Studi Cassinati, anno 2006, n. 4
di Giovanni Petrucci
Nel filmato Montecassino, di Marina Basile con consulenza storica di Giovanni Sabbatucci, trasmesso l’anno scorso nel terzo programma, rileviamo un’attenta ricostruzione degli eventi che portarono alla distruzione della città di Cassino e a quella completa del Monastero.
Qualche particolare, però, appare tralasciato circa il bombardamento del 15 marzo 1944: il tragico errore che coinvolse la cittadina di Venafro. È vero che esso viene riportato nei testi di storia, ma in genere è trascritto con scarso rilievo.
È opportuno ricordare che agli inizi del mese di febbraio 1944 i Francesi acquartierati in vari centri intorno al territorio di S. Elia Fiumerapido, all’ala destra della linea Gustav, avevano ben compreso che la battaglia si sarebbe protratta ancora lungamente; per questo motivo cominciarono a far capire alle popolazioni che avrebbero dovuto lasciare le loro case. L’invito si trasformò in ordine perentorio dopo la distruzione dell’Abbazia del 15 febbraio ed esse dovettero eseguirlo. Furono allontanate tutte le famiglie dai ricoveri dei monti e delle campagne a nord di Cassino e trasferite a Venafro.
Molti civili, approfittando dello scarso controllo del Centro di Smistamento di S. Chiara di questa città, dove confluivano, non volendo allontanarsi troppo dalle terre di origine, con la comprensione e complicità delle guardie civili, fuggivano di notte e riuscivano a trovare provvisorio rifugio in case di fortuna, in tuguri, in cantine ed anche in stalle, o in masserie lontane.
Durante la terza battaglia, l’operazione “Dickens”, che durò una settimana, ci fu un nuovo attacco frontale a Cassino e da nord al Monastero. Lo stesso Clarck ebbe a dichiarare che il piano non aveva grandi probabilità di riuscita e Juin invano andava ripetendo che insistere in una tale lotta, significava inseguire una illusione pericolosa1.
Il 15 marzo un bombardamento a tappeto e il fuoco contemporaneo dell’artiglieria completarono la distruzione della città e del Monastero, mettendo fuori uso tutte le armi pesanti tedesche: «Su Cassino e sulle immediate vicinanze, un’area di circa 400 x 1.400 metri, vennero sganciate 1.250 t. di bombe ad alto esplosivo»2; «Il rapporto tra gli ordigni e i difensori della città fu di circa quattro tonnellate per ogni paracadutista di presidio …»3; «500 aerei, dei quali 300 bombardieri pesanti, sganciarono su Cassino oltre 1000 tonnellate di bombe, durante l’incursione durata tre ore e mezza. Le bombe, naturalmente, distrussero la martoriata città. Altrettanto naturalmente vi furono delle vittime per errori commessi dai bombardieri: alcune bombe4 caddero su Venafro, uccidendo 140 civili italiani; altre piombarono sulle linee alleate anche molto arretrate, causando perdite sugli addetti all’artiglieria; altre ancora centrarono il comando dell’8a Armata e il carrozzone dove abitualmente si tratteneva il generale Leese che, per fortuna, in quel momento era assente.
A mezzogiorno in punto il bombardamento aereo ebbe termine e 610 cannoni aprirono il fuoco…»5.
Purtroppo durante questo bombardamento ci fu il fatale grossolano errore accennato: verso le ore 9,30 una formazione di fortezze volanti scambiò monte Santa Croce sotto cui è arroccata la città di Venafro, per Montecassino e Cassino e lanciò il suo carico micidiale di bombe; una seconda, vedendo il fumo e ritenendo che quello fosse il bersaglio, ne seguì l’esempio; e così altre ancora per non meno di mezz’ora6.
