Cosimo e Genoveffa Torrice Emigranti italiani che hanno fatto onore alla propria terra

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Studi Cassinati, anno 2004, n. 4

di Guido Vettese

Il 20 agosto 2000, essendomi recato alla festa di Canneto, a S. Mary Lake in Toronto, in mezzo a circa cinquantamila persone, scorsi due donne vestite da ciociare e subito mi avvicinai a loro chiedendo chi fossero; la più anziana (nata il 26/02/918) mi rispose: “Sono Genoveffa Torrice di S. Antonino” ed io l’abbracciai dicendole che era la sorella del soldato americano (Cosimo Torrice) pluridecorato della seconda guerra mondiale. Era come sempre a quella festa con il suo gruppo canoro folcloristico “Le campagnole di Cassino”.

COSIMO
Il 4 di settembre 2004 ho chiesto a Genoveffa documentazione sul fratello Cosimo e presto mi ha inviato foto e ritagli di giornali americani e italiani, raccolti dalla sua amica Rosa Vettraino, originaria di Belmonte Castello.
Cosimo Torrice di 16 anni partì con la nave dal porto di Napoli un sabato del dicembre 1936, con la madre Michelangela, la sorella Genoveffa di 18 anni ed il fratello Francesco di 9 anni, per Detroit USA.
A 22 anni si arruolò nell’esercito degli Stati Uniti e fu mandato a combattere nella sua città natale, Cassino, (anche gli altri due fratelli Roberto e Franco furono chiamati alle armi. Sbarcò a Napoli come sergente di fanteria e la prima battaglia la combatté a S. Vittore del Lazio, poi passò a Cervaro e poi a S. Antonino, alla Selva del Carmine (proprietà di famiglia, più sopra dell’attuale ristorante “Il Principe Azzurro”). Il fronte si protrasse per quattro mesi e lui piangeva per essere costretto a combattere proprio sulla sua terra. Fu lasciato libero di cercare i suoi parenti, ma molti si erano rifugiati in montagna e lui andò verso il Monte Aquilone e per primo incontrò don Luigi Viola, al quale aveva fatto da chierichetto. In quella circostanza incontrò molti paesani e li aiutò tanto e tutti. Fece prigionieri 10 tedeschi vicino a Cassino e ricevette il Purple Heart e la Stella d’Argento per le sue coraggiose azioni di guerra. Ad Anzio salvò due soldati americani e fu ferito gravemente e per ristabilirsi dalle ferite ricevute in quella battaglia fu mandato in un ospedale a Roma dove incontrò, si innamorò e si sposò in S. Pietro con Anna Ridolfi, che portò poi in America.
Il 26 febbraio 1945 venne a S. Antonino e S. Michele e di questa visita ci ha lasciato oltre venti interessanti immagini della sua casa natale e di amici e parenti, compresi i nipotini Luciano e Maria ed il ben noto don Luigi Viola, parroco di S. Antonino e S. Michele.
Da Detroit, dove lavorò per un anno per la Ford Motor Co, per curarsi delle ferite di guerra dovette trasferirsi in California, dove fu assunto all’ospedale dei veterani di Livermore e servì come ufficiale Nazionale dell’ordine dei Militari del Purple Heart .
Riandando ai ricordi delle vicende belliche, Cosimo era solito dire che per un moribondo la pace giunge facilmente. Cosimo lo scoprì in una maleodorante, sanguinosa rincea tedesca, nella quale, la sola cosa che gli fu chiesta fu di benedire un soldato tedesco moribondo, tra i sei in essa presenti e feriti gravemente. In cambio di quel favore il tedesco lo aiutò a salvarsi la vita. Era il 4 luglio 1944, nel paesino di Rosignano. Cosimo stava correndo verso il suo battaglione quando il suo plotone fu attaccato. Il fuoco delle mitragliatrici lo colpì – ferendolo ad entrambe le gambe – prima che egli vedesse il bunker dove i tedeschi erano interrati. “La ronda mi atterrò”, ricorda Cosimo “penso che debbano avermi in qualche modo fatto rotolare nella stessa apertura di una trincea coperta. Non ricordo”. Quando toccò il fondo della trincea, la prima cosa che vide furono sei tedeschi feriti. Alcuni di essi erano armati. Il fucile di Cosimo era finito a 10 o 15 piedi al di fuori del bunker. “A causa delle mie ferite sentivo come se essi mi stessero tirando verso di loro. Scavai con le mani tra la sporcizia e urlai … allora mi accorsi che mi stavano solo guardando, che non mi avrebbero toccato”. Uno dei tedeschi gli offrì delle sigarette, un altro strisciò lentamente verso di lui e gli chiese, in cattivo inglese, se voleva benedirlo. Durante le 12 ore in cui giacque nel bunker, Cosimo vide i tedeschi morire, uno ad uno. Nessuno di loro tentò di sparargli. La sola cosa che volevano erano i suoi fiammiferi, per accendere le loro sigarette.
“Non c’era molto nella mia cassetta di pronto soccorso”. Diedi loro un po’ di sulfamidici che usavamo per spruzzare sulle ferite contro l’infezione. Credo che fossero troppo gravi per poter dar loro una mano. Tuttavia credo che quei tedeschi mi avrebbero ucciso con una granata se non fosse stato per le loro stesse ferite. Il mio migliore amico, un ragazzo del plotone, tentò di farmi scappar via … lo falciarono a metà con una sventagliata di mitragliatrice.
Cosimo fu colpito mentre tentava di tirare un commilitone ferito dalla linea del fuoco e quest’azione gli è valsa la predetta stella d’argento.
L’8 gennaio 1979, a 58 anni Cosimo Torrice è morto.
Il 15 marzo 1979 il Messaggero di Roma titolava: “Testimone al fronte – Emigrato in America un cassinate tornò a combattere nella sua terra”.

