S. GREGORIO DI AQUINO UNA MEMORIA SCOMPARSA

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Studi Cassinati, anno 2005, n. 4

di Angelo Pantoni
(Da: “Benedictina”, anno I – Num. III-IV – Luglio-Dicembre 1947, pagg. 249-258.)

Nella bella pianura tra Cassino ed Aquino, a poco più di un chilometro da quest’ultima città, e a due chilometri circa dalla originaria sede di Aquinum1 in prossimità della via Latina (fig. 1), si ergeva solitario un alto fabbricato al quale era addossata una modesta chiesina. Come tante altre cose di questo mondo, tale gruppo di costruzioni aveva conosciuto tempi migliori, ma fino a non molti anni addietro il torrione era adattato a casa colonica e la chiesa a stalla. Essendosi nel 1943 effettuata per necessità militari la quasi totale demolizione sia dell’uno che dell’altra, ci è parso utile fermarne il ricordo non privo d’interesse anche dal lato archeologico, tanto più che la guerra ha devastato intensamente la località.
Trattasi, come si è detto sopra, di una torre a tre piani, originariamente più alta di quanto appariva nella sua ultima fase di esistenza, alla cui parte settentrionale era addossata una chiesetta absidata (fig. 2). Il lato caratteristico di questo edificio, era costituito dalla parte inferiore formata da quattro filari di grandi blocchi di travertino locale, oltre ad alcuni blocchi di un calcare biancastro simile al marmo (fig. 3) e tolti certamente da edifici romani delle vicinanze. Detti filari poggiavano su di uno zoccolo, pure di travertino e formato anch’esso di materiale romano come i precedenti. A prima vista si sarebbe potuto supporre che si trattasse dei resti di un edificio romano rialzato nel medioevo e adattato a torre, ma a parte il carattere evidentemente raccogliticcio dei filari del basamento, si notava che mentre le pareti della torre erano lisce all’esterno da tre lati, quella cui aderiva la chiesina presentava, a m. 4,16 dal suolo, un netto gradino per appoggiarvi il tetto della medesima, come si puó vedere anche nel rilievo della parte frontale dell’edificio in questione (fig. 2). Di più il fatto che i filari del basamento s’intersecavano con quelli della facciata stessa della chiesa confermava ulteriormente la contemporaneità dei due edifici. La torre, tolto questo imponente e poco comune basamento, non presentava altro di particolarmente notevole. Nel suo interno un muro, probabilmente originario, divideva il vano in due ambienti, coperti a volta al pianterreno,e detta divisione si ripeteva ai piani superiori. Solo al primo piano si accedeva con una scala in muratura. Al secondo piano si notavano, alle pareti, salvo dal lato volto a settentrione, alcune arcate, probabilmente di una loggia, e dal fatto che uno di questi archi era manifestamente privo del colmo, mentre il tetto v’incombeva sopra senza dar spazio a un arco intero, si poteva inferire che l’altezza doveva essere stata maggiore. Infatti da piante settecentesche si puó vedere che la torre aveva una merlatura e quindi era coperta a terrazza e non a tetto come si presentava al momento della demolizione. Finestre antiche non se ne vedevano nella scura massa della muraglia, molto probabilmente perché furono ampliate onde illuminare meglio gli ambienti destinati non più a fortezza, ma a pacifica abitazione di coloni. La torre infine era orientata, mentre dal lato settentrionale vi aderiva la chiesa.
Quest’ultima (m. 5×11,90) mostrava in pianta (fig. 2) le proporzioni classiche di chiesette anteriori al Mille, quali se ne trovano anche a breve distanza, come quella di S. Scolastica presso le pendici di Montecassino.
La facciata era modestissima e certamente rimaneggiata nel ridurre ad uno solo i due spioventi del tetto del piccolo edificio, onde facilitare il deflusso delle acque piovane. La porta ad arco non era più l’originaria, perché venne rifatta nel 17102. Però da un esame di quanto si poteva ancor vedere, si deduceva che la porta di marmo mandata da Montecassino a tale epoca fu in seguito tolta, rimanendo quindi allo scoperto una traccia del vecchio ingresso. Il gradino di accesso era costituito da un frammento architettonico romano la cui destinazione primitiva non appariva con chiarezza (v. fig. 2 in pianta e in alzato). Sulla porta era un’apertura orbiculare, l’unica che si notava nel piccolo edificio. Allineamenti di travertini romani si notavano, oltreché in facciata, anche sul lato volto a settentrione, sebbene su quest’ultimo complessivamente i blocchi fossero più piccoli di quelli della torre e non poggiassero su zoccolo di fondazione come in facciata.
