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Studi Cassinati, anno 2010, n. 1
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di Emilio Pistilli
Nel sofferto dibattito nostrano sul fenomeno dell’immigrazione troppo spesso si dimentica che le esperienze degli “extracomunitari” odierni le hanno vissute anche i nostri padri, costretti, come furono, ad emigrare in paesi più fortunati in cerca di migliore destino ed esposti a fatiche durissime, ad umiliazioni crudeli, a tragedie immani.
Quando si parla di sciagure che colpirono i nostri emigranti nei luoghi di lavoro si è soliti far tornare alla mente quella di Marcinelle, in Belgio (8 agosto 1956) nella quale perirono 262 minatori, di cui 136 italiani. Ma ce n’è una, ancora più cruenta, di cui si comincia a parlare solo da qualche anno a questa parte.
Monongah è un nome che pochissimi italiani conoscono, eppure lì, in quella cittadina del West Virginia, in America, nel 1907 persero la vita circa 171 emigrati italiani,quasi tutti del meridione della Penisola.
Monongah a quell’epoca era un piccolo centro minerario che dava lavoro a qualche migliaio di minatori, quasi tutti immigrati dall’Europa. La mattina del 6 dicembre 1907, festa di San Nicola, poco dopo le 10.00, si verificarono violentissime esplosioni nei pozzi di carbone n. 6 e n. 8 – collegati tra loro da un tunnel – appartenenti alla Fairmount Coal Company. Si racconta che la terra “tremò fino ad una distanza di quasi 13 chilometri, lesionando edifici, facendo cadere persone e cavalli, e deragliare violentemente tram”1 .
Non si è mai potuto stabilire con certezza il numero esatto delle vittime. Secondo i dati ufficiali del tempo furono 361, di cui 171 italiani, ma in seguito si è calcolato un numero di gran lunga superiore: 500 o addirittura 950.
L’incertezza sulla reale entità della catastrofe è dovuta non solo alla difficoltà di riportare alla luce tutte le salme, ma anche – forse soprattutto – al fatto che i minatori venivano pagati in base alla quantità di carbone che riuscivano ad estrarre; per questo motivo molto spesso si portavano appresso due o tre aiutanti, per lo più figli minorenni, con cui dividere il magro salario, sì da riportare in superficie più carbone possibile; quegli aiutanti non venivano registrati all’ingresso dei pozzi.
Le operazioni di soccorso furono estremamente difficoltose per via dell’ingente materiale accumulatosi agli ingressi dei pozzi e per le micidiali esalazioni di gas che provenivano dal basso e che ammorbavano tutta l’area. I soccorritori, si legge, “freneticamente rimossero l’ostruzione e provarono ad aprirsi un varco nella miniera. Ben presto, però, i volontari iniziarono a soccombere a causa dell’aria tossica. Per mancanza di adeguati respiratori, anche i componenti delle squadre di soccorso non riuscirono a resistere all’interno della miniera per più di 15 minuti consecutivi, tant’è che alcuni di loro perirono durante l’intervento”2.
Quella miniera era considerata all’avanguardia per le norme di sicurezza: si usava l’energia elettrica in sostituzione dell’esplosivo e venivano attivati enormi ventilatori per disperdere eventuali fughe di gas. Purtroppo quel giorno, considerato festivo, i ventilatori erano stati spenti e, probabilmente, si era accumulata una quantità eccessiva di gas che, forse, per una scintilla, esplose nella maniera che abbiamo visto. Ma, bisogna aggiungere, la festività di S. Nicola, che aveva contribuito alla tragedia, risparmiò numerose altre vite per via della pausa festiva.
Le 171 vittime, come già detto, erano emigranti del meridione d’Italia (solo qualcuno del Veneto); il tributo di sangue maggiore lo pagò il Molise con 87 vittime accertate.
Le cause effettive non sono mai state appurate con certezza, anche perché la società proprietaria, responsabile della disattivazione degli aeratori, ebbe tutto l’interesse ad insabbiare la vicenda.
Per quasi un secolo la tragedia rimase pressoché ignorata; un monumento di marmo di Carrara eretto presso il municipio di Monongah, dedicato alle vedove dei minatori, dal 2007 ricorda concretamente quell’immane sacrificio dei nostri sfortunati connazionali. Ma solo di recente, grazie ad internet e al benemerito lavoro di qualche ricercatore, tra cui Joseph D’Andrea, si riesce a riproporne la memoria.
1 Monongah, 1907-2007, cent’anni di oblio, Regione Molise 2007.
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