L’uccelliera di Varrone a Cassino

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Studi Cassinati, anno 2010, n. 3
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di Emilio Pistilli



Il riesame degli scavi del 2001 in località Mastronardi conferma in maniera convincente la rispondenza con la descrizione lasciataci dallo studioso romano.

Dopo la pubblicazione nel nostro numero 1/2010 di Studi Cassinati1 della lettera cinquecentesca in cui si descriveva l’uccelliera di M. T. Varrone2, ritengo sia il caso di riproporre qui la questione del ritrovamento di resti archeologici interrati nell’area adiacente alle fonti varroniane, dove si dà per scontato che l’insigne studioso avesse la sua favolosa villa, da lui stesso descritta nell’opera De re rustica3. Il ritrovamento avvenne nell’estate del 2001, in occasione dello scavo per la rete fognaria di Cassino. Allora la stampa annunciò che era venuta alla luce la villa di Varrone, ma dopo un attento e minuzioso sopralluogo giunsi alla convinzione che si trattasse solo di una parte di essa, ed esattamente dell’ornithon o uccelliera con le annesse strutture ben descritte dallo studioso. Di tale ipotesi diedi notizia sul mensile “Presenza Xna“ (ottobre 2001), ma senza un riscontro – positivo o negativo – da parte degli studiosi della materia. Per questo motivo approfitto della discussione sorta attorno alla pubblicazione della lettera cinquecentesca per riproporre le mie argomentazioni sui resti venuti alla luce nel 2001 ed ora di nuovo interrati per salvaguardarne la conservazione.

La descrizione di Varrone
Con la descrizione alla mano della villa, che lo stesso Varrone ci ha tramandato, si sono potute riscontrare alcune misure che corrispondono ai ritrovamenti odierni in maniera interessante.
Dal testo varroniano si traggono i seguenti elementi:
a – un fiume limpido e profondo che attraversa la sua proprietà, largo circa 17 metri4;
b – un secondo fiume che confluisce nel primo5;
c – margini di pietra che delimitano gli argini;
d – alcuni ponti che consentano il collegamento tra i due lati del fiume6;
e – l’esistenza di una piccola isola all’estremità a valle della proprietà, lì dove confluisce un altro fiume;
f – la lunghezza di m. 281 del tratto di fiume che attraversa la proprietà varroniana a partire dall’isola, risalendone il corso fino al museum7, che era il luogo dove lo studioso si appartava per le sue riflessioni;
g – una passeggiata scoperta (“ambulatio”), larga circa 3 metri, bordeggia le due rive ed è delimitata da un alto muro (“maceriis altis”)8;
h – tra la passeggiata e la campagna sorge l’uccelliera, delimitata da muri;
i – l’uccelliera ha forma rettangolare ed è sormontata da un’area racchiusa ad arco (“tabula litteraria cum capitulo”)9;
l – l’uccelliera è larga 14 metri e lunga 21, mentre la parte circolare misura 8 metri10.
Mi fermo qui tralasciando il resto della descrizione, che concerne solo inizialmente la struttura dell’uccelliera.

