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Studi Cassinati, anno 2009, n. 4
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di Costantino Jadecola
Altro che tempi belli di una volta! A guardare bene, infatti, ti rendi conto che così non era e se proprio vuoi dar credito a certe considerazioni nostalgiche tipo “si stava meglio quando si stava peggio” allora non sbagli a pensare che, forse, tali reminiscenze sono dettate solo dal rimpianto di una età ancora non troppo carica di anni, quando i pensieri sono quelli vacui propri della giovinezza, salvo, naturalmente, particolari e delicate situazioni che, della regola, costituiscono, talvolta, l’eccezione.
Prendete Aquino tra il finire del diciannovesimo secolo e l’inizio del successivo. Quasi immune da quel triste fenomeno che era stato il brigantaggio postunitario1 non poté, però, non rimanere coinvolta in quel diffuso costume di violenza che a quel tempo caratterizzava un po’ tutto il territorio più o meno prossimo.
Non a caso, infatti, degli oltre mille processi, 1079 per l’esattezza, celebrati presso il “Tribunale civile e correzionale-Circolo d’Assise” di Cassino tra il 1861, anno in cui esso venne istituito (legge 17 febbraio 1861), ed il 1902, ben 19 furono quelli che videro coinvolto Aquino per reati compiuti addirittura in un più breve lasso di tempo, cioè nel quarto di secolo circoscritto tra il 1877 e l’inizio del nuovo secolo. E si trattò, beninteso, di reati di una certa portata: infatti, se si eccettuano due “grassazioni”, nome con il quale s’intendeva il delitto compiuto da chi, a mano armata, rubava ad altri con violenza e minaccia di vita, se si eccettuano tre tentati omicidi e una violenza carnale, tutti gli altri furono omicidi. Ben tredici, tra volontari e premeditati, commessi nello spazio di venticinque anni, ovvero in un tempo in cui la popolazione di Aquino oscillava tra i 2.115 abitanti del 1871 ed i 2.746 del 19012.
Decisamente una situazione abnorme il cui unico aspetto consolante, si fa per dire, naturalmente, pur considerando il fenomeno comunque riprovevole, è dato dal fatto che si trattò di una furia omicida che non interessò la sola Aquino ma che investì anche le località a lei più prossime: a Castrocielo, fra il 1882 ed il 1899, i reati furono sette (una violenza carnale, un tentato omicidio, un uxoricidio e quattro omicidi); a Piedimonte San Germano (1874-1897), diciannove (nove omicidi ed altri di varia natura tra cui un “infanticidio per salvare l’onore”); a Roccasecca (1865-1895), ventuno (tra cui quindici omicidi ed un uxoricidio); a Villa Santa Lucia (1864-1891), undici (quattro omicidi, un uxoricidio, un paio di grassazione e, tra gli altri, anche lo spaccio di monete false); a Pontecorvo, (1874-1902), trentasei (tra cui un infanticidio e ventuno omicidi), a Colle San Magno (1864-1888), sette (cinque omicidi, un ferimento volontario in danno della propria moglie ed un “ratto violento a scopo di matrimonio); a Cassino, per finire (1864-1888), ben cinquanta (tra cui ventitre omicidi, due infanticidi ed un uxoricidio).
Si trattò, insomma, non di un fatto isolato ma, piuttosto, di un fenomeno molto diffuso, e non per questo meno grave, e decisamente inquietante. Che, comunque, ebbe un seguito.
Infatti, in epoca imprecisata, ma successiva a questa parentesi di sangue, forse nei primi decenni del Novecento, destò molta impressione l’uccisione del custode del cimitero Agostino Di Franco fu Carlo di 64 anni. “Da diverso tempo”, come si legge in una nota di cronaca datata Caserta e senza alcun altro riferimento, egli “soleva dormire in una capanna adiacente la sua abitazione che è annessa al Cimitero e ciò allo scopo di custodire alcuni maiali che egli teneva nella capanna stessa. Una mattina i famigliari trovarono il vecchio nello interno del pagliaio bocconi a terra senza che desse segni di vita. Egli era stato ucciso durante la notte con un colpo d’arma da fuoco che gli aveva trafitto l’occhio sinistro”.
