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Studi Cassinati, anno 2010, n. 2
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di Alessandra Pinchera
L’energia drammatica di un’esplosione: un forte impatto visivo ed emozionale – L’incuria e l’abbandono di oggi
Ci si trova quasi spiazzati nel trovarsi al cospetto della maestosa esplosione di Umberto Mastroianni: un groviglio di elementi tubolari stirati, attorcigliati, ripiegati su se stessi che sfuggono dal loro nucleo, invadendo prepotentemente lo spazio circostante.
L’opera affronta il dramma della distruzione di Cassino e del suo monastero millenario, proponendone non gli effetti di una battaglia – rovine, caduti o la disperazione di chi resta – ma la causa scatenante, il nucleo primario di ogni conflitto bellico moderno: l’esplosione di una bomba.
È questa una scelta insolita da parte dell’artista, ardua ed accattivante. Difficile, infatti, era realizzare con la materia ciò che è totalmente altro in natura: energia, fiammata, immediatezza, rimbombo, sobbalzo. Così Mastroianni si concentra nella capacità di donare ad una scultura senza vita l’energia, il movimento e la capacità di invadere lo spazio intorno, attraverso una fuga di titanici elementi che si svelano e si nascondono allo stesso tempo, provocando nello spettatore meraviglia, stupore, curiosità, timore ed un grande senso di drammatica sopraffazione. Trovandosi ai piedi della grande scultura è quasi possibile udire il frastuono delle bombe e le urla di chi ha vissuto una delle pagine più drammatiche della nostra storia.
Pochi artisti sono riusciti a donare alle proprie opere la capacità di risvegliare altri sensi oltre la vista: Mastroianni è stato capace di dotare la sua opera di un suono assordante. Il Monumento alla Pace racchiude in sé lo stile che contraddistingue l’artista: un plasticismo futurista, permeato da una palpitante vitalità, un accentuato dinamismo e vibrante chiaroscuro. Coesiste anche un richiamo al Cubismo, come rivelazione delle strutture, grazie a violenti scatti e proiezioni irregolari. È proprio il dinamismo, i giochi della luce e delle ombre, la continuità delle forme che si estendono nello spazio a dotare questa scultura di un forte impatto visivo ed emozionale.
Lo stesso Cesare Brandi1, a proposito della mostra antologica inaugurata a Forte di Belvedere a Firenze nel 1981, afferma: “ […] la radice formale, il dinamismo plastico, nei modi di ciascuno, agisce in Mastroianni e nel Bernini”2; lo storico dell’arte stabilisce una connessione della scultura contemporanea, quindi, allo stile barocco, ricco di vigore, di virtuosismo e di forze contrastanti. Lo stesso Brandi parla della prossima sistemazione del Monumento alla Pace (di cui in quella mostra era esposta un modello in legno) sulle pendici di Montecassino a ricordare “l’esplosione di tante, troppe bombe per una libertà conculcata e alla fine ritrovata”3.
La forza centrifuga del nucleo dà forma alla scultura: questo è un tema che contraddistingue le opere di Mastroianni dagli anni Sessanta. Gli anni immediatamente successivi al secondo conflitto mondiale incisero in maniera profonda sull’autore, contribuendo anche a modificare il suo modo di concepire la scultura. Egli infatti abbandona lo stile figurativo per dedicarsi ad opere monumentali, gigantomachie ispirate alla violenza degli eventi storici che lo stesso Mastroianni visse in prima persona. Lo stile figurativo che caratterizzò la sua produzione dagli anni Trenta fino al 1944 lascia spazio a colossi dinamici – ciò è chiaramente esplicitato nella scultura di Cassino –, lontani da ogni residuo accademico. La tensione delle sculture nate nel dopoguerra escludono lo stile consolatorio e si dirigono verso l’Informale.
Il Monumento alla Pace racchiude in sé tutte queste caratteristiche: viene immaginata così una grande opera, le cui dimensioni iniziali dovevano essere di m. 25x25x25.
L’idea divenne forma con il passare degli anni in un modello in legno che l’artista espose in musei italiani ed esteri. In occasione della vasta mostra antologica del 1981 al Forte Belvedere a Firenze il modello del monumento per Cassino svettava sul terrazzamento principale.
