Studi Cassinati, anno 2006, n. 2
di Antonio Morello
Introduzione.
Qualche tempo fa, studiando alcuni ritrovamenti di monete, mi sono casualmente imbattuto in un elenco riguardante una ‘presunta’ scoperta che F. von Duhn rese nota in una illustre rivista numismatica tedesca del XIX secolo. Nonostante fossi a conoscenza di molti ritrovamenti di monete avvenuti nel basso Lazio questo mi era sconosciuto e considerata l’importanza del ‘presunto’ luogo del ritrovamento esso ha attratto particolarmente la mia attenzione; a ciò si è aggiunto il mio personale interesse verso ogni cosa appartenente alla storia del cassinate nonché il desiderio di dare ampia diffusione ad ogni notizia utile alla ricostruzione delle vicende del passato di questi luoghi. Tutto ciò mi ha indotto pubblicare la traduzione integrale del testo in lingua italiana, con l’aggiunta di questa introduzione unitamente ad alcune note esplicative aggiunte al testo, limitandomi agli argomenti strettamente numismatici.
Le notizie ‘ufficiali’ e ‘registrate’ inerenti i ritrovamenti monetali riguardanti monete così antiche sono molto sporadiche per il basso Lazio. Simili esemplari, unitamente ad altri per epoca e provenienza, si riscontrano nel recente ritrovamento di Casalvieri (Loc. Pescarola); mentre ritrovamenti occasionali e isolati, sempre di monete simili, si riscontrano un po’ ovunque nella nostra zona.
L’interesse di tali ritrovamenti è molteplice: innanzitutto, si viene a conoscenza della circolazione monetale riferita ad un’epoca molto antica e di conseguenza si conosce la situazione economica delle genti di questi luoghi; altre e numerose informazioni di carattere storico, numismatico e archeologico si possono desumere dallo studio di tesoretti come questo, se rinvenuti nell’insieme e se studiati dal momento della scoperta in relazione al contesto e alla località.
La spiegazione per cui questo ritrovamento è stato poco citato nella bibliografia e negli studi specializzati è perché esso non è stato considerato utile a fini scientifici a causa dei dubbi circa l’esatto luogo del ritrovamento e la reale consistenza di esso; a ciò si aggiungono i dubbi espressi dallo stesso von Duhn. Il grande studioso Haeberlin (Aes grave, Francoforte 1910), nel suo censimento di tutte gli aes grave (con questo termine si indicano generalmente le monete ‘pesanti’ in rame, prodotte con il metodo della fusione) conosciuti al suo tempo, fa riferimento a questo ritrovamento ricordando che lo stesso fu citato l’anno prima da W. Helbig nel Bollettino dell’Istituto di Corrispondenza Archeologica (Adunanze dell’Istituto, 1878, p. 129 e segg.). Anche lo studioso danese R. Thomsen (Early Roman coinage, 3 voll., Copenhagen, 1957-61) ha citato nella bibliografia questa nota senza commentarla o utilizzarla a fini di studio.
A parer mio, sebbene la notizia debba essere comunque considerata di secondo piano per quanto riguarda il suo eventuale utilizzo per studi specifici, questo ‘presunto’ ritrovamento non deve essere trattato con troppa superficialità in relazione alla storia dei luoghi dove esso fu sepolto. A tal riguardo ricordo che nel XIX secolo la tutela dei beni culturali in Italia era per la maggior parte prerogativa di privati mecenati o di studiosi e istituti stranieri e le notizie relative ai ritrovamenti, di cose in genere e in particolare di monete, erano comunicate, dai ritrovatori (spesso personaggi che oggi definiremo ‘tombaroli’) a chi poi deteneva tali oggetti per collezione o studio. I collezionisti e quei pochi studiosi annotavano la provenienza dei propri oggetti con molta più facilità e semplicità essendo quasi totalmente assenti le leggi per la tutela dei beni culturali. Pertanto numerose notizie riguardanti quegli oggetti rinvenuti prima del 1909 (anno della prima legge che tutelava in maniera più rigorosa i beni culturali) ci provengono da quelle annotazioni che gli studiosi contemporanei fanno difficoltà ad accettare come fonte primaria per le loro ricerche in quanto, quasi sempre, prive di quei criteri scientifici necessari.
