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Studi Cassinati, anno 2008, n. 3
di Duilio Ruggiero
La chiesa di S. Carlo
Diversi episodi di “immunità ecclesiastica” sono avvenuti nella prima metà del secolo XVIII1 nella Circoscrizione della Curia Vescovile di Gaeta ed alcuni casi sono documentati nell’archivio della Curia stessa.
Sovrintendeva a queste cause la S. Congregazione dell’Immunità Ecclesistica, quasi tutte “di immunità locali interessanti i luoghi in qualunque modo destinati al culto”. “Ma oltre le chiese, anche i conventi, i vescovadi o episcòpi, spesso gli ospedali annessi, erano luoghi immuni e quanti vi si rifugiavano non potevano essere tirati fuori con la forza, godevano il diritto di asilo”.
Nel Medioevo il re o il feudatario concedeva ai monasteri e ad altri luoghi sacri, per averli alleati, privilegi e franchigie, per cui nessun giudice o rappresentante dell’autorità feudale o soldati (i bravi) potevano esercitare il loro ufficio entro i domini del monastero e delle chiese. Essi godevano dell’immunità. Se un malvivente commetteva qualche misfatto, e si rifugiava in una delle dipendenze del Monastero, compreso le chiese; non poteva essere preso o arrestato2.
“Il diritto di asilo, che assicurava immunità ai colpevoli, protetti nella vita e nelle membra, cessò di avere valore col ristabilirsi dell’ordine sociale nell’età moderna”.
In Castelforte anche successivamente all’avvenimento trattato si verificò un altro episodio nel 1771 e protagonista fu il sac. Sigismondo Fusco. Non è dato sapere di quale delitto egli fosse accusato. “Egli è stato fatto arrestare di notte per ordine della Curia Vescovile con l’aiuto del braccio secolare e portato nelle carceri del Castello a Gaeta. Dopo era stato trasportato nelle carceri vescovili”3, Mentre il prigioniero veniva ricondotto in Castello su ordine del Delegato della Real Giurisdizione, nell’uscire dal carcere vescovile il Fusco sfuggì alla scorta e si rifugiò in una chiesa e si stese per terra presso l’altare dell’Addolorata invocando l’immunità. Fu preso e trascinato fuori perché, secondo l’autorità ecclesiastica, essendo egli già sotto processo, non poteva invocare l’immunità.
L’episodio che segue avvenne nella Chiesa di S. Carlo Borromeo “extra moenia”.
Oggi questa chiesa non esiste più. Sulla stessa area, dopo gli eventi bellici del 1943-44, è stato costruito un edificio attualmente adibito a Stazione dei Carabinieri. Tale edificio, completamente distrutto dalla guerra, fu ricostruito a cura dello Stato come “Ospizio dei Vecchi” e successivamente trasformato nella destinazione. Su questa area dopo la fine della guerra , venne ventilata la ricostruzione della Chiesa di S. Giovanni Battista ma la maggioranza degli abitanti si oppose decisamente a questa iniziativa.
Il progetto dell’architetto G. Rapisardi, si inseriva “in quel complesso di opere attuate per la ricostruzione dell’intero paese, raso completamente al suolo dagli eventi bellici”.
“L’edificio, con la sua realizzazione, occupò il luogo in cui sorgeva anticamente la chiesa di San Carlo. Tale chiesa sconsacrata alla fine dell’800, fu successivamente trasformata in cinema teatro. Gli ingenti danni subiti dall’intera costruzione non consentirono il benché minimo recupero rendendo obbligata la scelta della realizzazione di un nuovo edificio completamente diverso”. Avrebbe dovuto essere un edificio di carattere assistenziale dell’Ente preposto (Ente Comunale di Assistenza), che ne dettò le caratteristiche funzionali, condizionandone altresì gli esiti formali. Rispetto al primitivo progetto, nel corso della realizzazione, il progettista apportò delle modifiche sostanziali che ne migliorarono notevolmente l’aspetto.
Prima felice intuizione del progettista, fu di eliminare la copertura a padiglione optando per una più consona copertura a terrazza. Mantenendo l’ingresso principale dell’edificio sul lato frontale della piazza, fu una scelta felice “in quanto capace di conferire alla facciata più esposta, che domina sull’intera piazza, un austero senso di grandezza”.
Il progettista, ha conferito ad una architettura apparentemente semplice ed anomima, una singolare espressività che è qui riassunta solo nella fascia centrale del prospetto principale. A connotare questa parte centrale della costruzione, sono due piccole paraste che innalzantesi per tutta l’altezza del primo piano sostengono in sommità due capitelli stilizzati in pietra locale. Ulteriore elemento di questa facciata è un cornicione, sempre in pietra locale, posto in corrispondenza dell’ultimo solaio. Con la stessa pietra sono realizzati il parapetto della terrazza, che costituisce l’attacco al cielo dell’edificio e quello delle finestre al primo piano.4
La piazza antistante ancora volgarmente è detta di S. Carlo, ma nella toponomastica cittadina anteguerra era stata intitolata a Francesco Petronio5, l’illustre concittadino che nacque proprio in una casetta di un vicolo adiacente l’antico stabile di S. Carlo.