Mastroianni sentì la Resistenza come un fascio di forze che nascevano dalla terra e si dilatavano nello spazio, uno spazio abitato dagli uomini. La situazione di un popolo che riprendeva la sua storia in mano per inaugurare una nuova era, alimentarono nell’artista una forte passione per la scultura monumentale che doveva entrare impetuosamente nella vita del cittadino.
Lo stesso artista afferma: “Non bisogna emulare gli scultori passati […] oggi il compito dell’artista è quello di aggredire la vita di tutti i giorni, di non accettare la spaventosa società moderna e di cercare almeno di migliorarla”4.
Ci sono opere simili per stile a questa di Cassino: esempio lampante è il Monumento alla resistenza di Cuneo del 1969: l’esplosione in ogni direzione di elementi acuminati si trova in entrambe le sculture.
Il Monumento alla Pace quindi rappresenta un perfetto esempio di “forme in libertà”, come le definiva lo stesso artista. Dal momento in cui fu pensata sino alla sua completa realizzazione passarono circa venti anni. I motivi – politici, religiosi, estetici – ne hanno più volte ostacolato la realizzazione. Il risultato di diversi contrasti trascinati per anni è manifestato nella scultura stessa come si presenta oggi, completamente decontestualizzata: quasi privata di quel pathos che ne è la prerogativa dominante, il monumento giace “muto” sulla collina; muto perché non riesce più a raccontare il martirio di una città che con il suo sacrificio è diventata l’emblema delle distruzioni belliche nel nostro Paese.
Tentativi sfumati per una collocazione ragionata: l’idea iniziale
A circa venti anni di distanza dal bombardamento del 15 febbraio 1944 fu proprio lo scultore Umberto Mastroianni ad avere l’iniziativa di voler donare a Cassino una scultura che ne revocasse il sacrificio, forse spinto anche da un sentimento di patriottismo per la terra in cui lui stesso era nato (Fontana Liri, 21 settembre 1910).
Il progetto dell’artista prevedeva la scultura rigorosamente nuda e monumentale, ma inserita in un modello architettonico ragionevole all’interno del quale si sarebbe dovuta conservare la memoria di un momento storico di notevole drammaticità. Questo luogo pensato da Mastroianni sarebbe stato un museo per la pace, una costruzione che avrebbe sancito un’unione profonda tra il passato millenario del territorio cassinate e la più vicina vicenda storica che lo aveva visto teatro e protagonista. Il Monumento alla Pace sarebbe dovuto essere il fulcro di questo luogo magico, fatto di testimonianze e di memoria, nell’ambito del quale agli artisti e alle loro opere sarebbe stata data la possibilità di raccontare un passato recente che mai dovrà essere dimenticato.
Il sito sarebbe dovuto essere, oltre che uno spazio espositivo, un punto di dibattito politico, culturale e sociale. Il monastero benedettino ed il museo avrebbero dovuto rappresentare un’idea unica di pace e libertà.
Il primo progetto per la sistemazione del monumento, che risale al 1971-1973, fu affidato all’architetto Maurizio Sacripanti. La scultura era immaginata all’interno di una costruzione ovoidale reticolata che lasciava intravedere l’opera. Essa doveva essere costantemente illuminata a laser dal suo interno per creare un forte effetto scenografico. Il luogo deputato per la collocazione di questa struttura fu in cima al monte di Cassino, accanto al monastero che troneggia incontrastato in questo luogo da millenni. Chiunque dall’Autostrada del Sole avrebbe potuto vedere il monumento con il suo “involucro” che ne lasciava trasparire le forme.
Ci furono però forti contrasti con le autorità del monastero che si rifiutarono di far collocare una costruzione così futurista accanto ad un edificio sacro che predomina da sempre, solitario, la valle sottostante. L’abate di allora fu irremovibile.
L’involucro pensato da Sacripanti fu molto apprezzato da Mastroianni che voleva per questo monumento una struttura che fungesse da “tempio”, un sacrario nel quale si potessero svolgere cerimonie, convegni, scambi di idee nel nome della pace dei popoli.
