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Studi Cassinati, anno 2009, n. 4
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di Emilio Pistilli
Nella “Storia della Lingua Italiana” di Stefano Lanuzza1 riguardo alla formula di giuramento “Sao ko kelle terre per kelle fini que ki contene trenta anni le possette parte Sancti Benedicti”, contenuta nel Placito Cassinese dell’anno 960, più noto come la “Carta Capuana”, si afferma – sulla scia di tutti gli italianisti precedenti – che “si è in presenza, per la prima volta, di una frase italiana” a differenza di analoghe tracce di parlato registrate in altre regioni d’Italia.
La formula, come si sa, era destinata a testimoniare l’appartenenza a Montecassino di alcune terre di cui si contendeva la proprietà da parte di privati.2
Il Lanuzza definisce la lingua della formula “volgare illustre” per “i latinismi fini (da fines confini), parte Sancti Benedicti e sao (forma idiomatica non capuana, che sarebbe stata saccio o sacce, ma più settentrionale). Ko è volgare campano, derivato dal quod, così come kelle e ki invece dei toscani quelle e qui)”.
È evidente che il Nostro, da buon siciliano trapiantato a Firenze, non è un buon conoscitore dei dialetti del centro sud d’Italia. Se lo fosse stato, infatti, avrebbe provato a pronunciare la formula in questione in stretto dialetto cassinese-campano, ottenendo il seguente risultato: “Sa(p)ö3 chë chéllë tèrrë, pë chì(g)lli (cun)fìnï chë q(u)i(gli) cùntënë4, (pë) trènt’ànnï lë puss(ër)èttë (‘a) pàrtë (e) Sàntö Bënëdìttö” (la dieresi indica la vocale muta), che, reso in forma lineare, si legge: Sacciö ca chéllë terre, pë chigli cunfini che chigli cùntënë pë trent’anni lë pussërèttë la partë rë Santö Bënërìttö.
Ovviamente l’amanuense dell’atto notarile ha cercato di conciliare la fedeltà della formulazione dialettale del giuramento – come avviene oggi per le deposizioni testuali in qualsiasi tribunale – con l’esigenza di una trascrizione dotta, degna, cioè, di un documento ufficiale.
Dunque il nostro testo è da considerare uno dei primi vagiti, non della lingua italiana, ma della lingua campana, frazionatasi, quest’ultima, nel dialetto dell’area napoletana, e in quelli delle aree molisana, aurunca e sud laziale (cassinate).
È pur vero però – e in questo concordo con il Lanuzza – che esso è testimonianza della frantumazione o superamento della latinità cui “non corrispondono ancora spinte verso una generale uniformità linguistica”, che si è instaurata, aggiungo, solo in tempi molto recenti.
Il placito cassinese
Nell’anno 883 un’orda di Saraceni distrusse il monastero di Montecassino (fu la seconda distruzione) ed uccise l’abate Bertario5; i monaci furono costretti ad abbandonare la loro casa per rifugiarsi dapprima a Teano, poi a Capua. L’esilio durò poco più di 60 anni. Durante la permanenza a Teano un incendio distrusse molti dei preziosi manoscritti che i monaci si erano portati appresso da Montecassino; tra essi, oltre la Regola autografa di S. Benedetto, anche molti titoli di proprietà e donazioni che avevano costituito il patrimonio terriero di S. Benedetto6.
Con il ritorno a Montecassino il nuovo abate Aligerno volle ricostituire il patrimonio dell’abbazia; a tale scopo richiamò coloni da tutto il meridione assicurando loro vantaggiosi contratti agrari e provvide alla difesa del territorio ordinando la costruzione di castelli in ogni centro abitato; sorsero anche numerose celle monastiche e nuove chiese. Ma il recupero delle proprietà terriere non fu facile perché durante l’assenza dei monaci i signorotti locali si erano appropriati di vaste aree di territorio dell’abbazia.
È in tale contesto che si registrano sentenze giudiziarie del tipo dei Placiti Cassinesi.
Con esse l’abate rivendica e ottiene, con testimonianze giurate, la titolarità delle terre contese.
C’è chi sostiene che le contese erano fittizie: coloro, cioè, che reclamavano la proprietà erano, in realtà, d’accordo con l’abate; lo scopo era quello di provocare una sentenza e, quindi, un atto notarile ufficiale, visto che gli atti originali erano andati perduti.
I Placiti che contengono la celebre formula di giuramento: Sao ko kelle terre per kelle fini que ki contene trenta anni le possette parte Sancti Benedicti, sono quattro, con qualche lieve variante: uno del marzo 960 a Capua, gli altri del 963 a Sessa e a Teano.
Esaminiamo rapidamente quello di Capua, la Carta capuana.
Dal giudice Arechisi si presentano l’abate di Montecassino, Aligerno, accompagnato dal chierico Pietro, notaio dell’abbazia, e un certo Rodelgrimo, fu Lupo, nativo di Aquino.