Fu una scena apocalittica: venne colpita la zona nord della cittadina, «quella che da Portanova va verso l’antica cattedrale e si adagia sulle pendici del monte, tra gli orti verdeggianti e gli agili campanili delle Chiese di Cristo e dell’Annunziata, Chiese che custodivano le memorie più care del popolo venafrano»7.
Gli aerei colpirono «un ospedale militare marocchino uccidendo o ferendo quaranta soldati. Quarantaquattro vittime vi furono fra le artiglierie alleate. E… un grappolo di bombe colpì il Comando dell’8° Armata, sfasciando il carrozzone del Comandante: per fortuna il generale Leese in quel momento non c’era. Per i soldati in attesa nelle zona vicina al bersaglio fu uno spettacolo tanto pericoloso quanto impressionante»8.
Il grave errore generò un senso di raccapriccio non tanto tra gli sfollati, abituati agli imprevedibili tradimenti aerei, quanto tra i soldati alleati9, che non esitarono a puntare le loro armi inadatte contro i mostri del cielo10.
«Rammentiamo il sinistro rombo» continua Giovanni Atella «dei quadrimotori che sorvolavano la nostra città e si allontanavano ad oriente, al di là delle montagne in cui era Montecassino.
Poi si udivano sordi boati, indicanti che gli aerei si erano liberati del loro carico di bombe.
Interminabili file di cadaveri, coperti pietosamente da lenzuola, si allineavano per le piazze e nei cortili dei palazzi… »11.
Le vittime 12 di cui abbiamo notizie documentate sono un centinaio, ma dovettero essere più numerose, considerando i paesi disseminati lungo la linea aerea che univa Venafro a Cassino e specialmente l’esercito anglo-americano: in verità di queste sono stati fatti vaghi accenni, ma nessuno ha mai parlato apertamente del loro numero!
E dire che gli sfollati vennero sorpresi proprio lì dove non sentivano più il boato delle esplosioni e credevano di aver trovato asilo sicuro; e che «dopo i bombardamenti di ferragosto del ’43 fu messa da parte la teoria dell’«Area-bombing» per dare il via ai cosiddetti bombardamenti di precisione «selective-bombing», voluti dai generali della U.S.A.A.F. (United States Army Air Forces) Carl Spaatz, Ira Eaker e Jmmy Doolittle…».13
Riportiamo la testimonianza di un ufficiale dell’esercito del Corpo di Spedizione Francese in Italia, R. Derennes, che allora si trovava proprio nella cittadina molisana, e descrive gli avvenimenti come accaddero, e ai quali fu presente anche chi scrive.
«Io mi trovavo allora a Venafro, dove era l’alto Comando francese del generale Juin, piccolo villaggio arroccato alla falda di un monte, assai simile a quello di Cassino, ma privo di due elementi essenziali: della strada per Roma e del Monastero. Non era strano, dopo un po’ di tempo, sentire le formazioni aeree passare e tornare qualche minuto più tardi. Andavano a bombardare a tappeto la montagna.
Ma, Dio mio, chi mai ci avrebbe predetto un simile accadimento quel giorno? Ciascuno attendeva secondo le abitudini alle sue occupazioni. Al Quartier Generale di Artiglieria, comandato dal generale Chaillet, noi eravamo in agitazione febbrile: i pezzi da 155, in dotazione al mio reggimento, il R.A.C.L., comandato dal colonnello Mussonnier, con una gittata di 25 Km, dovevano prendere parte nei dintorni delle alture di Sant’Elia Fiumerapido, all’operazione stabilita. Noi sapevamo in effetti che dalle otto a mezzogiorno, ad ondate, milleduecento apparecchi dovevano bombardare Cassino e, nello stesso tempo, a noi e all’artiglieria alleata spettava entrare in azione.
Sarebbe potuta essere una vittoria, ma non fu che una spaventosa rovina, una tragedia. La valle che si estende da Venafro a Cassino, lunga una quindicina di chilometri, stava per diventare in queste quattro ore il luogo di una incredibile ecatombe.
