67 anni dopo la strage di Collelungo – AFFIORA UN FILO ROSSO TRA VALLEROTONDA E CAIAZZO

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Studi Cassinati, anno 2010, n. 4
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di Costantino Jadecola


Tornare a Collelungo suscita sempre un certo effetto. Ma tornarci il 28 dicembre, il giorno dell’eccidio, come io ci sono tornato il 28 dicembre scorso, è tutta un’altra cosa. Da allora sono passati sessantasette anni ma qui è (quasi) tutto come allora: le impronte di qualche animale che, prima di te, hanno infranto la bianca coltre di neve qua e là chiazzata dalla ruggine scura delle foglie, l’acqua del rio Chiaro che con la consueta indifferenza scorre verso valle, i faggi scheletriti che si stagliano verso il cielo. Di diverso, rispetto ad allora, c’è la grande croce che segna l’epicentro del nefasto evento, ci sono le piccole targhe di ottone spillate sulle rocce a ricordare chi si trovava in quel punto quando la mitragliatrice compì la sua missione di morte e c’è, poi, la piccola croce, sempre più profonda, incisa sulla corteccia di un faggio. Insomma, tutti segni che ricordano la tragedia consumatasi in quel luogo: la strage di Vallerotonda.
Collelungo, 28 dicembre: un luogo e una data passati alla storia, le cui vittime, però, attendono ancora, sessantasette anni dopo, di essere onorate per quel loro sacrificio così come si confaceva ad una situazione del genere e così come, del resto, ci si è comportati per situazioni analoghe.
Analoghe, però, fino a un certo punto. A Collelungo, infatti, tra le 42 vittime ci furono anche sedici bambini. E se è vero che la Chiesa dedica il 28 dicembre ai Santissimi Innocenti Martiri, un qualcosa deve pur esserci in questa non occasionale relazione perché martiri più innocenti di quelli che in quel mattino di fine ’43 sul greto del rio Chiaro finirono nell’obiettivo di fuoco tedesco decisamente è difficile trovarne: Addolorata Di Mascio, con il suo mese di vita ed i suoi fratellini, Alberto (3 anni), Armando (5) e Giuseppe (9); Domenico (1 anno) e Angelina (3) Di Mascio; Ernesto (11 anni), Giuseppe (9), Giustina (9), Maria Civita (6) e Rosa (2) Di Mascio. Infine, i fratelli Bencivenga: Giuseppe (3 anni), Italia (6), Luisa (8), Margherita (1) e Sabatino (10) che quel giorno salirono in cielo insieme a papà Stefano ed a mamma Assunta, tutti e due appena trentacinquenni.
Dalle informazioni di cui si era in possesso, di questa famiglia, peraltro con un cognome non del luogo, si ignorava ogni cosa. Ora, però, grazie ad uno studio di Federico Danise1, si è non solo nella condizione di saperne di più su di essa ma si è anche al cospetto di una singolare circostanza che vede unite tra loro due località entrambe segnate da stragi di guerra naziste: Vallerotonda e Caiazzo.
Stefano Bencivenga, infatti, era nato il 22 aprile 1908 proprio a Caiazzo, località del casertano nelle cui campagne, a monte Carmignano, frazione San Giovanni e Paolo, la sera del 13 ottobre del 1943, su ordine di Wolfang Lehnigk-Emden, un giovane sottotenente della Wermacht 29° Panzergrenadier Regiment, erano stati trucidati con inaudita violenza 4 uomini, 7 donne ed 11 bambini di età compresa tra i 3 e i 16 anni.
Ma perché Bencivenga resta coinvolto nella strage di Collelungo? Appartenente ad una famiglia di mulattieri, che sono coloro che eseguono trasporti in luoghi impervi a mezzo di muli, sicuramente proprio per via di questo lavoro egli si era ritrovato a Cardito per operare alle dipendenze della famiglia Franchi o, forse, dello stesso futuro suocero, Antono Di Mascio, che, secondo Denise, sarebbe stato “proprietario di boschi e di pascoli” nonché di allevamenti “bovini, ovini ed anche equini”2. Sta di fatto che il 28 gennaio 1932 Stefano sposa la coetanea Assunta Di Mascio, figlia di Antonio, dalla cui unione sarebbero poi nati i cinque figli che, insieme ai genitori, furono tra le vittime innocenti della strage di Collelungo.
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1 Federico Danise, Sconosciuto a noi. Associazione storica del Caiatino. 2008.
2 Idem, pag. 63.

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