La morte risaliva ad un’ora imprecisata di quella notte. Se lo sparo dei colpi non era stato avvertito dalla famiglia, che abitava in quei pressi, ciò probabilmente era dipeso dal violento temporale che si era scatenato per l’intera nottata. “Dalle prime indagini non era stato possibile rintracciare i colpevoli del truce reato. Varie ipotesi s’erano fatte su ignoti ladri, ma esse non erano tutte ritenute fondate in quanto che nella capanna s’erano trovati intatti (sic!) i tre maiali, né altro furto risultava fosse state consumato ai danni dello ucciso”.
Poi, però, si viene a sapere che autore dell’omicidio è il genero di Agostino, Benedetto Mangiante fu Salvatore di anni 43, il quale, arrestato dai carabinieri, confessa di aver “commesso il delitto per dar sfogo ad antichi rancori.”
A questi reati particolarmente violenti, inevitabilmente, se ne aggiunsero e se ne alternarono altri di altra natura: tra essi, i cosiddetti danni alle proprietà. In una corrispondenza pubblicata da L’Araldo si legge, infatti che “nelle campagne intorno Aquino, si verificano da più tempo dei furti campestri: si tratta nientemeno che di centinaia di reati simili avvenuti in due o tre anni.
Ciò prova evidentemente che questo è un mestiere per alcuni abitanti di quei paesi, un mestiere in cui, per giunta, si è divenuti così abili da eludere assai spesso la vigilanza della giustizia e sfuggire conseguentemente alla pena. E dire che oggi in Terra di Lavoro la P.S. non fa niente desiderare per il modo come essa è mantenuta. Tutt’altro, anzi, perché pare che in nessun’altra epoca la statistica dei reati nella nostra Provincia (che era quella di Terra di Lavoro, n.d.a.) abbia dovuto registrare cifre più basse, e nessun’altra volta i colpevoli siano stati così facilmente scoperti. Ma, dicevamo, che in queste campagne hanno acquistata un’abilità speciale a commettere dei furti campestri. Che siano furti o che siano vendette esercitate contro la proprietà per non poterle esercitare contro il proprietario, ma noi ad ogni modo constatiamo il fatto e richiamiamo su di esso l’attenzione dell’Autorità.
“Giorni or sono furono tagliate molte piante in un fondo del signor Pelagalli, e alla distanza di altri pochi giorni fu commesso lo stesso reato in un fondo del nostro amico Cav. Iadecola, a cui fu arrecato un danno di oltre tremila lire”3.
In un “prospetto dei reati di danno volontario commessi nel Comune di Aquino dal 1o Gennaio a tutto il 4 Agosto 1889” redatto dai reali carabinieri di Cassino il 5 agosto 18894, dunque in sette mesi, essi sono quattro: la notte tra il 6 e il 7 gennaio taglio di viti “in pregiudizio” di Tommaso Pelagalli da parte di persona rimasta sconosciuta, la notte tra il 23 e il 24 aprile taglio di un albero di proprietà di Pietro Capraro, reato rimasto “impuntito perché non si potettero scoprire i rei”, la sera del 7 luglio l’incendio di covoni di grano appartenenti a Giovanni Iadecola, per il quale vennero arrestati D. S e A. M., denunciati altri individui ancora (ma il processo è, all’epoca, ancora in fase istruttoria) e che “si sospetta sia avvenuto per opera degli stessi individui o per complicità degli stessi autori del danno avvenuto” la notte tra l’11 ed il 12 luglio, con il taglio di viti ed ulivi appartenenti ad Alessandro Iadecola, per il quale venne punito certo A. S. con la condanna a sei mesi di carcere.