Questo progetto iniziale, di cui sono rimaste solo foto del plastico, non ebbe evoluzione. Certamente questa soluzione, alquanto avveniristica, avrebbe creato forti contrasti con la rigorosa architettura dell’abbazia: avrebbe in un certo senso “appannato” il candore del monastero e contaminato la sua locazione storica che da secoli lo vede come unico coronamento della sacra collina.
Dopo quasi dieci anni, nel 1982, Massimo Struffi, oggi presidente della Fondazione Mastroianni ed amico dell’artista, diventava Presidente della Provincia di Frosinone. La volontà di dare una locazione a quest’opera che dagli anni Sessanta cresceva nella mente dell’artista diventa più forte. Consapevole che il monastero non avrebbe mai conceduto i suoi terreni per il progetto originario dell’architetto Sacripanti, Struffi si affidò al suo amico architetto Iannazzi per un secondo progetto.
Grazie alla partecipazione del Ministero dei Beni Culturali ed Ambientali della Regione Lazio, dell’Amministrazione provinciale di Frosinone e del Comune di Cassino si rese realizzabile la collocazione della scultura sui veri luoghi della guerra, dedicata sia ai superstiti che vissero quel dramma, sia alle generazioni successive a cui essa si rivolge come monito.
La rappresentazione dello scoppio è tutto in questa scultura: questa sua prerogativa ha contribuito nello sviluppare varie ipotesi del suo posizionamento, affinché fosse visibile su gran parte della pianura sottostante.
L’Amministrazione Comunale di Cassino, infatti, scelse il versante a sud della collina della rocca Janula. Il castello fortificato, di inestimabile valore storico, fu costruito a partire dal X sec. con lo scopo di proteggere l’abbazia dai frequenti saccheggi a cui essa era sottoposta durante l’Alto Medioevo. La rocca è quindi “sorella” del monastero e con esso fu teatro della battaglia del 1944: rappresentava un luogo privilegiato e denso di significato per la collocazione della scultura. Posizionato a metà della montagna il monumento, secondo le autorità ecclesiastiche e comunali, non avrebbe intaccato la visione del monastero che comunque sarebbe rimasta la costruzione più maestosa in cima al monte. Ci furono anche altre motivazioni per questa scelta: una piena e totale visibilità su tutta la pianura sottostante e l’allineamento con l’asse territoriale della Casilina che è il percorso viario più importante della città. Il monumento sarebbe dovuto diventare un segno distintivo del territorio.
La scultura acquistava così una nuova valenza ambientale perché immaginata come il fulcro di un Parco per la Pace che l’avrebbe circondata.
Il secondo progetto
Nel 1985 l’idea incominciò a prendere forma.
L’arch. Ugo Iannazzi elaborò il progetto della sistemazione paesaggistica di questa monumentale opera sul luogo prescelto (acciaio cor. ten.; diametro 16-17 metri; 11 m di altezza; peso di circa 100 tonnellate).
L’attenzione principale degli architetti Iannazzi, coordinatore del progetto, Galletta, Gandolfo e Pieri Buti era dedicata principalmente alla scultura stessa. Disegnarono infatti un percorso che l’avrebbe ospitata: il loro intento fu quello di dare all’opera dinamicità. Per questo motivo non la adagiarono sulla terra ma su dei piedistalli che la rendessero dinamica, come se galleggiasse. Il progetto prevedeva una piastra sottostante, un blocco monolitico ricavato dalle naturali stratificazioni della roccia. Questo luogo, una sorta di sacrario, sarebbe stato fruibile ad eventi più svariati come spettacoli all’aperto, manifestazioni e cerimonie. La Rocca Janula sarebbe stata ristrutturata così come tutte le mura circostanti e l’intera area dotata di un parcheggio. Un museo inoltre sarebbe sorto nella posizione più a sud dell’intero “loco”.
Altro elemento di alto valore simbolico doveva essere il “Muro delle Nazioni”, situato tra il parcheggio e l’area principale, sul quale si sarebbero dovute collocare le bandiere degli Stati che combatterono a Cassino con vari vessilli, stemmi e citazioni di ognuno di essi. Ad ogni Stato sarebbe stato dato un proprio spazio su cui esprimere in modo autonomo ed artistico un messaggio di pace: un muro che avrebbe visto riunite le Nazioni e le genti nel nome della Speranza, riunite sotto il grande monumento simbolo della guerra.
