Studi Cassinati, anno 2004, n. 3
di Giovenni Petrucci
Carlo di Borbone nel 1741, nel quadro delle riforme che introdusse nel suo Regno, di cui faceva parte anche l’università di S. Elia, diede l’avvio alla compilazione di un catasto, una sorta di rassegna dei beni e dei possessori, allo scopo di fissare per ciascuno il carico fiscale; venne chiamato onciario, proprio perché la stima veniva fatta in base alla moneta chiamata oncia[1].
“Le istruzioni per la formazione dei Catasti Onciari furono pubblicate il 28 settembre del 1742, con l’ordine che entro quattro mesi tutti i Catasti fossero completati. Pochi Comuni, e tra questi la città di S. Germano, riuscirono a compilarli entro quei termini: la maggior parte terminò i lavori entro l’anno 1753. Ogni capofamiglia era tenuto a dichiarare il nome e il cognome, la propria età e quella della moglie e la sua provenienza (la Padria), le generalità dei figli e delle altre persone che con lui convivevano, l’arte esercitata. Doveva inoltre dichiarare e descrivere tutti i beni che possedeva, anche quelli a parsenalia, cioè per conto di altri, e gli animali che allevava, anche quelli a estaglio, cioè secondo un contratto stipulato con gli effettivi proprietari. Chi ometteva di dichiarare i beni, non solo incorreva in una pena, ma subiva anche la confisca degli stessi. Le dichiarazioni venivano raccolte da una Commissione formata in genere dal Cancelliere, da sei persone della Universitas, due per ognuno dei tre ceti sociali (Civili, Mediocri e Infimi), da quattro estimatori, di cui due locali e due del paese più vicino, e da Deputati eletti. Tutti costoro dovevano essere timorati di Dio, non inquisiti, di ogni educazione maggiori e intesi degli affari dell’Universitas, come recitano le raccomandazioni per la compilazione degli Onciari”[2]. “Fatto lo spoglio, si passava a fare l’onciario vero e proprio che era distinto in due fasi, la prima che va sotto il nome di collettiva generale, dove compaiono tutte le persone da tassare, e la seconda che è la determinazione della tassa”[3]. Il catasto onciario dell’Università di S. Elia, rilevato nell’anno 1754, costituisce una precisa documentazione dei beni della popolazione, con la descrizione di ciascun nucleo familiare, delle estensioni dei terreni, delle abitazioni possedute o prese in affitto e degli animali. Il testo, copia manoscritta dell’originale, costituito da 600 pagine, oggi si trova nell’Archivio di Stato di Napoli[4]. Esso si apre:
“I. M. I. (Iesu Maria Joseph)
Catasto della terra di S. Elia della Provincia di Terra di Lavoro intrapresso nell’anno 1742 in virtù di ordini, ed istruzioni della Regia Camera della Sommaria in sequela de Supremi ordini Reali della Maestà del Re n[ostro] S[ignore] (Dio guardi), terminato, e publicato oggi li ventisette di Magio 1754 coll’intervento de’ sott[oscritt]i Mag[gnifici] Sindici, e delli sott[oscritt]i sei Deputati, eletti in publico parlamento, et Apprezzatori; tutto a tenore di dette Regie istruzioni; In fede di che abbiamo fatto fare il presente titolo fimato da noi, e munito col sugello di questa Università.
