-229.
– K. Hampe (a cura di), Acta pacis ad S. Germanum anno MCCXXX initae.Die Aktenstücke zum Frieden von S. Germano 1230, in M.G.H., Epistolae Selectae, IV, 1926.

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