Nell’abside e pareti contigue la muratura era priva di regolarità e presentava caratteri analoghi a quelli della torre sopra il basamento. Come si è detto, non si notavano tracce di altre aperture. Si puó supporre che una finestrina fosse nella parete absidale che appariva sbrecciata ampiamente eppoi raccomodata alla meglio. Una porta dava accesso alla chiesa anche dal lato meridionale presso l’abside, e si puó supporre che doveva essere antica, o in luogo dell’antica, perché l’ingresso alla torre era da questa parte, ove pure trovavasi un pozzo, nominato nei documenti della zona. Interessante il pezzo di scultura romana, ricavato da un bianco calcare locale simile al marmo, che fungeva da spalla nella porta ora menzionata.
L’interno della chiesina non presentava nulla di notevole, sia dal lato architettonico che da quello decorativo. Tracce d’intonaco, che non sembrava molto antico, si notavano qua e là proseguendo anche sotto il muro moderno che divideva l’edificio in due ambienti separati e nel quale furono incastrate anche iscrizioni romane. Nel 1710 si vedevano presso l’altare: “alcune pitture essendo cascate l’altre unite alla tunica del muro”3. Di dette pitture non c’era più traccia alcuna. L’abside (adattata a magazzino) era murata, e vi si accedeva da una informe apertura. Nel 1710, sempre riferendoci a quanto vide l’abate Gattola4, era ancora a posto il pavimento antico “di pietre quadre lavorate”; al momento della demolizione non c’era che terra battuta.
Già negli anni anteriori al 1710 era stato tolto l’altare per adibire l’edificio ad usi profani; a cura dell’ab. Gattola venne ristabilito il culto, che però non si prolungò oltre il secolo XVIII.
Premesso questo cenno descrittivo sull’aspetto degli edifici in parola, resta da stabilirne l’origine. Non si possono assegnare date certe. Come si è già detto più sopra, siamo in una località situata nella immediata prossimità della “via Latina nova” che puntava direttamente su Casinum mentre la Vetus passava per Interamna Lirenas5.
Le carte settecentesche mostrano chiaramente presso alla torre la “strada Romana seu Silicata seu Campanina” e, come avverte il Gattola nei più volte citati Giornali6, è quella appunto la via Latina, mentre il tratto designato espressamente come “Via Latina” è niente altro che una prosecuzione della medesima nel suo volgere verso Aquino.
La località di cui ci occupiamo restituì ripetutamente materiale romano, sia frammentario che epigrafico. Disgraziatamente, come del resto per tutta la zona di Aquino, non ci sono mai stati scavi regolari, e i lavori, nel corso dei quali sono stati fatti trovamenti occasionali, generalmente hanno danneggiato più che restituito il materiale antico, particolarmente abbondante in questa regione.
Uno studioso locale, il Bonanni7 riferisce ad es. “Intorno alla torre e chiesina, anche a distanza di molti metri, si sono scavati negli anni passati e continuamente, pei lavori agrari, si scavano fondamenta di antichi edifizi e, talvolta iscrizioni di epoca romana”.
Il materiale epigrafico trovato e pubblicato dal Mommsen8 non apporta che un contributo generico alla conoscenza di questa località in epoca romana. In occasione della costruzione dell’aeroporto furono trovati lungo la strada, cioè la via Latina, alcuni monumenti funerari9, ma il problema non si esaurisce qui, perché S. Gregorio era Alquanto fuori della strada, in una zona che per la frequenza dei ritrovamenti archeologici fa supporre l’esistenza di un qualche centro abitato, sia pure modesto10. Il pregevole volume del Grossi su “Aquinum” è del tutto muto a questo riguardo, sebbene la torre vi sia nominata11. In epoca non precisabile, ma notevolmente anteriore al Mille, sorse, in questa località una “cella” dipendente da Montecassino le cui origini furono in seguito riferite ad una donazione di Giordano, padre del Magno Gregorio, e si allegarono pure dei documenti il cui carattere apocrifo è indubbio12. Nel IX secolo e precisamente sotto l’abate Apollinare (817-828) la “cella” esisteva se, a quanto riferisce Leone Marsicano nel Chronicon13, il chierico tarentino Daniele vi fece l’oblazione di se stesso e dei suoi beni in favore di Montecassino. Nel testo di questa famosa oblazione non troviamo però nominato San Gregorio14, essendo l’atto, in favore di Montecassino; però Daniele dichiarava di offrire “omnes res meas quicquid per legem habere, vel possidere visus sum in civitate Tarentina et Aquinensi”, e quindi i detti beni nell’agro Aquinate o avranno ampliato i confini della “cella” o avranno fornito l’occasione per fondarla. È pur vero che l’atto di donazione di Daniele è nel Regesto di Pietro Diacono, ma la sua autenticità non è stata contestata15.