Data in d[etta] Terra di S. Elia, addì 27 di Magio 1754. Benedetto di Angelo Santo Sindico + Segno di croce di Nicola Lanno Sindico ill[ettera]to + Segno di croce di Pietro Lanno Sindico ill[etterat]o Giovanni Iucci depu[ta]to Giuseppe Angelo Santo dep[utat]o Domichele Fionda dep[utat]o Angelo D’Agostino dep[utat]o Orazio Lanno dep[utat]o; + Segno di croce di Marcantonio Santillo dep[utat]o ill[ettera]to + Segno di croce di Giuseppe Bastianello App[rezzato]re ill[ettera]to + Segno di croce di Domenico Clemente App[rezzato]re ill[ettera]to + Segno di croce di Giovanni Soave Appr[ezzato]re ille[ttera]to + Segno di croce di Belardino Pacitto Appr[ezzato]re ill[ettera]to. Notato Benedetto Piorago Cancelliere”
Si chiude con la formula:
“Spedito, e publicato il presente catasto servatis servandis in questa Terra di S. Elia della Provincia di Terra di lavoro oggi che sono li ventisette di Maggio dell’anno 1754. Benedetto di Angelo Santo Sindico + Segno di croce di Nicola Lanno Sindico ill[ettera]to + Segno di croce di Pietro Lanno Sindico ill[ettera]to Giovanni Iucci deputato Giuseppe Angelo Santo dep[uta]to Donmichele Fionda dep[uta]to Angelo D’Agostino dep[uta]to Orazio Lanno dep[uta]to + Segno di croce di Marcantonio Santillo dep[uta]to ill[ettera]to + Segno di croce di Giuseppe Bastianello App[rezzato]re ill[ettera]to + Segno di croce di Domenico Clemente App[rezzato]re ill[ettera]to + Segno di croce di Giovanni Soave App[rezzato]re ill[ettera]to + Segno di croce di Belardino Pacitto App[rezzato]re ill[ettera]to. Notato Benedetto Piorago Cancelliere”
Segue infine la “Rubrica de’ Beni Demaniali di questa Università, ricavati dal Libro dell’Apprezzo” con lo stesso elenco dei sindaci, consiglieri e periti:
Benedetto di Angelo Santo Sindico + Segno di croce di Nicola Lanno Sindico ill[ettera]to + Segno di croce di Pietro Lanno Sindico ill[ettera]to Giovanni Iucci deputato Giuseppe Angelo Santo dep[uta]to Domichele Fionda dep[uta]to Angelo D’Agostino dep[uta]to Orazio Lanno dep[uta]to + Segno di croce di Marcantonio Santillo dep[uta]to ill[ettera]to + Segno di croce di Giuseppe Bastianello App[rezzato]re ill[ettera]to + Segno di croce di Domenico Clemente App[rezzato]re ill[ettera]to + Segno di croce di Giovanni Soave App[rezzato]re ill[ettera]to + Segno di croce di Belardino Pacitto App[rezzato]re ill[ettera]to. Notato Benedetto Piorago Cancelliere”
Nella premessa viene quindi descritta la Commissione eletta nel pubblico parlamento costituita da tre sindaci, da sei deputati, cioè consiglieri, da quattro stimatori, cioè periti, e da un cancelliere.
Abbiamo trascurato la valutazione, anche sommaria, della situazione economico-sociale dell’Universitas che si può desumere dall’appendice del Catasto. “La Collettiva generale delle once, presente in questo come in quasi tutti gli altri Catasti onciari, costituiva la base per la ripartizione di tutti i tributi del comune”[5]. Da precisare che le persone erano censite in ordine alfabetico in base ai nomi propri di persona dei capifamiglia e non ai cognomi, e in base alle quattro parrocchie funzionanti in S. Elia: di San Pietro, Santa Maria la Nova, San Cataldo e San Biasio, o senza parrocchia, in quanto mancavano riferimenti alle strade. Le persone sono numerate per fuochi, cioè relativamente alle singole unità familiari, secondo le disposizioni introdotte nel Medioevo; i fuochi contavano da 2 fino a 10 persone; a volte in ciascuno di essi erano raggruppate più famiglie; ciò accadeva quando due parenti, per lo più fratelli sposati, vivevano sotto uno stesso tetto; nel fuoco di Michele Fionda fu Benedetto, per esempio, riportato nel foglio 127, erano annotate 23 persone con 3 nuclei familiari. In media oggi vengono calcolate per ogni fuoco 5 persone. Qualche volta il fuoco si ripeteva identico con il cognome, nome e paternità e poteva essere distinto solo dalla parrocchia di appartenenza. Abbiamo conteggiato nel quadro seguente anche i bambini in fasce, che in genere nel catasto venivano trascurati. È bene precisare che i dati della popolazione sono alquanto inferiori di quelli dello Status Animarum di Montecassino del 1693[6]. Mancano solo gli abitanti di Valleluce-Cese, Portella e Olivella; rileviamo, però, che alcuni cognomi sembrano riconoscersi tra i Forastieri Abitanti Laici, come di Cicco (8), di Ponio (9), Fortuna (3), Fragnolo (3), Merucci, Rizza (2), Serra (4), Soave (9), Vittraino (2), che indicano abitanti di queste frazioni; ed è da notare che viene citata tante volte la Chiesa di S. Maria delle Grazie di Olivella e nelle ultime pagine compare anche il nome di quest’ultima frazione. Circa un centinaio di abitanti, provenienti da Atina e dai territori circostanti il Monastero di S. Benedetto di Clia in Belmonte Castello, si stanziarono nella valle e molti bracciali dimoravano in pagliare e caselle. Siamo in grado di indicare che esse furono costruite nella zona che ancora oggi gli anziani del posto chiamano “le capanne”, situata in Via S. Croce, di fronte alla Centrale Cassino I. Dall’esame del catasto si rileva che oltre un centinaio di uomini, in verità ne erano registrati 128, lavoravano nelle fabbriche e i restanti, in grandissimo numero, come bracciali, cioè come braccianti agricoli, nella campagna o come manovali, in attività varie. I mestieri[7] erano i seguenti: artista di panni (1), avvocato (1), barbiere(1), campiere (2), cardalana (3), carpentiere (2), chiavico (4), chirurgo (2), cucitore/sartore (6), dottore in medicina (1), eremita (1), fabbricatore (3), falegname (6), ferraro (1), giudice, giudice a contratto (2), lavoratore di carta (6), lavoratore di panni (6), lavoratori di casa (2), lavoratori di spezierie (1), macellaio (1), marmoraro (2), massaro (6), molinaro (1), pannaro (2), proprietario/vive del suo (8), scalpellino (2), speziale di medicina (1), studente (17), sacerdote (1), scardalana (41), regio notaro (1), tessitore di panni (36), veticale (4), zimatore di panni (8).
