Domenico Coia detto Centrillo-Cronaca di un atto di brigantaggio

 

Studi Cassinati, anno 2005, n. 3

di Roberto Pozzo

“11 Gennaio 1861 Relazione sul brigantaggio di Domenico Coja alias Centrillo Don Luigi Marzullo cancelliere di Castellone”
La vasta area che comprende la Catena delle Mainarde, i Monti della Meta e le circostanti valli dell’Alto Volturno, dell’Alto Sangro e l’attuale basso frusinate, fu teatro nel decennio 1860-1870 delle gesta di numerose bande di briganti. Il fenomeno del brigantaggio che nelle epoche precedenti aveva imperversato nel Regno delle Due Sicilie con caratteristiche e motivazioni complesse, assunse nei primi anni del ‘860 connotazioni politiche e in quel territorio sopravvisse ancora per diversi anni rispetto ad altre zone dell’ex Regno.
La capacità di resistere più che altrove alla feroce repressione scatenata nei suoi confronti, (che impegnò ingenti forze del neo Esercito Italiano)1, puó essere ricondotta soprattutto a due motivi: la vicinanza con la frontiera dello Stato Pontificio nel quale le bande potevano trascorrere in sicurezza i mesi invernali e agevolmente riparare per sfuggire alla caccia delle truppe sabaude; la possibilità di sostentamento che nel periodo estivo trovavano presso gli stazzi dei pastori, spesso conniventi, che utilizzavano i pascoli di alta montagna per le loro greggi.
Domenico Fuoco e Luigi Alonzi da Sora (quest’ultimo detto Memmo O’ Chiavone), Croce di Tola (detto Crocitto per la sua statura che non superava il metro e quaranta centimetri), Nunzio Tamburrini originario di Roccaraso, Domenico Coia da Castelnuovo (detto Centrillo), sono soltanto alcuni dei nomi dei più famosi capobanda.
A proposito di Centrillo, protagonista del fatto di brigantaggio di cui si riporta la cronaca, nato a Castelnuovo al Volturno (IS) ma vissuto a Cardito (frazione di Vallerotonda) si legge:
“… fu un capobanda animosissimo ed operoso, molto ardito nelle sue operazioni, amante dei colpi strepitosi ed inaspettati, marciatore indefesso o manovratore espertissimo; tenne in continua lena le truppe, scorazzò le Mainarde, e tutta quella catena di asprissime montagne che da Sora ad Arce si stende a San Germano e Isernia. Arrecò danni ai popoli senza però aver mai versato sangue per truculenza d’animo e ferocia di carattere, anzi fu buono il più delle volte, e nel disarmo di Vallerotonda invadendo il corpo di guardia della Nazionale Milizia salutò rispettosamente l’immagine del Re d’Italia Vittorio Emanuele II.
Egli fu pure soldato borbonico e della peggior specie che vi sia, indomabile, insofferente di ogni più mite disciplina; venne condannato a più anni di carcere per atti riprovevoli d’indisciplina e per recidiva diserzione.
Appena sorsero le turbolenze politiche, che ridussero alla fuga la dinastia Borbonica, per far posto al Governo costituzionale del Re italiano, raccolse quanti ribaldi di sua specie trovò a sua mano, e si diede con efferatezza al brigantaggio, ricattando, devastando, incendiando poderi, ville e masserie.
Era piccolo e snello della persona, svelto, con viso mobile e vivace, piacevole, brunetto con pizzo e baffetti nericcioli.
Fu nel suo genere un buon capobanda, poiché mise sui fianchi la truppa senza cader mai nei tranelli tesigli, e lasciando sempre la peggio a coloro che s’incocciavano d’impadronirsene. Fu un ladro di buona stampa, un gran malfattore se si vuole, non un assassino”.2
Nel crepuscolo del Regno delle Due Sicilie, si distinse nella difesa della fortezza di Civitella del Tronto, coadiuvando dall’esterno la guarnigione borbonica che capitolerà solamente il 20 marzo 1861, tre giorni dopo la proclamazione del Regno d’Italia.
Venne arrestato a Roma dalla Gendarmeria francese, consegnato al Governo italiano e processato a Cassino, dove con sentenza del 20 ottobre 1865 fu assolto insieme ad altri suoi compagni.
L’incursione di Centrillo dell’11 gennaio 1861 in Castellone è citata in molte opere che trattano del fenomeno del brigantaggio. Quanto segue è la trascrizione di una relazione il cui originale3 è stato rinvenuto alcuni anni orsono a Castellone4 tra le carte di famiglia del Sig. Alessandro Marzullo, il cui antenato Luigi Marzullo, estensore della relazione, venne coinvolto suo malgrado nell’avvenimento di cui fa il racconto in terza persona.