Il ritrovamento in questione merita comunque attenzione e l’averlo ‘riscoperto’ sarà certamente di stimolo per ulteriori approfondimenti da parte di chiunque desideri indagare circa la sua veridicità, cercando, inoltre, di rintracciare le monete che potrebbero essere andate o in collezioni private o in quelle pubbliche, nonché investigare sul bronzetto di Eracle, così ben descritto, del quale von Duhn dice esistere un disegno ‘preso per l’Istituto’. Una indagine presso ciò che rimane degli archivi dell’Istituto di Corrispondenza Archeologica sarà certamente utile al fine di cercare questo disegno: il suo eventuale ritrovamento sarebbe una ‘riscoperta’ molto interessante.
Von Duhn si è lungamente soffermato sulla statuetta che certamente merita grande attenzione e che comunque deve essere messa sullo stesso piano delle monete per quanto riguarda l’importanza: queste ultime possono fornire una datazione intorno alla quale anche la statuetta potrebbe essere stata prodotta e utilizzata, con ogni probabilità, come le monete, a fini votivi. Per chiunque desiderasse approfondire, in generale, l’argomento sui bronzi di Ercole si possono leggere numerosi lavori, abbastanza recenti, tra i quali consiglio G. Colonna, Bronzi votivi umbro sabellici a figura umana, Firenze 1970 e A. Di Niro, Il culto di Ercole tra i Sanniti Pentri e Frentani. Nuove testimonianze, 1977. Sulla storia e l’archeologia del Cassinate è sufficiente rivolgersi presso il Centro Documentazione e Studi Cassinati.
Secondo le recenti proposte di datazione, delle quali sono ormai concordi la maggior parte degli studiosi di numismatica, le monete in questione sono state collocate alla prima metà del III sec. a.C. (o poco dopo), non prima dell’inizio della guerra contro Pirro. Il confronto con altri ritrovamenti simili di cui abbiamo notizia, relativi a contesti e località aventi le peculiarità cultuali simili, nonché l’area geografica interessata dalla recente conquista romana fanno di questo ritrovamento una ulteriore conferma delle molteplici ipotesi di studio che sono al vaglio di numerosi studiosi del settore.
Dall’epoca della pubblicazione di questo ritrovamento gli studi numismatici hanno compiuto enormi progressi. Tuttavia, permangono ancora alcuni dubbi e i contrasti tra alcune scuole di studiosi circa le datazioni non sono ancora sopiti. Comunque, tutti sembrano concordare, ormai, che le monete qui descritte, furono emesse da Roma, per circolare nell’Urbe, nel Lazio e nelle zone limitrofe con preferenza dei mercati del centro-Italia; dunque, i ritrovamenti di aes-grave dell’attuale Lazio meridionale e della Campania settentrionale possono considerarsi abbastanza periferici anche se usuali e rientranti nella normalità. Tra le recenti proposte sulla datazione di queste monete meritano molta attenzione gli studi di L. Pedroni, Ricerche sulla prima monetazione di Roma (Napoli, 1993) e Nuove ricerche sulla prima monetazione di Roma (Napoli, 1996) che a parer mio si avvicinano moltissimo alla realtà; per maggiore comprensione, nelle mie note, riporterò i riferimenti e le datazioni proposte con riferimento al lavoro del Crawford (Roman Republican Coinage, Cambridge 1974) e quelle suggerite dal Pedroni.
Alla traduzione, ben curata da Maria Andreina Ingrid Squadrelli, ho aggiunto qualche mia annotazione personale e i disegni, relativi ai tipi delle monete simili a quelle citate nel ritrovamento, che si possono trovare su R. Garrucci, Monete dell’Italia antica, Roma 1885, in quanto suggestivi e più prossimi come epoca al ritrovamento in questione; questi disegni si riferiscono a monete presenti nell’ex Museo Kirkeriano.
