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Studi Cassinati, anno 2009, n. 2
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di Gino Alonzi
Molto si è detto e scritto sulle inenarrabili e odiose vicende che videro protagoniste le tristemente famose truppe di colore di Juin durante la fine, o quasi, del secondo conflitto mondiale a scapito delle nostre inermi popolazioni. Non erano di certo i “liberatori” che tutti si aspettavano, tutt’altro …
Malgrado questo, non per equità, ci mancherebbe, ma per dare a qualche “giusto” ciò che gli è dovuto, non possiamo non tener conto di qualche, seppur sporadico, atto di umanità e bontà tra tanta ingiustificabile barbarie.
Ero giovinetto e con difficoltà capivo ciò che mio nonno Angelo Vettraino e in seguito mia madre Giuseppina mi raccontavano spesso: poi, con il passare degli anni, essendo io nato nel 1946 e non avendo per fortuna vissuto direttamente quei tristi periodi, ho potuto dare un senso a quei racconti.
Era dunque il momento dell’arrivo dei “liberatori” e nelle nostre zone si erano insediati diversi avamposti delle truppe francesi di colore.
Mio nonno Angelo abitava, con mia nonna Antonietta e le figlie Elena, Bruna, Concetta e la maggiore, mia madre, alla contrada “Pietrosa” di S. Elia Fiumerapido, di fronte al cimitero, pochi metri dopo che la collina si inerpicasse verso le balze che conducono a Valleluce. La casa è tutt’ora esistente se pur rimodernata e vi abita mio cugino Tonino, figlio di Concetta, con la sua famiglia. L’unico figlio maschio, Gino (del quale io porto in ricordo il nome) nonostante fosse l’unico sostentamento della famiglia, essendo il nonno invalido per lavoro, e malgrado le proteste di questi, era stato inviato, all’età di venti anni, a “conquistare la Russia”: un onore, secondo alcuni … Ma dalla Russia Gino non fece più ritorno.
Erano tempi di ristrettezze e fame, si viveva con poche cose, qualche patata, verdure, fagioli, polenta quando si riusciva a farla, e di certo si era già fortunati rispetto a tanti altri. La ricchezza vera della famiglia, però, era possedere due capre con il cui latte e derivati si poteva variare il modesto pasto quotidiano.
Un centinaio di metri più a monte, in un’altra casa, si era insediato un comando di truppe algerine che, parole del nonno, non avevano mai arrecato alcun tipo di fastidio.
Se non che, una sera, mio nonno non trovò le due capre dove dovevano essere: la porticina della stalla era stata sfondata e quindi gli fu facile dedurre che gli animali erano stati rubati. Ovviamente i suoi sospetti caddero subito sui soldati algerini, presenti in massa nella zona.
Contando sul suo ottimo francese (aveva per anni lavorato in Francia soffiando vetro nelle fabbriche di bottiglie) ed essendo dotato di grande coraggio, risalì la scarpata e senza indugiare si recò presso il comando algerino per cercare informazioni su quanto accaduto. Comandava il presidio un giovane tenente al quale il nonno, nel suo perfetto francese, chiese con estrema cortesia se qualcuno dei suoi uomini fosse per caso coinvolto nella sparizione delle capre.
Con estrema affabilità e altrettanta cortesia l’ufficiale lo fece entrare, lo invitò ad accomodarsi e gli assicurò che si sarebbe interessato della cosa. Dopodiché iniziarono a parlare del più e del meno circa gli eventi bellici in corso.
Il nonno gli esternò il suo mai sopito dolore per il giovane figlio disperso in Russia, si parlò a lungo di politica (nonno Angelo era comunista convinto, uno dello zoccolo duro, tanto per intenderci) e l’ufficiale ne rimase sorpreso. “Ma come, signore, siete comunista pur lamentando un figlio disperso in Russia e forse ucciso proprio dai russi ?”.
La risposta del nonno fu semplice e logica, e lasciò a lungo assorto e pensieroso il giovane tenente. “Mio figlio non andò in Russia di propria volontà, non ne avrebbe avuto motivo: fu un folle esaltato (testuale) a mandarcelo, e io fui solidale verso quella povera gente aggredita nelle proprie case: anche per questo sono comunista e morirò tale !”. Seguirono attimi di silenzio dopodiché il nonno tornò, scusandosene, sul motivo che lo aveva condotto lì: le due capre.
