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Studi Cassinati, anno 2009, n. 4
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Riceviamo da Vito Mancini da Veroli
Santa Francesca – Veroli, 9.11.2009
Egr. Direttore, leggo la rivista con gran piacere e questa volta ho gustato molto, tra l’altro, l’interessante intervento del sig. Fernando Riccardi su “Le Commissioni d’inchiesta sul brigantaggio post unitario”.
A proposito dei rancori privati che nei piccoli paesi assumono le caratteristiche di dissensi politici, l’immobilismo delle amministrazioni locali … l’inefficienza della magistratura, l’assenza di un corpo di polizia efficiente, in grado di stroncare le complicità delle quali godono i briganti, ecc., di cui a pag. 176 (n. 3/2009), mi sono ricordato di una lettera che fa parte della mia collezione di storia postale del Regno di Napoli. Trattasi di una lettera anonima inviata all’allora Ministro di Grazia e Giustizia con la quale l’autore descrive il suo stato di prostrazione e di paura e l’ambiente complice in cui è costretto a vivere a causa del famigerato Nicola Morra.
Ritenendo di fare cosa gradita ai lettori, trascrivo letteralmente la missiva che si commenta da sé, partita da Foggia, venerdì 12 marzo 1859, e giunta a Napoli, lunedì 15 marzo, non prima di aver dato qualche ragguaglio su Nicola Morra.
Nicola Morra non fu un brigante, ma uno “sbandito”, un individuo audace, fiero, forte di carattere che visse lungo tempo contro ogni legge vigente per cui si trovò, suo malgrado, armato contro la società; fu in altri termini un ribelle alla prepotenza. E difatti, lui che aveva avuto suo padre Giandonato ucciso per essersi opposto ad un ricatto, fu condannato per aver ucciso in duello un prepotente che lo aveva ferocemente insolentito davanti agli amici. Evaso, si dette alla latitanza. Di sciagura in sciagura fu continuamente ricercato dalla polizia e varie volte condannato. Animo generoso, durante le latitanze cercò sempre di aiutare i bisognosi, togliendo ai ricchi e beneficiando i derelitti. Pasquale Ardito, autore di un libretto sulle avventure di Nicola Morra, dice che, su suggerimento del Cavour, il Gen. Pinelli, inviato in Capitanata a combattere il grosso delle bande che si aggiravano sulle rive dell’Ofanto e del Fortore, avesse invitato il Morra, detenuto nelle carceri di Lucera, in compenso della grazia, ad associarsi a lui nella lotta al brigantaggio. Si riteneva che al suo richiamo i briganti sarebbero certamente accorsi fiduciosi e quindi in vario modo resi facilmente inoffensivi. È inutile dire che l’invito al tradimento fu sdegnosamente respinto. Nonostante tutte le disavventure, scontate le numerose condanne, una volta graziato, in considerazione del rispetto e dell’affetto che seppe meritarsi, Nicola Morra visse, confinato a Monopoli, gli ultimi anni di vita accettato assai cordialmente dalla popolazione e nella stima di quanti lo conobbero. L’Ardito lo cita come un individuo che è gloria pugliese. Un Morra di Cerignola viene citato dal Massari nella sua “Relazione della Commissione d’Inchiesta Parlamentare letta alla Camera dei Deputati il 3 e 4 maggio 1863” come un egregio proprietario, capitano della guardia nazionale a capo di una squadra a cavallo formata da una trentina di militi giovani e pieni di buona volontà. Forse un parente di Nicola? Perché il nostro Morra fu di dichiarati sentimenti antiborbonici. Ed ecco la lettera:
“A sua Eccellenza il Ministro di Grazia e Giustizia
Eccellenza l’intiero pubblico porta alla Sua sapienza quanto siegue. Sono ormai scorsi undici mesi che il Famigerato Nicola Morra non viene assicurato alla Giustizia e né verrà, sul motivo che vien garantito dal Giudice di Cerignola, e dall’Alfiere Signor Jeresi colà anche residente, atteso che il detto Morra giace tutta via nascosto in questa città, senza che viene molestato da chicchessia, ed i poveri individui addetti alla colonne perdono la loro salute per la campagna, e lo scrittore facendo conoscere alla di Lei clemenza per sua coscienza, atteso che vien minacciato dal ripetuto Morra di toglierla la propria vita, e per questo riflesso si ritrova chiuso nella sua abitazione, avendo da circa mesi sei tralasciato i suoi interessi sul mestiere della campagna per non lasciare i figli in mezzo alla strada e che si vede aggi giorno odiato dai propri cittadini, atteso che uno dei giorni il più volte replicato Morra, volea dal reclamante un cavallo, e siccome fu restìo, così vien minacciato bastantemente di perdere la vita. Ma se Ella crederà che il Morra sia arrestato, bisognerebbe levare da quella città i primi due soggetti, sul riflesso che il detto Alfiere è divenuto un cittadino per essere da circa sette anni che dimora colà, e che addossa ogni giorno gli abiti alla paesana, come lo stesso marcia il suo figlio Gendarme. Si dice pubblicamente che ha un mensile dal detto Morra, come in fatti si vede che in poco tempo è divenuto padrone di migliaja, mentre stava in misera condizione, ed ora non si mette la carrozza per non dare agli occhi dei superiori il suo vantaggio. In fine Lei partirà da questa idea che il replicato Morra oltre che possiede del denaro ed ha una lunga famiglia e sono persone d’impegno e di molta moneta, ed ecco come non viene assicurato alla Giustizia, assicurandovi anche che il Morra si fa la sua camminata per lo spesso nel suo paese nelle ore avanzate, e quando le Colonne Mobili entrano in Cerignola, subito il detto famigerato viene avvertito dai ripetuti due soggetti, assicurandovi la vera conoscenza, come lo potrete rilevare dietro informazioni. Baciandovi la destra con umile rispetto”.
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