In data 28. 10. 1929, l’allora Vicario Foraneo don Alfredo Cardi, nella “Nota degli edifici sacri che si trovano in possesso di privati”6, così scriveva per la Chiesa di S. Carlo: “Nessun vecchio ricorda la celebrazioine della S. Messa in detta chiesa che presenta la struttura di una delle più belle chiese di Castelforte. Apparteneva alla Congrega di Carità che priva di qualsiasi sentimento l’ha adibita a teatro profano come risulta dal 1866 da testimoni oculari. Ultimamente da nove o dieci anni in modo permanente è stata data in affitto per uso di cinematografo e teatro. Il quadro di S. Carlo fu trasportato nella Chiesa parrocchiale di San Giovanni Battista di Castelforte”.
Il pittore Marchesi, marito della prima Preside dell’Istituto Tecnico intitolato a Rosa Maltoni Mussolini, allora di recente istituzione, aveva dipinto vari quadri di soggetto classicheggiante sulle pareti del Cinema Teatro S. Carlo.
Al momento della distruzione a seguito dei fatti di guerra svoltisi in questa località nel 1943-1944, l’edificio, come dichiarato dal Vicario Foraneo, era stato trasformato in sala di spettacoli con palcoscenico, biglietteria, uscite di sicurezza ecc. ed in parte era adibito a sede di associazioni politiche del Partito Nazionale Fascista; dell’antica chiesa rimaneva solo l’ampia sala adibita a platea. Il locale nei tempi passati era stato anche sede di seggio elettorale.
Non si conosce esattamente la data di costruzione di questa Chiesa. Negli anni precedenti al 1600 essa non è menzionata in alcun beneficio, né in nessuna Visita Pastorale. La chiesa indubbiamente è stata costruita al principio del 1600.
Anzi quasi con certezza è da ritenersi che i lavori di edificazione siano stati intrapresi nei primi decenni del 1600, come si rileva da una istanza dell’anno 1604: “E. ma e R. ma S. Cesare Duratorre alla prossima visita di V. R. ma in Castelforte fatta, ha supplicato restasse servita darli licentia posser fundare e fare una cappella dedicata a S. Carlo, essendo con devotione generale di tutta l’Università7 et perché non c’era dote a ciò costituita, non volse detta concederli.
Adesso essendovi alcuni particolari8 q. li voglion far carità et costiuitisi la dote perché se facci tal cappella, et dubitando fatte dette donationi non s’eseguirsi detta Fabrica desiderando haver licentia. Per tanto la supplica ad restar servita concederli tal facultà et acciò conosca il tutto esser vero vorrà V. S. R. ma ordinare al Vicario Foraneo di q. ta T. rra9, o a chi parerà a V. S. R. ma pigli informationi di dette donationi et concederli licentia, eseguito il detto possano fundare et fabricare detta cappella essendo in tanta devotione a tutto il popolo et dare che il tutto è giusto lo recevendo ad gratia da V. S. Suppl. ca anco a darli licentia posserla fabricare, sola e divisa dalla Chiesa Magiore10 et che vi se possano eligere dai mastri tanto alla cura della fabrica quanto all’intrate di esse. V. Deus.”11
La Chiesa governata dall’Università di Castelforte che vi nominava due Procuratori “in pubblico Consiglio nella Piazza fu concluso in pubblico Parlamento di farsi Ricettizia” e ne fu rogato istrumento dal Notar Biase Lentisco del 31 agosto 1604. Al momento della dichiarazione di farsi Ricettizia, la Chiesa già comprendeva l’Altare Maggiore di S. Carlo con l’obbligo della messa cantata e vespero in tutte le domeniche e nelle feste e di una messa piana quotidiana.
Per molto tempo la chiesa fu detta Cappella o Ricettizia.
Sembra che in un primo momento doveva effettivamente edificarsi una semplice Cappella, come una delle tante che esistevano nelle zone rurali, e che solo in sede di attuazione la costruzione fosse stata ampliata e modificata per dar luogo alla installazione anche di altari di vari patronati, forse inizialmente delle famiglie che avevano contribuito alle donazioni. Non si sono potuti reperire documenti ed atti sulla consacrazione della Chiesa.
Monsignor Nicola Geronimo in S. Visita a Castelforte, il 2 maggio 1639 col “convisitator si conferì di mattino nella Chiesa di S. to Carlo in fine di fabbricarsi, stà decentemente”. Dunque l’edificio in quell’epoca era in costruzione ed i lavori in stato avanzato. Lo stesso Presule rivisitò la Chiesa il 21 aprile 1644 “et la trovò decentemente”. Gli scarsi cenni non danno altre notizie, ma deve presumersi che la Chiesa non era stata ancora consacrata perché manca ogni dato sugli altari, sulle suppellettili, sugli ornamenti ecc, come generalmente viene riportato dettagliatamente nelle relazioni di tutte le S. Visite dell’epoca.
