Quella settimana d’inferno sulla “Linea Hitler”

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Studi Cassinati, anno 2008, n. 3

di Costantino Iadecola*

È stato chiamato sbarramento “Senger” o anche “Senger-Riegel” o, ancora, “catenaccio di Senger”; l’hanno chiamata linea “Dora” o “Fuehrer-Senger” o “Hitler-Stellung”. In buona sostanza, però, si tratta sempre della stessa cosa: della linea difensiva tedesca che, secondo Alberto Turinetti di Priero, “per i Tedeschi fu sempre la ‘Linea Senger’ e per gli Alleati la ‘Linea Hitler’”1.
A volere questa fortificazione fu il feldmaresciallo Albert Kesselring, comandante delle forze armate tedesche nel sud Italia, in previsione di un crollo della linea Gustav, quella contro la quale l’esercito alleato da gennaio del ’44, dopo aver distrutto, tra l’altro, Montecassino e Cassino, e polverizzato il territorio circostante, non sapeva più cos’altro escogitare per crearsi un varco attraverso di essa. Cosa che, poi, finalmente si verificò all’indomani dell’11 maggio 1944 quando, dopo una notte memorabile per chi ebbe occasione di viverla, gli alleati si decisero a sferrare un massiccio attacco ed a sbloccare così una situazione ormai da mesi statica ma soprattutto con nocive conseguenze per il territorio e per la sua gente.
Era ormai giunto il momento in cui la linea Hitler doveva entrare in funzione e “contrastare”, com’era nei piani, l’infiltrazione nemica oltre la Gustav. Infatti, nelle intenzioni, scrive Fred Majdalany, “le due linee funzionavano come una porta oscillante, il cui perno era il monte di Cassino. Se forzata, poteva oscillare, attraverso la valle invasa, fino alla linea Hitler, fermo restando il Monte di Cassino come cardine e punto fermo. Poi poteva essere staccata dai gangheri e collocata, due o tre chilometri indietro, su un nuovo cardine, Piedimonte; e Piedimonte, antica città-fortezza su una collina rocciosa, sarebbe diventata un nuovo Montecassino.”2
Come nei fatti avvenne, dopo che, il mattino del 18 maggio, ciò che restava del monastero venne conquistato dalle truppe polacche.
Se “i tedeschi ritenevano che queste due linee potessero fronteggiare qualsiasi tentativo alleato lungo la valle del Liri e la Statale n. 6”3 Casilina, gli alleati, dal canto loro, pensavano che, una volta sfondata la linea Gustav, non avrebbero avuti altri problemi da affrontare e finalmente si sarebbe schiusa per loro la strada per Roma. Invece, così non fu e, oltre che con il territorio, essi dovettero vedersela appunto con la linea Hitler, anche se non ci mancò molto a sfondarla già tra il 19 e il 20 maggio. Ma se ciò non accadde dipese dal fatto che gli attacchi vennero condotti con forze insufficienti: “l’8a armata”, avrebbe commentato Churchill, “dovette constatare come gli attacchi esploranti contro la linea Adolfo Hitler nella valle del Liri non dessero alcun risultato, per il fatto che le truppe che la presidiavano, sebbene fossero state immesse precipitosamente nella battaglia, erano composte di uomini risoluti e disponevano di difese formidabili. Era perciò necessario un assalto in grande stile”4.
In particolare, precisa Majdalany, “i reparti mobili si imbatterono subito in vasti campi minati, in catene di casematte, in poderose fortificazioni estese per una profondità di 900 metri [cosicché] fu chiaro che la linea Adolf Hitler doveva essere affrontata con mezzi massicci. Nel frattempo il grosso dell’armata era ritardato momentaneamente dalla riorganizzazione necessaria dopo i duri combattimenti della settimana prima, nonché dalla congestione del traffico.”5 E, forse, fu proprio allora, secondo Eric Morris, che si ebbe la certezza che “la valle del Liri non era affatto la facile via d’accesso a Roma che tutti si aspettavano.”6
Insomma, la presenza della linea Hitler aggravava notevolmente la naturale e particolare struttura della valle – poche strade, molti corsi d’acqua, le incombenti alture laterali – cosicché non sembrava del tutto campata in aria l’intenzione dei tedeschi di riproporre in questo nuovo scenario, sia pure in limiti più modesti, quanto era accaduto per diversi mesi sulla Gustav.