Ma si è anche più audaci. Infatti, durante la notte tra il 4 il 5 maggio 1890, scrivono i carabinieri, “ignoti malevoli portatisi in tre distinti terreni, l’uno, però, accanto all’altro”, tagliarono 209 viti, “per un valore di lire 418”, di proprietà del sindaco Gaetano Pelagalli, 35 anni, e di suo zio Pelagalli Filippo fu Gaetano (57), 239 viti, “per un valore di lire 476”, appartenenti ad Antonio Iadecola (40), a quel tempo membro della giunta provinciale amministrativa, e 254, “per un valore di lire 508”, in danno del farmacista Vincenzo Venditti (74).
n questo caso si ha addirittura il sospetto che tali atti possano essere avvenuti “per causa di partiti municipali”, ovvero per questioni politiche-amministrative: fatte certe considerazioni, infatti, i carabinieri suppongono che il mandante, “dolente di non poter far parte dell’amministrazione comunale”, volesse colpire soprattutto i beni dei Pelagalli e dello Iadecola ritenendoli responsabili della sua esclusione dalla gestione della cosa pubblica. Le vittime, dal canto loro, non hanno difficoltà nell’ammettere che il presunto mandante era non solo un loro “nemico elettorale” ma anche il “capo di una associazione di malfattori”.
Che poi nella partita ci sia entrato anche il farmacista Venditti, sarebbe servito solo a sviare le indagini. Egli, infatti, viene definito “individuo innocuo e senza nemici” e per di più sulle stesse posizioni “politiche” dell’ipotizzato mandante. Sta di fatto che, sia questi che i dieci supposti esecutori materiali dei reati, vengano denunziati dai Carabinieri al pretore di Roccasecca del cui giudizio, però, s’ignora l’esito.
Ma sono specialmente i caselli ferroviari ad essere nell’occhio del ciclone. Tra gli altri, quello distinto dal numero 128 della ferrovia Roma-Napoli, in prossimità della zona aeroportuale, oggi, peraltro, superato da un cavalcavia.
Proprio da queste parti, ad esempio, il 7 giugno 1878 si verificò un assalto al “vagoncino” sul quale viaggiava, con altri, un funzionario delle ferrovie incaricato di pagare gli stipendi ai dipendenti delle ferrovie stesse ed al quale, a conclusione della “grassazione” che fruttò ai rapinatori 28mila lire, rimase nemmeno il becco di un quattrino5.
Ben più drammatico fu, invece, ciò che accadde la sera di domenica 13 marzo 1921 proprio al casello 128.
Quella sera, secondo quanto scrive un giornale del tempo in una corrispondenza datata “Aquino, 18 marzo”, il guardiano ferroviario Giuseppe Di Seglio, circa 50 anni, da tutti additato “per le sue qualità di integro e zelante lavoratore ed esempio di buon padre di [una numerosa] famiglia” si trovava di “sentinella al passaggio a livello” quando “gli si avvicinarono due sconosciuti travestiti da agenti di finanza ed armati di fucili militari, i quali ingiunsero al malcapitato di non muoversi dal posto e di alzare le mani onde procedere ad una perquisizione accampando il sospetto d’una detenzione di contrabbando di tabacco.
“Il Di Seglio incominciò a protestare la sua innocenza, ma le sue parole riuscirono vane perché i due sconosciuti in un attimo gli furono addosso, lo imbavagliarono, lo legarono e lo trasportarono a circa 400 metri lontano dal casello, in un fondo privato. Colà lo misero a faccia a terra e lo coprirono con un mantello. Intanto ai due malfattori si unirono altri otto compagni, anch’essi vestiti da agenti di finanza, tutti mascherati e tutti armati di fucili militari. Tutt’insieme si riavvicinarono al Di Seglio, tornarono a perquisirlo e non avendogli nulla rinvenuto addosso sfogarono la loro brutalità percuotendolo con i calci del fucili. Lasciato il povero Di Seglio continuarono nella loro opera delittuosa.”
