Studi Cassinati, anno 2005, n. 3
di Francesco De Napoli
Va sottolineato, innanzitutto, come la stampa nazionale – come pure quella locale, attenta ad episodi di cronaca spicciola spesso privi di significato – quasi nessuno spazio sia solita riservare all’analisi dei basilari fenomeni che avvengono all’interno del microcosmo del tessuto sociale e civile. Mi riferisco a ricerche e indagini conoscitive attraverso le quali tentare una “lettura” periodica, seria e ragionata, delle problematiche sociali, culturali e politiche dei diversi ambiti territoriali.
Un ruolo assolutamente determinante in negativo è stato svolto, a partire dagli ultimi decenni del XX Secolo, dai media, i quali hanno imposto e continuano ad imporre nell’opinione pubblica – soprattutto fra le classi popolari più ingenue e indifese – dei micidiali modelli qualunquistici, altamente diseducativi. Lo stile di vita a cui tutti, bene o male, facciamo oggi riferimento corrisponde ad una pretesa di smaccata agiatezza imprescindibile da una concezione, egoisticamente provocatoria, di prevaricazione delle ragioni del prossimo. Esempio: se la pubblicità televisiva mostra, fino all’esasperazione, un tizio che sfreccia con aria sprezzante sull’automobile ultimo tipo, al cittadino comune mai verrebbe in mente di acquistare tale prodotto senza, per l’appunto, gioire intimamente nell’esibire un analogo atteggiamento di esclusiva e raggiante (leggi “demenziale”) beatitudine …
Francesco P. Cerase e Fiammetta Mignella Calvosa avevano posto l’accento, nella importante ricerca “La piccola borghesia” (in Continuità e mutamento. Classi, economie e culture a Roma e nel Lazio, 1930-1980, Milano, Teti, 1981), sul ruolo svolto dalla piccola borghesia impiegatizia nel Lazio Meridionale, “tra espansione parassitaria e nuova funzionalità”, evidenziando in particolare la “subalternità culturale e politica di vasti settori” dei ceti medio-bassi: ma non è che professionisti e insegnanti si siano particolarmente distinti per pubbliche benemerenze.
Nella medio-alta borghesia dei locali parvenus – da cui è prodotta la classe intellettuale e dirigente – si verifica un analogo fenomeno di omologazione culturale: uomini e donne “in carriera” – avvocati, medici, ingegneri e professionisti in genere – pur essendo “gli uni contro gli altri armati”, si comportano tutti esattamente alla stessa maniera, aspirano agli stessi obiettivi, adoperano lo stesso linguaggio arrembante e vuoto, squallidamente e ridicolmente snob…
L’Università Statale degli Studi, che a Cassino potrebbe – e dovrebbe – assestare uno scossone decisivo in direzione di un sostanziale rinnovamento socio-culturale, pare rassegnata a svolgere una funzione marginale per una lunga serie di motivi. Innanzitutto, la maggior parte dei docenti è composta da “pendolari” residenti a Roma, a Napoli o in altre località. Giocoforza lontani o estranei alle vicende del posto, essi non sono rimasti tuttavia insensibili a tali questioni, anzi: il caro amico Prof. Alfredo Barbina, ex-docente della Facoltà di Lettere, mi confidò sconsolato: “Questa città proprio non riesco a capirla!”. Talune diatribe/rivalità esistenti fra Comune e Università, dovute ad irrisolte pendenze di natura giuridico-logistica, insieme con ingiustificate mire di leadership territoriale, hanno impedito la fattiva e necessaria cooperazione fra i diversi enti. In tal modo, l’Ateneo Cassinate ha rischiato per lunghi anni uno “sradicamento” dalla realtà locale: oscillando tra luci ed ombre, agli occhi dell’uomo della strada è apparso – ingiustamente – come un esamificio specializzato nell’assecondare i sogni piccolo-borghesi delle famiglie, desiderose di vedere i propri figli laureati e “sistemati”, invidiati e “rispettati”.
Altro insolubile “mistero” riguarda le “boicottate” manifestazioni culturali e ricreative – e finanche le sporadiche attività sportive – a meno che non ricorrano le festività patronali con le esibizioni di piazza di ”urlatori” e “veline” … Perché mai molte delle iniziative varate dall’Università, dall’Assessorato alla Cultura e da singole associazioni tendono a passare in sordina, o comunque vengono accolte e archiviate senza la dovuta attenzione?