La Chiesa è visitata nell’ultima decade del maggio 1715 da Monsignor Giuseppe Guerrero. Nella relazione è citata la cappella di S. Giuseppe. Alla S. Visita di Monsignor Carlo Pignatelli del 1722 nella Chiesa oltre “all’Altare Maggiore sotto il titolo di S. Carlo” si trovano altri tre Altari: S. Maria della Pietà, Patronato della Famiglia Fusco con 130 messe piane e una cantata; S. Maria delle Grazie, Patronato della Famiglia Cinquanta con 225 messe; S. Maria del Monte Carmelo (Madonna del Carmine) Patronato della Famiglia Leo con 104 messe”.
Alcune notizie relative alla Chiesa si possono desumere dalle Relazioni sulle S. Visite e dalle Platee12 della chiesa stessa.
Nell’Inventario della Chiesa Ricettizia di S. Carlo, redatto nel 1747si ha: “Della descrittione della chiesa recettitia di S. Carlo jus Patronato dei d(etta)a T(er)ra di Castelforte :
“La Chiesa di S. Carlo della T(er)ra13 di Castelforte, è situata fuori di d(ett)a Terra, dove si dice il Ponte14, la porta di d(ett)a si ritrova verso l’Occidente, si anche di rimpetto alla Marina del Ga(rig)liano; avanti a d(ett)a Chiesa vi è un Atrio circolato di fabrica con due porte, una (per) entrare e un’altra (per ) uscire; cioè una alla destra e l’altra alla sinistra di d(ett)a Chiesa; dentro del qual Atrio vi son due alberi di olive nella parte sinistra, fino15 via publica intorno a d(ett)o Atrio si anche del publico tutta quanta vi è attorno a d(ett)a Chiesa da circa palmi16 otto, cioè dal lato destro, e sinistro e dalla parte di dietro. La porta di d(ett)a Chiesa, cioè l’ingresso è di pietra laurata17 con arco di sopra di pietre laurate. Dentro di d(ett)o arco vi è dipinto il glorioso San Carlo, poi sopra la facciata davanti di d(ett)a Chiesa, vi è il Campanile con due campane, una di circa peso rot(oli)18 70 e l’altra di circa rot(oli) 30. La Chiesa è di lunghezza di circa palmi quaranta e di larghezza palmi venti, in mezzo della q(ual)e ci è un Arco con gradino nel sud(det)to alto da mezzo palmo dove nel tetto (per) quanto è il ristretto di d(ett)a Chiesa, vi è botta di lamia19, dentro della qual Chiesa vi sono cinque cappelle cioè altari da celebrarsi messe.
“In fondo della facciata di sopra di rimpetto alla porta vi è situato l’Altare Majore sotto il titolo di San Carlo Borromeo dove si vede il quadro dipinto in tela con la figura del glorioso San Carlo Borromeo con varj esemplari allusivi a d(etta) figura situati nella Icona di stucco bianco con quattro colonne e laterali che sporgono sin sopra d(etta) lamia dove vi è un quadretto sotto il titolo della Pietà, al q(ual) quadretto per aver inteso dalle gente fra le genti di d(ett)a T(er)ra esservi noti obblighi di sacrificij d’adempirsi dalla famiglia de Fusco di d(ett)a T(er)ra e presentem(ent)e non sono stati sodisfatti e nemmeno si sodisfano. Nel piano di d(ett)a Chiesa, cioè nel Ingresso si vede (per)sino il gradino del foro il suolo d’Astrico ed al gradino sino al Altare Magiore il piano di matoni. L’Altare è di stucco bianco con due gradini di simil modo.
“Sopra del Ingresso di d(ett)a Porta vi è il coro fatto di lamia dove si cantano Messe ed Oficij da Cappellani di d(ett)o Recettitio.
“In Cornii20 Evangelij vi è un Altare sotto il titolo della Madonna del Rosario, con una figura del glorioso S. Domenico dalla parte destra e dalla sinistra il glorioso S. Gennaro, Jus Patronato21 della famiglia Ciorra, di tela. L’Altare è di stucco bianco con due gradini intorno a d(ett)o quadro di stucco lavorato di simil modo.
“In Cornii Epistole vi è situato un Altare, sotto il titolo Madonna delle Grazie e con la figura alla destra del glorioso San Francesco d’Assisi, alla sinistra il glorioso San Antonio di Padua, Jius Patronato dela famiglia de Cinquanta e d(ett)o quadro è di tela. L’Altare è di stucco bianco con due gardini e intorno a d(ett)o quadro anche di stucco di simil modo.
“Di sotto l’Arco a mano sinistra nel ingresso, ci è situata la Cappella con altare sotto il titolo della Madonna del Carmine con varie figure del glorioso Patriarca San Giuseppe, S. Domenico, S. Rosa ed Angioli, Jus Patronato della famiglia di Leo, beneficiario il M(a)g(nifi)co Gio. Bat(ist)a Mattei e d(ett)o quadro è di tela”.
Nel 1748 nella Chiesa un Altare è dedicato alla Vergine dei Sette Dolori della Famiglia Fusco che forse è lo stesso in precedenza esistente sotto il titolo di S. Maria della Pietà.