Tornati al casello, dove la famiglia di Giuseppe, dormiva, dopo aver rinvenuta nel casotto la chiave per accedervi, vi entrarono e “incominciarono a scassinare tutti i mobili rubando ed asportando circa 2000 lire, 80 lenzuola, l’intera provvista suina, oltre due quintali di grano, un sacco di farina, la macchina da cucire Singer e tutto quant’altro poté loro capitare sottomano non trascurando l’oro e l’argento d’ornamento personale.
“Indescrivibile fu il terrore di quella famiglia. Vane le grida della madre Antonietta, vani i pianti ed i singhiozzi dej bambini, tutti oggetti di scherno e di vie di fatto.”
“Asportata ogni cosa”, a quel punto i malviventi cominciarono a chiedere con insistenza dove dormisse Maria, una bella ragazza di circa 15 anni figlia di Giuseppe. Fortuna volle che questa si trovasse al piano superiore e che, sentito evidentemente tutto quel frastuono, aveva ben pensato di chiudere la porta a chiave impedendo così di poter abusare di lei ai malviventi. Ma questi non si persero d’animo cosicché non essendo riusciti nel loro intento con la piccola Maria, tentarono di attuarlo con 1a moglie del Di Seglio, Antonietta, la quale, però, “resistette con ogni sua forza” scoraggiando la violenza dei delinquenti che finalmente la lasciarono in pace. E, raccolta la refurtiva, si dileguarono per la campagna.
Il cronista annota poi che quella stessa sera, sicuramente per spostare altrove l’attenzione, forse gli stessi malviventi avevano dato fuoco ad un cumulo di paglia di proprietà del sig. Giuseppe Pelagalli.
Ma non fu l’unico atto delinquenziale che ebbe come teatro la ferrovia. Circa un mese prima, il guardiano ferroviario Emilio Tiseo, verso le ore 22, mentre si trovava di servizio al casello 129 intese un rumore di passi leggeri. Preoccupato da ciò chiese aiuto al suo collega Di Branco ed insieme andarono a vedere cosa stesse accadendo. “Ma arrivarono tardi. I ladri avevano asportato dal casotto le finestre con i telai relativi e persino … l’uscio!”.
Sempre di sera e sempre intorno alle ore 22 ma di un giorno imprecisato, “ignoti malfattori” scassinarono il casotto di guardia del chilometro 124 dove prestava servizio la guardia-barriera Margherita Polese, “asportandovi la macchina da cucire, 30 polli ed altri oggetti.” Un sacco di biada, ferri da stiro, libri d’istruzione infantili, utensili da cucina e 30 polli fu invece il bottino del furto avvenuto al casotto di guardia non lontano dal chilometro 127.
Il campionario di azioni delittuose annovera anche una “audace aggressione”, come titola una corrispondenza da Aquino datata 8 gennaio 1928, di cui sarebbero stati “vittime alcuni mercanti che si recavano qui in occasione della Fiera dell’Epifania”: “Verso le ore 4 del mattino alcuni sconosciuti armati di fucile, fermavano sulla strada provinciale (Casilina) poco prima di imboccare il bivio di Aquino, vari carretti intimando la resa ai conducenti e svaligiando tutte le mercanzie destinate alla Fiera. Fortunatamente il bottino non poté essere molto lauto perché i derubati non avevano addosso forti somme”.
Insomma, “è una successione di delitti contro le persone e contro gli averi”, commenta l’anonimo cronista, “che vengono consumati da qualche tempo in qua da ignoti malfattori, nelle nostre pacifiche contrade con grave ed ingiusto danno della tranquillità delle famiglie”.
1 Si ha notizia di un solo brigante originario di Aquino, certo Tommaso Ricci figlio di Giuseppe. Classe 1837, faceva il bracciante nelle campagne di Ceprano. Tutto sommato una persona abbastanza tranquilla almeno sino all’inizio del mese di ottobre del 1865, quando decide di cambiar vita e di andarsi ad arruolare nella banda di Costantino Mattei, detto Medichetto, nella purtroppo non errata convinzione che ne avrebbe tratto un tornaconto sicuramente maggiore. La sua carriera da brigante, però, probabilmente fu stroncata sul nascere se, in nemmeno tre mesi, si rese protagonista di un sequestro di persona e di uno scontro a fuoco, o forse più di uno, con le truppe dello Stato Pontificio. Per i riscontri, poi, non si dovette attendere più di tanto: il lacero e miserabile “vestito” che aveva indossato sino ad allora venne infatti ben presto sostituito con uno del tutto nuovo di panno turchino cui abbinò un bel paio di stivaloni in pelle. E, tanto per gradire, spuntò fuori anche un’amante: la vedova cepranese Agnese Germani.