Grazie a Dio, però, nella realtà le cose andarono diversamente ed il fronte sulla Hitler non resse più di una settimana: giorni davvero d’inferno funestati come furono, solo su questo segmento del fronte, da oltre tremila morti, soprattutto militari tedeschi, inglesi, polacchi e canadesi, e dagli ulteriori gravissimi danni provocati al già esausto territorio.
La costruzione della Hitler era iniziata nel mese di dicembre del 1943, una volta ultimata la Gustav e, com’era accaduto per questa, la sua realizzazione era stata affidata all’organizzazione Todt7, che, come ricorda il generale tedesco Frido von Senger, comandante del XIV Corpo d’Armata Panzer, oltre alla consueta mano d’opera, poteva contare, tra gli altri, anche su “contingenti slovacchi” ed una “grande abbondanza di mezzi”8.
E tra gli altri c’erano anche giovani militari italiani arruolati a seguito del “bando Graziani”, che imponeva ai nati negli anni 1923, 1924 e 1925 di presentarsi presso i propri distretti di appartenenza per essere quindi aggregati “alla Todt (Battaglione Pionieri)”, obbligati, come riferisce Otello Giannini, uno dei protagonisti di questa vicenda, a servire “la patria facendo fortificazioni insieme all’alleato tedesco contro il comune nemico”9. Si tratta di appartenenti ad un battaglione dell’84o reggimento fanteria di stanza a Firenze che, appunto, nell’autunno inoltrato del ’43 viene dislocato tra Aquino e Piedimonte San Germano ed “ospitato”, riferisce lo stesso Giannini, “in una grande villa.” Ma viene difficile individuare nel territorio tra i due comuni una struttura in grado di ospitare tante persone – si tratta di 24 ufficiali, 12 sottufficiali e 836 uomini di truppa, tutti per lo più toscani – ed avente, oltretutto, l’aspetto di villa. Né, peraltro, ci sono testimoni in grado di ricordare la presenza ad Aquino ed a Piedimonte di questi giovani militari italiani. Di essi, però, parla il “capo” della provincia di Frosinone, Arturo Rocchi, che, in una relazione del 21 dicembre al ministro dell’Interno della RSI, evidenzia il relativo aiuto dato da questi reparti: “senza alcun inquadramento e senza addestramento per i lavori in cui vengono impiegati, sono privi di ogni forma di assistenza morale e materiale (…)”. Peraltro, scrive Rocchi, “trattandosi di studenti, non sono in grado di sostenere le fatiche di un lavoro pesante e puramente manuale.”
Ma quello che è sconcertante è il fatto che, a quella data, a quel 21 dicembre, si registrano già ben 324 “disertori”. Dei quali in tredici vivranno la medesima avventura tentando di fuggire con un camion che all’alba di un giorno imprecisato parte dalla piazza di Aquino diretto a Roma.
Accadde, però, che percorsi dieci, forse venti chilometri, lo stridio dei freni lasciò intendere ai passeggeri che qualcosa o qualcuno aveva indotto il mezzo a fermarsi: c’era, infatti, un posto di blocco tedesco.