Le bombe destinate ai Tedeschi caddero proprio su di noi; notate bene che esse piovvero su tutti, senza distinzione, bisogna essere giusti, per prima sui Francesi alla destra, poi sulle artiglierie e sulla fanteria inglesi, neozelandesi, polacche e sugli stessi Americani… Ne restarono poche per i nemici!
Le prime ondate, tra le quali quelle di numerose fortezze volanti, si sbagliarono e vuotarono i loro carichi su Venafro, incendiando la cittadina; le altre, arrivando a distanza di un quarto d’ora, vedendo il fumo, ritenevano che quello fosse il bersaglio e sganciavano altre bombe. Alcune ondate, però, si diressero ugualmente su Cassino in quanto senza dubbio i piloti conoscevano bene il territorio. Ma perché, d’altra parte, ebbero bisogno di bombardare, di sommergere con i loro proiettili devastanti tutta la valle del Liri, dove avevano preso posizione le stesse truppe alleate? Non lo sapemmo mai, perché occorreva nascondere presto un simile scandalo. Il bombardamento cessò come previsto a mezzogiorno, ma poiché le truppe che dovevano passare all’attacco erano state decimate, l’assalto non ebbe luogo.
Mi ricorderò sempre della collera del Maggiore inglese, ufficiale di collegamento presso il nostro Stato Maggiore: mostrava i pugni agli aerei, muovendosi nervosamente dalla soglia della casa al centralino telefonico, di cui le unità inquiete si servivano continuamente per cercare di avere dei ragguagli su ciò che stava accadendo, e soprattutto di sapere la ragione di questa carneficina e se ci si preoccupava di fermare questa inverosimile svista. Il tenente americano era scomparso per la vergogna fin dall’inizio, torcendosi le mani per la disperazione. Noi non potevamo che ripetere, con la profonda convinzione che ci dava la nostra impotenza: «Ah, mascalzoni!». Gli Italiani, presi dal panico, scappavano sulle montagne, cercando un illusorio ricovero. Le persone in difficoltà di muoversi, dimentiche dei vicini, si muovevano come impazzite, volendo fuggire all’inferno, riparandosi sotto i portoni, dove sentire i ronzii che segnalavano l’arrivo di ondate successive, e scappavano di nuovo, come potevano, volendo trovare una sorta di salvezza, la vita.
Certi sogghignavano: «Americani, Americani»! sì, Americani: e noi eravamo impotenti! Le formazioni arrivavano in ordine perfetto e a rilevante altezza; ma quali erano le loro basi? la Sicilia, Malta, la Tunisia, l’Algeria, i dintorni di Napoli?… Volteggiamenti tragici, di cui noi pagavamo le conseguenze ed il cui organizzatore era per noi intoccabile: alcuni di questi aerei erano a molte ore di volo dalle loro basi.
Non appena cadute le bombe, uscivamo dai nostri ricoveri, sapendo che avevamo una decina di minuti per le prossime. Ci affrettavamo a soccorrere i feriti; all’ospedale di Venafro regnava il caos. Le case vecchie sprofondarono al suolo, come castelli di carta, in nuvole di polvere accumulatasi negli anni e in mezzo alle fiamme.
Le formazioni spuntavano da lontano; si aspettava di vedere quando si separavano le squadriglie per precipitarci nelle cantine o nei ricoveri; se gli aerei non sganciavano le bombe sopra di noi, sapevamo che esse erano destinate ad obiettivi molto più lontani. Era pericoloso quando i portelloni si aprivano molto prima di giungere sulle nostre posizioni.; le bombe si vedevano chiaramente discendere. La nostra difesa contraerea era muta, non poteva sparare. Quale furore si era impadronito dei nostri artiglieri, dal momento che non potevano dare loro una lezione! Avremmo potuto colpirli, o almeno vedendo che tiravamo contro di loro, poteva accadere che…! Ci nauseò di più vedere gli addetti del servizio cinematografico dell’Armata americana, appartenenti al nostro C.E.F., filmare questa miseria, sollevando il sudario che nascondeva i morti, denigrando gli infelici che piangevano sui loro cari! Con quale finalità di propaganda, se quella era stata una triste testimonianza di inettitudine? Dopo qualche tempo ci furono delle decorazioni, che toccarono… e con quelle la dimenticanza»14.