Molte attività sono ormai scomparse, o si sono ridotte di numero, come le seguenti:
– del cardalana, s. m., addetto alla cardatura, a strigare la lana col cardo, per ridurla uniformemente soffice, – del chiavico s. m., addetto allo spurgo delle fogne, dei canali delle acque putride; – del cucitore, il sarto, s. m., da una cinquantina di anni scomparsa; – dell’eremita, s. m., che viveva nei santuari isolati ed attendeva alla pulizia del luogo sacro, alla preghiera e alla contemplazione; – del giudice a contratto s. m., giudice che aveva il compito di approntare i contratti livellari, di tenere giudizio nelle cause di primo grado, di salvaguardare gli interessi dell’Abbazia[8]. – dei lavoratori di spezierie, attività del droghiere e dello speziale, – del pannaro, s. m., addetto alla tessitura del panno; – dello scardalana e scardassatore, s. m., cfr. cardalana. Le attività dello scardalana erano duplici e consistevano: a) nel lavoro di pulire la lana da tutte le impurità e lavarla, per poi passarla alla filatura. L’attività dello scardalana era poco impegnativa e remunerativa, perciò veniva riservata ai meno capaci; b) nel lavoro di chi per mestiere ed abilità scarsdassa il tessuto di lana già lavorata, raffina cioè e pettina il panno con gli scardassi. – del veticale, s. m., potrebbe essere una variante di vettigale agg. e s.; in questo caso indica un impiegato delle imposte, daziere: da vectigal, alis, n. (con o senza l’agg. publicum) gabella. Per Coreno G. (S. Apollinare, origini e storia, da Cella Benedettina a Comune della Repubblica, S. Apollinare, 1997), p. 111, i “viaticali erano trasportatori con bestie da soma”. – dello zimatore, cimatore, s. m. addetto alla cimatura, a levar la cima e scemare i peli al panno di lana, togliendoli con le forbici. Come si rileva anche dagli Statuti del 1559 alcuni dei lavori sopra elencati erano assai redditizi, come quelli del mugnaio, del macellaio, dell’avvocato, del giudice e del notaio. Queste varie attività ci permettono di formulare un quadro piuttosto preciso dei lavori che si svolgevano in paese e di comprendere che esso non era soltanto agricolo. Dall’analisi delle singole attività rileviamo ancora che gli studenti erano 17 complessivamente e le donne non attendevano allo studio. Gli ecclesiastici erano 36, senza contare i forestieri pure essi assai numerosi. Vi erano poi 117 vergini in capillis. Emilio Pistilli spiega: “vergine in capillis e le altre espressioni figlia in capillis e donna in capillis indicavano le adolescenti in età da marito e le donne ancora nubili, le quali potevano andare a capo scoperto, mentre le maritate dovevano portarlo in certo modo protetto”. Forse da questo derivava la costumanza delle nostre contadine che ancora fino al dopoguerra usavano portare gliu maccaturœ, un grande fazzoletto colorato che copriva i capelli ed era annodato dietro alla nuca. Le famiglie a volte erano molto numerose; in alcuni casi erano costituite da tredici persone. Nel catasto risultavano improduttivi le mogli, le donne, i vecchi e i ragazzi al di sotto di dodici anni. Alcuni vecchi arrivavano agli 80 anni, ma l’età media era di 45 / 50 anni; i ragazzi di 11 anni già erano considerati operai; quelli