Alcuni dei passeggeri vengono uccisi; altri, tra cui i tredici commilitoni, vengono portati al carcere di Frosinone dove vivranno alcuni giorni in condizioni estremamente disagiate. La loro non certo invidiabile esperienza dura fino all’ultimo giorno del 1943 quando, di buon mattino, i giovani vengono trasferiti a Ceprano per il processo a loro carico. Più che i tedeschi, è il loro superiore, il maggiore Giulio Pellegrini, a segnare la loro sorte chiedendo per essi la fucilazione alla schiena per alto tradimento. Fu decisamente più “generoso” il tribunale che, in considerazione di vari fattori, non ultimo che quello era l’ultimo giorno dell’anno, decise “di accomunare una sentenza esemplare a un atto di clemenza”: pena di morte per tre nominativi estratti a sorte e dieci anni di lavori forzati da scontare in Germania per gli altri dieci. E così è.
Il successivo 6 gennaio i tre “segnalati” dalla sorte saranno fucilati a Frosinone al “curvone” di viale Mazzini “rei di non aver voluto tradire la Patria servendo il nemico”, come si legge sulla lapide che nello stesso luogo ne ricorda i nomi: Pierluigi Banchi, nato a Fiesole il 26 ottobre; Giorgio Grassi, nato a Figline Valdarno il 18 dicembre; Luciano Lavacchini, nato a Borgo S. Lorenzo il 12 novembre. Anno di nascita, per tutti e tre, il 1924: nemmeno vent’anni10.
Ma torniamo alla Hitler. Profonda, come si è detto, all’incirca un chilometro, si estendeva tra il monte Cairo e la costa tirrenica per una lunghezza fra i sessanta ed i settanta chilometri.
Il suo punto di partenza era stato fissato sulle pendici del monte Cairo e, precisamente, sulla cima del Pizzo Corno, a 945 metri sul livello del mare, al di sopra dell’abitato di Villa Santa Lucia ed a poco più di tre chilometri in linea d’aria da Montecassino, ovvero dalla linea Gustav.
Scendendo a valle, essa lambiva l’abitato di Piedimonte San Germano, che a quel tempo fasciava la sommità della collina, e poi, spostandosi verso ovest, toccava la pianura in contrada Torre, quella, per l’esattezza, che si estende ai lati della Casilina, grosso modo da dove inizia il lungo rettilineo che si conclude poco prima del ponte sul Melfa a Roccasecca e fino al bivio di Aquino dove, riferisce Raffaele Nardoianni, era stato realizzato “il gran fosso anticarro, munito di fitto reticolato che, attraversando la Casilina e tortuosamente il territorio di Aquino, giungeva fino a Pontecorvo”11 ricalcando grosso il tracciato della strada che la collega direttamente ad Aquino, per concludersi, quindi, dopo aver superato il fiume Liri, dalle parti di Sant’Oliva.
Se questo era il progetto di massima, in realtà, però, “i lavori di rafforzamento della linea Hitler”, scrive G. A. Shepperd, “si concentrarono sul settore che si opponeva a un’avanzata attraverso la valle del Liri.”12 In pratica, tra Piedimonte, Aquino e Pontecorvo dove gli accessi alla fortificazione “seguivano un terreno aperto e piuttosto piatto, e” dove, “con la primavera, le coltivazioni abbandonate nei campi attorno ad Aquino nascondevano efficacemente molte delle difese all’osservazione da terra”13.
Kesselring aveva poi autorizzato von Senger a realizzare un prolungamento della Hitler dalla popolosa frazione di Pontecorvo fino al mare di Terracina attraverso Pico, Lenola e Fondi. “Più che altro”, però, scrive W. G. F. Jackson, “trattavasi di una linea tracciata su una carta topografica, con posizioni esplorate ed approntate e, in qualche caso, trincerate per bloccare le strade e i sentieri che la intersecavano. Essa poteva, comunque, servire da posizione di raccolta per divisioni in ripiegamento della linea Gustav”14.
Sempre ad integrazione della Hitler, anche se Bruno D’Epiro la ritiene piuttosto l’“ultimo catenaccio della Gustav” 15, era stata poi approntata un’ulteriore linea chiamata Dora, dallo spelling D come Dora, che, dal fiume Liri, lambendo le pendici orientali del monte d’Oro, attraverso Badia di Esperia, avrebbe dovuto scavalcare i monti Aurunci, passare per Ausonia e concludersi quindi a Formia.