Dai Registri di Morte di Venafro.
Cassino: 1) Bianchi Aldo, 2) Del Greco Lavinia, 3) Del Greco Maria, 4) Falese Franca, 5) Garneno Anna, 6) Garneno Angela Maria, 7) Garneno Giovanni, 8) Garneno Renato, 9) Farina Maria, 10) Natale Anita, 11) Sierchio Filomena.
Isernia: 1) Di Lemme Mario.
Picinisco: 1) Rossi Silvio, 2) Valente Giuseppina.
S. Elia Fiumerapido: 1) Fortuna Michela, 2) Iaquaniello Angela, 3) Pacitti Maria Giuseppa, 4) Palombo Antonia, 5) Pomella Amedeo, 6) Vece Maria, 7) Pacitti Benedetta e tutti i figli elencati di seguito, 8) Di Cicco Antonietta, 9) Di Cicco Pasqualina, 10) Di Cicco Rocca, 11) Di Cicco Giovanni, 12) Di Cicco Giovanni Battista 13) Di Mambro Filippa, 14) Palombo Maria.
Vallerotonda: 1) Di Meo Giuditta, 2) Niro Lidia, 3) Salvatore Carmela.
Valvori: 1) Di Mascio Alfeo, 2) Di Mascio Arturo, 3) Di Mascio Concetta, 4) Di Mascio Domenica Edvige, 5) Di Mascio Edvige, 6) Di Mascio Gina, 7) Di Mascio Gino, 8) Di Mascio Gino, 9) Di Mascio, 10) Di Mascio Luigi, 11) Di Mascio Osvaldo, 12) Di Mascio Rosa, 13) Di Mascio Virginia, 14) Fella Glorioso, 15) Fella Maria, 16) Fella Silvano, 17) Fella Ubaldo, 18) Gallone Aristide, 19) Gallone Elisa, 20) Gallone Genoeffa, 21) Notarianni Italia 22) Notarianni Lucia, 23) Notarianni Olga; sembra che di Valori erano anche 24) Tomasso Maria Vincenza (m. 26.02.1943), 25) Gallone Mario (m. 30.07.1944).
Venafro: 1) Antonelli Domenico, 2) Antonelli Maria Giuseppa, 3) Auletta Giuseppe, 4) Bianchi Aldo, 5) Bianchi Carmine, 6), Borrelli Pasqualina, 7) Buono Maria Michela, 8) Cascardi Vincenzo, 9) Campopiano Giovannina, 10) Campopiano Nicolina, 11) Caramanna Carmelina, 12) Caramanna Rosaria, 13) Catania Domenico, 14) De Pascale Luigia, 15) Ferreri Maddalena, 16) Fusco Pietro, 17) Giannini Alessandra, 18) Giannini Francesca, 19) Iannacone Concetta, 20) Marinelli Giuseppina, 21) Mascio Antonio, 22) Matteo Gino, 23) Migliarino Gennaro, 24) Natale Anita, 25) Nolasco Petrina, 26) Palazzo Anita, 27) Palazzo Immacolata, 28) Palazzo Maria, 29) Palazzo Nicandro, 30) Palumbo Daria, 31) Pannunzio Rosa, 32) Perrella Luigi, 33) Ricchiuto Alessandra, 34) Ricci Marciano, 35) Rucco Nicandro.
Totale n. 91 vittime.