I ritrovamenti
Dallo scavo eseguito dalla Soprintendenza archeologica – che si è limitato alla sola individuazione dell’area di interesse archeologico, rinviando lo scavo sistematico ad una campagna organica che attende ancora finanziamenti ad hoc ed esami specialistici del materiale rinvenuto – sono apparse le tracce di allineamenti murari delimitanti vari ambienti.
L’impianto schematico del complesso edilizio ci dà un lungo muro parallelo al fiume, a distanza variabile da due a più metri (la “passeggiata“? – lett. g), una costruzione rettangolare, di tipo abitativo, parallela allo stesso muro, lunga 21 metri e larga 14 (lett. l). Tutto questo sembra corrispondere perfettamente alla descrizione dell’uccelliera, ma non basta da solo a stabilirne l’identificazione. Senonché altri elementi concorrono ad alimentare l’aspettativa affascinante che si trattasse proprio di strutture della villa di Varrone.
Il braccio di fiume che bordeggia l’area del ritrovamento, da una sommaria misurazione, si avvicina ai 280 metri (lett. f); a valle di tale tratto, il fiume – che è un braccio del Gari – si incontra con un altro corso d’acqua proveniente dal parco delle fonti varroniane (lett. b); poco a monte di tale confluenza un canale attualmente interrato11 delimita un’area racchiusa fra tre corsi d’acqua, determinando, in tal modo, un isolotto vero e proprio (lett. e).
Si tratta della famosa “insula” di Varrone?
Pare confermarlo la segnalazione dell’avv. Gaetano Mastronardi – la cui famiglia è proprietaria da tempo immemorabile di un fondo nell’area delle “Terme”, verso il confine occidentale – secondo la quale la zona della confluenza dei due fiumi è da sempre denominata “isola”. Quando, infatti, dovevano indicare quell’area, ricorda il Mastronardi, dicevano in vernacolo cassinate: “abbàllë a l’ìsula”, laggiù all’isola.
Lungo l’argine destro del fiume sono stati estratti un paio di lunghi massi calcarei che fanno ricordare i margini lapidei della descrizione (lett. c); più a monte, dove ha inizio il lungo muro parallelo al fiume, sono venute alla luce strutture murarie più solide, fatte di massi squadrati che possono far pensare all’attacco di un ponte (lett. d), probabilmente di legno. Proprio da tale punto si snoda, in senso ortogonale al fiume, un tracciato stradale delimitato da muretti di sostruzione paralleli distanti tra loro circa quattro metri; la strada prosegue tra i campi e sembra volgere in direzione dell’antica Casinum. Certamente è da identificarsi con quella descritta da G. Lena nel 197912.
In seguito all’ampliamento dell’area ispezionata dalla Soprintendenza nell’anno successivo, si constatarono altri allineamenti di muri a delimitare ambienti di abitazione o officine: alcuni di essi sono palesemente posteriori al I° secolo a. C.; il che sta a testimoniare che il complesso fu utilizzato ben oltre il periodo di Varrone.
Altro importante elemento di analisi è la delimitazione di una serie di ambienti (due o tre stanze) oltre la suddetta strada, a monte dell’area ispezionata: dalla varietà di resti di affreschi policromi si puó ipotizzare che si trattasse del museum (lett. f) di cui parla Varrone13.
Come si vede sono tali le coincidenze che possono essere considerate veri e propri riscontri. Un elemento che potrà fornire la prova definitiva sarà il ritrovamento dell’area circolare (forse absidata) larga 8 metri all’estremità del rettangolo (lett. i): qualche traccia di allineamento curvilineo sembra affiorare sul lato nord (a monte), ma è tutto da verificare.
Solo una campagna di scavi attorno ai resti murari riscontrati ed una serie di sondaggi nell’area circostante potranno togliere dubbi e confermare o confutare definitivamente tutte le ipotesi fatte fino ad ora.
Nel corso dei lavori è stata rinvenuta anche una lastrina di marmo con il margine destro di un’epigrafe di difficile lettura.
Tracce di pavimentazione in laterizi, vario materiale fittile, frammenti di vetro fine e tessere di mosaico fanno da contorno interessante ai risultati dello scavo. Più a valle sono apparse delle vasche per la raccolta delle acque – si pensa ad un vivaio ittico – e un “dolium” ancora interrato.
Sul declivio occidentale della zona si levano degli spuntoni rocciosi calcarei con i fianchi tagliati verticalmete e coperti da lussureggiante vegetazione: probabilmente è ciò che resta dei luoghi di estrazione della pietra utilizzata nell’area archeologica.