Il più antico documento esistente nell’Archivio di Montecassino e riguardante la località della quale ci stiamo occupando è una pergamena concernente un accordo sul “Campu S. Gregorii”16. Il documento è mutilo nella parte iniziale il che impedisce una precisa datazione, ma è concordemente riferito intorno al 95017. Non vi si fa menzione né di “cella” né di monastero, ma di “terra S. Benedicti in supradicto campu”; non compaiono neppure monaci come firmatari o testi, vi è però nominato “Adenulphus Castaldum de Casa Aczonis”. Siamo certi quindi che nella metà del sec. X la località dipendeva da Montecassino, e molto probabilmente lo stato di cose indicato da questa pergamena era alquanto anteriore. Si giunge così, senza sforzo, agli inizi del secolo X, non troppo lungi dalla donazione di Daniele.
Un giudicato del 97718 a favore di “Ansaricus monachus et prepositus cella scti Gregorii, qui est subiectum monasterio sancti Benedicti positus de Castro Casini” da parte del giudice aquinate Teodaldo riconosce al nostro monastero il possesso di un appezzamento di terreno in località “Fontanelle”, tuttora esistente, che “iam dicto monasterio ea possessa abebat antea iure quieta per annos plurimos”.
Dall’insieme del giudicato, e specialmente dalle parole con cui si afferma il possesso del terreno contestato, si puó inferire che la “cella” doveva esistere già da vario tempo.
Non è nostra intenzione dare qui un sommario storico delle vicende sia della località, sia del monastero che vi sorse, uno dei tanti che allora facevano corona a Montecassino nella “terra Sancti Benedicti”, non possiamo però fare a meno di ricordare che nel codice cassinese 17919, del secolo X, ma con aggiunta di mano dei primi anni del secolo XI, come ci ha fatto rilevare il p. archivista D. Mauro Inguanez, è ricordato in un Martirologio di Beda la nostra Chiesa; “IX Kal. Novembris Dedicatio S. Gregorii prope Aquinum”. Questa dedicazione, se veramente avvenuta alla fine del secolo X o al principio dell’XI, ci sembrerebbe da mettere piuttosto in relazione con un restauro o rifacimento dell’edificio, tenendo anche presente il fatto che per le scorrerie saracene, culminate nella devastazione di Montecassino dell’883, tutta la regione ebbe a soffrire danni gravissimi e si riebbe in seguito gradatamente. I monaci tornarono definitivamente a Montecassino sotto l’abate Aligerno (949-986), che molto si adoperò sia per la rinascita del cenobio che delle sue dipendenze. Tra i documenti che riguardano S. Gregorio ve n’è uno famoso e non privo d’interesse anche dal lato archeologico, cioè il diploma di Ugo e Lotario Re d’Italia, diretto all’abate Balduino (942-947). Detto diploma è riferito al 942, ma la sua autenticità è stata messa seriamente in dubbio da critici antichi e recenti20 malgrado fosse il cavallo di battaglia dei cassinesi nelle lunghe controversie che ebbero per i diritti feudali da loro esercitati in questo possesso. Poiché il nostro diploma si trova nel Regesto di Pietro Diacono a cui viene attribuita la redazione21, riferiamo le notizie che porta alla prima metà del secolo XII, pur ritenendo che siano tratte da atti preesistenti, o quanto meno documentino uno stato di fatto stabilito da vario tempo. Dal Gattola, che pubblicò integralmente il diploma in questione22, stralciamo le interessanti notizie su alcuni confini della località la cui toponomastica si è mantenuta inalterata pressoché fino ai nostri giorni. Si confermava il dominio di Montecassino sulla “Cellam S. Gregorii et omnia praedia circa ipsam cellam adiaciencia, per confinia et loca antiquitus determinata in territorio aquinensi, incipiente ab ipsa immagine marmorea quae dicitur homo mortuus sita iuxta viam Silicatam quae appellatur Campanina etc…”.