Si progettò inoltre di dotare la zona di un impianto di illuminazione tale da dare enfasi all’opera anche agli occhi di chi avesse osservato il complesso dal basso della città. Con una progressione di intensità di luce dal parcheggio al monumento tutto l’impianto avrebbe acquistato un forte impatto visivo.
La scultura così sarebbe stato il fulcro attorno a cui ruotava lo spazio in cui era inserita.
Le aspettative svanite
Il progetto fu approvato dal comune di Cassino il 9 maggio 1983. Il 5 febbraio 1985 il Comune affidò con una delibera alla ditta edile Valente S.n.c. di Cassino le aree per la sistemazione della scultura e delle altre componenti del progetto5. Il 28 gennaio 1985, in una scrittura privata tra lo scultore e l’impresario edile, Valente si impegna a terminare i lavori entro e non oltre sessanta giorni da quella data6.
L’artista, nonostante si fosse “accontentato” del progetto di Iannazzi, continuava a battersi per vedere almeno montata la propria scultura.
Purtroppo però, per più di un anno, il monumento rimase smontato ai piedi della rocca Janula, dato che non arrivarono più i fondi promessi dagli Enti Pubblici.
Mastroianni, sempre più deluso per le sue aspettative, decise nel 1986 di sostenere egli stesso tutte le spese per l’assemblaggio della scultura: il lavoro gli costò circa 12 milioni di vecchie lire. Riuscì a vederla montata nel 1987. Dovette accettare inoltre il modo errato in cui fu posizionata, poiché la parte destinata alla vista della città fu rivolta verso la rocca Janula ed oggi potrebbe essere ammirata solo passeggiando a piedi sulla collina.
Lo scultore dimostra tutta la sua delusione in questo scritto: “Da dieci anni questo monumento matura e cresce dentro di me, mi ossessiona […] dieci anni per finire il progetto in legno, desolato che il tempo, le pastoie burocratiche mi rubino la freschezza dell’idea. Spesso noi artisti dobbiamo riempirci di debiti per concludere un’opera. Le mostre non mi attirano più. Voglio vedere crescere nel vuoto-tempo-spazio le opere monumentali, lasciare un segno incisivo nella storia […]. Quando lo vedrò collocato questo monumento sarò già vecchio. A volte, quando sono esasperato dalle difficoltà penso ad uno Stato che sovvenzioni gli artisti, poi lascio cadere l’idea per la libertà della creazione. […]. So che quando lo vedrò collocato sulla collina di Cassino, a testimoniare la Pace, a testimoniare la vita, io mi dimenticherò di tutto: dell’assenza dello Stato, delle difficoltà economiche e lavorative, del tempo perduto nell’attesa. Perché il mio monumento, ed io con lui, avremo vinto la battaglia della vita”7.
L’incuria e il disinteresse di oggi
Per una questione di mancanza di denaro, o ancor peggio di interesse, oggi la scultura giace solitaria sulla montagna, considerata dalla maggior parte degli abitanti un “rottame tra i rottami”. Il progetto di Iannazzi non ha mai avuto realizzazione.
Nella situazione in cui attualmente si trova, non trasmette ciò che inizialmente si era prefisso Mastroianni, cioè un monumento vivificatore all’interno del territorio e della città. Il problema più grande è stato quello – causato sicuramente dalle vicissitudini politiche ed economiche – di averla lasciata dimorare in solitudine in uno spazio troppo dispersivo. Lo sbaglio è stato quello di averle attribuito una funzione per la quale non era stata creata. È questo purtroppo uno sbaglio molto comune: qualsiasi opera d’arte ambientale deve essere progettata e concepita per lo spazio in cui a cui è destinata. Gli adattamenti al contesto urbano -ed è questo il caso di Cassino- sono sovente delle operazioni fallimentari.