Anche in questo caso, però, il progetto rimase sulla carta e gli interventi furono in realtà molto limitati. Da D’Epiro comunque sappiamo che “i principali punti di difesa nella zona della Badia, lungo il corso del fiume Liri, delle Sorgenti, della Mola Francesca, delle Selvi e del Monte d’Oro, vennero intensificati da un sistema di fortificazioni in profondità” così come “le due grotti naturali, quella del ‘Polletrone’ e quella di ‘Ravicelli’ sul Monte d’Oro, vennero fortemente munite di mitragliatrici.”16 La storia della Dora, comunque, non andò oltre il 17 maggio, travolta come fu dalle truppe di colore del Corpo di spedizione francese.
Secondo W. G. F. Jackson, insomma, i due prolungamenti della linea Hitler fra Pontecorvo e il mare erano stati semplicemente abbozzati “con semplici lavori di sterro e un certo numero di profondi campi minati, disposti in modo da bloccare i settori più deboli, ma tali lavori avevano evidentemente ricevuto un basso ordine di precedenza giacché non stavano procedendo molto celermente. La ripidità e l’impraticabilità dei monti Aurunci sembravano essere sufficienti scoraggiare un’importante minaccia alleata a sud del Liri.”17 Ma probabilmente non era stata messa in conto l’abilità a muoversi su quel particolare tipo di terreno delle truppe di colore del Corpo di spedizione francese le quali, per prime, proprio sugli Aurunci aprirono un pericoloso varco nelle difese tedesche.
La linea Hitler è caratterizzata specialmente dalla presenza di un consistente numero dei cosiddetti “fortini” come, passata la guerra, si prese a chiamare quelle strutture di cemento affogate nel terreno la cui parte metallica venne subito “utilizzata” come merce di scambio nell’allora fiorente mercato del “ferro vecchio” necessario specialmente per sopperire ad improcrastinabili esigenze di mera sopravvivenza, attività che, per forza di cose, provocò moltissime vittime e favorì l’arricchimento di pochissimi.
Si trattava, in buona sostanza, di casematte, o bunker che dir si voglia, disseminati in numero consistente lungo tutta la fascia della Hitler, ben mimetizzati tra la vegetazione, protetti da campi minati e da reticolati. Per la parte offensiva, generalmente utilizzavano torrette di carri armati, fra cui, in particolare, quelle con cannoni da 75 mm. già montate sui Panther che si “segnalarono” per la loro pericolosità: “provenivano dal fronte russo”, precisa Roberto Molle, “ed appartenevano alla prima serie di Panther V che era caratterizzato da una elevata fragilità meccanica; molti di questi carri infatti rimasero vittima di rotture ancora prima di incontrare il nemico. Le torrette resesi così disponibili furono inviate sul fronte italiano”18, dove, per la prima volta in Italia, tra il mese di marzo e gli inizi di maggio del 1944, ne sarebbero state posizionate una quindicina proprio sulla linea Hitler.
Altrimenti note come Panzerturm o Panthertum, proprio per via della provenienza della torretta, distanziate ad un chilometro circa l’una dall’altra, le loro colorazioni mimetiche erano le più diverse ma generalmente orientate su un fondo giallo scuro o rosso antiruggine ed il personale addetto poteva fruire di cuccette, stufa, telefono, elettricità, il tutto naturalmente posto sotto terra, al di sotto della torretta stessa. Per la cronaca, una di esse, quella piazzata ad est di Piedimonte, avrebbe distrutto ben diciassette carri nemici prima che l’equipaggio fosse costretto ad abbandonarla. Ma non tutti ritengono questa notizia veritiera.