Il luogo odierno
Il complesso affiorato, che non supera il livello degli antichi pavimenti a causa dell’opera distruttiva dell’aratro e del trattore, non si presenta come il residuo di costruzioni imponenti e di pregio; sola ricercatezza sono il paramento in “opus reticulatum” e gli intonaci, talvolta dipinti. Tuttavia va considerato che dalla descrizione varroniana dell’uccelliera viene fuori una struttura che si avvale di muri solo a contorno e a sostegno laterale, facendo intuire (ma egli stesso lo dice14) che il resto, la copertura e le parti interne, era un insieme di travi ed alberelli coperti da reti, entro le quali erano trattenuti gli uccelli. Un colonnato su due file all’interno e una serie di piccole canalizzazioni conferivano i soli elementi di interesse architettonico. Di tracce di colonnati oggi neppure a pensarlo naturalmente. Una volta abbandonato il complesso in epoca tardo imperiale sarebbe stato ben strano che nessuno pensasse di asportare le colonne e le pietre lavorate per altri usi, sia in zona (Montecassino, per esempio) sia altrove per le varie chiese costruite in epoca cristiana.
Intanto sull’area è posto il vincolo da parte della Soprintendenza archeologica.
La zona interessata, detta “i Mastronardi”15, è compresa tra il primo braccio occidentale del fiume Gari, la ferrovia a nord e la zona collinare ad ovest, alla cui sommità corre la strada per S. Angelo in Theodice. Al di là del fiume, verso oriente si estende il complesso denominato Terme Varroniane, dove già in passato sono state segnalate strutture di villa romana; altri resti di interesse archeologico erano visibili, alla fine del XIX secolo, nella zona dell’ex mattatoio comunale. Tutta questa area è dominata a nord-ovest dal sito archeologico dell’antica Casinum, con il quale doveva esserci un collegamento stradale, che, molto probabilmetne, doveva essere quel tratto più su segnalato. Un altro tratto stradale viene segnalato da Lena a circa 100 metri più a valle: questo attraversava il fiume con un ponte di cui ancora dovrebbero restare tracce, non rilevate, però, nella campagna di scavo di cui qui ci occupiamo16.
Il luogo, secondo qualche studioso che si basa su quanto dice lo stesso Varrone, non doveva essere molto discosto dal “campo marzio” dove si svolgevano i comizi per le elezioni degli edili, dal momento che alla villa giungevano i clamori della campagna elettorale17. Si è voluto individuare il “campo” con il foro di Casinum sollevando, però, una questione fondamentale: si trattava del foro boario, che probabilmente era situato a qualche centinaio di metri dalla villa, oltre le acque del Gari, e che oggi potrebbe corrispondere al sito archeologico della contrada Agnone, di epoca repubblicana18, o del nuovo foro posto al centro della città di Casinum19? La prima ipotesi (Agnone) potrebbe essere la più attendibile perché il luogo era nelle immediate adiacenze delle proprietà varroniane in Casinum. Tuttavia ogni supposizione potrebbe cadere se si accertasse che, nel momento in cui scriveva, Varrone si trovava non a Casinum ma in un villa pubblica di Roma; e ciò potrebbe essere confermato dalla presenza del console cui si fa riferimento nel brano: “ eum ad consulem tractum“. In effetti a scorrere attentamente l’ultimo libro del De re rustica leggiamo al cap. 2: “Durante i comizi per l’elezione degli edili, Quinto Assio, un senatore appartenente alla mia tribù, e io avevamo votato sotto un sole cocente e volevamo accompagnare nel suo ritorno a casa il candidato del nostro partito. A un certo punto Assio mi disse: – Mentre fanno il conteggio dei voti, vuoi che ce ne andiamo a godere l’ombra della villa pubblica anziché cercar riparo dal sole nella mezza tenduccia privata del nostro candidato? – […] Così ci moviamo e arriviamo nella villa”20; da notare che la villa pubblica era situata nel Campo marzio a Roma.
Ma a togliere definitivamente ogni dubbio sul luogo di cui parla Varrone c’è il passo che chiude il suo De re rustica: “Così parlavamo di queste cose, quando si udì un clamore a destra ed ecco venire nella villa in toga pretesta il nostro candidato come edile eletto. Gli andiamo incontro e congratulatici con lui lo accompagniamo in Campidoglio. Quindi egli se ne andò in casa sua e noi a casa nostra, dopo aver tenuto, o nostro Pinnio, questa conversazione, che ho sommariamente esposta, sull’allevamento degli animali da cortile”21.

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Il problema del fiume Vilneo