Il contestato diritto di sacro asilo
Nei primi giorni di febbraio dell’anno 1765, in Castelforte, nel largario anstistante la Chiesa di S. Carlo Borromeo” extra moenia”22, una squadra composta di due soldati ed un caporale, in servizio di polizia, catturò il latitante Andrea Paolotta, che si era rifugiato nella predetta Chiesa e che era uscito nel predetto largario considerandolo parte integrante della stessa Chiesa,
Non sono chiari i reati che si addebitavano al Paolotta. Il Governatore di Castelforte don Ignazio Bangi23, dichiarava che aveva ordinato la carcerazione di un reo imputato di più delitti, mentre il Vescovo di Gaeta, secondo quanto gli riferiva il Vicario Foraneo, affermava che il motivo della cattura era da attribuirsi al puro e semplice debito che il Paolotta aveva colà contratto e non pagato con un proprietario del luogo.
Il principe Carafa, conte di Traetto e di Castelforte, informato del malumore e dei risentimenti del clero locale per questo fatto, il 23 febbraio 1765 scrisse al Vescovo di Gaeta facendo rilevare che la cattura del Paolotta era stata “eseguita in una strada pubblica nello spiazzo della Chiesa rurale di S. Carlo, ove sta rifugiato, ed essere in quel tempo dalla medesima uscito”.
Il principe Carafa contestava il diritto di Sacro Asilo24 della suddetta Chiesa “per essere la medesima in campagna fuori dell’abitato del paese in cui non si conserva il Venerabile25, né è Chiesa filiale di alcuna Parrocchia ed il cui sagrestano è un Laico Romito”26. Quindi non godendo la immunità, l’edificio “quanto meno goder potea nello spiazzo della stessa chiesa, il quale per essere strada pubblica viene continuata dal passaggio e ripassaggio non sol degli uomini, ma bensì dagli animali frequentato”. Inoltre faceva presente che avendo la moglie del Paolotta “ad istigazione di alcuni cervelli torbidi, fatto ricorso a codesta Vescovil Curia sulla falsa assertiva di essere stato il marito arrestato ed estratto dalla stessa Chiesa”. Quindi accennava al fatto che forse il Vicario Generale della Curia non avesse riflettuto le leggi del Concordato27, altrimenti si sarebbe astenuto “da fare il subitaneo passo” della denunzia contro i militari che avevano provveduto all’ arresto del Paolotta. Infine dice che “tutto ciò io pongo sotto la savia considerazione dell’ E. V. affinché bene informata del tutto si serva di far dare quegli ordini che stimerà giustificati e convenienti, siccome vivamente La supplico per la comune quiete di amendue le giurisdizioni”28.
Il 27 successivo il Vescovo di Gaeta risponde al Conte Carafa facendo presente “che dalla stessa Curia non siasi mancato, come mi lusingo, di attenzione verso quella sua Corte di Castelforte29“ perché subito dopo il fatto, quel Vicario Foraneo, si portò egli dal Magnifico Governatore per saperne il motivo e il Governatore li rispose ch’egli avea soltanto ordinato la carcerazione ma che gli soldati dovevano sapere le loro obbligazioni”. “Inoltre. si ordinò l’ informo con cui si constò non sono la qualità del luogo immune, ma anche il motivo della cattura, che fu per puro debiti che aveva colà il catturato”. Tutto ciò “non alterava la scambievole armonia e di far rimanere illesa l’immunità di quel Luogo Sacro che mai è stato considerato per Chiesa rurale30, ma bensì per Chiesa Ricettizia e tutti li preti di quella Terra in cui han sempre goduto Sacro Asilo tutti gli altri rifugiati; che quotidianamente vi celebrano, i quali in certi designati giorni della settimana cantano l’Officio e Messe Solenni, Chiesa immediatamente attaccata alle mura della Terra31 e che tiene l’ atrio circondato anche di mura con due aperture nei due lati che danno l’ingresso alla Chiesa per il comodo di chiunque voglia abbreviare la strada. Chiesa finalm(ent)e frequentata e di mattina e di giorno da quei Paesani, che se è custodita da un Laico Romito, ciò deriva dal risparmio che si vuole fare di uno stipendiato sagrestano”. La missiva del Vescovo concludeva: “Di questo stato di cose essendo persuasissimo della delicatezza della di lei pia religiosa coscienza e premendomi altresì la serenità e quiete della mia, la prego di far fare da persona disinteressata e di sperimentato zelo una matura riflessione su questo sincero veridico racconto dei fatti e favorirmene gli sentimenti perché dopo aver già fatto dalla mia Curia sospendere ogni passo, possa io incontrare anche le aperture di compruovarle quanto mi sia a cuore la quiete di ambedue le Giurisdizioni e la stima personalissima che serbo per V. E. dei cui comandi semprepiù ambizioso costantemente mi rassegno”.
