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Studi Cassinati, anno 2007, n. 4
di Rocco Zani
L’idea originaria lasciava presagire ben altri programmi. Non già – o non soltanto – la nudità rigorosa della scultura, oltremodo monumentale, bensì un modello architettonico ben più complesso e ragionevole all’interno del quale porre – o deporre – le anime innumerevoli di una memoria collettiva, duttile, rigenerante, imperdibile. Erano questi, per sommi capi, i grandi basamenti su cui edificare il sogno covato per decenni da Umberto Mastroianni. Su questa piattaforma storica e poetica sarebbe nato il Museo della Pace di Cassino. E avrebbe “popolato”, con le sue presenze, un territorio già ricco di storie epocali, di voci millenarie, di una cultura inimitabile fatta di incontri fra grandi, di conoscenza e confronto fra civiltà. Affidato all’architetto Maurizio Sacripanti, il progetto avrebbe dovuto sviluppare e definire un’ipotesi, quella mastroiannea, capace di identificarsi in una sorta di “luogo magico” in cui convogliare le trascrizioni di una memoria vigile e la specificità dei linguaggi contemporanei; un “luogo” di contributi, testimonianze, stazioni del ripensamento; un “luogo” globale che, parallelamente alla vicina abbazia benedettina avrebbe forse rinvigorito – e alimentato di nuove percezioni – il lungo e inevitabile percorso sul tema di una pacificazione necessaria e ineluttabile. Accanto al luogo sacro, custode di una spiritualità millenaria tessuta sulla forza della parola e della preghiera, uno dei massimi scultori novecenteschi, aveva dunque immaginato una “casa” della Pace in cui gli artisti – e le loro opere – avrebbero parlato, forse con maggior timbro, alle generazioni a venire delle atrocità inimmaginabili di un passato recente, dell’inaffidabilità del potere cieco, della scomparsa e del silenzio quali regole di una sopravvivenza a margine, della morte come compagna confidenziale. Un percorso – artistico, storico, sociale e politico – il cui inevitabile approdo avrebbe dovuto trovare posto proprio all’interno di quel “recinto sacro” che da millenni custodisce le regole imprenscindibili della cristianità.
Non sappiamo, nei dettagli, il perché del fallimento di quello straordinario progetto. Ma abbiamo conosciuto l’impegno di Umberto Mastroianni a non rinunciare al suo “disegno” originario. Pur modificandolo in una sorta di tollerante – seppur sfibrante – accordo con gli amministratori del tempo.
Nel 1985 l’avventura sembra riprendere fiato e consistenza. L’Amministrazione Provinciale di Frosinone, incalzata soprattutto da Massimo Struffi, attuale Presidente della Fondazione Mastroianni, presenta un ampio piano progettuale che prevede la sistemazione delle opere monumentali di Mastroianni in alcuni dei siti più significativi del nostro territorio. L’attenzione maggiore è naturalmente riservata all’ubicazione del Monumento alla Pace di Cassino. In un dettagliato repertorio progettuale gli architetti incaricati – Galletta, Gandolfo, Iannazzi e Pieri Buti – “disegnano” un accurato percorso capace di restituire per intero a quell’opera – al suo intimo significato – le valenze formali, narrative e spaziali ideate dall’autore.
“Intenzione è” si legge nel programma progettuale di allora “quella di stornare il pericolo della monumentalità chiusa che ingenera retorica, rendendo precario il rapporto tra utente e spazio attrezzato”. È questo un riferimento chiaro e ineluttabile dal quale stilare le traiettorie di supporto architettonico a quella che i maggiori storici dell’arte contemporanea hanno definito la più significativa opera monumentale novecentesca. La scelta del “luogo” ricade sulla collina di Rocca Janula. Leggiamo ancora: “L’agglomerato urbano della Cassino postbellica si è sviluppato tutto ai piedi della collina della Rocca Janula. L’area del progetto è rimasta integra anche dallo sviluppo residenziale che ha attecchito sui primi chilometri della strada per Montecassino …Opportunamente il P.R.G. destina tutta la superficie della collina a parco pubblico. Il Piano particolareggiato di attuazione dovrà prevedere” tra l’altro “il progetto di nuovi tracciati e il ripristino di antichi sentieri; realizzazione di aree di sosta attrezzate; restauro delle presenze murarie; sistemazione della Rocca Janula”. Questo, seppur brevemente, riguardava la riqualificazione di un’area che, oltre a farsi alveo logistico per sottolineare al meglio la monumentalità dell’opera mastroiannea, avrebbe dovuto restituire alla città un percorso di identificazione e di memoria unico nel suo genere. Ma veniamo più specificatamente alla sistemazione dell’opera. “Tutte le direttrici di convergenza e le aperture visuali indirizzate verso la scultura si smorzano a ridosso del grande plateau su cui questa poggia. La piastra, levigata e priva di segni, è pensata come un grande scisto monolitico, geometrizzato, ricavato dalle stratificazioni rocciose della collina. Mentre infatti affaccia come belvedere verso la vallata e la città, col suo corpo si incastra direttamente nel pendio verde a monte …La scultura non poggia pesantemente sulla piastra, ma galleggia con la precarietà di un evento dinamico. Lo spazio intorno può consentire indifferentemente uso tranquillo del parco, cerimonie, manifestazioni, performances di spettacolo all’aperto …”
Ecco allora definirsi, per grandi linee, un progetto non esclusivamente “indirizzato” ad una più esatta collocazione monumentale, quanto invece alla realizzazione di uno spazio davvero fruibile – lo stesso desiderio di Umberto Mastroianni – in cui la riflessione, la meditazione, finanche lo svago, avrebbero rappresentato (forse) un nuovo modello di vivibilità per l’intero territorio; un modello di contaminazione culturale, artistica, partecipativa. Con conseguenze a venire che, a distanza di oltre venti anni da quell’ipotesi, potremmo soltanto immaginare.