La scultura oggi si “perde” agli occhi del cittadino: la sua materia (acciaio cor. ten) quasi si mimetizza con la montagna retrostante per il suo color ruggine. Come disse Mastroianni in un’intervista: “Il luogo che è stato prescelto non è quello che io avevo desiderato. Avrei voluto mettere il monumento sulla sommità del monte di Cassino, che sovrasta la città”8. Mastroianni si riferisce sicuramente alla sua idea iniziale, ma anche quest’ultima alternativa sarebbe stata azzardata: il monastero occupa un ruolo da protagonista sul monte ed il progetto di Sacripanti sarebbe stato troppo audace per un luogo così “rispettoso”.
Il collocare poi un’opera solitaria, nuda sulla cima del monte accanto all’abbazia – ipotesi avanzata successivamente dall’artista – sarebbe stata ugualmente negativa: l’“esplosione” sarebbe stata troppo piccola per chi la osservava dalla valle e quindi dalla città, essendo state anche ridimensionate nel corso degli anni quelle che dovevano essere le sue dimensioni iniziali (oggi misura 16 m di diametro e 11 m di altezza). La funzione di “monumento che dialoga con l’urbano” – prerogativa fondamentale per un’opera d’arte ambientale – si perdeva indissolubilmente.
Anche oggi, nonostante la collocazione sia molto più vicina al centro abitato, il problema sussiste. Il reale valore artistico e le capacità comunicative della scultura, il suo potere emozionale e stupefacente, vengono percepite solo nel caso in cui la si osservi da vicino, alzando lo sguardo ai suoi piedi e meravigliarsi ancora del pathos emotivo che i suoi elementi sprigionano riuniti in un unico, vigoroso coro.
Oggi il monumento montato è rimasto il cuore di un corpo più grande che avrebbe dovuto ospitarlo. Dopo vent’anni ancora “sopravvive” tra la vegetazione, in completa dimenticanza e precarietà.
All’origine di questo fallimento c’è un’incapacità di comprensione, un’ignoranza verso il mondo dell’arte e della cultura che questa terra purtroppo ha dimostrato più di una volta di possedere. Già Mastroianni si era accorto di questa poca sensibilità. Così scrive a Massimo Struffi, allora a capo dell’Amministrazione provinciale di Frosinone e oggi presidente della fondazione Mastroianni: “Caro Massimo, da artista come tu sei ti prego di tollerare la mia ansietà e quindi questi miei scritti, attraverso, come tu sai, un momento delicato aggravato dal problema di Cassino. In verità non vedo soluzione di successo per tanto impegno da parte nostra. Avrei sperato in una soluzione possibile ma oggi sono sinceramente preoccupato. L’emozione che stiamo suscitando in giro ci rende vulnerabili e poco credibili. Dopo lo sforzo subìto in molti anni per questa opera il risultato è assolutamente negativo. Cosa possiamo fare? Lo domando all’amico più giovane, più preparato, agguerrito che mi ha dato prove di comprensione e solidarietà senza fine. Massimo, dobbiamo uscire a tutti i costi da questo incubo. È l’ultima battaglia che la mia età mi costringe a combattere. Ti abbraccio” 9.
Lo smarrimento, la tristezza e la delusione a causa di un’ottusità generale di fronte ad un’offerta da parte dell’Arte e della Cultura si manifesta chiaramente in queste amare parole dell’artista ormai anziano.
Oggi, aldi là delle aspettative passate, “l’esplosione” dimora solitaria sulla collina, seminascosta dalla vegetazione, ignorata dalla maggior parte dei cittadini che in quel monumento avrebbero dovuto trovare la propria identità e ricordare il proprio passato: un’opera di cui andare fieri.
Questa scultura è sicuramente considerata maggiormente dai visitatori che molto spesso cercano di avvicinarsi a questo luogo tra i sentieri, per osservarla da vicino: essa ormai è completamente abbandonata tra i rifiuti e cavi elettrici che una volta servivano per illuminarla. Quest’opera, infatti, figlia di uno dei più valutati ed apprezzati scultori del Novecento, non è degna nemmeno di un’illuminazione adeguata.
Completamente decontestualizzata, questa scultura non rappresenta più l’anello di congiunzione tra il passato (l’abbazia benedettina) ed il presente (i ruderi, testimonianza di guerra, sul colle): è del tutto incomprensibile agli occhi del cittadino.