Testo dal tedesco:
Una considerevole scoperta è stata fatta da qualche tempo nei pressi di Monte Cassino: purtroppo non mi sono ancora note informazioni certe sul luogo e sulle circostanze; non so neppure se mi sia capitato sotto gli occhi l’inventario, ho persino motivo di supporre il contrario; tuttavia l’interesse per la stessa appare sufficiente da motivare questa comunicazione, forse completandola del tutto in seguito.
Aes grave:
Triens: Testa di Pallade a sinistra, sopra quattro globetti. R./ Prua di nave volta a destra; sotto, quattro globetti. Marchi-Tessieri, Aes grave Cl. I, Taf. III A, 3 A(A).
6 esemplari tutti abbastanza usati.
Pesi1: 101,50; 97; 90,50; 88; 87,50; 86 g.
Quadrans: Testa di Ercole coperta da pelle di leone n.l.; dietro, tre globetti. R./ Prua di
nave a destra, sotto tre globetti. Marchi-Tessieri, Cl. I, Taf. IIIA, 4 A.(B)
3 esemplari, uno ben conservato e due poco usurati.
Pesi: 70; 69,25; 68 g.
Triens: Fulmine; sia a destra che a sinistra, due globetti. R./ Delfino a destra; sotto, quattro globetti. Marchi-Tessieri, Cl. I, Taf. VI, 3(C).
3 esemplari, uno molto consunti e due meglio conservati.
Pesi: 106; 101; 94 g.
Triens: Fulmine, sia a destra che a sinistra, due globetti. R./ come il dritto. Marchi-Tessieri, Cl. I, Taf. IV, 3.(D)
1 esemplare usato.
Peso: 82,75 g.
Triens: Testa di cavallo, sotto, quattro globetti. R./ come il dritto. Marchi-Tessieri, Cl. I, Taf. IX, 3.(E)
1 esemplare usato.
Peso: 106 g.
Quadrans: Cane a sinistra; sotto, tre globetti. R./ Ruota; nel campo, tre globetti. Marchi-Tessieri, Cl. I, Taf. VIII, 5.(F)
2 esemplari: di forma diversa; uno abbastanza usato.
Pesi: 80,50; 72 g.
Quadrans: Mano destra; tre globetti. R./ Due chicchi di grano tra i quali ci sono tre globetti. Marchi-Tessieri, Cl. I, Taf. VI, 4.(G)
2 esemplari; il secondo un po’ usato.
Peso: 77,75; 73 g.
Quadrans: Mano destra, falcetto, tre globetti. R./ Due chicchi di grano tra i quali tre globetti. Marchi-Tessieri, Cl. I, Taf. VII, 4.(H)
1 esemplare molto bello.
Peso 67,25 g.
Sextans: Conchiglia; sotto, ai lati, due globetti. R./ Caduceo; ai lati, due globetti. Marchi-Tessieri, Cl. I, Taf. VI, 5.(I)
1 esemplare un po’ usato.
Peso 50,75 g.
Insieme ai pezzi di cui sopra è stata rinvenuta la statuetta bronzea di un Eracle giovane, altezza 0,21, fusione piena, della quale è stato preso un disegno per l’Istituto. Il peso del corpo grava sulla gamba destra, mentre la sinistra è posta leggermente di lato, il braccio destro si abbassa liberamente, mentre l’avambraccio si estende in avanti; la mano aperta sembra avere sorretto qualche cosa; il braccio sinistro va un po’ all’indietro, parimenti tuttavia l’avambraccio va in avanti: sopra di lui la pelle di leone, i cui artigli pendono da entrambe le spalle, ricade all’indietro, mentre la parte delle fauci è tirata al di sopra del capo nella nota maniera, che in questo caso corrisponde infatti esattamente alle monete sotto il numero 2; dietro, il panneggio della pelle d’animale è espresso dal disegno marcato, accentuato dai peli; la parte della pelle pendente dal braccio verso il basso come pure la parte anteriore dell’avambraccio sinistro, entrambi attualmente mancanti, erano fissate in modo particolare con perni bronzei tuttora conservati. La figura indossa oltre alla pelle anche una tunica priva di maniche, così corta da non celare completamente neppure il pube e, al di sopra di questa, una corazza senza decorazioni. I capelli sono corti e, sul davanti, nella misura in cui spuntano sotto la cappa del leone, tirati sul viso; la fronte è piccola e divisa, gli occhi grandi e con la pupilla definita. Il naso sporge con lievissima angolazione; la bocca è ben chiusa,il mento molto grande, il viso è ovale, piuttosto severo, teso nei tratti. Il capo è volto lievemente a sinistra. Che i piedi fossero attaccati ad una qualche base, è indicato da piccoli punti di frattura sotto le suole completamente piatte in ogni altra loro parte.