Non sappiamo perché anche la seconda fase progettuale non abbia compiuto per intero il suo iter originario. Possiamo soltanto immaginare che il senso di precarietà – se non addirittura di scelleratezza – abbia intriso e affossato un “percorso” che oggi sarebbe stato il fiore all’occhiello dell’intera comunità.
Sopravvive un’idea mai definitivamente affermata, e un monumento – quello che gli storici dell’arte contemporanea hanno definito il massimo esempio della scultura monumentale novecentesca – smarrito tra i rovi della collina, completamente orfano dell’attenzione e dell’impegno di tutti coloro i quali avevano immaginato – e auspicato – una storia diversa.
Stralcio dal Progetto mai realizzato
Distribuzione e percorsi
L’accesso più diretto all’area progettata è dalla strada statale per Montecassino. Si è potuto qui ricavare un parcheggio, per l’utenza turistica, in prossimità del tornante che lascia buona visibilità alle manovre di uscita e reimmissione dei veicoli sulla strada. Solo da un viottolo di campagna esistente più a valle, di poco modificato nel tracciato, possono accedere veicoli e macchinari per i lavori di manutenzione periodica e straordinaria, attraverso un ingresso di servizio.
Esclusi questi due casi tutti i percorsi sono pedonali e si prolungano con sentieri e terrazzamenti fino a ricollegarsi in basso con la quota dell’abitato attraverso gli alberi di alto fusto esistenti. Si crea in questo modo un invito dalla città verso uno dei punti panoramici di maggior pregio. A metà di questi tracciati, con una piccola deviazione dalla esistente strada C.F. Pinchera, dovrà essere realizzato un piazzale di parcheggio di dimensioni minori, per permettere la sosta a quella utenza urbana che non voglia percorrere a piedi tutta la prima parte di accesso. Una ulteriore ipotesi praticabile è quella del collegamento rapido fra la quota città e la piastra del monumento con un lift inclinato.
Documenti fotografici d’epoca mostrano l’esistenza di una teleferica sospesa. L’idea puó essere riproposta, certo in termini di assoluta convenienza e sicurezza, aggiungendo così un elemento dinamico di grande effetto ed estrema praticità.
Elementi di progetto
Contrappunto figurativo alla intersezione degli assi già citati è la confluenza, da monte verso la scultura, delle direttrici costruite, dei segni prospettici sul terreno, delle aperture di diaframmi visuali da percorsi e muri di separazione.
Il terreno del progetto è conformato per suo conto ad invaso, modificato quasi a cavea teatrale dalla costruzione di terrazzamenti con muretti a secco.
Questo sistema, opportunamente bonificato, restaurato e livellato con terreno vegetale, viene mantenuto integralmente; viene anzi come enfatizzato dal recinto-percorso che lo perimetra in tutta la sua estensione.
Lungi dal porsi come barriera, l’anello del recinto-percorso si snoda senza soluzione di continuità, individuato come «trincea» nella parte a monte e come «rialzato» nel semiperimetro opposto. È in questo secondo tratto che si vuole consentire uso e fruizione anche da parte di anziani e di portatori di handicap con un pendio costante privo di ostacoli e gradini.
Il punto di equilibrio fra i due sistemi (trincea-rialzato) coincide a quota 160 con il prolungamento dell’asse della Casilina.
Nel tratto in trincea scendono, dal parcheggio, gli ingressi principale e secondario e la rampa pedonale. Ad est la lunga gradonata fiancheggiata dal muro prospettico, segna il limite tra prato e bosco, ma è in più punti passante verso entrambi ed invita ai sentieri panoramici verso la Rocca Janula.
