Studi Cassinati, anno 2006, n. 3
di Alessandrina De Rubeis
Margaret Bloch, l’ultima protagonista della storia pubblicata in cinque puntate, fu la figura ispiratrice del Convegno del 28 maggio 1994 per l’amicizia e la relazione sentimentale con Franz Kafka. Infatti titolo dell’Incontro, tenutosi a cinquant’anni dalla fine della guerra, fu “L’ombra di Kafka in una pagina di storia locale”. Organizzato e curato da un Comitato composto da: Carlo Pittiglio, sindaco; Stelio Cardarelli, assessore alla cultura; Auro Massa, Domenico Cedrone, Mario Amata, Rosanna Tempesta, Paola Visocchi, Costantino Jadecola, il Convegno vide gli interventi, oltre che di Auro Massa e Domenico Cedrone, anche del Prof. Domenico De Napoli dell’Università di Cassino, del Prof. Anacleto Verrecchia dell’Università di Torino e di Federica Tatulli con la lettura di alcuni brani dell’epistolario di Kafka a Grete Bloch.
Margaret Bloch era nata a Berlino il 21 marzo 1882 da Louis e Jenny Megrovitz.
Donna colta della Mitteleuropa, nel 1913 incontrò lo scrittore Franz Kafka, instaurò con lui un legame affettivo passato alla storia della letteratura internazionale dopo la pubblicazione dell’epistolario a lei diretto.
I contatti tra Margaret e Kafka si interruppero intorno al 1916. Nel 1940 la donna si recò a Praga sulla tomba dello scrittore e di questo scrisse al musicista Volfang Scrockhen, confessandogli che Kafka era il padre del suo bambino, morto nel 1921 a Monaco, all’età di sette anni.
Il 29 luglio 1940, con nota del Ministero dell’Interno italiano n. 443/70533 del 18/7/1940, Margaret Bloch, ‘apolide di origine tedesca ebrea’, fu internata nel comune di San Donato Val di Comino. Qui cambiò diversi alloggi, passando dall’albergo Gaudiello in via Duomo, all’abitazione dei Tullio in via Convento, dalla soffitta della famiglia Coletti in via Napoli, all’abitazione dei Carcone in via Mazzini. Il 14 giugno 1943 si fece battezzare dal parroco, sacerdote Donato Di Bona e dai padrini dottor Guido Massa e signora Francesca Sipari.
Di recente ho intervistato alcune persone che l’hanno conosciuta: il signor Donato Coletti, appartenente alla famiglia che ospitò Grete nella soffitta di via Napoli; la signora Antonetta Perrella, (Ninetta), che abitava, e abita, al piano sottostante l’appartamento dei Coletti; la signora Maria Gallo che, all’epoca dei fatti, abitava nei pressi dell’albergo Gaudiello; la signora Pasqualina Perrella.
Donato Coletti, nato il 20/1/1928, ricorda che Margherita usciva sempre stringendo sotto il braccio una borsetta bianca guarnita da una bordura argentata. Ragazzo quindicenne, non prestava grande attenzione ai discorsi che la donna intratteneva con i suoi genitori, ma ricorda che, alcuni giorni in cui si sentiva particolarmente in pericolo, Margherita andava a nascondersi nella zona della Torre e che suo padre, Cesidio Rocco, sistemato il fagotto sotto la giacca, andava fin lassù a portarle qualcosa da mangiare. Non c’era molto cibo in casa, ma quello che c’era veniva ripartito equamente tra loro e l’ospite.
Ninetta Perrella, nata il 30/10/1932, ricevette dalla Bloch cure e medicazioni per essersi scottata alla gamba sinistra con dell’acqua bollente. Quando la piaga rimarginò, Margaret regalò alla bambina, ‘per essere stata coraggiosa’, un medaglione di madreperla con un’effigie muliebre. Purtroppo Ninetta si disfece del prezioso dono, regalandolo successivamente ad una sua amica che lasciava S. Donato V.C. per trasferirsi altrove.