di 14, se orfani di padre, assumevano il compito di capifamiglia. Alcuni cognomi sono quasi del tutto scomparsi dal nostro Comume, come Barbiero, Barilone, Bottigliero, Broccoli, Cafaro, Chiusi, Cipriano, Cocchiara, Curtopasso, d’Alessandro, della Grotta, di Biasio, di Luca, di Nallo, di Nola, di Prisco, di Trillio, Fiorentino, Gaglione, Giannini, Graniero, Landolfo, Luzio, Mallozzi, Mangiante, Marcangeli/Marcangelo(4), Marcone, Margiotta, Martone, Mastronardo, Mazzone/Mazzonna, Mentella, Mozzone, Morrone, Notarantonio, Oliviero, Panarella, Panetta, Pignataro, Piorago, Sacconio, Salvalaglio(3), Tomei, Troianelli, Valerio, Vittiglio, Zinicola. Altri, più diffusi, erano e sono ancora oggi in uso; da tener presenti alcune varianti, che oltre tutto ne spiegano anche l’origine: Angelosanto/di Angelosanto (23)[9], Arciero (20), Cacchione (8), Caccia, Capitanio, Capraio, Capraro, Cerrone (6), Clemente, Cocorocchio, Cozzo (11), d’Arpino/Arpino (10), della Marra (8), delli Colli, di Arpino/d’Arpino (15), di Caspoli/Caspoli (4), di Iuccia/Iuccia (4), Di Mambro (14), di Miele, di Violo/Violo(11), Ferraro, Figliolino, Fionda, Fionna (5), Fragnoli/Fragnolo(5) Gargano, Lanno (23), Leo, Palombo/Palumbo, Petruccio/Petruzzi, Picano/ Picanio (10), Pirollo, Polino (4), Santillo, Serra, Todisco, Tummolillo (12),Vacca, Zoccola E i nomi erano diffusi, oltre quelli trascritti anche nello Status Animarum del 1693, i seguenti: Agnello, Alesio, Alessandra, Alesio, Allegranza, Anastasia, Annibale, Antimo, Antinora, Antinoro, Apollonia, Aquila, Arcangelo, Baldassarro, Bartolomeo, Benedettantonio, Basilio, Belardino, Benigna, Benigno, Bertario, Biasio, Casimiro, Cataldo, Cherubina, Cleria, Cominigildo, Crispoldo Custodia, Cunigonda, Diamante, Dionisio, Domenicano, Eleuterio Gasparro, Gelardo, Giacinto, Girolama, Innocenza, Lorita, Luzio, Medoro, Melchiorre, Muzio, Nobilia, Onorato, Pascale Pietrercole, Pomponio, Prospero, Riccono, Rosalina, Rosolino, Sapienza, Secondino, Sigismondo, Timoteo. Erano, però, molto in uso Agostino, Alessandro, Andrea, Antonia, Antonino, Antonio, Benedetto, Carlo, Carmine, Cosimo, Crescenzo, Domenicantonio, Domenico, Donato, Dorotea, Elia, Felice, Erasmo, Filippo, Francesco, Gaetano, Gennaro, Germano, Gioacchino, Giacomo, Giuseppe, Ignazio, Isidoro, Leonardo, Lorenzo, Loreto, Luca, Luise, Mattia, Marco, Nascenzo, Nicola, Orazio, Paolo, Pietro, Simeone. Popolazione
Catasto cittadini
Totale popolazione: 1.907
Vedove e vergini in capillis[10]
Ecclesiastici secolari cittadini
Forastieri abitanti Laici
Forastieri non abitanti Laici[11]
Forastieri non abitanti ecclesiastici secolari
A semplice titolo informativo, riferiamo che nel catasto onciario di S. Germano[12] sono elencati nella
Rubrica dei Forastieri della Terra di S. Elia, Abitanti Laici
vergini in capillis
e nella
Rubrica dei Forastieri Bonatenenti della Terra di S. Elia
47 persone. Dal controllo effettuato risulta che 35 di esse figurano nel
Catasto Onciario di S. Elia e 12 no; quindi
Come si rileva dal prospetto riassuntivo precedente, dei 664 fuochi, nei quali si contavano 684 nuclei familiari, 291 possedevano un’abitazione propria, 35 vivevano in case in affitto e 17 in pagliare, cioè in capanne.