Dalla descrizione di Varrone, inoltre, sorge un problema, dapprima filologico, poi storico geografico. Il testo latino dello scrittore: “Cum habeam sub oppido Casino flumen, quod per villam fluat [ … ] derectum ab insula quae est in imo fluvio, ubi confluit altera amnis [ … ]” risulta controverso nel passo “in imo fluvio”, che altri leggono “a vinio fluvio”; la grafia del testo pervenutoci consente l’una e l’altra lettura. Antonio Traglia22, confortato da altri precedenti commentatori, legge in imo fluvio e non puó fare altrimenti perché non conosce l’esistenza di un fiume cassinate che tradizionalmente, e da tempo immemorabile, era denominato proprio “Vilneo”, in un’antica versione latinizzato in “Vinius”. Erasmo Gattola, l’illustre archivista cassinese, ed altri studiosi con lui, invece legge: “ab imo fluvii a Vinio fluvio”23, confortato, evidentemente, dalla conoscenza del detto corso d’acqua.
C’è chi, accogliendo la versione di Traglia, considera il toponimo Vilneo un falso, derivato, appunto, dall’errata lettura del passo varroniano24. È certo, comunque, che il toponimo è di origine popolare, derivato, probabilmente, dal tipo di vegetazione che da sempre ha contornato il corso d’acqua, “salix viminalis”, detto volgarmente “vetica” – da una voce sanscrita vìtica, legaccio –, da cui si ricavano i vinchi o vimini usati in agricoltura come legacci o per intrecci: quest’ultima voce ha familiarità glottologica con “vinea”, vigna, provenendo entrambe da una radice sanscrita vi-, da cui il latino vi-ere, legare, intrecciare – molti ritengono che vinea derivi da vinum, che è voce latina del greco òinos, in realtà è il contrario; l’idea del legare o intrecciare in “vite” è data dai viticci, che si avvinghiano ai tralci –.
Col nome Vilneo si indicava, fino all’ultima guerra, un braccio del fiume Rapido25; è possibile che proprio tale corso d’acqua abbia dato nome al ponte romano che si leva nella campagna di S. Elia Fiumerapido in località Olivella, il ponte Lagnaro o Vignale26. Ma a testimoniare l’antichità del nome c’è un’epigrafe locale che ci tramanda il nome di un tale L. C. Vinius27, nonché documenti medioevali che ricordano un certo Petrus de Vinea28.
Non entro qui nella questione della identificazione del fiume Rapido con lo stesso Vilneo o con lo Scatebra di cui parla Plinio29, o con il medioevale Carnellus30: l’argomento è stato trattato da vari studiosi e merita altro impegno.
Devo però osservare che il fiume Rapido, o Vilneo che sia, non interessa l’area varroniana in quanto confluisce nel Gari molto più a valle, in località oggi detta Fiumara. Dunque nulla avrebbe a che vedere con l’insula di cui parla Varrone.
Restando alla questione del testo Varroniano, ritengo che le due tesi possano convivere senza autoescludersi: è possibile che Varrone volesse accennare alla parte più a valle del suo fiume (“in imo fluvio“) e che il toponimo Vinius fosse comunque in uso anche ai suoi tempi, ma riferito all’attuale Gari. Va però rilevato che il termine “imus” richiama un concetto di profondità, dunque la parte più profonda del fiume; perché Varrone, vista la sua profonda conoscenza della sua lingua, non ha usato il più idoneo “extremus” ad indicare l’estremità del fiume?