Maria Gallo, nata il 6/3/1927, ricorda quando la Bloch alloggiava nell’albergo Gaudiello insieme con altre signore altrettanto eleganti e colte. Riferisce anche, come del resto già scritto al n. 4 di Ottobre-Dicembre 2005 , che a tradire il gruppo degli internati fu Enrichetta (Henriette Bettmann), “donna dagli occhi stupendi” che si era innamorata di un militare tedesco a S. Donato e che, fatta ubriacare ad arte, svelò i nomi e gli alloggi dei suoi compagni. Riferisce inoltre che un anziano internato soprannominato ‘Babbo vecchio’, amico di Enrichetta, , morì nell’albergo Gaudiello e fu seppellito nel cimitero di S. Donato V.C., in pigiama, scalzo e avvolto in un lenzuolo.
Il 6 Aprile 1944
Sul giorno dell’arresto degli internati ho scritto nel già citato n. 4 di Ottobre – Dicembre 2005, ma quanto si riferisce qui è un’intervista rilasciata dalla signora Pasqualina Perrella, allora giovanissima impiegata al comune di San Donato. Di lei è stato scritto anche da Francesco Perrelli su “Ciociaria Oggi” del 22 Novembre 2000.
«C’era la neve, avevo la febbre alta. Sentimmo bussare alla porta: era l’interprete austriaco che era venuto a prelevarmi per condurmi al Comando, in via Piave. Mia madre si oppose e l’ufficiale andò via per tornare poco dopo munito di pasticche antipiretiche e pretese che ne ingoiassi subito una. Così, al suo braccio, dovetti raggiungere il Comando tedesco. Gli internati stavano tutti lì, anche Margaret Bloch, e mi accolsero con sorrisi e ringraziamenti perché credevano che sarebbero stati rilasciati loro i documenti falsificati, preparati da me e da altri impiegati del comune, affinché potessero partire dal paese senza pericolo. Ma quando udirono il tono perentorio con cui mi fu chiesto se la grafia su quei documenti falsificati fosse la mia, si resero immediatamente conto del tranello e della loro fine. Intanto arrivò anche la mia collega, Carmela Cardarelli che subì lo stesso interrogatorio».
Pasqualina Perrella aveva 22 anni e, tra le mansioni da espletare quale impiegata comunale pro-tempore, aveva ricevuto anche quella di censurare le lettere che gli internati erano obbligati a scrivere in italiano ‘arrangiato’, come la stessa Pasqualina lo definisce.
La rottura del fronte di Cassino, nel maggio 1944, costrinse i militari tedeschi alla ritirata e questo salvò Pasqualina, Carmela, gli altri impiegati comunali e il podestà, che aveva firmato i documenti, dalle punizioni che sarebbero seguite.
Margaret Bloch, Franz Kafka, Felice Bauer
Scheda biografica a cura del dottor Domenico Cedrone in occasione di un incontro culturale tenutosi qualche anno fa per conto dell’Archeoclub “Valle di Comino”1.
Margaret Bloch è nota a San Donato Val di Comino per esservi stata internata, insieme con altri ebrei, durante l’ultima guerra mondiale; ella viene ricordata come l’amica di Kafka, ma nessuno di noi sandonatesi si è mai preoccupato di conoscere quali siano stati effettivamente i suoi rapporti con lo scrittore. La mia comunicazione vuole essere, pertanto, l’inizio di una ricerca su quanto è stato scritto nella critica letteraria, nelle ricerche biografiche e nelle recensioni giornalistiche sul rapporto Grete – Kafka. In questa prima bozza mi sono avvalso di quanto riportato in alcuni passi antologici dei diari dello scrittore, nell’epistolario diretto a Grete e nella biografia di Kafka scritta da Ronald Hayman in occasione del centenario della nascita dello scrittore.
La comparsa di Grete nella vita di Kafka avvenne tramite l’amicizia che la stessa aveva con Felice Bauer, fidanzata dello scrittore, una stenografa e dattilografa che lavorava a Berlino, conosciuta da Kafka nell’agosto del 1912 in casa dei Brod2.
Felice era una donna dal carattere forte, non molto bella, come scrisse lo stesso Kafka nei diari: «naso quasi spezzato, capelli biondi un po’ lisci, mento robusto». Kafka scrisse anche che, al secondo sguardo, si fece un giudizio irreversibile di lei e che quel giudizio gli ispirò il racconto Das Urteil (La Condanna).