1 Foges A., La Campagne d’Italie 1943-44, 1972, Montpellier.
2 Rudolf Bohmler, Cassino, una vittoria di Pirro, in “Storia della Seconda Guerra Mondiale”, Milano, 1967, p. 434.
3 Alessandra Argenio, La guerra in Italia: Linea Gustav (1943-44), in “Linea Gustav: un percorso culturale”, Roma, 2005, p. 76.
4 Non furono alcune, ma molte, come si evince dalle documentazioni riportate in appresso.
5 Arrigo Petacco, Storia della Seconda Guerra Mondiale, Bologna, 1979, p. 1522.
6 Chi racconta sentì i primi boati in via Napoli, al Comando Francese, e raggiunse a piedi palazzo Ferri, da dove poté osservare la scena raccapricciante.
7 Atella Giovanni, C’era una volta Venafro, Venafro, 1983, p. 19.
8 Majdalany F., ibidem, pag. 205.
9 Berteil L., op. cit., pag. 53: “Malgré la distance, nous n’étions pas très rassurés, car certaines salves semblaient manquer les objectifs de plusieurs kilomètres. Nous avions d’ailleurs raison d’être inquiets car le soir nous apprîmes qu’une de ces formations avait confondu la vallée de la Rava avec celle du Rapido, bombardé Venafro où était le quartier général du C.E.F. e notre base arrière à Pozzili… Lorsque l’on fit remarquer aux Américains que le «leader» de la formation s’était trompé de plus de dix-sept kilomètres, ils firent gravement observer que ces avions venaient de Marrakech, à plus de trois mille kilomètres et qu’une erreur portant sur un deux centièmes de distance, si elle était regrettable, restait tout à fait dans les normes”.
10 Chi scrive fu testimone quando, all’interno del giardino del palazzo Ferri, a Venafro, gli stessi soldati americani spararono con le loro carabine Winchester contro le «fortezze volanti», che si abbassavano in picchiata sulle abitazioni.
11 Atella Giovanni, C’era una volta Venafro, Venafro, 1983, p. 19.
12 Ringraziamo di cuore il rag. Giovanni De Luca, dell’Ufficio Anagrafe di Venafro, che ci ha permesso cortesemente di consultare i registri di morte; dai quali traiamo l’elenco delle vittime riportato appresso.
13 Pistilli E., «Uno sguardo retrospettivo L’Immane tragedia del secondo conflitto mondiale e le responsabilità dei protagonisti. Errori ed omissioni degli storici» in “Studi Cassinati”, IV n. 3 (luglio-settembre 2006), p. 164.
14 R. Derennes: Il triste episodio di Cassino del 15 marzo (Una testimonianza, un riconoscimento ai Polacchi e al C.E.F. troppo spesso dimenticati), “Bulletin de Liaison du C:E.F.I.”, n. 111, pagg. 31-33. Il testo originale in lingua francese sarà allegato alla versione on-line di Studi Cassinati sul sito web: www.cassino2000.com/cdsc/studi.
Il testo originale in lingua francese è allegato alla versione on-line di Studi Cassinati.
Il bombardamento del 15 marzo 1944 su Cassino
La devastazione di Venafro fu un tragico errore di molti bombardieri alleati
“I soldati alleati non esitarono a puntare le loro armi contro i mostri del cielo”
R. Derennes,
IL Y A 44 AN: UN ÉPISODE DECASSINO
Ceci est un témoignage, un hommage aux Polonnais et au CEF, trop souvent oubliés
(Bulletin de Liaison du C.E.F.I, n. 111, pag. 31 – 33. documents)
C’était en 1944, en Italie. Depuis déjà de longs mois. Les troupes alliées piétinaient devant le monastère – forteresse (croyions-nous) de Cassino. L’hiver avait été rude pour nos troupes, surtout chez nous Français, dont le corps expéditionnaire était composé en grosse majorité d’éléments de troupes coloniales et nord-africaines, dont de nombreux pieds-noirs venus défendre la métropole.