Il 4 maggio successivo, da Napoli, il Principe Carafa scrive ancora al Vescovo di Gaeta. Nell’ affermare: “Io poi già resto pienam(ent)e inteso del sincero verifico racconto dei fatti fattomi (per) mezzo della sua gentiilissima che suppongo a tenore della Relazione fattagliene da quel suo Vicario Foraneo, ma perché quella pervenutami da quel mio Governatore è in qualche modo differente, siccome già la pregai e bramandomi da me la continuazione della soda e stabile armonia tra di noi, la supplico a destinare l’ E. V. medesima, una persona proba e di sperimentata integrità ad esclusione di quel Vicario Foraneo suddetto, affinché unitam(ent)e col divisato mio Governatore si portino sulla faccia del luogo ove effettivam(ent)e il mentovato Paolotta fu arrestato e nel tempo stesso anche la causa di tale arresto. Impercioché trovandosi che l’ accennato reo sia stato carcerato in luogo realm(ent)e immune, non avrò verun riparo di far prontam(ent)e restituire il già detto Priggione(?) nella Chiesa donde si crede essere estratto”.
L’autorità civile considerava eventualmente solo la Chiesa Sacro Asilo e non il largario antistante mentre il Vescovo teneva ad affermare che anche quel largario dovesse essere soggetto al Sacro Asilo.
Il Vescovo in data 9 marzo 1765 informa il Conte Carafa di aver incaricato il Dottor D. Raffaello Tosti “quale so che sia antico parzial divoto di V. E. e di tutta la di lei deg(nissi)ma casa” e se impedito lo stesso per altre ragioni “ne incarico il R(everen)do D. Giuseppe Vellucci, canonico di questa mia Cattedrale, attuale predicatore in Castelforte, che unitamente con quel Mag(nifi)co Governatore si porti su la faccia del luogo ad appurare effettivam(ent)e donde il Paolotta fosse stato estratto”, “e quale anche sia stata la causa del suo arresto. Sebbene in seguito a quanto colla nota antecedente rappresentai a V. E., devo ora aggiungerle che nella Chiesa di S. Carlo col suo atrio, da me molte volte ocularm(ent)e osservata e visitata non puó meritare la qualità di Chiesa rurale. E qualora fosse tale non è facoltà dei soldati di farne capricciosa estrazione di un rifugiato, il quale quando anche fosse reo di omicidio, pure debbano in tale atto osservarsi le preterinzioni del Concordato e far eseguire l’estrazione colle debite formalità, e di conseguenza molto più che puó darsi la congiuntura che la Chiesa situata fuori le mura dell’abitato, goda la qualità di filiale, ignota alli soldati, né avrò mai l’ impegno di non dichiararla rurale quando realmente sia tale”.
Dopo la visita fatta a Castelforte, il Dottor Tosti così scrive al Vescovo in data 2 aprile 1765:
“Eccomi già tornato poco fa da Castelforte a disimpegnare l’ incarico che mi diede V. E. per la saputa Chiesa di S. Carlo, ed in verità posso dirle che il luogo onde vi fu estratto il rifugiato Paolotta, non solo una volta e più volte l’è immune e compreso dai Concordati ne’ luoghi, in cui in cui s’assegna il Sacro Asilo. Mi riservo pienamente col raggio di qualche giorno formarne all’E. V. distinta relazione e vedrà dalla medesima se il vero le dico avendo pur anche praticata la diligenza di far misurare le altezze dei muri che circondano l’atrio, che pur anche alcune distanze, che credo confacenti a tal proposito e indi ho indotto quel Magnifico Governatore, per dare con qualche sforzo a sottoscrivere da lui un foglio, in cui si annotano tutte le precedenti circostanze dei fatti per renderle inalterabili nel rappresentarsi in avvenire”.
La descrizione sottoscritta il 2 aprile 1765 da D. Raffello Tosti e dal Governatore di Castelforte Ignazio Bangi per conto del conte Antonio Carafa, riporta molte notizie dell’Inventario del 1747, però è molto confusionaria e si dilunga principalmente sul piazzale antistante la Chiesa che doveva essere lo spiazzo a più ripiani delimitato da muri e nel quale era stato arrestato il pregiudicato.
Le autorità religiose affermavano l’esistenza del Diritto di Sacro Asilo non solo sulla Chiesa ma anche sul largario antistante e ci tenevano fermamente ad affermarlo, mentre le ragioni dell’Autorità civile erano intese ad invalidarlo.