L’approccio epistolare con Felice iniziò alla fine di settembre di quell’anno e diede vita ad una feconda corrispondenza tanto che Kafka scrisse per lei duecentocinquantamila parole. Fra i due nacque un sentimento forte, ma così contrastato che, in cinque anni di fidanzamento, vide un susseguirsi di rotture e di rappacificazioni. Il motivo dei contrasti era che Kafka non aveva alcuna intenzione di sposarsi né di avere figli. Nei suoi diari scriveva che l’unico motivo per cui viveva era lo scrivere. Infatti, in una lettera indirizzata a Grete nel giugno del ’14, scrisse: «ognuno si solleva a suo modo dall’abisso, io mediante lo scrivere».
Circa un anno dopo quel tormentato rapporto, il 28 di agosto del 1913, Kafka scrisse una lettera al padre di Felice annunciandogli la rottura del fidanzamento con la figlia e giustificando la sua decisione col convincimento che la vita matrimoniale fosse una vita del tutto monastica.
Si interruppe così la corrispondenza con Felice; la cosa, comunque, gli procurò angoscia poiché le lettere erano motivo di ispirazione per i suoi racconti.
Alla fine di ottobre, improvvisamente e con sorpresa, lo scrittore ricevette due lettere: una di Felice e una dell’amica di Felice, Grete Bloch. La lettera di Felice lo informava che aveva mandato la sua amica Grete per una possibile mediazione; quella di Grete lo informava che lei stessa stava recandosi a Praga da lui per cercare di ricomporre il fidanzamento.
Kafka si aspettava di incontrare una donna zitella e robusta, mentre ai suoi occhi apparve una giovane ragazza ventunenne, sottile e vivace, che spiccò all’ingresso dell’albergo avvolta in una stola di pelliccia.
Grete mise al corrente lo scrittore sui problemi che angustiavano Felice in quel momento e fissò un appuntamento fra i due per il Natale dello stesso anno.
Kafka, dopo il commiato dalla Bloch, decise di incontrarsi con Felice, non a Natale, ma il sabato successivo alla visita di Grete. L’incontro non sortì l’effetto sperato dallo scrittore che, tornato a Praga, scrisse a Grete informandola sull’increscioso incontro con Felice: «Così me ne ripartii da Berlino come un uomo che vi era andato senza averne il diritto». Lo scrittore, nella lettera, usò tutta la sua perizia letteraria per portare dalla sua parte Grete. Subito dopo scrisse anche a Felice che, imperterrita, continuò a non rispondere; la risposta di Grete, al contrario, fu sollecita.
Esasperato per il silenzio di Felice, quattro giorni dopo Natale le inviò una lunga lettera di 40 pagine, in cui fra le tante cose confessò anche l’infedeltà con una ragazza svizzera, a Riva, e dichiarò di essere disponibile al matrimonio. L’appello a Felice fu accorato: «Io ti amo Felice, con tutto quello che in me è umanamente buono, tutto quello che mi rende degno di stare tra i viventi. Se questo non è molto io non sono molto».
Anche questa lettera non ebbe risposta, però Felice scrisse una lettera a Grete in cui definiva lo scrittore «un “poveraccio” che continuava a menare il can per l’aia». Grete girò la lettera a Franz il quale prontamente rispose, promettendo che nulla avrebbe detto a Felice di questo suo gesto.
Il ruolo iniziale di Grete, quindi, fu quello di fare da mediatrice tra Felice e Kafka con il compito di parteggiare per l’amica. Oltre alla lettera, Franz inviò a Grete una copia del romanzo di Ernest Weiss, Galera.
Grete tardò a rispondere e lo scrittore, timoroso di averla offesa e presagendo brutte notizie, otto giorni dopo le scrisse di nuovo. Grete rispose rassicurandolo e questo gesto offrì allo scrittore l’occasione di iniziare una fitta corrispondenza con la stessa, anzi, la invitò ad una corrispondenza più intima, dicendo: «E quando Lei scrive di se stessa non dovrebbe più aggiungere il fatto che questo non può interessarla, Franz».
La corrispondenza si fece sempre più stretta e Grete gli inviò gli estratti delle ultime lettere di Felice. E per tale gesto, Kafka le scrisse: «Lei non agisce male trascrivendomi le frasi delle lettere di Felice, anzi fa benissimo, è molto gentile e intelligente. Brutto non è ciò che Lei fa, brutta è soltanto la situazione nella quale si trova in questo momento tanto per colpa di Felice quanto per colpa mia».