Benché ricca di scuole di ogni ordine e grado, con migliaia di docenti e decine di migliaia di studenti, la vita culturale risente della concezione utilitaristica dominante: il sapere inteso come mezzo e non come fine. Conseguire il sospirato “pezzo di carta” per realizzarsi professionalmente e fare soldi nel più breve tempo possibile …
Nel 1995, nell’ambito delle iniziative varate dal neonato Istituto per le ricerche sociali “Antonio Labriola” – fondato da chi scrive – fu realizzata un’indagine conoscitiva sulla realtà culturale del Lazio Meridionale. Non si poté fare a meno di sottolineare, ancora una volta, la pressoché totale mancanza di “presa sull’opinione pubblica” in occasione delle manifestazioni culturali e socio-ricreative bandite in ambito territoriale a partire dagli anni Settanta. Ribadisco oggi ciò che ebbi a scrivere:
“Ad un osservatore attento, già allora non poteva sfuggire un increscioso fenomeno: l’indifferenza da parte della cittadinanza nei confronti di proposte culturali che forse precorrevano i tempi. In ciò vanno ricercate le cause principali dell’arresto di ogni iniziativa culturale negli anni immediatamente successivi. […] Si avverte sempre più l’esigenza di rivitalizzare e far riemergere l’associazionismo culturale autoctono, come espressione diretta di fermenti vitali indifferibili.”
Chiassosa e sciatta, una parte considerevole della popolazione ama bivaccare da mane a sera negli innumerevoli bar della Città Martire: ce n’è uno ogni dieci metri, almeno uno sotto ogni palazzo, tutti superaffollati, superaffumicati, qualunquisticamente votati agli infuocati bisticci su donne, canzoni e pallone …
È quanto aveva onestamente denunciato Alfredo Martini: col trascorrere degli anni, nulla sembra mutato. Leggiamo: “È all’interno di situazioni così pesantemente oppressive, e in assenza di attrezzature sociali e ricreative al di fuori dei bar o dei circoli cattolici, che ogni contrasto generazionale, ogni tentativo di rompere da parte dei giovani viene contrastato, annullato.”
Intesi come unici centri di aggregazione, bar, pizzerie e ristoranti si esaltano ancor di più la domenica – diventando protagonisti assoluti – allorquando i negozi chiudono i battenti ed i pullman studenteschi spengono i motori. Se a questa progenie di zuzzurelloni mai passa per la testa di alzarsi dai tavolini dei caffè – ove fa bella mostra di sé l’immancabile copia di qualche periodico scandalistico – per recarsi alla conferenza o al convegno a due passi da casa, di sicuro c’è qualcosa che non va…
Anni fa notai, dandone notizia sulla stampa locale, il giudizio piuttosto pesante usato dall’Enciclopedia De Agostini (la famosa “Gedea”) – alla voce “Cassino” – nel valutare il sistema dei servizi offerti alla cittadinanza. Neanche il “profondo Sud” meritò cotanta severità. Trascrivo il passo della Gedea, che chiunque può consultare: “Determinante, per l’economia urbana, è risultata la localizzazione di un grosso polo dell’industria automobilistica (FIAT), che attrae manodopera da un bacino comprendente non solo la Provincia di Frosinone, ma anche le aree romana e pontina, oltre ad ampie frange delle regioni confinanti. Al nuovo ruolo produttivo non ha corrisposto, tuttavia, il necessario adeguamento dei servizi, e ciò ha determinato fenomeni di malessere sociale.”
Casinum, questo anomalo agglomerato urbano la cui posizione geografica si è rivelata per millenni fonte di alterne fortune e sventure, questo ibrido che si snoda lungo l’anonima ed emblematica Via Casilina, questo “centro commerciale” ritenuto felicemente “a metà strada” fra Roma e Napoli … veramente è “equidistante” – in tutti i sensi – da quelle due metropoli! “Lontano” sia da Roma che da Napoli, slegato dalla logica burocratico-papalina della Capitale come pure dal caotico e acceso flusso vitale partenopeo.
Posta nel punto esatto di confine fra il Centro e il Sud d’Italia, per secoli appartenente alla Terra di Lavoro (ma a mio avviso lontana e diversa anche dal Casertano), la realtà cassinate sfugge ad ogni definizione e ad ogni tentativo di “classificazione”, riconoscendo ed elevando a proprio simbolo la sola autorità badiale di Montecassino: il che, se da un lato puó confortare sul piano strettamente religioso, dall’altro mostra tutti i limiti di una mancata crescita civile e sociale. È un volontario volersi “alienare” nel segno di una appagante e protettiva devozione cattolica, un disarmato e inconscio affidarsi alle leggi della Provvidenza – piuttosto che a quelle razionali della civile solidarietà – di fronte allo sfacelo delle devastazioni e delle distruzioni. Tutto ciò, senza che i singoli mai perdano di vista i propri interessi immediati, gli investimenti commerciali ed imprenditoriali nei quali si gettano a capofitto, a discapito di visioni o soluzioni collettive dei problemi.