GENOVEFFA

Genoveffa, prima di partire per l’America a 18 anni, aveva lavorato nei campi a S. Antonino, “andando a giornata con la vanga o con la zappa”, anche in Viale Dante e in Via Verdi a Cassino, – allora detta “le limate”- e naturalmente aveva fatto i lavori domestici. Non ha mai dimenticato la sua terra natale, tanto che il giornale “Il Rapido” a suo tempo ha scritto molti articoli che la riguardano. Infatti lei, oltre ad aver tenuto sempre i rapporti epistolari con gli amici di Cassino, ha sempre raccolto fondi inviati sistematicamente al parroco o al comitato per la festività dell’Ascensione. In America ha sempre lavorato sodo ed anche ora, all’età di 87 anni, coltiva un bell’orto e tante pesche. È socia ISGT (Gruppo di Studi Italiano di Troy) e del coro ISGT. Per vincere le avversità ha fatto ricorso ad una sorprendente forza interiore, ottenuta grazie ad un’accesa fede religiosa e all’amore per la famiglia, per gli amici e per i compagni. I ricordi delle celebrazioni delle feste religiose e i lunghi estenuanti viaggi a piedi per visitare le chiese e i santuari del paese natìo, sono alla base dei molti pellegrinaggi che ogni anno organizza negli Stati Uniti, a Lourdes, in Portogallo, in Spagna, in Canada. Il suo motto è “Dobbiamo andare avanti, per Dio, per l’Italia e continuare le tradizioni e gli usi della terra natìa, anche per l’America”. Nonostante richieda moltissimo lavoro e preoccupazione, il suo impegno è un “labor of love”, un lavoro che svolge per diletto. Ha portato in America diverse tradizioni del cassinate, come il pasto per la festa di S. Giuseppe e il carnevale con i 12 mesi dell’anno. È una donna speciale, sorella, madre, nonna e bisnonna e non è mai troppo impegnata per cucinare deliziosi ravioli e cannoli. Con il suo coro “Le Campagnole di Cassino” spesso è al microfono e lo stesso sindaco di Detroit va ogni tanto a prelevarla perché partecipi alle inaugurazioni, anche di opere pubbliche.

Si ringrazia per la collaborazione Emanuela Caira.

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