In un’altra lettera egli volle rimuovere il ruolo di Grete come mediatrice e scrisse: «Non voglio più aiuto, voglio soltanto sentire (sempre se Lei lo voglia) un pochino come sta». Esasperato sempre di più per il silenzio di Felice, fece un altro viaggio a Berlino, anche questo senza esito e, ritornato a Praga, scrisse a Grete, inviandole una copia di Das Urteil e mettendola al corrente di una frase di Felice detta in presenza del dottor Weiss: «Sembra che Fraulein Bloch ti interessi moltissimo»; poi aggiunse: «d’altra parte è proprio vero che, se devo una relazione a qualcuno, questo qualcuno è Lei, soltanto Lei. Se in questi due giorni qualcosa mi ha fatto bene, è stato il pensiero di Lei, della sua fidatezza e veridicità». Da questo momento, la corrispondenza tra Grete e Kafka si fece intensa. Lo scrittore prospettò a Grete un incontro a Vienna, per la Pasqua, per visitare la stanza di Grillparzer; che il desiderio di incontrarla fosse forte si evince da alcuni passi delle lettere a lei indirizzate: «In ogni caso se a Pasqua sarò a Praga, dobbiamo vederci o a Praga, o a Vienna o, che sarebbe la cosa migliore, a metà strada nella selva Boema o altrove».
Quando ormai la speranza di una riconciliazione con Felice stava per spegnersi, Kafka ricevette da lei una lettera che permise ai due di fidanzarsi nuovamente e di stabilire la data del matrimonio per il mese di settembre.
Il nuovo stato di cose non impedì però allo scrittore di continuare la corrispondenza con la Bloch e il 23 marzo del ‘14 le si rivolse con queste parole: «Lei è – ora sto dicendo qualcosa di terribilmente stupido, ma il mio modo di dirlo lo è – lei è la creatura più cara e più dolce, la migliore». Al telegramma di congratulazioni che Grete gli aveva inviato per la riconciliazione con Felice, egli rispose che desiderava fortemente tenerle la mano e, poi: «Il mio fidanzamento o matrimonio non fa la minima differenza alla nostra relazione, che, per me almeno è ricca di possibilità amabili cui non posso rinunciare».
Le scriveva tutti i giorni e in una lettera del 15 aprile confessò: «Provo un innegabile desiderio di Lei» e la invitò ad incontrarsi con lui e con Felice.
In questo momento Grete, consapevole della situazione paradossale che si era venuta a creare, richiese indietro le sue lettere che non riebbe; tornò ad insistere, invitando lo scrittore a bruciarle subito dopo il matrimonio, ma Kafka le rispose: «Bene, non sono ancora sposato». Il 21 di aprile ci furono gli annunci ufficiali del fidanzamento e ai primi di maggio Franz invitò Grete a raggiungerlo a Praga, scrivendo: «Non so ancora bene come dirlo, ma spesso mi sembra letteralmente indispensabile avere Lei qui quando Felice farà la sua prima visita a casa mia». La corrispondenza proseguì sempre più intima e Grete gli inviò anche una sua fotografia, Kafka apprezzò il gesto, affermando che questa era stata la cosa più bella tra quelle che lei gli aveva mandato e, nel ringraziare, le fece apprezzamenti lusinghieri, definendola «una donna florida, rembrandtiana, assai meglio di Felice».
La invitò, poi, ad inviare altre foto e le inviò una sua scrivendo: «Non per ricambiare, che sarebbe buffo, ma perché sento di volerlo fare.»
In una lettera dell’8 maggio la informò che, d’accordo con Felice, avevano deciso che lei, Grete, doveva andare ad abitare con loro, per i primi tempi dopo il matrimonio, e, il 25 maggio, le scrisse ancora: «Nella mia relazione con Felice non c’è, cara Fraulein Grete, la più piccola cosa che Lei non abbia diritto di conoscere al pari di Felice».