Questa statua romana, visibile nelle carte settecentesche e ricordata in documenti di tale epoca23, era ancora “in situ” agli inizi del secolo scorso24, col nome immutato di “uomo morto”. Non sappiamo poi quel che ne sia avvenuto sebbene il nome della località sia rimasto. Come si è già detto più sopra la “via Silicata quae dicitur Campanina” è la via Latina nova il cui percorso è chiaramente riconoscibile, e non è da confondersi con un’altra via chiamata pure “latina” da questo documento ma situata “ad radices montis S. Silvestri”, dove effettivamente sussistono tuttora tracce di una antichissima strada pedemontana certo anteriore alla Latina25 [nel testo di “Benedictina” la nota è erroneamente segnata con il n. 24 con conseguente sfasamento delle note successive, n.d.r.] e lungo la quale dal lato verso monte non è raro trovare ruderi anche di notevole interesse26. Questo è ulteriormente confermato dal documento stesso di cui ci occupiamo, che ricorda un’altra “via Latina” (alla quale si è già accennato più sopra) cioè quella che “intrat in viam Silicatam dictam Campaninam” mentre la “via Latina” pedemontana è distante in media oltre 1 km. dalla “Campanina” e corre parallelamente rispetto a quest’ultima27.
Giacché abbiamo ricordato ancora una volta le piante settecentesche della località, notiamo come in esse si veda a levante della torre e al confine del territorio di S. Gregorio un rudere d’arco chiamato “arco Gizzolo” (o di Gizzolo) e ricordato con tale nome anche nei più antichi documenti28. Da quel che si puó ricavare da rappresentazioni grafiche, che non avevano certo intenti archeologici, si potrebbe pensare anche ad un rudere romano, e perciò non abbiamo voluto omettere questo dato toponomastico che era uno dei punti di riferimento più usati per il confine orientale di S. Gregorio. Gli autori più recenti che si sono occupati della località, quali il Cayro29 e il Bonanni30 non hanno accennato a questo rudere e probabilmente perché già scomparso da tempo. Dai vari documenti pubblicati dal Gattola31 che ci mostrano il piccolo monastero di S. Gregorio governato da rettori e prepositi, nulla possiamo ricavare sulle vicende degli edifici che lo costituivano. Altrettanto puó dirsi in complesso delle carte concernenti il “feudo” e conservate nell’archivio Cassinese (Caps. 90). Un documento del 118332 menziona la “Villa S. Gregorii”, cioè l’aggregato rustico sorto intorno al monastero sul quale l’abate cassinese esercitava diritti feudali33, causa questa, in seguito, di controversie senza fine. Detta villa fu distrutta dal terremoto del 1349 e non più riedificata. In questo disastroso terremoto, che devastò, come è noto, anche Montecassino, la chiesa e la contigua torre ebbero certo a risentirne, e si puó ragionevolmente supporre un rifacimento nella parte superiore che appariva di costruzione meno accurata.
Per avere una descrizione precisa di questi edifici bisogna venire al 1710, anno in cui furono esaminati da d. Erasmo Gattola in occasione di spinose controversie. Nei suoi Giornali il benemerito archivista cassinese ne lasciò una descrizione di cui abbiamo già utilizzato alcuni particolari concernenti il pavimento e le pitture della chiesa. Interessante la notizia di un assaggio nel terreno al quale si trovò presente lo stesso Gattola: “essendosi scavato poco discosto da detta torre, vi si è trovato un pavimento di pietre lavorate ben connesse, e sono lunghe e larghe in proporzione. Essendosi anche cavato in un altro luoco (sic) vicino della torre, vi si è trovata una colonna di granito con altre pietre lavorate”34.
La chiesa che già ai tempi del Gattola era in cattive condizioni fu, come si è detto, da lui fatta restaurare, ma ai primi anni del secolo seguente, era già chiusa ed interdetta35. Non occorre ricordare che il turbine rivoluzionario aveva avulso da Montecassino questo possesso come gli altri che gli facevano corona. Come abbiamo già accennato, la torre divenne in seguito casa colonica e la chiesa una stalla. Questa fu l’ultima fase, e certo poco lieta, prima della recentissima distruzione.
Dopo avere molto sommariamente delineata la fisionomia di questa località, ci permettiamo, infine di esprimere la speranza, pur tuttavia molto tenue, che delle ricerche ivi metodicamente condotte possano dare ulteriori contributi alla storia ed all’archeologia della regione, così ricca di memorie purtroppo sovente trascurate o ignorate.