Al di là di queste e delle altre postazioni fisse dello stesso genere equipaggiate con armamenti di più modesto calibro, tra gli altri mezzi offensivi presenti sulla linea non mancavano carri armati, da utilizzare laddove se ne fosse presentata la necessità, e diverse unità di Nebelwerfer, un lanciarazzi a canne multiple in grado di sparare a grande velocità, almeno uno ogni 10 secondi circa, micidiali proiettili che provocavano consistenti perdite al nemico. Il tutto, naturalmente, in un contesto dove non mancavano profondi rifugi sotterranei rinforzati con cemento armato, barriere di filo spinato, campi di mine abilmente disseminate e profonde buche anticarro: insomma, non si sbaglia col dire che le difese della Hitler erano anche più elaborate di quelle della Gustav.
Ovviamente, esse non erano sfuggite all’attenzione dei comandi alleati che ne ebbero conoscenza attraverso le fotografie aeree le quali sin dal dicembre del ’43 mostrarono per la prima volta un gruppo di postazioni nemiche mimetizzate: “in febbraio il loro numero era cresciuto a 180, ed in maggio gli osservatori contarono più di 270 posti fortificati”19.
Si trattava dunque di “una linea particolarmente adatta a resistere” agli attacchi che poi puntualmente si sarebbero verificati, scrive von Senger, essendo stata “costruita proprio in vista di una simile offensiva”20.
Ma qualcosa non andò come doveva. E ci fu un neo, un “unico neo: mancavano le forze per presidiare la linea. Le divisioni non ripiegarono su di essa”, come avrebbe dovuto essere, “ma dovettero battersi sul terreno antistante.”21
Ciò nonostante, però, il poderoso esercito alleato dovette faticare non poco per superarla, almeno nei punti più “caldi”, così come la battaglia, cruenta, combattuta fra Pizzo Corno, Villa Santa Lucia e Piedimonte San Germano dal 20 al 25 maggio dagli uomini al comando del generale Wladyslaw Anders di cui lo stesso riferisce nelle sue memorie: “Il 19 maggio 1944 i ‘Lancieri di Carpazia’ cominciarono le loro operazioni, avanzando fin dall’inizio sotto il fuoco dell’artiglieria nemica, continuamente bonificando il terreno dalle mine nemiche. Ai piedi di Pizzo Corno, su quota 893, il reggimento fu fermato da un violento concentramento di fuoco di tutte le armi nemiche e dovette sostenere una dura azione di fuoco, subito dopo espugnando quota 893 di assalto. Nello stesso tempo il 15° Lancieri stava combattendo per le pendici meridionali di quota 893 e si collegò quindi con gli squadroni del Reggimento Carpatico.
“Il Reggimento Carpatico fu poi sostituito dal 15°, che il 20 maggio rinnovò l’attacco ed il 25 riuscì finalmente a conquistare l’intero Pizzo Corno e la cima di Monte Cairo. Nello stesso tempo l’azione principale progrediva contro Piedimonte. Un gruppo speciale fu costituito per svolgere l’operazione, composto del 6° Reggimento corazzato, del 18° Battaglione ‘Fucilieri Leopoli’, del 5° Battaglione ‘Fucilieri di Carpazia’ del 12° Lancieri, della Compagnia di difesa del Quartier Generale di Corpo d’Armata, del 9° Reggimento artiglieria e di uomini delle artiglierie semoventi. Un’ulteriore massa di fuoco fu fornita dal 10° ed 11° Reggimento artiglieria pesante. Il compito assegnato al gruppo era: ‘Catturare Piedimonte e proteggere il fianco destro del XIII Corpo d’Armata, Villa Santa Lucia-Piedimonte’.