È da precisare altresì che le abitazioni, salvo alcuni fabbricati di notevole mole, erano per lo più ad un solo piano. Come si evince dagli anni incisi in sovrapposizione in qualche chiave di volta ancora esistente, molte furono varie volte ricostruite in seguito ai gravi terremoti che si verificarono. Probabilmente esse erano raramente nelle campagne, ma sorgevano per lo più nel centro urbano; di qui, come è testimoniato dai vari Statuti e dagli usi protrattisi fino alla seconda guerra mondiale, i contadini si recavano nella campagna, dove portavano al pascolo gli animali domestici. È interessante raffrontare la popolazione ricavata dal Catasto Onciario del 1754 con quella dello status animarum 1693, con quella dello status animarum del 1731 e con l’altra dello status animarum dello stesso anno 1754. Il primo del 1693 venne fatto eseguire dal Vicario Generale di Montecassino, d. Erasmo Gattola; per tale anno abbiamo per la prima volta notizie documentate sulla popolazione di S. Elia, in quanto il Gattola conferì l’incarico di compilare il censimento, ai quattro parroci del paese: all’arciprete d. Giovanni Battista Chiuso, della Parrocchia di S. Biagio, all’Abate d. Alessandro Blanco, della Parrocchia di S. Cataldo, al parroco d. Giuseppe Fiorentino, della parrocchia di S. Maria la Nuova e al parroco d. Antonio Miele, della parrocchia di S. Pietro[13]:
Nello status animarum del 1731 la popolazione si presentava con un aumento di 350 persone circa[14]:
In quello del 1754[15], lo stesso anno in cui fu compilato il Catasto Onciario, la popolazione era quasi la stessa:
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[1] Al catasto avevano pensato già nell’Egitto dei Faraoni, nella Grecia di Solone, nella Roma dell’Impero ed anche nei Comuni; ma esso non aveva carattere scientifico di oggi: le descrizioni erano generiche e le stime piuttosto imprecise se non arbitrarie; il catasto edilizio, per accertare le proprietà dei fabbricati, venne introdotto molto dopo, nel 1939. Dopo l’unità d’Italia, nel 1866 fu emanata una legge che prevedeva la formulazione di un catasto unico, con accertamento uniforme e relativa perequazione delle imposte.
[2] Saragosa S., Condizione sociale degli abitanti di Caira a metà del sec. XVIII (1742), in Studi Cassinati, Anno III, n. 1, marzo 2003, p. 8. [3] Cedrone Domenico, Il Catasto Onciario di Gallinaro, Gallinaro, MCMXCVIII, p. 35. [4] Catasto Onciario di S. Elia, Terra di Lavoro, Distretto di Sora, Volume 1430, Anno 1754, Archivio di Stato di Napoli della Regia Camera della Sommaria. [5] Russo Giuliana, Economia e società a Terelle nel Settecento, Cassino, 1999, p. 27. [6] Carrocci Maria Crescenza, La popolazione del Lazio Meridionale nei secoli XVII-XVIII. Rilievi sull’andamento demografico nella Terra S. Benedicti in epoca post-tridentina, Montecassino, 1992. [7] In parentesi è indicato il numero degli addetti. [8] Gattaola E., Ad historiam Abbatiae Cassinensis accessiones, P. Prima e Secunda, p. 172: “… Ne autem casu aliquo hae laminae deperirent, publicus exscriptae sunt iussu prioris Cassinensis a. 1535 coram testis, et judice ad contractus a notario Marco Antonio de Marco Sangermanensi… ”; p. 535: “Die 14 Septembris an. 1440. Monachi Casinates judicem ad contractus crearunt notarium Marcum Bove in civitate S. Germani… ”; p. 600 “Idem Abbas judicem ad contractus constituit Alphonsum Trella a S. Elia hisce literis… ” [9] Il numero in parentesi indica quante volte il cognome è stato usato nel catasto. [10] Cfr. spiegazione di E. Pistilli trascritta precedentemente.
[11] I forastieri non abitanti laici avevano questa provenienza: 87 da S. Germano, 1 da Alvito, 15 da Atina, 11 da Belmonte Castello, 1 da Casale, 1 da Casalvieri, 1 da Castel Petroso, 1 da Napoli, 1 da Palazzolo, 1 da Picinisco, 1 da S. Angelo in Theodice, 1 dalla Parrocchia di S. Cataldo, 4 da Terelle, 17 da Vallerotonda. [12] Catasto Onciario di S.Germano, Terra di Lavoro, Volume 1501, Anno 1742, Archivio di Stato di Napoli della Regia Camera della Sommaria, fogli da 571 a 606 e da 611 a 621. [13] Carrocci Maria Crescenza, ibidem, pp. 197-248. [14] Pantoni A., Sant’Elia Fiumerapido Notizie storiche in Lazio sud n. 8, ottobre 1982, p. 6. [15] Pantoni A., ibidem, p. 6. |
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