“Fatto istorico dell’avvenimento del brigandaggio della comittiva di Domenico Coja alias Centrillo di Castelnuovo avvenuta la sera del 11 Gennaio 1861 in Castellone”
“Verso le ore 225 e mezzo, mentre Don Luigi Marzullo stava raccogliendo le olive in un suo fondo, luogo detto “Le Rie”, intese tre colpi di fucili verso la strada che conduce a Castelnuovo, lo stesso argomentò che i 70 garibaldini6 e Guardie Nazionali7 che erano andati ad arrestare la comittiva avendo riusciti a prenderli facevano feste, per allegrezza, e mentre ciò pensava intese il tamburro di ritirata e campane chiamando all’arme. Allora fu che lo stesso se ne ritornò in paese e via facendo incontrò Don Alessandro Martino che se ne fuggiva, il custode delle prigioni e il Soprastante D. Leonardo Matia quale gli disse perché se ne fuggivano e non si prendevano le armi per discacciarli. Giunto in sua casa si trovò la stessa chiusa senza nessuno di famiglia, mentre i due suoi ragazzi per timore se ne fuggirono in casa di Don Domenico Martino, veduto che i ragazzi colà stavano scese, allora fu che il Sig. Marzullo se ne salì in San Vincenzo per assicurarsi del tutto ed infatti uscito fuori l’abitato di S. Vincenzo vidde che la comittiva si era situata sopra una collina e colà tiravano dei colpi, vi erano i 70 Garibaldini e varie Guardie Nazionali, in vista di ciò pensò di andarsi anche lui ad armarsi ed infatti si ritirò in casa e presosi della munizione e fucile uscì di casa per non far entrare il nemico.
In questo frattempo vide tutti fuggire Guardia Nazionale, Garibaldini, e molti galantuomini dicendo che già erano entrati nel paese (bel coraggio) chi prese la parte di Cerro, chi per Castel di Sangro, e altri per le masserie e pagliaie, ed il Marzullo restò solo in sua casa, il Giudice e famiglia che nel quarto superiore abitavano se ne fuggirono, intanto dopo aver chiuse ben bene tutte le porte si pose in guardia in una saettina8 che guardava il portone di entrata infatti dopo un quarto di ore vide passare una ventina di persone tutte armate che si portavano alle prigioni, e con forti colpi di accetta scassinavano la porta e fecero uscire i carcerati suoi compagni, eseguito tutto ciò si ritrocederono indietro gridando che ognuno fossero cacciati i lumi dalle loro finestre, e si recarono dritto all’abitazione del Sig. Marzullo per rinvenire il Giudice. Ivi giunti bussarono il portone ed il Sig. Marzullo che esso solo esisteva la dentro non sapeva che farsi, voleva incominciare a far fuoco ma che n’era di esso mentre aveva molta munizione ma sol un fucile e molte porte di entrata, se aveva della altre persone armate sarebbero stati tutti uccisi mentre vi erano da cinque saettine per poter far fuoco (che far poteva lo sventurato solo) replicato a bussare il portone cercavano di scassinarlo, allora fu che il Marzullo cercò di togliersi le armi e munizioni d’addosso gittandoli dentro un forno (che non se ne avviddero) e così pensò di andare ad aprirgli che già avevano incominciato lo scassinamento, succeduto l’apertura di esso chi lo prese per la gola chi col tirino(?) del fucile lo percotevano, e così sempre toccando lo condussero sopra la sua casa ove vi era il lume, ed ivi giunto lo posero di spalle su di un muro, uno d’Isernia la impugnò una pistola sopra l’occhio sinistro un altro poi gli tirò con la bocca della canna della pistola un colpo sulla zinna sinistra ed un altro, con il capo dell’accetta se lo calò sulla spalla sinistra chiedendogli ducati mille, arme, e munizioni, il Sig. Marzullo di risposta gli disse, circa i ducati mille gli dava tutto il permesso di perquisire la sua casa se gli rinvenivano che se li fossero presi, quali non aveva altro che pochi carlini, come pure quella munizione che aveva che l’avrebbe consegnata, in questo frattempo sopraggiunse il detenuto suo compare