1 Chiara Mangiante, pag. 9 sgg.
2 La segnalazione del ritrovamento sul web della lettera la dobbiamo al sig. Nicola Severino, che qui ringraziamo vivamente.
3 III, 5: “Cum habeam sub oppido Casino flumen, quod per villam fluat …“: qui mi rifaccio alla versione di Antonio Traglia in “Classici UTET” 1974.
4 “liquidum et altum marginibus lapideis, latum pedes quinquaginta septem“: considerato che il piede romano misurava cm. 29.64 abbiamo la larghezza di m. 16.48, che arrotondiamo a m. 17.
5 “imo fluvio, ubi confluit altera amnis“.
6 “et e villa in villam pontibus transeatur“.
7 “longum pedes DCCCCL derectum ab insula [ad museum], quae est in imo fluvio“.
8 “circum huius ripas ambulatio sub dio pedes lata denos, ab hac [ambulatio] est in agrum versus ornithonis locus ex duabus partibus dextra et sinistra maceriis altis conclusus“.
9 “Inter quas locus qui est ornithonis [patet in latitudinem pedes XLVlII] deformatus ad tabulae litterariae speciem cum capitulo“; il paragone è desunto dalla cartella (tabella) quadrata che i ragazzi portavano a scuola. Capitulum era una piccola aggiunta rotonda di legno traforato a forma di anello, applicato alla sua estremità. con cui la cartella poteva essere appesa o portata da un posto all’altro (cfr. OR.. Sat., I, 6, 74, ed Epist., I, r, 56).
10 “forma qua est quadrata, patet in latitudinem pedes XLVIII, in longitudinem pedes LXXII; quaad capitulum rutundum est, pedes XXVII“: il passo è disperato. Forse è ancora attendibile l’opinione degli antichi editori che in plumula leggevano p. LVIII VIA. cioè “di 58 piedi dall’uccelleria e in mezzo a questa via…”: la nota è di A. Traglia, loc. cit..
11 È stato riconosciuto dai tecnici della condotta idrica comunale che lavorava in zona.
12 Scoperte archeologiche nel Cassinate, Lamberti, Cassino, 1979, pag. 8 e pag. 22, Tav. 4, n. 16.
13 Per museum bisogna intendere il luogo di meditazione e raccoglimento, non dunque il significato odierno.
14 “a summa macerie ad epistylum tecta porticus sit rete cannabina et ab epistylo ad stylobaten“.
15 In Lena, cit., è denominata “Cerasola”.
16 G. Lena, loc. citt., n. 18 della tav. IV.
17 T. Vizzaccaro, Marco Terenzio Varrone ed il Cassinate, Roma 1954, pag. 123, il quale si riferisce al passo di De re Rustica, III, 5 (18): “Cum haec loqueremur, clamor fit in campo. Nos athletae comitiorum cum id fieri non miraremur propter studia suffragatorum et tamen scire vellemus, quid esset, venit ad nos Pantuleius Parra, narrat ad tabulam, cum diriberent, quendam deprensum tesserulas coicientem in loculum, eum ad consulem tractum a fautoribus competitorum. Pavo surgit, quod eius candidati custos dicebatur deprensus“: Vecchi combattenti delle lotte elettorali, non ci meravigliammo di un fatto del genere, dovuto all’entusiasmo degli elettori. Tuttavia volevamo sapere cosa fosse accaduto, quando venne da noi Pantuleio Parra, il quale ci disse che mentre si faceva il conteggio dei voti, fu sorpreso un tale che gettava schede nell’urna e che perciò i sostenitori degli altri candidati lo avevano tratto davanti al console. Pavone si alza e se ne va, poiché, a quanto si diceva, l’uomo arrestato era l’osservatore che rappresentava il suo candidato (traduz. A. Traglia,. op. cit., così pure quelle successive).
18 I primi rinvenimenti nel sito di Agnone risalgono all’ottobre 1973 dopo lo scavo per il depuratore di Cassino; un resoconto dettagliato fu pubblicato sul mensile “La voce di Aquino” n. 42, pag. 11 a cura di G. Lena e del sottoscritto. Nuovi ritrovamenti nell’autunno del 1988, in occasione dello scavo per la nuova condotta fognaria di Cassino – la prima non era mai stata utilizzata – e del relativo depuratore; altri importanti ritrovamenti si ebbero nel febbraio 1997 durante la costruzione della rampa di accesso alla superstrada Cassino-Formia: in quell’occasione vennero alla luce i resti di una villa repubblicana; ne diedi notizia in un articolo sul settimanale “L’inchiesta” dal titolo: “A Cassino si guarda al futuro cancellando il passato. Accanimento edilizio senza precedenti sul sito archeologico di Agnone“, Anno IV n. 10 – 9 marzo 1997, pag. 13.
19 M. Valenti, Sull’ubicazione del foro di Cassino, in Archeologia Laziale XII (Quaderni di archeologia etrusco-italica. Consiglio Nazionale delle Ricerche, 24), Roma 1995, pp. 615-622
20 D. r. r., III, 2 (1): “Comitiis aediliciis cum sole caldo ego et Q. Axius senator tribulis suffragium tulissemus et candidato, cui studebamus, vellemus esse praesto, cum domum rediret, Axius mihi, Dum diribentur, inquit, suffragia, vis potius villae publicae utamur umbra, quam privati candidati tabella dimidiata aedificemus nobis? Opinor, inquam, non solum, quod dicitur, “malum consilium consultori est pessimum”, sed etiam bonum consilium, qui consulit et qui consulitur, bonum habendum. Itaque imus, venimus in villam“.
21 III, 17 (10): “Nos haec. At strepitus ab dextra et cum lata candidatus noster designatus aedilis in villam. Cui nos occedimus et gratulati in Capitolium persequimur. Illi inde endo suam domum, nos nostram, o Pinni noster, sermone de pastione villatica summatim hoc, quem exposui, habito”.
22 Op. cit.
23 Accessiones, II, pag, 734, Venezia, 1734.
24 G. Lena, op. cit. pag. 10.
25 O. Del Foco, Cassino e le sue acque, Milano, 1902; anche Archivio di Stasto di Caserta, Intendenza Borbonica, “Bonifica”, B. 45, f. 188 (anno 1838), dove si parla a più riprese di lavori di arginazione del fiume Vilneo o Vinio nei pressi di Madonna di Loreto, che attualmente corrisponde alla località Quinto Ponte, sulla Casilina sud: quel tratto oggi è fiume Rapido.
26 La questione è dibattuta nel recente lavoro di G. Petrucci , Sant’Elia e il fiume Rapido, Montecassino, 2000, pagg. 44 e sgg.
27 Ibid.; Mommsen, CIL, X, 5215.
28 Reg. di Tommaso Decano, Tabularium Casinense, Montecassino, 1915, doc. del 18 marzo 1250; G. Petrucci, op. cit., pag. 47.
29 Naturalis Historia, II, 227.
30 Il toponimo Carnellus in moltissimi documenti medioevali in archivio di Montecassino viene dato, a più riprese, talvolta al fiume Rapido, talvolta al Liri. Va ricordato che attualmente Carnello è una località del Sorano a ridosso del fiume Fibreno.

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