“Alla ricerca di un regno ciociaro”

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Studi Cassinati, anno 2006, n. 4

Se con il termine di Ciociaria gli eletti “dell’Urbe” hanno inteso indicare, ed in senso dispregiativo, quel territorio abitato da contadini e pastori portatori di cioce, sicuramente essi non hanno avuto in animo una precisa demarcazione oltrepassata la quale uno che calzasse, di lì, le cioce fosse detto, magari, “signore” e non ciociaro. Ma c’è di più: quel secolo XVII dal quale incomincia a prendere consistenza la denominazione di Ciociaria, limitando la sua attenzione ad una parte di Lazio, non considera alla stessa stregua territori come quello della Campania, della Calabria e delle montuose regioni balcaniche1 dove si faceva ugualmente uso delle cioce, se oggi è la sola provincia di Frosinone a dirsi ciociara.
La tentazione di individuare un regno ciociaro, comunque, è stata sempre forte. C’è chi indica una configurazione territoriale che dai Colli Albani tocca i Monti Prenestini ed Ernici ad est, i Monti Lepini ad ovest e lo sbocco della valle del Liri a sud, oltre Frosinone, fino a Roccasecca, ad Arpino, a Rocca d’Arce, a Ceprano2. C’è chi la vede corrispondente, all’incirca, all’area occupata dalla Valle del Sacco e dalle colline che la fiancheggiano, in una denominazione geografica propria che è quella di Valle Latina3. Nella descrizione del Lazio di Roberto Almagià4 si riscontra, testualmente, che: “Due denominazioni in passato frequentemente applicate anche con valore amministrativo, non appartengono più all’uso attuale. Né risponde ad esattezza che, come alcuni hanno ritenuto, il nome di Campagna sia approssimativamente equivalente a quello di Ciociaria”.
Quest’ultimo nome non è di uso antico. Antichissimo è certamente l’uso delle caratteristiche calzature chiamate cioce e da queste deriva l’appellativo di Ciociari. Ma come nome territoriale, Ciociaria – che sarebbe dunque il paese dei Ciociari – comincia a trovarsi documentato solo nei secoli XVII e XVIII e non nell’uso degli stessi abitanti; esso è in uso a Roma e si trova nella letteratura italiana e straniera, ma con applicazione, piuttosto incerta, a un territorio che si fa corrispondere solo approssimativamente alla Valle del Sacco ed al paese collinoso e montuoso che a questo fiume si affianca sulla sinistra. Alla Valle del Sacco, in particolare, si applica il nome di Valle Latina; ma è una denominazione dotta, usata dai geografi, non certo popolare. Altri, invece, la identificano “nel cessato feudo dei Colonna”, principi di Paliano e Sonnino, “quando il brigantaggio realizzò una sorta di enclave sopranazionale tra Stato Pontificio e Regno di Napoli”5. Starebbe quindi ad indicare quell’isola tra Stato Pontificio e Regno che non sarebbe rimasta legata a confini fisici e politici, bensì a confini letterari.
Il Devoto afferma6 che il nome di Ciociaria sembra confinare la storia della regione nei limiti della storia medievale e nell’ambito di una visione romanesca”. Ed aggiunge che “nella storia antica la Ciociaria è la regione dove due grossi itinerari si sono incrociati. Il primo è quello della via, detta poi Latina, che da Cassino conduce a Palestrina e a Roma. Il secondo è quello della Valle del Liri attraverso la quale nel V secolo a.C. sono discesi i Volsci che, minacciando Roma con la forza delle armi e con l’isterilimento culturale, hanno dato alla regione quella caratteristica che le è rimasta anche dopo la sottomissione”.
Una visione territoriale più ampia della Ciociaria ce la dà Anton Giulio Bragaglia7. Egli afferma che il territorio ciociaro si estende dai Colli Albani ai Monti Aurunci e dall’Appennino abruzzese al mare. Configura la Ciociaria con il Lazio Aggiunto al quale indica l’Aniene come confine ciociaro con Roma. Precisando che Subiaco è ciociara, afferma che i romani chiamano ciociari persino i Sabini di Anticoli Corrado; e, dopo aver indicato la catena dei Lepini come la spina dorsale di quel vasto corpo ovale descritto, precisa che “dove la Ciociaria finisce verso i Monti Aurunci è difficile fissare”. Tivoli ad est di Roma, Subiaco ancora più in là, dove trovasi situata ad est di Tivoli; i Lepini come spina dorsale di un territorio che chiude a sud verso gli Aurunci per risalire, dal lato del mare, fino alle porte di Roma; ma allora diciamolo con tre parole: Campagna di Roma […]. Con questa individuazione del Bragaglia, quindi, andiamo ad identificare la vecchia Ciociaria con quanto esisteva sul territorio del Lazio, a sud di Roma.
Oggi questo grosso corpo ovale a me sembra fissato a sembianza di rinoceronte. Lo vedo a nord, verso i Simbruini orientali, con i comuni di Filettino e di Trevi nel Lazio a fargli da tubercolo comeo; lo vedo in movimento sugli arti anteriori, brevi e robusti, che i comuni di Amaseno e Vallecorsa disegnano sui crostoni Ausoni e su quelli posteriori che il comune di Esperia a sinistra e quelli di Ausonia e Coreno Ausonio a destra, tracciano sugli Aurunci.

Mario De Carolis
(Da La ciocia. Curiosità, usi, costumi e ricostruzioni nel tentativo di capirne l’origine, Pontone, Cassino, 1995, pag. 23 sgg.)

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