2 Dei reati commessi in Aquino, per motivi ovvi di opportunità, si rimanda ad un sintetico accenno con l’indicazione della collocazione delle carte dei relativi processi presso Archivio di Stato di Caserta, Tribunale civile e correzionale-Circolo d’Assise di Cassino:
b. 25, f. 105: Iadecola Giuseppe imputato dell’omicidio volontario di Di Ruzza Costanzo verificatosi il 15 aprile 1877;
b. 30, f. 128: Colella Pio ed altri imputati di grassazione ai danni delle Ferrovie Romane (7 giugno 1878);
b. 34, f. 143: Marcoccia Nicola imputato di omicidio volontario in persona di Siciliano Antonio (2 settembre 1879);
b. 39, f. 167: Antonucci Pietro imputato di omicidio volontario in persona di Iadecola Marcantonio (28 dicembre 1878);
b. 40, f. 190: Morelli Romano per l’omicidio volontario di D’Antona Bernardo con arma da taglio (20 ottobre 1880);
b. 62, f. 255: Donfrancesco Carlo ed altri per tentato omicidio con premeditazione di Scappaticci Donato (8 gennaio 1881);
b. 72, f. 308: Colella Gioacchino ed altri per l’omicidio volontario qualificato di Cantisoni Michelangelo (13 maggio 1882);
b. 77, f. 333: Aceti Emilio ed altri imputato di omicidio premeditato in persona di Marsella Domenica (26 luglio 1882);
b. 101, f. 430: D’Aguanno Celestino imputato di grassazione in danno di Pelagalli Antonio (19 marzo 1885);
b. 128, f. 554: Donfrancesco Saverio ed altri imputati di omicidio volontario in persona di Di Nardo Angelo (16 agosto 1888);
b. 142, f. 619: Bianchi Benedetto ed altri imputati dell’omicidio volontario di Marsella Bernardo (27 ottobre 1890);
b. 169, f. 767: Zagaroli Vincenzo ed altri per omicidio premeditato in persona di Longo Davide (16 ottobre 1892);
b. 172, f. 783: Mattia Francesco ed altri imputati di omicidio volontario in persona di Di Sotto Angela (12 giugno 1893);
b. 178, f. 819: Mazzaroppi Michelangelo ed altri per tentato omicidio in persona di Iadecola Tommaso (14 agosto 1893);
b. 190, f. 876: Carcione Gregorio ed altri per tentato omicidio in persona di Petrillo Libero (27 giugno 1891);
b. 206, f. 933: Iadecola Marcantonio per omicidio premeditato in persona di De Santis Pio ed altri reati (13 dicembre 1896);
b. 208, f. 940: Vittigli Tommaso imputato di omicidio premeditato in persona di Pelagalli Giuseppe (20 agosto 1890);
b. 233, f. 1031: Gerardi Saverio per violenza carnale aggravata (abuso di autorità) di Salvarati Regina (1 gennaio 1898);
b. 242, f. 1076: Capraro Tommaso imputato di omicidio premeditato in persona di Iadecola Giovanni (29 gennaio 1902).
3 L’Araldo. Giornale di Terra di Lavoro. A. I, n. 1.Caserta, 19 Gennaio 1889.
4 Archivio di Stato di Frosinone. Inventario della Prefettura 1927-1943 dei Comuni della provincia di Frosinone, b. 51
5 Archivio di Stato di Caserta, Fondo Tribunale civile e correzionale-Circolo d’Assise di Cassino, b. 30, f. 128.
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