1861: Briganti all’assalto di Isoletta e di San Giovanni Incarico

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Studi Cassinati, anno 2010, n. 4
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di Fernando Riccardi


La mattina dell’11 novembre del 1861 una folta banda di insorgenti impegnati in un’a- zione di riconquista del territorio, diretta da Luigi Alonzi, alias “Chiavone”, e dal co- lonnello legittimista francese Henri Arnous de Riviere, piombò inaspettata sul castello di Isoletta, nei pressi del fiume Liri. Il brigantaggio stava bruciando allora le sue ulti- me fiammate politiche e, pilotato dalla centrale capitolina borbonica, cercava in tutti i modi di reinsediare sul trono di Napoli il legittimo re Francesco II spodestato dalla in- vasione garibaldin-savoiarda. “Forse la scelta del giorno non fu casuale: l’11 novem- bre ricorre San Martino. Nel mondo contadino tale ricorrenza segna l’inizio dell’an- nata agraria: era il corrispondente dell’attuale Capodanno e, come tale, veniva fe- steggiato. Attaccando in un giorno festivo Chiavone forse contava di trovare un’atmo- sfera più rilassata e, quindi, una minore resistenza. Forse neanche la scelta del luogo in cui attaccare fu casuale: sappiamo che nel settembre 1860, pochi giorni dopo che Garibaldi aveva fatto il suo ingresso trionfale in Napoli, in Isoletta aveva avuto luogo una manifestazione filoborbonica capeggiata da Achille Forte”: così scrive Ferdinan- do Corradini ricostruendo quel particolare episodio1. A guardia del maniero vi era un esiguo plotone del 43° fanteria, soltanto 18 uomini, comandato dal sergente Eracliano Cobelli. L’episodio è descritto in maniera rapida ma esaustiva dal conte Alessandro Bianco di Saint-Jorioz, ufficiale piemontese che partecipò alla campagna di conquista nel meridione d’Italia e che fu autore, nel 1864, di uno “studio storico-politico-statisti- co-morale-militare” sul brigantaggio postunitario nei pressi della frontiera con lo Stato Pontificio, tanto preciso e circostanziato quanto smaccatamente partigiano2. Non es- sendo in grado di fronteggiare l’assalto, considerata la netta inferiorità numerica, il ser- gente “si rinchiuse tosto co’ suoi uomini nel Castello e vi si difese coraggiosamente fi- no a che i briganti scassinate le porte e scalate le finestre, penetrarono nell’edificio per ogni dove. Allora il sergente operò una ritirata che non sembra vera, tanto fu ammire- vole, egli passò fra le fila dei briganti facendosi largo colla bajonetta, e giunse a San Giovanni in Carico con dieci de’ suoi valorosi, essendo gli altri otto caduti nel conflit- to. A San Giovanni in Carico la scena si faceva più lugubre. Lo sciame de’ briganti, do- po il trionfo d’Isoletta, per la via della montagna vi si precipitò d’un tratto; i pochi soldati che erano di presidio non potendo reggere a tant’urto, cedevano il terreno a poco a poco, senza voltar mai le spalle agl’invasori. Ma già il fuoco appiccato dai briganti ai fabbricati serpeggiava in varj punti; gli assalitori impadronitisi delle case facevano un fuoco ben nutrito sugli assaliti: fu quindi giuocoforza cedere e ritirarsi. Giunti però a poco distanza fuori di San Giovanni in Carico, incontrarono una compagnia pure del 43° che, saputa da Pico, ov’era di presidio, l’aggressione, correva a tutta lena, guida- ta dal suo Capitano [si trattava di Cesare Gamberini, n.d.a.], in soccorso di quel paese e de’ suoi compagni. Riunirsi tutti, concertare un attacco generale, correre ad eseguir- lo e riprendere il paese, fu opera di pochi istanti. I briganti scacciati di casa in casa, respinti di strada in strada, uccisi, feriti, perseguitati, dovettero abbandonare il paese, e furono colla bajonetta alle reni cacciati di nuovo verso il confine, e fin dove la ripi- da elevazione del monte lo permise. Cinquantasette cadaveri di questi assassini furono raccolti nel paese e nei dintorni; uno dei loro capi, se pure era tale, il marchese Alfre- do di Trazegnies, preso colle armi in pugno, fu tosto fucilato con altri tre birbaccioni”3.