Il lavoro non è brutto e si conserva abbastanza bene; lo collocherei, fin dove giungono i nostri punti di raffronto, non prima della metà del 3° secolo a.C.
La cosa più straordinaria in questa statuetta, e che più salta agli occhi di tutti quelli che ebbero occasione di vederla, è la completa corrispondenza, non solo nell’aspetto esteriore e nella patina, ma anche nella natura e nel lavoro, con i pezzi dell’Aes grave, specialmente con quelli sotto il numero 2, che immediatamente si prestano ad una comparazione. La somiglianza è così grande, che i critici competenti hanno subito dedotto l’identità del luogo di fabbrica.
La statuetta non ci rappresenta l’abituale tipo dell’Eracle: come il lavoro, specialmente della pelle del leone, così pure il costume insolito ci indicano che abbiamo davanti a noi un prodotto di culto locale. Tunica e corazza costituiscono un’aggiunta individuale, non possiamo sapere se per accostamento a più antiche opere greche (Eracle così appare nelle raffigurazioni vascolari di stile rigoroso). In ogni caso un simile accostamento non avvenne direttamente, poiché anche nella nostra statuina è manifesto il radicale cambiamento che il periodo, recante dal punto di vista artistico quale segno distintivo il nome di Lysippos, introdusse nella concezione della figura umana. Può essere un caso che finora in Italia io non mi sia imbattuto in altre raffigurazioni di Eracle in questa foggia: a dire il vero ne ho cercate inutilmente nelle collezioni di Roma e di Napoli e pertanto mi credo autorizzato a concludere, che l’ambito nel quale dobbiamo cercare l’origine della nostra statuetta è un ambito molto ristretto. La medesima è stata rinvenuta nei pressi di Cassino e mostra tutte le peculiarità che sono solite mostrare statuette votive di questo tipo: con ogni probabilità la fabbricazione avvenne nei pressi del ritrovamento.
A Cassino v’era un tempio di Eracle, del quale ci reca testimonianza un’acquasantiera, che si trova ancora oggi nella cattedrale di S. Germano: C.I. N. 4222- Inoltre di Cassino conosciamo dediche a Lari e Penati, a Cerere e a Venere, a dee e imperatori. Della vicina Interamna, distinta dalla città del Piceno dal soprannome Casinas (Liv. IX, 28, 8) il culto di Eracle è l’unico a noi testimoniato (C.I. N. 4196); nella ugualmente limitrofa Aquinum i cultores Herculis Victoris avevano il loro luogo di sepoltura, conformemente a C.I. N. 4314, e al Victor ben si adatta l’Hercules Pacifer Invictus Sanctus, ibidem 4313. Da Sora, nella stessa Valle del Liri, viene la nota benedizione saturnia della decuma a Eracle (4495); anche a Venafrum il culto di Eracle assunse una grande importanza (4609, 4610), accanto al culto, testimoniato anche da Aquinum e da Minturnae, della Bona Dea, quest’ultimo certamente solo il nome latino di un culto della passata età latina per la divinità Campana e Osca degli Inferi , da poco allora emersa in gradita luce. Più a Nord della terra degli Ernici e più a Sud presso i Sidicini e i Campani, per quanto ci è dato di vedere nelle iscrizioni votive, il culto di Eracle scemò visibilmente: credo che possiamo concludere, che la nostra statuina con i relativi pezzi aes grave ha formato una parte di una stipe sacra nel tempio di Eracle a Casinum; se lo strano costume della statua ci autorizza a trasportare il soprannome di Victor da Aquino anche a Cassino, ciò lo lasciamo più prudentemente in sospeso come pure lasciamo in sospeso il motivo da esso forse deducibile di una simile dedica in funzione di decima dopo un’impresa bellica, come quel Sorano la consacrò: qui si potrebbe certamente spiegare la comparsa delle monete nel modo migliore.