Spiegò come gli fossero state fino ad allora vitali, contribuendo non poco alla sopravvivenza della famiglia, di sua moglie e delle quattro figlie.
A quel punto tornò ad esserci un momento di silenzio e il nonno, nella scarsa luce, notò una lacrima scendere lungo la guancia dell’ufficiale e pensò che questi stesse ricordando in quei momenti la propria famiglia lontana: in effetti aveva indovinato.
“Signore” – disse al nonno – “voi se pur giustamente, vi state preoccupando di due capre: sarebbe il caso che pensiate piuttosto che avete una moglie e quattro figlie che dovete proteggere. Per ora, fino a quando ci sarò io, non avrete nulla da temere. Ma un domani, con l’avvicendamento di truppe e comandanti, sarà sempre così ?”.
Poi, con il volto rigato dal pianto, aggiunse: “Magari avessi avuto io la possibilità di proteggere le mie tre sorelle, le mie povere tre sorelle, le due più grandi incinte, prima violentate poi seviziate in modo orribile ed infine uccise con le baionette dalle vostre ignobili bestie in camicia nera (testuale). Quante capre avrei sacrificato pur di poterle salvare!”. Nonno Angelo, ammutolito ed anche lui scosso da quanto ascoltato, non proferì più parola eccetto un flebile e commosso “Grazie e buona sera” cui seguì una stretta di mano che esprimeva tutto ciò che in quel momento egli sentiva nel suo animo.
Nei giorni che seguirono, quando le vicende belliche lo permettevano, spesso il nonno si recò a far visita al giovane tenente che forse, chissà, in qualche modo gli ricordava il perduto figlio, per fare quattro chiacchiere.
Ne nacque una bella e sincera amicizia.
Non di rado portava con sé un fiasco di vino, qualche uovo, della verdura o del pane appena sfornato; per non parlare della polenta calda, molto gradita.
Gli algerini contraccambiavano con il poco che avevano, alcune scatolette di carne, cioccolato e qualche altro alimento allora raro.
Mio nonno a tal proposito mi raccontava che spesso verso sera il tenente mandava giù un suo soldato con un sacchetto di vettovaglie e con l’ordine di non entrare in casa, tanto che per offrirgli qualcosa in cambio si doveva uscire sull’aia.
Delle capre non si parlo più, se non che una sera, mentre in casa si consumava la solita frugale cena alla luce di un lume a olio, si udì bussare alla porta.
Il nonno, preoccupato, prese il lume, aprì la porta e la scena che gli si presentò davanti lo lasciò senza parole: sull’uscio c’era il giovane tenente accompagnato da un soldato che teneva al guinzaglio le due capre smarrite.
In seguito il fronte si spostò e il presidio algerino con esso: il tenente andò via, non prima però di aver salutato e abbracciato nonno Angelo: ci furono da parte di entrambi commozione e sincere lacrime di commiato.
Questo mi raccontava il nonno ed io, giovinetto, lo ascoltavo e ancora non coglievo completamente quelle che erano le sue emozioni mentre narrava.
Da molto tempo ormai il nonno non c’è più: ma mia madre, oggi novantunenne, tante volte ricorda la storia delle due capre perdute e del tenente buono.
Dimenticavo di dire che dopo la guerra, il nonno fece di tutto nel tentativo di rintracciare l’ufficiale algerino, del quale ovviamente conosceva il nome: ma con i mezzi di allora, la ricerca fu purtroppo infruttuosa.
Oggi anch’io, ormai in età più che matura, varie volte ho pensato a quel lontano episodio narratomi dal nonno e da mia madre, pur non avendolo vissuto direttamente: al tenente buono, che per molto tempo ho sperato fosse ancora in vita. Ma non avendo mai avuto notizie in tal senso, mi è sempre piaciuto immaginare che riposasse serenamente nella sua terra, tra i suoi cari, con le sue povere sorelle, in un angolo riservato ai buoni e ai giusti.
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