Fin qui il racconto del Saint Jorioz che si ferma poi a parlare del giovane marchese belga e della sua presenza tra i briganti “una delle tante umane contraddizioni che non è sempre in nostro potere di spiegare”4. I briganti, quindi, dopo l’effimero successo ini- ziale, erano stati duramente sconfitti e ricacciati sia da Isoletta che da San Giovanni In- carico dal ritorno in forze dei soldati piemontesi. Lo scontro si concluse con gravi per- dite: sul terreno, infatti, rimasero 57 insorgenti, tra i quali il nobile De Trazegnies, ucciso brutalmente con un colpo di fucile alla nuca, e 9 piemontesi. Ancora quindici gior- ni dopo i Francesi che, recuperato il corpo del marchese lo conducevano a Roma per dargli una degna sepoltura, “ebbero modo di vedere per le strade di Isoletta i corpi, la- sciati di proposito insepolti, di undici insorgenti giustiziati sommariamente con un col- po di ficile alla nuca”5. Nel centro di Isoletta, in via del Palazzo, un’angusta stradina che tra ali di case si inoltra nella campagna, in un largario in prossimità di una curva, è stata posizionata una lapide marmorea che reca la seguente iscrizione: “Assalita Isolet- ta da 400 briganti 18 soldati della 7 compagnia del 43 reggimento dell’esercito italia- no la difesero strenuamente. A perenne memoria di Casella Bartolomeo da Pallanza, Faloiola Giovanni da Novara, Melati Giacomo da Rieti, Corsini Giovanni da Pallan- za, Caselli Barnaba da Rieti, Borella Giacomo da Intra6, Rossi Salvatore da Perugia, Plausa Cesare da Perugia morti combattenti da prodi quando il primo con eroico slan- cio salvava la nazionale bandiera. I commilitoni posero. 11 novembre 1861”. Si tratta dell’elenco dei soldati italiani caduti nel tentativo di difendere il castello di Isoletta dal- l’assalto dei chiavonisti. In quell’azione si distinse Bartolomeo Casella di Pallanza, og- gi frazione di Verbania, in Piemonte. Al riguardo così annota ancora il Saint Jorioz: “Da poco giunto al reggimento, avrebbe potuto rinchiudersi cogli altri suoi compagni nel Castello e forse salvarsi; ma accortosi che una bandiera tricolore sventolava nella ca- sa vicina, si slanciò per staccarla, onde non rimanesse preda e trofeo ai briganti. Cad- de nell’atto crivellato dalle palle degli aggressori. Nelle angosce della morte si avvol- se attorno la salvata bandiera e nelle sue crespe spirò. In questo glorioso lenzuolo fu- nereo la sua salma fu sepolta da’ proprj commilitoni nella chiuesuola d’Isoletta”7. Il sergente Eracliano Cobelli, il comandante del presidio di Isoletta che riuscì a salvare la pelle, fu promosso sottotenente e decorato con la medaglia d’oro al valor militare. In- fine al capitano bolognese Cesare Gamberini, colui che liberò il paese dai briganti, la municipalità di San Giovanni Incarico si pregiò di concedere la cittadinanza onoraria. Nel 2001, nel corso dei lavori per la realizzazione del tunnel che conduce al ponte sul fiume Liri, “in una sorta di fossa comune, sono venuti alla luce alcuni scheletri uma- ni: si tratta, con ogni probabilità, dei resti degli insorgenti giustiziati dai Piemontesi o di gran parte di essi”8. Ed è singolare il fatto che tra quella lapide che ricorda i soldati piemontesi uccisi e la fossa comune che ha accolto i corpi dei briganti non vi siano che poche centinaia di metri. Uomini venuti dal nord e figli legittimi del sud stretti in un ul- timo e ferale abbraccio. Quella terribile guerra civile, perché di questo effettivamente si trattò, si protrasse per dieci lunghi anni ed anche di più. Alla fine non rimase che de- solazione, morte e un immane bagno di sangue. Di sangue italiano.


1 Ferdinando Corradini, … di Arce in Terra di Lavoro …, volume II, parte speciale, sezione I, Lito- grafia Francesco Ciolfi, Cassino 2004, p. 269.

2 Alessandro Bianco di Saint Jorioz, Il brigantaggio alla frontiera pontificia dal 1860 al 1863, G. Dael- li e C. Editori, Milano 1864, ristampa anastatica a cura di Arnaldo Forni Editore, Sala Bolognese

2010.

3 Alessandro Bianco di Saint Jorioz, op. cit., pp. 278/279.

4 Alessandro Bianco di Saint Jorioz, op. cit., p. 281.

5 Ferdinando Corradini, op. cit., p. 271.

6 Con il Regio Decreto n. 702 del 4 aprile 1939 i comuni di Intra e di Pallanza vennero fusi e presero il nome di Verbania.

7 Alessandro Bianco di Saint Jorioz, op. cit., pp. 279/280.

8 Ferdinando Corradini, op. cit., p. 271.

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