Molti in città non sanno nemmeno chi sia l’artista che l’ha realizzata, fattore dovuto ad una forte mancanza di informazione e soprattutto di valorizzazione. È considerato un ammasso di lamiere, ferri arrugginiti tra ruderi e aspra vegetazione, uno spettro che aleggia incompreso – solo – tra le rocce della brulla collina cassinate.
Il caso del Monumento alla Pace è l’esempio di come una città martire sia incapace di leggere tutt’oggi la sua storia che l’ha resa famosa e che le ha dato dignità.
Sebbene la sua funzione “ambientale” sia comunque discutibile, potrebbe ancora rappresentare un degno tributo alla vecchia città, i cui resti ancora, dopo Sessant’anni, si nascondono come fantasmi tra la fitta vegetazione, nella completa dimenticanza, quando invece potrebbero dare vita ad un percorso della memoria, per ricordare le nostre radici e per non dimenticare la nostra tragedia.
Bibliografia
Jaques Lassaigne, Umberto Mastroianni. La scelta della libertà. Sculture nella città, Editrici Magma, Roma 1976.
M. Penelope, La mia libertà è un cartone sbriciolato, in “Il settimanale” n° 36, 8 settembre 1981.
A. Santini, Silenzio e ascoltatele. Incontro con Umberto Mastroianni, in “Oggi”n°36. 9 settembre 1981.
A. Lullo (a cura di), Cassino 1984. Una città nel segno della pace, Montecassino 18 V 1944 – 18 V 1984.
“La Ciociaria con Mastroianni”, Periodico Annuale Provinciale di Frosinone. Assessorato alla cultura, 1986.
F. de Santi (a cura di) Umberto Mastroianni. Sculture a bassorilievi policromi, Edizioni Mazzotta, Milano 1988.
F. de Santi (a cura di), Mastroianni nelle collezioni piemontesi, catalogo della mostra, Torino, Palazzo Granieri, 29 settembre- 11 novembre 1991.
E. Pistilli, Cassino. Dalle origini ad oggi, Idea stampa, Cassino 1994.
R. Del Puglia, Umberto Mastroianni. Il grido e l’eco, Edizioni Bora, Bologna 1997.
R. Zani, Sulle rotte della memoria. Il monumento alla pace di Mastroianni a Cassino. Storie di ordinaria follia, in “Studi Cassinati. Bollettino trimestrale di studi storici nel Lazio meridionale”, anno VII, n° 4, Ottobre-Dicembre 2007.
R. Zani, Il monumento alla pace muore sulla collina, in “Qui Magazine, mensile di attualità, cultura, satira e tempo libero della provincia di Frosinone”, dicembre 2007.
Materiale di archivio.
– Verbale di consegna aree del Comune di Cassino. 5 Febbraio 1985.
– Scrittura privata tra Umberto Mastroianni, scultore, e Benedetto Valente, impresario edile. Marino, 28 Gennaio 1985.
1 Cesare Brandi (1906-1988) è stato uno storico dell’arte, critico d’arte e saggista italiano, specialista nella teoria del restauro. Tra le sue opere maggiori si ricordano Teoria generale della critica (1974), La teoria del restauro (1977).
2 M. Penelope, La mia libertà è un cartone sbriciolato, in “Il Settimanale” n. 36, 8 settembre 1981.
3 Ibidem.
4 A. Santini, Silenzio e ascoltatele, in “Oggi” n° 36, 9 settembre 1981.
5 Verbale di consegna aree del Comune di Cassino, 5 Febbraio 1985.
6 Scrittura privata tra Umberto Mastroianni, scultore, e Benedetto Valente, impresario edile. Marino, 28 Gennaio 1985.
7Da “Incontri: Sandro Pertini”, in R. Del Puglia (a cura di), Umberto Mastroianni, Il grido e l’eco, Edizioni Bora, Bologna, febbraio 1997, p.98.
8 Intervista da “La Ciociaria con Mastroianni”, Periodico Annuale Provinciale di Frosinone. Assessorato alla cultura, 1986.
9 R. Zani, Il monumento alla pace muore sulla collina, in “Qui Magazine, mensile di attualità, cultura, satira e tempo libero della provincia di Frosinone”, dicembre 2007.
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