1 Nel tracciare la planimetria della zona ci siamo valsi prevalentemente della Tav. I del vol. di E. Grossi, Aquinum, Roma, 1907. Per il percorso della via Latina abbiamo tenuto conto anche della cartina del vol. di G. F. Carettoni, Casinum, Roma, Ist. di Studi Romani, 1940, p. 36, nonché di una carta settecentesca a cui ci riferiremo più sotto. Abbiamo ritenuto preferibile non tener conto di recenti modifiche arrecate alla rete stradale proprio attorno a S. Gregorio, per la sistemazione dell’aeroporto, ora completamente distrutto.
2 Giornali del P. Ab. Gattola dal 1702 al 1712 (ms. nell’arch. di M. Cassino), 1710, 23 giugno, p. 216
3 Gattola, o. c.
4 Gattola, o. c.
5 M. Cagiano De Azevedo, Interamna Lirenas, Roma, Ist. Di Studi Romani, 1947, p. 38 e sgg.
6 Gattola, o. c., 11 Maggio.
7 R. Bonanni, Ricerche per la storia di Aquino, Alatri, 1922, p. 121.
8 C.I.L., X1 n. 5406, 5491, 5562, 5563.
9 Cagiano De Azevedo, o. c., p. 42.
10 Bonanni, o. c., p. 122.
11 0. c. (v. nota 1), p. 37.
12 Registrum II Bernardi Abbatis, fol. CXXXV-CXXXVI (arch. M. Cass.), Registrum S. Placidi (c. s.) fol. III; v. anche: E. Caspar, Petrus Diaconus und die Monte Cassineser fälschungen, Berlin, 1909, p. 234.
13 Leonis Marsicani Et Petri Diaconi Chronica Monasterii Casinensis edente W. Wattembach (M.G.H., SS, t. VII, p. 351 e sgg., I, 28, p. 123.
14 E. Gattula, Ad Historiam Abbatiae Cassinensis Accessiones, Venetiis, 1734, I, p. 28.
15 A. Di Meo, Annali Critico-Diplomatici del Regno di Napoli della mezzana età, Napoli, 1797, t. III, p. 339, n. 5. L’A. ora citato riferisce la donazione all’827.
16 Caps. XC fasc. XI, n.. 19.
17 Sotto tale data e posto all’inizio del Codex Diplomaticus Aquinas (ab anno 950 ad 1548) (caps. XC, fasc. II. n. XIX). Il documento è ricordato anche da P. Cayro, Storia sacra e profana di Aquino e sua Diocesi, Napoli, 1808-1811, Vol. I, p. 46; sempre con riferimento all’anno 950.
18 Dobbiamo al p. archivista D. Mauro Inguanez la giusta datazione di questo documento che Gattola, Historia Abbatiae Casinensis, I, p. 75, pone al 1052. V. anche Di Meo, o. c., p. 331.
19 Arch. di M. Cassino.
20 Di Meo, o. c., V, p. 284. L. Schiaparelli, I diplomi di Ugo e Lotario di Berengario II e di Adalberto, Roma, Ist. Stor. Italiano, 1924, p. 203.
21 Schiaparelli, o. c.
22 Gattola, o. c., I, p. 50.
23 In una lettera dell’archivista Sebastiano Maria Campitelli all’abate Antonio Capece, in data 24 luglio 1749 e riguardante i confini di S. Gregorio, si legge: “Comincia dalla via Campanina che porta a Roma, ove vi sono due ruderi di statue marmoree la prima delle quali più grande sta in terra a giacere coi piedi verso Ponente, e si chiama anche oggi uomomorto”.
24 Cayro, o. c., vol. I, p. 43.
25 Carettoni, o. c., p. 40, fig. 2; Cagiano De Azevedo, o. c., p. 42.
26 Nella cartina (fig. 1) abbiamo indicato presso l’angolo superiore destro la strada pedemontana, così chiamandola per sottolineare la sua posizione correndo essa proprio ai piedi dei monti.
27 Così per non citare che il più antico, in un privilegio conservato autografo a Montecassino, diretto dai principi di Capua Pandolfo e Atenolfo all’ab. Giovanni I (914-934), e pubblicato dal Gattola, o. c., p. 46, si parla di un “locum qui dicitur Arcu de Gizzuli”.
28 O. c.
29 O. c.
30 O. c.
31 E. Gattola, o. c., t. I, p. 73 e sgg.
32 Caps. XC, fasc. II, n. 20. Il documento però è sparito, ne resta il transunto nel catalogo dell’archivio.
33 Inquisitio Bernardi Abbatis (a. 1273), n. 21 (arch. Cass.).
34 Ib. p. 206, 207.
35 CAYRO, o. c., t. II (a. 1811), p. 22.

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