Grete partecipò alla festa di fidanzamento a Berlino, nella casa dei Bauer, il primo giugno 1914 e Franz, di ritorno a Praga, il 3 giugno le scrisse: «Lei non può sapere che cosa significa per me, ma anche quello che Lei sa deve renderla consapevole che Lei fa per me tutto ciò che un essere umano può fare per un altro in una situazione in cui la comprensione incompleta non limita la portata della sua simpatia per me, e che tutto questo è sempre focalizzato in quello che lei fa, specialmente nel suo sguardo, che ha il suo effetto». Dopo il rinnovato fidanzamento con Felice e nell’approssimarsi la data del matrimonio, in Kafka ritornò l’angoscia e nei suoi diari annotò: «Mi sono sentito legato come un delinquente. Se con catene vere mi avessero messo in un angolo con davanti i gendarmi e mi avessero lasciato guardare soltanto così, non sarebbe stato peggio. E questo fu il mio fidanzamento. E tutti si sforzavano di farmi ridere e, non riuscendoci, di sopportarmi com’ero. Felice meno di tutti con piena giustificazione, perché soffriva più di tutti. Ciò che per gli altri era soltanto spettacolo per lei era minaccia».
L’unico sollievo, in quel momento, fu lo scambio epistolare con Grete e, ripetendo alcune frasi dette a Felice, le scrisse: «Poche righe mi bastano ma di quelle ho veramente bisogno. Due frasi e la sua firma sono sufficienti».
Ronald Hayman nella biografia scrive che se Kafka fu, come Max Brod giunse a credere, il padre di un bambino di Grete Bloch, esso probabilmente venne concepito in quest’epoca.
E Grete, nel 1940, scrivendo al musicista Volfgang Scrocken in merito alla visita fatta alla tomba di Kafka a Praga, ebbe a dire: «era il padre del mio bambino, che quando aveva quasi sette anni morì improvvisamente a Monaco, nel 1921» e continuò, dicendo che aveva dovuto separarsi dal bambino a causa della guerra.
Avvicinandosi la data del matrimonio, Kafka temeva e nello stesso tempo sperava inconsciamente che Grete facesse leggere a Felice le lettere che lui le aveva inviato; dal canto suo le scrisse rassicurandola che non aveva fatto parola a Felice della loro corrispondenza e che mai l’avrebbe fatto. Il 29 giugno, in soli quattro giorni, scrisse a Grete quattro lettere e in una di queste la consigliò di non andare a Berlino il sabato successivo per un incontro che egli avrebbe avuto con Felice. Motivo della decisione fu che Grete aveva letto alcuni passi delle lettere a Felice. Ronald Hayman, in merito, commenta che Kafka restò sconcertato nell’apprendere che Grete aveva letto a Felice passi delle sue lettere: «Il voltafaccia fu improvviso ma non difficile da comprendere se lei era stata ingravidata da Kafka. Né è difficile credere che lei non volesse parlargli della gravidanza». Il giorno 11 luglio Kafka si recò a Berlino e dovette affrontare quello che lui chiamò «una Corte di Giudizio» formata da Felice, Grete, Erna, sorella di Felice, ed Ernest Weiss.
Alcuni passi delle lettere indirizzate a Grete erano stati sottolineati in rosso, segno che in questo incontro dovette essere proprio Grete a leggere ad alta voce i passi alla “Corte di Giudizio”.
Successivamente, nei suoi diari, Kafka scrisse di essersi sentito diabolico, nonostante l’innocenza completa, colpa apparente di Fraulein Bloch. Questo avvenimento lo ispirò poi per la stesura di Der Prozess (Il Processo).
Questo episodio segnò una nuova rottura del fidanzamento con Felice e la fine del rapporto epistolare con Margaret Bloch.
Sarà Grete il 15 ottobre a scrivergli, annunciandogli che c’era ancora la possibilità di matrimonio con Felice. Nella lettera di risposta, lo scrittore disse: «La sua lettera è stata per me una grande sorpresa […] scrive bensì che io La odio, ma non è vero. Anche se tutti dovessero odiarLa non la odio io, e non solo perché non ne ho alcun diritto. E’ vero che nell’Arskanischer Hof è stata mia giudice, una cosa abominevole per Lei, per me, per tutti. Ma era soltanto apparenza, in realtà ero al suo posto e ci sono ancora». Attese con impazienza una risposta e, quando giunse, restò deluso tanto da scrivere nei diari: «Pensieri così volgari che non li posso nemmeno mettere per iscritto». In seguito, ci fu una rappacificazione e il 23 – 24 maggio 1915, Franz, Felice e Grete passarono la Pentecoste in Svizzera insieme.