La maggior parte delle monete (Nr.3-9) fa parte di quelle serie che Friedlaender nella rivista viennese di numismatica 1869 pag. 260-264 (Wiener numis. Zeitschrift 1869 S. 260-264) ha assegnato con altissima probabilità alla Campania(L); se anche non etnologicamente, Cassino però geograficamente faceva parte di questo scenario e la comparsa di quel denaro a Cassino è molto meno vistosa che nelle aquae Apollinares, tanto più distanti dalla Campania. Gli esemplari delle serie romane riuniti sotto i numeri 1 e 2 potrebbero ritenersi come semplicemente portati dal Nord, se quella appariscente somiglianza alla statuina di bronzo sopra descritta non ci obbligasse ad essere prudenti con tale conclusione. La vicina Interamna dal 312 a.C. fu colonia romana e naturalmente necessitava di denaro romano. Devo lasciare decidere ai numismatici, se i quadrantes rinvenuti a Cassino – e quindi anche i trientes – non possano essere stati fusi colà: contro l’ulteriore deduzione, che la statuetta di bronzo sia uscita dalla stessa fonderia di Interamna, difficilmente si può sollevare un’obiezione. Forse questa scoperta ci può servire come pietra miliare per stabilire il percorso che gli archetipi del romano Aes-grave hanno preso da Sud a Nord: poiché non è certo in discussione la questione di quale dei due sia più antico, se l’Eracle della Valle del Liri, il quale deve originariamente la sua espressione artistica per certo a fabbri campani, oppure i quadranti con la testa di Eracle nel sistema romano della libbra.
(*) Questo articolo è stato pubblicato in lingua tedesca con il titolo ‘Münzfund bei Monte Cassino’ in Zeitschrift für Numismatik, Berlin 1879, pp. 69-74. L’introduzione iniziale e le note contrassegnate con le lettere alfabetiche sono state curate da Antonio Morello. Traduzione dal tedesco a cura di Maria Andreina Ingrid Squadrelli, trascrizione di Guido Vettese, soci del CDSC onlus.
(A) Sia questo nominale che quello descritto al n. 2, fanno parte della serie basata sullo standard di peso dell’asse di 272 g. circa, la cosiddetta serie semilibrale. Il Triens, ovvero 4 once, equivale a 1/3 dell’asse (unità principale di riferimento) e il Quadrans, ovvero 3 once, valeva 1/4 dell’asse; l’asse valeva 12 once, secondo il sistema romano. I tipi recanti al dritto la testa di una divinità e al rovescio la prua di nave sono abbastanza comuni per questa serie. Gli esemplari raffigurati nel disegno (1) Garrucci, Tav. XXVIII, 4, (2) Garrucci, Tav. XXIX, 1, sono simili a quelli del ritrovamento. Molti disegni e descrizioni di queste monete con i tipi divinità/prora si possono trovare in d’Ailly mentre il catalogo e corpus più completo sino ad oggi elaborato è dell’Haeberlin (Aes grave, Frankfurt-am-Main, 1910). L’Haeberlin descrive i trienti di questo ritrovamento nel suo elenco, rispettivamente ai nn. 24 (p. 41), 61, (p. 42), 168, 222, 233, 257 (p. 43). I tipi Divinità/Prora recano al dritto una divinità diversa per ciascun nominale così come segue: asse (I) = Giano, semisse (S) = Saturno, triente (llll) = Minerva, quadrante (lll) = Ercole, sestante (ll) = Mercurio, oncia (l) = Roma. La prua di nave deve essere messa in relazione alla prima guerra punica, probabilmente a seguito della vittoria contro i Cartaginesi da parte di C. Duilio nel 260 a.C.; da allora Roma divenne una potenza marittima di primo ordine e fece di questo potere militare lo strumento per la conquista del Mediterraneo. Questa serie è datata dal Crawford 35/3a e 4 (225-217 a.C.), Pedroni (258 a.C.).