Il Dottor Raffaello Tosti così continua nella sua relazione: “È maggiormente della poi la stessa Chiesa, essendo come sopra Recettizia, ne forma un corpo anche civile, in luogo ed aggregato anche morale per gli abitanti cittadini di essa T(ERR)A, che comunicandovi tutto giorno come luogo loro propinguo, immediatamente destinato all’uso loro, una parte lo fanno di lor Padria(!), un connesso e continente alla mede(sim)a trovando altri nel suo tetto il loro ricetto mercé del suo servizio a cui son scritti ed altri il commodo anche trovandovi di tutti uffizj e sacrifizj di tanti esercizj e sepulture che quì s’apprestano a lor vantaggio. Laonde, non potendo per tutto questo infatti dirsi Chiesa rurale, né total(ment)e esiste essa fuori dell’abitato, ne siegue certam(ent)e in questo caso, che il beneficio ella goda del Sacro Asilo. Che se lo goda chi potrà giamai negare, che stenderlo si debba all’atrio ancora, ch’ella ne tiene come sopra al suo prospetto? Egli, come vi dissi, tutto da muri circondato, tutto è distinto e separato dalla publica strada (che) lo serpeggia dagli altri luoghi vicini ed adiacenti: Ha ingressi restrittivi per entrarvi; ha scale distinte per salirvi; l’uso solo e per serviggio(!) si scorge fatto di essa Chiesa, che non altronde dal med(esim)o ha l’ingresso e il suo accesso, che ritiene, che altro dunque più li manca a tenor del Concordato per goder d’un tal favore? Se è ragion troppo veduta puó ben pretendersi anche s’estenda il beneficio indivisato a q(uest)e scale laterali, che d’ingresso mediato anche se servono a d(ett)a Chiesa per q(uell)e parole del Concordato, a’ portici, scale, porte ecc. chi potrà poi giammai negare, che maggiorm(ent)e si competa all’atrio stesso, che l’ingresso immediato anche s’appresta alla medesima?”
La relazione afferma che la Chiesa e l’atrio annesso godono del diritto di Sacro Asilo e conclude: “Per ogni verso adunque mi sembra innegabile che a tenore del Concordato immune sia e riservato il luogo che si disse di detto atrio e l’estrazione perciò del Paolotta, canonica non credo, e non legale. Del resto mi rimetto, come dissi, alla sana censura di chi più pensa meglio di me e molto più mi rimetto all’altro purgato intendimento dell’E. V. dalla quale in tutto implorandovi l’onore di altri suoi venerabili comandi, con ogni stima e venerazione che sempre le bacio umilmente la sacra mano”.
La vertenza, giustamente, si risolse favorevolmente alla Chiesa. Sorprende come l’Autorità ecclesiastica che doveva ben conoscere tutti i precedenti delle vicende della Chiesa di S. Carlo, non abbia subito fatte valere le ragioni della Chiesa stessa.
Infatti la Chiesa era Ricettizia, e su tale fatto si imperniava tutta la questione tra il potere civile e quello ecclesiastico. Come risulta già nella “Della Descrittione della Chiesa Ricettitia di S. Carlo Jus Patronato di d(ett)a T(err)a di Castelforte”, il cui Inventario “fatto addì 15 giugno 1747” da “Noi Procuratori Mag(nifi)co Pietro Duratorre e Rosalbo Coletta di d(ett)a Chiesa. Con la presenza di Notar Biase Lentisco ed Erasmo Ciorra Huomini vecchi, abitatori in d(ett)a T(err)a di Castelforte, come pure delli Mag(nifi)ci Sindici D. Marco Ant.o Cinquanta e Domenico Pirro tutti bene intesi ed informati dei beni, rendite, ragioni ed attioni sud(dett)e siccone attestano con lor giuramento”32
Già nella S. Visita di D. Vincenzo Rossi per incarico di Monsignor Antonio del Rio fatta il 6 febbraio 1677 è citata l’ esistenza nella Chiesa di S. Carlo della Cappella della Pietà. che aveva una consistente dotazione.33
Il degrado dell’edificio e l’abbandono in cui versava induce Monsignor Francesco Saverio Buonomo nella S. Visita fatta a Castelforte il 12 novembre 1812 ad interdire la Chiesa “finché il corpo intero e gli altri altari non saranno riportati “ad decentia leges”. Solo l’11 febbraio 1847 il Sindaco di Castelforte richiede la riapertura della Chiesa di S. Carlo nella quale erano stati eseguiti i restauri ordinati. La Chiesa venne riaperta al pubblico il 9 marzo 1847. Nella richiesta di riaperura è detto: “È questa Chiesa bella nella sua costruzione e deliziosa pel suo sito: I cinque altari,il maggiore nel fondo ed i quattro laterali, due a destra e due a sinistra, sono dotati di benefici ed in conseguenza vi sono annessi obblighi considerevoli di messe piane e cantate”. Ma erano venuti subito meno le promesse e gli impegni sottoscritti nella richiesta di riapertura e già nel 1876 il Vicario Foraneo D. Crispino Forte nell’elenco degli edifici sacri riportava: “La Chiesa Ricettizia di S. Carlo diruta” lamentando che i beneficiari non “avessero adempiuti i legati, e che nessuno affatto ci ha celebrato una messa per onorare almeno quella Casa di Dio tanto tempo per custodirci il fieno … di giumenti”.
In quel periodo c’era stata anche una variazione di alcuni titoli degli altari e infatti troviamo l’Altare del Crocifisso e l’Altare di S. Anna e non più quelli di S. Maria della Pietà o della Vergine dei Sette Dolori, della Madonna del Rosario, di S. Domenico e gli altri esistenti in precedenza.
Nel1837 vi si trovavano anche sepolcri gentilizi.
1 A. De Santis, Episodi di immunità Ecclesiastica nel Gaetano (1723-1735), in Economia Pontina, Febbraio 1972.
2 D. Boni, Aria Nativa, pag. 150.
3 A. De Santis, Aspetti di vita sociale e religiosa in Terra Aurunca nei sei settecento, in Rivista “Archivi”, anno XXVII (1959) n. 1.