Tutte le direttrici di convergenza e le aperture visuali indirizzate verso la scultura si smorzano a ridosso del grande plateau su cui questa poggia. La piastra, levigata e priva di segni, è pensata come un grande scisto monolitico, geometrizzato, ricavato dalle stratificazioni rocciose della collina. Mentre infatti affaccia come belvedere verso la vallata e la città, col suo corpo si incastra direttamente nel pendio verde a monte.
L’andamento geometrico della piastra è interrotto da un grande frammento triangolare staccato e ‘fatto slittare a valle dall’impeto dell’esplosione’.
Alla funzione formale si accompagna quella più propriamente tecnica della struttura di contenimento del pendio particolarmente tormentato e impervio.
L’asse di cerniera tra le due piastre fa posto ad un percorso ribassato che transita sotto la scultura e, conducendo ad un pianoro che media aggetto della piastra e strapiombo roccioso, riporta alla quota del piano.
La ‘frattura’ tra i due pezzi ripropone le irregolarità dei materiali scistosi e le sottostratificazioni con un andamento simmetrico di rientranze e di aggetti.
La scultura non poggia pesantemente sulla piastra, ma galleggia con la precarietà di un evento dinamico. Lo spazio intorno puó consentire indifferentemente uso tranquillo del parco, cerimonie, manifestazioni, performances di spettacolo all’aperto, ove si preveda grande affluenza di pubblico.
Il «Muro delle Nazioni»
Fra il parcheggio a monte e il resto dell’area è stato inserito un muro-quinta di separazione che offre alcuni squarci visuali prospettici verso valle. È il luogo di rappresentatività lungo il quale sono allineate le bandiere degli Stati partecipi; è inteso come ‘Muro delle Nazioni’, ove in maniera ordinata, oltre ai vessilli, possono trovare posto per ciascun Paese le interpretazioni scultoree di stemmi o citazioni.
I cimiteri di guerra a suo tempo costruiti in zone separate testimoniano di un passato funesto; il Monumento alla Pace deve vedere riunite le Nazioni e le genti attorno al simbolo del Proposito e della Speranza.
Il «Museo», l’acqua, l’illuminazione, il verde
Un settore del muro perimetrale che costeggia il parcheggio superiore, in prossimità dell’accesso all’area sistemata, ha la funzione di citare gli Enti promotori e sostenitori della realizzazione del Monumento alla Pace.
Scendendo lungo il versante sud in diretto allineamento con l’asse della Casilina e come chiusura a monte di tale segno, si situa un organismo, parzialmente scoperto, che circoscrive un’area quadrata di 12 metri di lato. Tale organismo, passante, è assimilabile alle porte medioevali, che racchiudevano una piccola corte di difesa ed è destinato ad avere una funzione museografica.
A monte del ‘Museo’ è prevista una sorgente artificiale di acqua, che con andamento talvolta interrato, talvolta affiorante, crea un canale che con cascatelle scende verso la piastra secondo una direzione rettilinea ma con effetto di dinamicità nella sistemazione del parco.
Accanto al prisma del ‘Museo’, in posizione parzialmente interrata, sotto la doppia rampa di ingresso, sono previsti spazi per le attrezzature indispensabili: servizi igienici, attrezzeria per piccola manutenzione e giardinaggio, un ambiente per il custode ed eventuale posto di ristoro e di informazioni turistiche.
Il progetto di illuminazione, che non è solo corollario, ma parte integrante della sistemazione, prevede quattro linee principali: la prima, su paline convenzionali provvede al parcheggio e al tratto di strada statale immediatamente a ridosso dell’area di intervento; la seconda (palme con sfere di vetro e luce ai vapori di sodio di gradazione gialla) sottolinea tutto il circuito del percorso ed il suo prolungarsi verso la città. Tutta la superficie del prato è fatta risaltare dalla terza linea con faretti a luce semiradente posizionati in sequenza continua lungo i muri a secco. Un insieme di proiettori da 500-1000 watt, quarta linea, direzionati concentricamente verso la scultura e le rocce a strapiombo, addizionano effetto drammatico all’insieme degli scorci prospettici di Cassino.
Il carico di energia richiesto non è eccessivo, ogni linea è autonoma, ed il funzionamento di tutto il sistema puó essere limitato al periodo estivo o in occasione di eventi particolari.
Le aree racchiuse dai muri a secco saranno sistemate con prato all’inglese, dopo aver livellato il terreno eliminandovi gli affioramenti rocciosi. Conifere di alto fusto ombreggeranno il parcheggio e sottolineeranno i percorsi perimetrali, rafforzando le linee di progetto che convergono verso il monumento. Tra la strada statale e il ‘museo’ potrà essere realizzato un giardino attrezzato per la sosta.
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