L’atteggiamento distaccato, ma anche affezionato di Kafka nei confronti di Grete si può evincere da due cartoline indirizzate a Felice. Il 31 agosto del 1916, ai margini di una di queste, scrisse: «Come fa a sopportarlo Fraulein Bloch e che significa ciò per lei?». E in un’altra scritta il giorno seguente: «Le sofferenze di Fraulein Grete mi toccano profondamente, certamente non l’abbandonerai ora come hai fatto sovente, piuttosto incomprensibilmente, in passato. (Posso capire meglio di chiunque altro. Accade spesso che mentre si tenta ad ogni costo di entrare in qualche luogo si è presi per il colletto e accompagnati fuori) in modo direi incomprensibile. Se puoi aiutarla, agisci pure per conto mio». Un po’ sibilline queste parole, ma, stando alla ricerca letteraria, non si trattava di una sofferenza dovuta ad una presunta gravidanza, quanto piuttosto ad una depressione morale che la Bloch stava attraversando.
Per noi sandonatesi Grete entrò in scena nel 1940. Io personalmente anni addietro ho registrato il ricordo che i sandonatesi hanno di Grete e quello che vado a comunicare è un ricordo collettivo.
I sandonatesi che l’hanno conosciuta ricordano molto bene Grete. Di lei mi hanno parlato: Caterina Bartiromo, moglie di Coletti Cesidio Rocco, che la ospitò per un anno; il dottor Vincenzo Tocci, il dottor Auro Massa, l’ufficiale dell’anagrafe comunale Bruno Massa, Laura Fabrizi, Pierina Negrini e il dottor Marco Tenenbaum. Dalle notizie che mi hanno fornito è emerso che Margherita, come tutti la chiamavano qui in paese, era cinquantenne, esile, capelli bianchi, occhi neri scintillanti e inquieti, persona molto colta, dalla viva intelligenza, generosa e, ha aggiunto Marco, alquanto mistica.
Aveva bisogno di parlare, di comunicare con la gente per non sentirsi estranea e, soprattutto, avvertiva la necessità di rendersi utile per non essere di peso alle famiglie che la ospitavano a pranzo o a cena. Mi ha detto Caterina: «Molto spesso rientrava a casa portando frutta e ortaggi di stagione, non so come se li procurasse, Margherita non voleva essere soggetta a noi e si rendeva utile come poteva». Quando a Caterina nacque il primo figlio, Grete, dopo l’esultanza che la stessa Caterina ritenne eccessiva, in pochi minuti riuscì a reperire una scatola di borotalco per l’igiene del bambino, un prodotto di cui a quei tempi forse in paese non si conosceva neanche il nome. Margherita frequentava quasi tutte le famiglie sandonatesi; spesso si recava in casa Paglia per conversare con Enrico e Gabriella Levi, dalla famiglia Carcone che poi la ospitò fino al giorno dell’arresto e presso la famiglia del dottor Guido Massa. «La sera – mi ha riferito Bruno Massa – spesso veniva a casa nostra e parlava con mio padre per ore intere, ma non so di cosa parlassero. Molto probabilmente parlavano anche di Kafka, poiché mio padre aveva una biblioteca di oltre quindicimila volumi fra cui alcune opere dello scrittore. Credo che parlassero anche di concetti filosofico – religiosi; mio padre era un cattolico ed esercitò indubbiamente una forte influenza sulla conversione di Grete al Cattolicesimo. Nel giugno del ‘43, infatti, Grete si fece battezzare nella chiesa di Santa Maria e San Marcello e padrini furono i miei genitori».
Ho chiesto a Marco Tenenbaum se la conversione di Grete fosse stata dettata dalle esigenze del momento o se fosse stata spontanea. Marco mi ha risposto che Margaret era una mistica, assillata da problemi esistenziali e, avendo trovato appagamento nei valori universali del concetto filosofico – religioso, aveva abbracciato volentieri il Cattolicesimo.
Al suo rapido spostarsi tra le famiglie di San Donato, Margherita alternava lunghe e solitarie passeggiate verso il Tracciolino o verso il cimitero, a volte giungendo fino a Gallinaro, dove reperiva gli ortaggi di cui ha parlato Caterina. Con Pierina parlava spesso del suo amore per Kafka e di un figlio avuto da lui, così come ne parlava con il dottor Vincenzo Tocci e con lo stesso Tenenbaum, che mi ha detto con rammarico: «Credevo che parte di quello che diceva fosse frutto della sua estrosa fantasia e dei suoi problemi interiori, e penso anche che qualcuno in paese la giudicasse male, ma era normale che, a quei tempi, gente semplice come i sandonatesi non potesse comprendere il comportamento di una persona vissuta in una capitale come Berlino». Nelle interviste che ho condotto, alcune donne non ne hanno parlato bene e questo solo per il fatto che molto spesso Margherita sedeva davanti ai bar e alle cantine per assistere al gioco delle carte e della ‘passatella’.