4 Tesina degli studenti di architettura, anno accademico 1989-1990, Franco Lombardi e Ernesto Ruggiero: Gaetano Rapisardi-Architetto-Siracusa1893-Roma 1988.
5 Francesco Petronio, nato a Castelforte il 26. 12. 1840, deceduto a Napoli il 1. 3. 1895. Consigliere Comunale a Napoli, Consigliere Provinciale a Caserta, Deputato al Parlamento Nazionale nelle legislature XIV-XV-XVI-XVII-XVIII: Tenente colonnello medico della riserva navale. A soli 22 anni veniva nominato Primo Assistente alla clinica chirurgica dell’Università di Napoli e quindi Aiutante nella stessa Clinica Chirurgica. Officiale Chirurgo ordinario e poi Primario negli ospedali Pellegrini e della Pace. Direttore della Clinica Traumatologica (appositamente istituita per lui) nella Università di Napoli. Professore Pareggiato in Clinica e Patologia Chirurgica nella Università di Napoli. Insegnante Privato di Chirurgia Teorico-Pratica. Socio Ordinario della R. Accademia Medico Chirurgica Napoletana e membro di molti altri sodalizi scientifici e medici. Presidente Onorario dell’Istituto Oftalmologico Europeo. Membro dell’Associazione Medica Italiana. Oltre ad innumerevoli scritti pubblicati su Riviste Scientifiche e Mediche Nazionali e Internazionali ed altre moltissime a dotte dispense universitarie, fu autore di numerose pregiate pubblicazioni mediche.
6 Presso l’Archivio Diocesano di Gaeta, Carte di Castelforte.
7 Università = comune.
8 Cittadini privati
9 Con la parola Terra si indicava Castelforte.
10 La Chiesa di S. Giovanni Battista.
11 Archivio Diocesano di Gaeta, Carte di Castelforte.
12 Platea. “Nelle Province Napoletane, sin dai tempi di Giacomo II d’Aragona, gli enti morali avevano preso l’uso di notare e descrivere sommariamente i loro beni in Platee, Inventari, Cabrei, per conservarne la origine e la memoria” (V. anche A. Rinaldi “Valore storico-giuridico de’ Cabrei e delle Platee” in Archivio Giurid. Vol. XLVIII, fl. 4, e poi in opuscolo, Bologna 1893). Impropriamente dette anche “catasti parrocchiali”, le Platee erano l’inventario di tutti i beni posseduti dalla chiesa, da una cappella o da un beneficio, ed i pesi che gravavano sulle chiese e sulle cappelle stesse. Sono importanti perché riportano i metodi dell’epoca di contratti stipulati ed il sistema di quantificazione dell’estensione dei beni fondiari.
13 Terra indicava generalmente Castelforte.
14 La località dove si trovava nei tempi antichi il ponte levatoio di accesso al Castello.
15 Fino = confine.
16 Il Palmo. Prima dell’adozione del Sistema Metrico Decimale, fu assunto come unità di misura di lunghezza variabile, a seconda delle zone, intorno a 25 centimetri.
17 Pietra lavorata, scalpellata.
18 Rotolo. Era un’antica unità di misura di peso in vigore in molte parti d’Italia, prima dell’adozione del Sistema Metrico Decimale con valore equipollente a circa 900 grammi, variabilli da 0,890 a 0,790 Kg a seconda delle regioni. La parola deriva dall’arabo Ratl. La misura venne introdotta da Federico II di Svevia. I multipli erano: Decima, pari a 4 rotoli (kg. 3,5639888); Peso, pari a 40 rotoli (Kg. 35,69888), misura usata principalmente per la calce; Fascio, pari a 80 rotoli (Kg. 71,27996), misura usata per la canapa (V. De Rosa: Tavole di ragguaglio delle misure napoletane comuni e consuetudinarie campane col Sistema Metrico Decimale, Di Bernardo Ed. 1927, n. 14 dei “Quaderni della Gazzetta di Gaeta”).
19 Volta a botte in muratura.
20 Corni = corno (in questo caso: lato dell’altare). Quello a destra è detto corno dell’Epistola (dal quale si legge l’Epistola); quello a sinistra corno del Vangelo (dal quale si legge il Vangelo).
21 Jus-Patronato, (dal lat. tardo patronatus) previsto dal Diritto Canonico e ora abolito dal Concilio Vaticano II. Era un privilegio concesso dall’Autorità Ecclesiastica a privati che si erano resi articolarmente benemeriti verso la chiesa. Di solito consisteva nel diritto di avere nella chiesa una cappella gentilizia (o Altare), ove venivano seppelliti i morti della famiglia del titolare. Il titolo era trasmissibile. Ai fondatori di chiese e cappelle o benefici, o ai loro aventi causa, derivava anche il privilegio di presentare all’Autorità Ecclesiastica un candidato ad un beneficio ecclesiastico vacante.
22 L’attuale edificio adibito a Caserma dei Carabinieri costruito sulle rovine del fabbricato distrutto dalla guerra 1943-44.