1 Le dichiarazioni dei pesi li devo agli appunti del gentile Dr. Klügmann [questa annotazione è del von Duhn].
(B) L’Haeberlin descrive i quadranti con la prora di questo ritrovamento nel suo elenco, rispettivamente ai nn. 78, 96, 122 (p. 46). Vedi nota (A).
(C) In passato si era pensato che la serie Divinità/prora, basata su un asse di 272 g., era la più antica emissione di aes grave romani. Ormai è abbastanza accettato che le prime emissioni di aes grave sono da considerarsi generalmente quelle monete che recano altri tipi. Il tipo qui descritto è simile a quello disegnato nel (3) Garrucci, tav. XXXVII, 3 e fa parte della serie cosiddetta Giano/Mercurio (dai tipi raffigurati sull’asse) ed è basata su un asse avente uno standard di 327 g. L’Haeberlin descrive gli esemplari di questo ritrovamento nel suo elenco, rispettivamente ai nn. 77, 115 (p. 96), 145 (p. 97). La serie di cui fa parte questa moneta è stata datata dal Crawford 14/3 (280-276 a.C.), Pedroni (275 a.C.).
(D) Questo tipo è abbastanza raro, tanto è vero che il Garrucci riporta solo quello recante in aggiunta il simbolo della clava da cui il disegno è tratto da (4) Garrucci, Tav. XXV, 3. Dal censimento dell’Haeberlin si conoscono sino ad ora 39 esemplari, tra essi è elencato anche questo di ‘Monte Cassino’ al n. 26 (p. 65). La serie di cui fa parte questa moneta, denominata Roma/Roma dai tipi raffigurati nell’asse (standard di peso di 300 g. circa), è stata datata dal Crawford 21/3 (269-266 a.C.), Pedroni (272 a.C.).
(E) Il disegno di questo tipo è riportato nel (5) Garrucci, Tav. XXXIV, 3. L’Haeberlin censisce questo esemplare al n. 78 (p. 86). La serie di cui fa parte questa moneta, denominata Apollo/Apollo dai tipi raffigurati nell’asse (standard di peso di 340 g. circa), è stata datata dal Crawford 18/3 (275-270 a.C.), Pedroni (282? a.C.).
(F) Il disegno di questo tipo è riportato nel (6) Garrucci, Tav. XL, 3. L’Haeberlin censisce questi due esemplari ai nn. 2, 15 (p. 61). La serie di cui fa parte questa moneta, denominata della ruota dai tipi raffigurati al rovescio di tutti i nominali (standard di peso di 272 g. circa), è stata datata dal Crawford 24/6a (265-242 a.C.), Pedroni (252 a.C.).
(G) Il disegno di questo tipo è riportato nel (7) Garrucci, Tav. XXXVII, 4. L’Haeberlin censisce questi due esemplari ai nn. 91, 119 (p. 77). La serie di cui fa parte questa moneta, denominata Giano/Mercurio, come il n. 3 è stata datata dal Crawford 14/4 (280-276 a.C.), Pedroni (275 a.C.).
(H) Il disegno di questo tipo è riportato nel (8) Garrucci, Tav. XXXVI, 4. L’Haeberlin censisce questo esemplare al n. 35 (p. 78). La serie si cui fa parte questa moneta, denominata Giano/Mercurio e falcetto il cui asse è basato su uno standard di circa 300 g., è stata datata dal Crawford 25/7 (241-235 a.C.), Pedroni (269 a.C.).
(I) Il disegno di questo tipo è riportato nel (9) Garrucci, Tav. XXXVII, 5. L’Haeberlin censisce questo esemplare al n. 153 (p. 99). La serie di cui fa parte questa moneta, denominata Giano/Mercurio, come il n. 3 e il n. 7 è stata datata dal Crawford 14/5 (280-276 a.C.), Pedroni (275 a.C.).
2 C.I.L. 5160 – n.d.r.
(L) Gli studiosi contemporanei sono concordi di assegnare queste serie come emesse da Roma.
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