Infine l’Olocausto. Il nome di Margaret Bloch non risulta negli elenchi delle vittime di Auschwitz, come ha riferito anche il dottor Auro Massa, ma la sua morte nel campo di sterminio ci è data dalla testimonianza di Rosa Myler, pubblicata dal giornalista Enzo Tortora su “La Nazione” nel 1970: «Ci portarono da San Donato a Fossoli e di qui in vagone piombato ci portarono in Germania. Ci fecero scendere ad una stazione dal nome tragico: Auschwitz. E qui, all’ingresso del campo (eravamo tantissimi) adottarono una tattica curiosa. Facevano entrare i deportati a coppie, Greta Bloch e io eravamo vicine, ci tenevamo per mano. Un tedesco ci smistava. Uno a destra, uno a sinistra. Non c’era un disegno logico; sembrava che volessero semplicemente alloggiarci in baracche lontane l’una dall’altra. Invece, chi andava a sinistra, entrava (come capitò a me, per puro caso) in un baraccamento. Chi andava a destra, finiva subito nelle camere a gas. Alla povera Greta dissero ‘a destra’».
L’iter della storia
Sul finire degli anni ‘60, mi trovavo insieme con altre mie coetanee nello studio dell’abate, don Donato Di Bona, per un incontro di Teologia, quando sentimmo suonare alla porta. La sorella dell’abate aprì e introdusse il giornalista e conduttore televisivo Enzo Tortora. Avevo completato le scuole superiori, ma poco e niente avevo studiato sulla seconda guerra mondiale e tanto meno sull’Olocausto, anche se tra i libri di narrativa che ci scambiavamo fra amici c’era Il diario di Anna Frank. Dal dicembre 1970 al maggio 1984 andai ad abitare proprio in un appartamento sottostante la soffitta di via Napoli e fu in quel periodo che i vicini di casa, i Coletti e i Perrella, mi parlarono degli ebrei che avevano trovato riparo sotto il nostro stesso tetto. Nel 1994, come ho già scritto nel n. 2 di Aprile – Giugno 2006, partecipai all’intervista ai coniugi Tenenbaum; nel 2000 avvenne la conoscenza con Barbara e Peter Koppe, nipoti di Oswald Adler e Trude Glaser, dei quali ho scritto nel n. 3 di Luglio – Settembre 2005. Da ultimo, nel novembre 2002, feci un inaspettato viaggio in Polonia per il Comenius European Education Project con quattro colleghe di scuola. Sostammo a Varsavia, a Cracovia ed, infine, chiedemmo di essere accompagnate ad Auschwitz: per nessun motivo saremmo ripartite dalla Polonia senza prima aver visitato quel luogo che per me rappresentò da subito l’inferno realizzato dall’uomo. In quell’occasione mi vennero alla mente le parole dello scrittore Fred Uhlman: «Piansi come non avevo mai pianto prima di allora e come spero di non piangere mai più. Piansi sulla mia famiglia assassinata, sui miei amici morti, sui miei ricordi inveleniti, sulle migliaia e migliaia di ebrei e cristiani massacrati. Piansi sulla Germania».3
E con la rivisitazione delle storie pubblicate sulla rivista “Studi Cassinati” ho voluto rendere un omaggio memoriale postumo a quanti morirono nei lager nazisti e restituirli alla vita attraverso la forza della scrittura; un omaggio anche a quanti riuscirono a salvarsi e a tutti i sandonatesi che si prodigarono per dare aiuto. Essi sono più numerosi di quelli nominati e realizzarono in tempo di guerra quella che oggi è definita la cultura dell’accoglienza e dell’incontro empatico con l’alterità, condizione fondante per la costruzione della pace tra tutti i popoli della terra.
1 La scheda biografica è stata elaborata dalla lettura dell’epistolario di Kafka e dalla consultazione del testo di Ronald Hayman, Kafka, Milano, Rizzoli 1983.
2 Max Brod, intimo amico di Franz, ebbe un ruolo di grande importanza nella produzione letteraria dello scrittore
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