“Durante i cinque giorni dal 20 al 25 maggio detto gruppo fece quattro attacchi consecutivi contro Piedimonte, nei quali emerse l’azione temeraria dei carri armati, pieni d’iniziativa. In un terreno pressoché inadatto all’impiego di carri armati, i reparti anzidetti diedero prova di grande risolutezza e stabilirono un ‘record’ riuscendo a penetrare nel borgo lungo ertissime e sinuose strade sulle pendici di quel colle. I Tedeschi furono colti completamente di sorpresa. La mancanza di fanterie sufficienti – perché i battaglioni, logorati, avevano soltanto il ventotto per cento dei loro effettivi di guerra ed erano esausti dalla battaglia di Montecassino – non permise loro di completare la conquista del paese e raggiungere i colli vicini. Nel frattempo il nemico riuscì a far avanzare i suoi rinforzi e la battaglia si prolungò per alcuni giorni prima che Piedimonte fosse definitivamente conquistata il 25 maggio 1944.
“Il continuo ed irruente combattere ed i nostri ripetuti attacchi, non meno dell’intenso fuoco di artiglieria, avevano completamente immobilizzato le forze nemiche, che difendevano la posizione chiave di Piedimonte ed avevano loro impedito di occuparsi della strada N° 6 (Casilina) e della Valle del Liri. Conseguentemente il XIII Corpo poté progredire nella vallata senza alcuna opposizione dalla parte di Piedimonte e questo fu il nostro scopo principale dal punto di vista operativo complessivo dell’VIII Armata. Finalmente la conquista di Piedimonte schiudeva definitivamente la strada n° 6, come una delle vie di comunicazioni principali. Fu la fine dei combattimenti del II Corpo polacco per Montecassino e Piedimonte. Il 29 maggio i nostri reparti cominciarono a lasciare il campo di battaglia, inzuppato di sangue”22.
Meno noto è, invece, ciò che accadde fra Aquino e Pontecorvo in un solo giorno, il 23 maggio, nel corso di un violento scontro fra canadesi e tedeschi.
Il campo di battaglia, perché si trattò di un vero e proprio campo di battaglia, si apre a sinistra della strada provinciale che collega Aquino a Pontecorvo e si estende per circa un chilometro e mezzo ai lati della strada per contrada Valli interessando il territorio delimitato da un lato dalla depressione di terreno caratterizzata dal corso delle Forme di Aquino, i cosiddetti Pantani, e, dall’altro, dall’area leggermente ondulata che si estende tra Zammarelli e Selva Toccheto, ancora territorio di Aquino, e Campo Vincenzo e Vallario, località quest’ultime, invece, in territorio di Pontecorvo: un fronte, insomma, di circa tre chilometri integrato nella linea Hitler che, per buona parte dei quali, nella zona tra Fontana del Persico, in corrispondenza, cioè, del bivio per Valli, e Vallario, se non coincide con la strada Aquino-Pontecorvo corre, comunque, parallela ad essa a distanza ravvicinata.
L’obiettivo dei canadesi, che arrivano da contrada Valli e che erano partiti da un’area compresa tra Pignataro e San Giorgio a Liri, è proprio quella strada, strada che, in codice, è stata ribattezzata Abukir: conquistarla significa molto di più che creare un semplice varco nella linea Hitler.
Quando scende la sera di quel 23 maggio, il costo in termini di vite umane pagato dalle truppe canadesi per questo attacco fu molto alto: 47 ufficiali e 832 soldati morti (oltre a 7 ufficiali e 70 uomini non facenti parte delle forze impegnate in battaglia) e 41 dei 58 carri armati utilizzati distrutti.
Di gran lunga maggiori le perdite sofferte dai tedeschi: oltre 700 i prigionieri e molte centinaia i morti. Le stesse fonti tedesche, dal canto loro, confermano la gravità delle perdite: il diario del 51° Corpo annotava alle ore 23,30 che il maggiore generale Wentzell, della 10ª Armata, segnalava che il nemico aveva attaccato nelle ultime 14 ore supportato dall’artiglieria e che un battaglione del 576° reggimento Granatieri, due battaglioni del 361° reggimento Granatieri e il gruppo da battaglia Strafner erano da considerasi completamente distrutti. Si legge poi che il nemico era avanzato profondamente nell’ala sinistra dello schieramento della 90ª divisione panzergrenadieren e che un battaglione della Iª divisione paracadutisti e due compagnie della divisione da montagna erano stati spazzati via.