Rodelgrimo esibisce un’abbreviatura (estratto notarile) in cui sono descritti i seguenti confini di alcune terre in Aquino: da un lato il fiume Rapido, da un altro lato il fiume Carnello (il Liri), da un terzo lato il rio Marozza con la contrada Farneto, il lago di Rademprando e la strada selciata (la via Latina); da un quarto lato la stessa strada selciata con una terra che inizia dal rio Cosa; il confine risale per il monte S. Donato, scende sui monticelli dei Marri e va ai dirupi che sono ai piedi del monte Balba (monte Calvo alle pendici del monte Fammera), di qui ai Due Leoni (tra Ausonia e Castelnuovo Parano) e alle serre su Casale, discendendo lungo il monte fino alla Villa del Garigliano e al dirupo della Grotta dell’Imperatore; quindi raggiunge di nuovo l’iniziale confine del fiume Rapido7.
Rodelgrimo reclama la proprietà delle terre per averla ricevuta in eredità dal padre e dagli avi.
L’abate Aligerno con il suo avvocato afferma che le terre descritte nell’abbreviatura appartengono al monastero già da trenta anni e dichiara di poterlo provare a termini di legge con testimoni.
Il giudice Arechisi chiede a Rodelgrimo se puó provare con documenti la titolarità delle terre descritte.
Rodelgrimo afferma di non poterlo provare legalmente.
L’abate Aligerno dichiara di avere dei testimoni che, sull’abbreviatura esibita da Rodelgrimo, possono pronunciare la formula: Sao ko kelle terre per kelle fini que ki contene trenta anni le possette parte Sancti Benedicti, e confermare con giuramento come prevede la legge.
I testimoni sono: Teodemondo, diacono e monaco, Mar. chierico e monaco, e Gariperto, chierico e notaio.
Il giudice fa appartare in luoghi separati Teodemondo e Gariperto e fa venire in sua presenza il chierico Mar. invitandolo, nel timore di Dio, a riferire quanto è di sua conoscenza; questi, tenendo in una mano l’abbreviatura e toccandola con l’altra, testimonia dicendo: Sao ko kelle terre per kelle fini que ki contene trenta anni le possette parte Sancti Benedicti.
Analoga procedura per gli altri due testimoni. Dopo aver testimoniato in maniera del tutto concorde giurano sul Vangelo.
In tal modo il territorio conteso viene assegnato all’abate Aligerno; è stabilita una penale di cento bizanti nel caso che Rodelgrimo o alcuno dei suoi successori revocassero la legittimità della donazione.
Il giudice sentenzia che la donazione duri per sempre.
Notaio Atenolfo
Pietro, chierico e notaio
Pietro, notaio.
Sull’attendibilità dei testimoni e sulla legalità della sentenza non conviene disquisire perché in ogni caso la finalità ultima dell’atto notarile era quella di ripristinare il patrimonio dell’abbazia, regolarmente acquisito con donazioni abbondantemente documentate da numerose concessioni imperiali e papali8, ed illegalmente usurpato dai signorotti confinanti al tempo del disastro dell’883.
Le formulazioni dei quattro placiti
I – Capua, marzo 960: Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene, trenta anni le possette parte sancti Benedicti.
II – Sessa, marzo 963: Sao cco kelle terre, per kelle fini que tebe monstrai, Pergoaldi foro, que ki contene, et trenta anni le possette.
III – Teano, luglio 963: Kella terra, per kelle fini que bobe mostrai, sancte Marie è, et trenta anni la posset parte sancte Marie.
IV – Teano, ottobre 963: Sao cco kelle terre, per kelle fini que tebe mostrai, trenta anni le possette parte sancte Marie.
1 Newton Compton 1994.
2 E. Gattola, Ad historiam Abbatiae Cassinensis Accessiones, vol. I, Venetiis, Coleti, 1734, pag. 68; M. Inguanez, I placiti cassinesi del secolo X con periodi in volgare, Montecassino 4ª ediz. 1942; L. Fabiani, La Terra di S. Benedetto Studio storico-giuridico sull’Abbazia di Montecassino dall’VIII al XIII secolo, vol. 1, Montecassino, 1968, pag. 309 e sgg.; B. Migliorini, Placiti cassinesi in “Storia della lingua italiana”, Firenze 1960.
3 Dal latino volgare sapere-sapio, che nel dialetto locale è diventato sacciö.
4 Lett. “cóntano”, cioè “dicono”, nel senso “di cui qui si parla”.
5 H. Hoffmann, Chronica Monasterii Casinensis, in M.G.M. Script., XXXIV, Hannover, 1980, I, 44.
6 Chron. Cas., cit., I, 51.
7 Vd. E. Pistilli, I confini della Terra di San Benedetto, dalla donazione di Gisulfo al sec. XI, CDSC onlus, Cassino 2006.
8 Id. Il Privilegio di papa Zaccaria del 748. Alle origini della Signoria cassinese, CDSC onlus, Cassino 2009.
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