scarcerato Mattia …9 che gli accertò l’esposto fatto ed allora dissero ben dateci ciò che avete, andato in un luogo ove esistevano due pezze in argento e carlini dodici e giare quattro in rame, e due mazza di cartucce gli si consegnarono, e mentre questa operazione si stava facendo sopragiunse Centrillo bestemmiando dicendo perché non ancora avevano posto fuoco alla casa del Giudice (tutt’arte mentre lo stesso era conosciuto dal Marzullo e mandò prima quei d’Isernia per farlo rovinare), intanto chiamò quel che aveva l’accetta ed incominciarono a scassare la porta di entrata del quarto del Giudice (e così venne liberato il fucile del Marzullo), scassatosi detta porta se ne salirono tutti sopra, quasi 30 persone tutti armati e colà sentivate dei forti colpi di accetta, dopo pochi minuti venne avvisato da uno scarcerato che taluni di essi stavano ponendo fuoco ai carboni del Giudice allora fu che con tutto il dolore al fianco e spalla si recò sopra esso Marzullo e vidde che sopra dei carboni esistevano molte carte accese per far accendere i carboni ed incominciato a piangere ed esclamare pietà misericordia, facendo conoscere che la casa non era del Giudice bensì di esso, per cui ciò facendo esso se ne andava elemosinando, alle forte grida alcuni cessarono di ciò fare e intanto lasciò detto che se volevano ciò fare lo fossero più presto ucciso ed uno di essi lo afferrò pel braccio e lo sbilangiarono che se non era per un parapetto se ne avrebbe caduto per le scale ricadutosene sotto si gittò sopra una sedia, la casa era senza lume per averselo loro portato e mentre colà era gittato intese dire da uno di essi voi andatevene a San Vincenzo e portate questa robba nella casa di Antonio Gualano e ritornate subito infatti calarono tre persone, tutte cariche e dopo lo spazio di tre ore circa se ne ricalarono, e passando nella porta che esso Marzullo fu chiamato e gli disse Centrillo Don Luigi questa volta ti è venuta buona ditemi dove è andato questo coglione di Giudice, quale gli fu risposto non saperlo, intanto non lo ricevete più in casa, mentre noi fra giorni ci ritorneremo fate trovare aperto il portone altrimenti anche tu passerai male, e digli che se gli è venuta buona mo non gli verrà buona in appresso esso o vuole o non vuole nelle mie mani dovrà capitare esso diunito con gli altri, e se ne andarono giunto sotto il portone, invitò tutti a salir sopra a finir di fare il saccheggio, e disse figlioli salite tutti e se Don Luigi chiuderà il portone venitemelo a dire mentre ci penserò io poi, e così incominciarono a salire.
Avendosi accorto il Sig. Marzullo che la comittiva si era recata nella casa di Don Domenico Martino e colà esistevano due suoi ragazzi pensò bene di andarlo a prendergli per non farli mettere timore, e mentre colà andava sotto il portone del Martino s’incontra con Centrillo e Don Giovanni Padula10 che uscivano da di casa quale lo stesso gli domandò cosa andava facendo e gli fu risposto che andava a riprendere due suoi ragazzi e ciò non credendo diede ordine ad uno di essi che mi fossi trattenuto, mentre ciò non era vero.”
Com’è detto nella nota 3, il documento ci è pervenuto in buone condizioni. È composto da due bifogli (cuciti con uno spago) dei quali risultano compilate le prime quattro pagine, sino al margine inferiore. L’ultima frase è chiusa dal punto.
Tuttavia, non è da escludere che la relazione non sia completa e che sia mancante del bifoglio centrale. L’ipotesi deriva dal fatto che dopo l’incursione dell’11 gennaio, il paese rimase per due giorni in balia dei briganti e, come riportato dal Molfese, Centrillo “bandì una leva per i Borboni, a cui molti paesani aderirono. Venne poi respinto dai Cacciatori del Vesuvio e da una compagnia del 32° bersaglieri.”11
Pare perciò strano che il Marzullo abbia omesso tali rilevanti notizie.