Se si considera che Pico è stata conquistata il 19 maggio, Fondi il 20 e Terracina il 23, anche sulla linea Hitler era ormai una disfatta totale per i tedeschi. Per essi, poi, c’erano anche altri motivi di preoccupazione: sempre il mattino del 23, mezz’ora dopo l’inizio dell’assalto canadese alla linea Hitler, il 6° Corpo degli Stati Uniti. aveva rotto l’assedio ad Anzio e marciava verso Valmontone.
Per i tedeschi, insomma, era arrivato il momento di salvare al più presto il salvabile ed evitare un quanto mai pericoloso accerchiamento.

* Dalla relazione tenuta in occasione dell’Assemblea dei Soci CDSC del 5 marzo 2008.
1 Alberto Turinetti Di Priero, I carri armati polacchi a Piedimonte San Germano (20-25 maggio 1944), 21 luglio 2007, in www.dalvolturnoacassino.it.
2 Fred Majdalany, La battaglia di Cassino, Garzanti, Milano, 1958, p. 259.
3 Idem.
4 Wiston Churchill, La Seconda guerra mondiale. Da Teheran a Roma, Volume Decimo, Oscar Mondadori, Milano, 1970, pp. 324-325.
5 Fred Majdalany, op. cit., p. 288.
6 Eric Morris, La Guerra inutile. La Campagna d’Italia 1943-1945, Longanesi & C. Milano, 1993, p. 371.
7 Creata nel 1933 dall’ingegnere Fritz Todt, dopo aver costruito in Germania migliaia di chilometri di autostrade, divenne ausiliaria della Wehrmacth e dal 1939 la sua attività fu esclusivamente militare ed ad essa fu affidata la costruzione delle fortificazioni sull’Atlantico e sul Mediterraneo. In Italia, oltre la Gustav e la Hitler realizzò anche la linea Gotica e curò inoltre la realizzazione di strade ed aeroporti. Nel corso della sua attività parabellica poté disporre di oltre 2 milioni di operai in gran parte reclutati nei paesi occupati o tra i prigionieri di guerra.
8 Frido von Senger und Etterlin, La guerra in Europa, Longanesi & C., Milano 2002, p. 349.
9 Otello Giannini, Tredici in un cappello, Milano, 1987, p. 29.
10 Gli altri dieci, condannati a dieci anni di reclusione secondo Arturo Rocchi (cfr. Latium, p. 341) ma di fatto trasferiti nei campi di concentramento in Germania, sono Angelo Terinaci, Severino Becchi, Aldo e Rocco Pierucci, Adriano Brigandi, Vladimiro Colomani, Otello Giannini, Fernando Bocci, Luciano Paoli, Leone Lizzi.
11 Raffaele Nardoianni, Piedimonte San Germano nella voragine di Cassino, Seconda Edizione, Tipografia Carlo Malatesta. Cassino, 1974, p. 62.
12 G. A. Shepperd, La Campagna d’Italia 1943-1945, Garzanti, Milano 1970, pp.306-307.
13 Idem.
14 W. G. F. Jackson, La battaglia di Roma, Baldini & Castoldi, Milano, 1970, p. 190.
15 Bruno D’Epiro, Linea Dora: la battaglia di Esperia, Esperia, 1994, p. 18.
16 Idem.
17 W. G. F. Jackson, op. cit., p. 42.
18 Roberto Molle, Aquino, “le Valli”, 23 maggio 1944: il giorno più lungo della Linea Senger, 6 ottobre 2001, in www.dalvolturnoacassino.it
19 Gaeta occupata. La Quinta Armata oltrepassa Itri, In “Risorgimento”, a. II, n. 122, Domenica 21 maggio 1944.
20 Frido von Senger und Etterlin, op. cit., p. 349.
21 Idem.
22 Cassino, 11 giugno 2008.

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