Musulmans, Juifs ou Chrétiens, qui furent les compagnons de nos combats, restés si nombreux dans les Djebels tunisiens, dans les Abruzzes des Apennins, sur les bords du Volturno ou du Garigliano, le long de nos routes, ou en Allemagne, les mêmes ou leurs descendants, que la France pour les en remercier, vingt ans plus tard, leur fera grief d’exister, de vouloir vivre et mourir Français, les abandonnera, les trahira, les assassinera, ou les livrera à un fanatisme aveugle, comprenez leur amertume, c’est court pour oublier et être devenus des parias.
Enfin le printemps s’annonçait et le grand quartier général semblait décidé à forcer la route de Rome, quitte à y mettre le prix.
J’étais alors à Venafro, quartier général français, (général Juin), petit village accroché au flanc de la montagne et assez ressemlant à celui de Cassino, quoiqu’il y manquait le principal . la route de Rome et le monastère. Il n’était pas rare, depuis quelques temps, d’entendre des formations aériennes passer, et revenir quelques minutes plus tard; elles allaient pilonner le mont
Mais, grand Dieu, qui nous aurait prédit pareille chose ce jour-là? Chacun vaquait selon ses habitudes à ses occupations. Au Q.G. de l’artillerie (général Chaillet) nous étions fébriles, les pièces de 155 long, dotation de mon régiment le R.A.C.L. (Colonel Mussonnier) portant à 25 kms, devaient prendre part des environs du Mont San Elia, à l’opération montée. Nous savions en effet, que de huit heures à midì, par vagues, douze cents appareils devaient bombarder la ville et, entre temps, à nous et à l’artillerie alliée d’entrer en action.
Cela aurait pu être une victoire, ce ne fut qu’un affreux gâchis, une tragédie. La vallée qui s’étend entre Venafro et Cassino distant d’une quinzaine de kilomètres, allait devenir en ces quatre heures le lieu d’une incroyable hécatombe.
Les bombes destinées aux Allemands, c’est nous qui le reçûmes; remarquez bien qu’il y en eut pour tout le monde, il faut être juste, les Français les premiers, sur la droite, puis les artilleries et les infanteries anglaises, néo-zélandaises, polonaises et même américaines… il en resta même quelques-unes pour les Allemands!!!
Les premières vagues (parmi lesquelles de nombreuses fortesses volantes) se trompèrent et lâchèrent leurs charges sur Venafro, incendiant le village, les autres, arrivant de quart d’heure en quart d’heure, voyant la fumée, se figuraient que la cible était là, et de nouveau les bombes tombaient. Certaines vagues allèrent quand même jusque sur Cassino (sans doute les pilotes habitués du secteur). Mais pourquoi d’autres éprouvèrent-elles le besoin d’arroser, de noyer plutôt de leurs pruneaux dévastateurs toute la vallée du Liri, où avaient pris position les troupes alliées? nous ne le sûmes jamais, car on étouffa vite un semblable scandale, le bombardement cessà comme prévu à midi, mais comme les troupes qui devaient passer à l’attaque avaient été décimées, l’assaut n’eut pas lieu.
Je me souviendrai toujours de la colère du major anglais, officier de liaison à notre E.M.; il montrait le poing aux avions, marchant nerveusement du seuil de la maison au téléphone, dont les unités inquiètes se servaient continuellement pour essayer d’avoir des renseignements sur ce qui se passait, et surtout savoir le pourqoi de cette boucherie, et si l’on s’occupait de faire arrêter cette invraisemblable méprise. Le lieutenant américain, honteux, avait disparu dès le début en se tordant les mains de désespoir. Nous, nous ne pouvions que eépéter avec la profonde conviction que nous conférai notre impuissance, «ah, les salauds». Les italiens pris de panique, s’enfuyaient dans la montagne, cherchant un illusoire abri. Les impotents, oubliés des jeunes, se traînaient, voulant échapper à l’enfer, rentrant sous un porche aux vrombissements signalant l’arrivée des suivants, et repartant cahin-caha, voulant, eux aussi, gagner un semblant de sécurité, la vie.