1 “La repressione del brigantaggio assunse i contorni di un vero e proprio conflitto che vide impegnati tra il 1861 ed il 1865 ben 120.000 soldati, a cui si aggiunsero ingenti forze di polizia e migliaia di volontari inquadrati nella Guardia Nazionale” A. Pantaleo, Il brigantaggio nell’Abruzzo Peligno e nell’Alto Sangro 1860-1870, Prefazione, L. Torres, Ed. Majell.
2 8 Saettine: feritoie presenti sui portoni di molte abitazioni, angolate in modo da consentire dall’interno il controllo dell’entrata e dalle quali in caso di necessità si poteva far fuoco su chi tentava di entrare con la forza.
9 Il cognome di questo brigante non doveva essere conosciuto dal Marzullo, che fa seguire il nome da puntini di sospensione
10 Don Giovanni Padula che, come traspare dal racconto pare essere in buoni rapporti con i briganti, apparteneva a una famiglia che con quella dei Martino e poche altre costituivano la classe dei notabili di Castellone. Tra i componenti della famiglia Padula si annoverano diversi notai e pubblici funzionari del Regno delle Due Sicilie, in particolare uno di essi, Zaccaria Padula, Consigliere della Corte Suprema di Giustizia di Napoli, venne nominato Governatore di Fornelli (IS) nel corso delle vicende che seguirono al disastroso terremoto che colpì il Molise nel 1805.
11 F. Molfese, Storia del brigantaggio dopo l’Unità, Feltrinelli 1979, pag. 53. A. Bianco di S. Jorioz, Il brigantaggio alla frontiera pontificia, pag. 66-67, A. Polla Ed.
3 Il documento è ben conservato. Solo la parte inferiore è leggermente danneggiata ma le poche parole che risultano incomplete in quel punto, sono comunque interpretabili correttamente.
4 Castellone al Volturno, posto ai piedi del versante molisano della catena delle Mainarde, già comune autonomo a capo dell’omonimo mandamento, divenne Castel San Vincenzo (IS) nel 1928 in seguito all’unione con il limitrofo Comune di San Vincenzo al Volturno.
5 Ancora oggi, localmente, con l’espressione: “vendun ora” si indica il momento della giornata collegato col calar del sole, in cui si dava termine al lavoro nei campi. Per cui, considerato il periodo in cui si svolgono i fatti, le ore 22 e mezzo, indicate dal Marzullo, corrispondono, verosimilmente, alle ore 17/18.
6 A. Pagano, a pag. 151 nella sua opera Due Sicilie 1830/1880, Capone Editore, cita l’avvenimento precisando che i Garibaldini presenti a Castellone appartenevano alla formazione “Cacciatori del Vesuvio”, a proposito dei quali F. Colitto in Patriottismo e reazione nel Molise durante l’epoca garibaldina, “Almanacco del Molise” 1984 pag. 103 Ed. Enne, riporta: “I Cacciatori il cui cappellano era il Canonico La Ricca, erano male armati, ma pieni di entusiasmo e di amor di Patria e tanto bastava”.
7 Guardie Nazionali: erano milizie costituite in prevalenza da paesani volontari, o in difetto di questi, da paesani idonei reclutati d’autorità, con obbligo della ferma di due anni. Gli ufficiali erano di nomina regia. Le condizioni di armamento, come la disciplina, erano spesso scadenti. Interessanti sono le numerose istanze conservate presso l’archivio comunale di Castel San Vincenzo, con le quali paesani appartenenti alla Guardia Nazionale, con argomentazioni quasi sempre inconsistenti, chiedevano di essere esentati dal servizio.

(532 Visualizzazioni)