Per tutte queste ragioni, a me pare che Cassino e l’intero Sud Lazio incarnino, più di ogni altra realtà, la mancanza di una precisa e netta “identità”, la condizione di sbandamento ideologico-esistenziale che caratterizza generazioni confuse e annichilite da classi politiche pasticcione e incapaci.
Ma non tutto il male viene per nuocere … Sempre nell’ambito delle attività dell’Istituto “Antonio Labriola”, nel 1996 fu organizzato a Cassino il Convegno “Cultura & Organizzazione”. Fausto Pellecchia tenne una geniale ed esemplare relazione, sul tema: “Di alcune recenti iniziative culturali nel Cassinate”. Ecco i passaggi salienti del suo intervento:
“Oggi ci troviamo a rivendicare le forme di una differenza di noi da noi stessi: cultura è il differenziare, è ciò che fa di ciascuno di noi qualcosa di aperto all’altro. Ogni forma di identificazione, che non sia identità di una differenza, è falsa. […] Chi fa produzione di cultura deve produrre differenza come modalità, come legge dell’identificazione di sé con sé. Avere memoria di sé oggi significa avere memoria dell’alterità che ci ha costituiti, degli altri che hanno fornito l’humus dal quale noi siamo nati. Ogni forma di mono-genealogia è fallace: la vera cultura è plurima, si fonda sulla pluralità degli intrecci culturali. La nostra identità, quindi, è una non-identità, si potrebbe concludere dialetticamente. In questo senso, penso che Cassino possa costituire un luogo esemplare, poiché in qualche modo è il luogo di un non-luogo, ove le discontinuità storiche sono state tali da mettere in discussione le tradizioni mono-culturali. Cassino, sia per tradizioni storiche che geografiche, possiede questo profilo, d’essere un luogo d’incrocio, di intreccio.”
Verrà il giorno in cui ci si dovrà necessariamente ricordare dei luminosi esempi di quelle eccezionali figure della storia locale che consacrarono l’esistenza al servizio della libertà, della fratellanza, della giustizia sociale e della democrazia: Antonio Labriola, Gaetano Di Biasio …
Intanto, si è incapaci di trasmettere valori e insegnamenti realmente positivi e credibili: si finisce così per celebrare la “camicia nera” Giovanni Conte, sminuendo il fratello di questi, il “partigiano” Nicandro … Si gira a vuoto, si cincischia eludendo la prospettiva di una superiore concordia, poiché manca la “molla” ideale che faccia compiere il piccolo grande salto: una seria e severa autocritica che conduca ad una più matura consapevolezza, all’accettazione delle ragioni degli altri senza imporre il peso delle proprie, nel rispetto delle regole e dei principi della legalità.
Non si tratta di una semplice contrapposizione fra destra e sinistra: anche perché, qui, la sinistra (quella vera) è praticamente inesistente …
Ha affermato Luigi Pintor in uno dei suoi ultimi scritti: “C’è un’umanità divisa in due, al di sopra e al di sotto delle istituzioni, divisa in due parti inconciliabili nel modo di sentire e di essere ma non ancora di agire. Niente di manicheo ma bisogna segnare un altro confine e stabilire una estraneità riguardo all’altra parte. Destra e sinistra sono formule superficiali e svanite che non segnano questo confine”.
Bibliografia essenziale
– AA.VV., “Cultura & Organizzazione”, Atti del Convegno di Studi a cura di F. De Napoli. Cassino, Istituto per le ricerche sociali “Antonio Labriola”, 1996, pag. 64.
– F. P. Cerase – F. Mignella Calvosa, “La piccola borghesia”, in “Continuità e mutamento. Classi, economie e culture a Roma e nel Lazio (1930-1980)”, a cura di C. Brezzi, C. F. Casula, A. Parisella, Milano, Teti Editore, 1981, pag. 288.
– F. De Napoli, “Attività culturali nel Cassinate 1978/1995”, Cassino, Istituto per le ricerche sociali “A. Labriola”, 1995, pag. 84.
– Grande Enciclopedia De Agostini GEDEA, v. “Cassino”, Novara, Vol. VI, 1992.
– A. Martini, “Dai campi alla fabbrica: il caso di Cassino”, in “Continuità e mutamento”, op. cit.
– F. Pellecchia, “Di alcune recenti iniziative culturali nel Cassinate”, in “Cultura & Organizzazione”, Atti del Convegno di Studi, op. cit.
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