Certains ricanaient «Américains, Américains», oui, des Américains; et nous ne pouvions rien. Les formations venaient dans un ordre parfait et à assez haute altitude, mais quelles étaient leurs bases? la Sicile, Malte, la Tunisie, l’Algérie, les environs de Naples?… tournoiements tragiques dont nous faisions les frais et dont l’ordonnateur nous était intouchable (certains de ces appareils étaient à des heures de leurs bases).
Sitôt les bombes tombées nous sortions de nos abris, sachant que nous avions dix minutes en attendant les prochaines. Nous nous dépêchions de secourir les blessés, l’hôpital de Venafro était en feu. Les maisons vétustes s’effondraient comme des châteaux de cartes dans des nuages de poussière déposée par les ans et des flammes.
On les voyait pointer au loin; on attendait de voir se détacher les chapelets pour se précipiter dans les caves ou les abris, si les avions ne les larguaient qu’au-dessus de nous, nous savions qu’elles étaient pour beaucoup plus loin, le dangereux c’était lorsque les soutes s’ouvraient bien avant d’arriver sur notre position, on les voyait nettement descedre. Notre D.C.A. était muette, ne pouvant tirer. Quelle fureur devait animer les canonniers de ne pouvoir leur donner une leçon. Nous aurions pu les toucher ou tout au moins voyant qu’on leur tirait dessus, peut-être que…! Ce qui nous écoeura les plus, ce fut de voir les militaires du service cinématographique de l’Armée Américaine, attachés à notre C.E.F., filmer cette misère, enlevant le suaire recouvrant les morts, repoussant les malheureux qui pleuraient sur les leurs. A quelle fin de propagand? Si encore cela avait été un témoignage. trav
A quelques temps de là, ce furent des décorations qui tombèrent… et avec elles, l’oubli.
Aujourd’hui, sur les flancs du Mont-Cassin, existe le cimemetière Polak, ce sont eux qui, en définitive, enlevèrent ce noeud (général Wladislas Anders) aprè trois jours de combats à l’arme blanche; j’ai vu dernièrement un grand nombre de Polonais s’y recueillir, en souvenir du sacrifice des leurs, et d’une certaine conception du mot liberté.
Le monastère, de nos jours reconstruit, fut en trois mois de déluge de fer et de feu, entièrement détruit; seul-le village avait été fortifié et les combats, à l’attaque, se poursuivirent dans les souterrains qui menaient du village au monastère. Pendant ce temp, nos goumiers et nos forces fonçaient à travers la montagne et rejoignaient la route de Rome, plus au nord. Arrivés en premier aux portes de cette ville, nous reçumes l’ordre impératif de stopper. Les Américains devaient entrer les primiers, nous volant à moitié notre victoire. Peut-être, au fond, n’eût-il pas été bon que la Ville Eternelle voit fouler en premier, son sol par une troupe musulmane. Nous la traversâmes le lendemain, sous une ovation enthousiaste qui nous réchauffa le coeur.
Lors de la célébration de la victoire à Londres, il y eut un grand défilé auquel participèrent les soldats de tous le pays qui s’étaient battus contre l’Allemagne.
Les Polonais refusèrent d’y paraître.
Le Général Sikorski, Chef du gouvernement et de l’armée Polonaise en exil et également de l’Armée Krajonva (armée de l’intérieur) rompit toute relation avec Staline à la suite de la découverte du charnier de Katin, où tous le cadres de l’armée Polonaise, prisonniers des Soviétiques furent exterminés à la mitrailleuse par milliers, ainsi disparaissait l’élite de la Nation.
Ni les survivants ni les morts de ces combattants d’Afrique et d’Italie ne purent rentrer dans leur pays, coupables de ne pas avoir fait la guerre rouge; il sont restés… en exil.
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