23 D. Ignazio Bangi, quando cessò dalla carica di Governatore di Castelforte, continuò a risiedere nel nostro paese di cui aveva avuto anche la cittadinanza. Alla morte di Misuraca Didaco (o Diego) avvenuta il 2 gennaio 1806, assunse la condotta medica di Castelforte. La moglie del dottor Bangi, Donna Geltrude, morta a Castelforte il 20 ottobre 1805, all’età di anni 75, venne sepolta nella Cappella della Famiglia Leo nella Chiesa Collegiata di S. Giovanni Battista.
24 Sacro Asilo. “Le origini del diritto di Asilo risalgono all’antica Grecia” ed in particolare l’asylon era “L’immunità che proteggeva un fuggitivo qualora si fosse rifugiato in determinati templi e quindi l’inviolabilità del luogo si estendeva a chiunque vi fosse entrato”. Questo diritto ebbe poca estensione nell’ ntica Roma ma “con l’ avvento del Cristianesimo trovò un nuovo fondamento morale e religioso” basato principalmente sulla carità Cristiana che impone di soccorrere i miseri e quindi i fuggiaschi. Nel Medio Evo, “specialmente il clero locale insisteva nel riaffermare il diritto di asilo, ogni violazione del quale era considerato una menomazione del carattere degli edifici di culto e delle loro dipendenze”. Tra la Chiesa ed i vari Stati, in passato, tale diritto fu spesso regolamentato da “accordi che assunsero talvolta la forma di Concordato”. La Chiesa ha sempre tenacemente difeso questo diritto.
25 Il Venerabile = Il SS.Sacramento.
26 Un eremita non del Clero.
27 Tra il Regno di Napoli e la Chiesa, in quel periodo vigeva già un Concordato. L’ ultimo Concordato tra la Chiesa (allora era Papa Pio VII), rappresentata dal Cardinale Ercole Consalvi, plenipotenziario della Sede Apostolica e Ferdinando Primo, Re delle Due Sicilie, rappresentato dal Cavalier Luigi dei Medici, venne sottoscritto in Terracina il 10 febbraio 1818, appena dopo la Restaurazione.
28 “Monsignor Carmignano Vescovo di Gaeta. Eccellenza R. ma. Mi vien riferito dal mio Governatore di Castelforte, che avendo ordinato la carcerazione di un reo di più delitti a nome Andrea Paolotta della suddetta Terra, fu dai soldati eseguita in una strada pubblica nello spiazzo della Chiesa rurale di S. Carlo, ove stava rifuggiato (!), ed era in quel tempo dalla medesima uscito e che avendo la di lui moglie ad istigazione di alcuni cervelli torbidi, fatto ricorso a codesta Vescovil Curia sulla falsa assertiva di essere stato il marito arrestato ed estratto dalla stessa Chiesa, dal Vicario Generale si era spedita contro il caporale della squadra e dei tre soldati che eseguirono un tale arresto, la solita citazionne ad dicendum causam quare non debeant declarari ex communi e abi. Io per coltivare sempreppiù la buona intelligenza ed armonia coll’E. V. non ho stimato ch’al riferito Governatore prendesse quelle vie e dasse que’ passi che a me per l’accennato motivo erano unicamente dispiacevoli, ma ho stimato piuttosto renderne informata V. E. come quella, che forse nulla sappia delle suddette troppo ardenti procedure del suo mentovato Vicario Generale, il quale se avesse riflettuto le leggi del Concordato, si sarebbe astenuto di dare l’accennato subitaneo passo, giacché dato e non concesso, che un tale arresto fossesi fatto fra la suddetta Chiesa eseguito pure per essere la medesima in campagna fuori dell’abitato del Paese in cui non si conserva il Venerabile, né è Chiesa filiale di alcuna Parrocchia ed il di cui sagrestano è un Laico Romito, come mi vien rappresentato, non potea l’accennato Paolotta l’immunità godere. Or quanto meno goder potea nello spiazzo innanzi della Chiesa, il quale per essere strada pubblica viene continuata dal passaggio e ripassaggio non sol degli uomini, ma benanco dagli animali frequentato. Tutto ciò io pongo sotto la savia considerazione dell’E. V. affinchè ben informata di tutto si serva di far dare degli ordini, che stimerà giustificati e convenienti, siccome vivamente La supplico per la commune (!) quiete di amendue le giurisdizioni: E sicuro delle sue grazie, ansioso del gradito favore dei suoi amatissimi comandi, colla solita inalterabile stima e pienezza di ossequio mi raffermo di V. E. R. ma Divotis. mo ed Obbligat. mo Ser. re . Il Conte Carafa, Napoli 23 febbraio 1765”.
29 Sede del Governatore in rappresentanza del Principe Carafa
30 In quel periodo il territorio di Castelforte era disseminato di cappelle e chiesette che giustamente erano tutte da considerarsi rurali e non potevano godere del privilegio di Sacro Asilo.
31 La Terra indicava il centro abitato di Castelforte, nome che si è mantenuto sino agli ultimi tempi.
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