Memorie di guerra tra passato e presente

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Studi Cassinati, anno 2004, n. 4

di Ahmid Benhraalate

Ringrazio gli organizzatori di questa giornata, in particolare il Prof. Fausto Pellecchia dell’Università di Cassino che ha preso questa iniziativa; ringrazio inoltre tutti coloro che hanno reso possibile questo dialogo e hanno dato l’opportunità di parlare di questa fase della II guerra mondiale.
Un ringraziamento particolare alla Prof.ssa Daria Frezza e a suo figlio Clemente che hanno fatto un lavoro importante per venire in Marocco ad incontrare alcuni ex combattenti e per visitare la sede della più importante associazione di reduci marocchini.
La Prof. Frezza mi ha fatto conoscere la storia tragica di queste donne italiane, delle loro famiglie e delle loro comunità. Infine ringrazio tutti coloro che sono intervenuti.
Nei discorsi che mi hanno preceduto sono stati rievocati gli avvenimenti drammatici dovuti alla guerra in questa regione e inoltre i modi con i quali la memoria di questi avvenimenti è stata trasmessa. Nella mia qualità di Presidente dell’Associazione Nazionale dei Reduci Marocchini che hanno combattuto sotto il comando degli ufficiali francesi nel Corps Expeditionaire Française, anche se personalmente non ho combattuto in quella guerra, vorrei prima di tutto presentare le scuse alle vittime civili per le violenze che hanno subìto da parte delle truppe marocchine. Naturalmente sono consapevole del fatto che le mie scuse hanno soltanto un valore simbolico e non possono risarcire le sofferenze delle persone. Questo lato delle memorie di guerra rappresenta il versante oscuro, rimosso, sul quale finora vi è stato silenzio in Marocco, così come in altri paesi. D’altra parte sono persuaso che, come osserva il filosofo Paul Ricoeur, soltanto una memoria che sia in grado di recuperare il passato in tutte le sue dimensioni puó aprire la porta al dialogo col futuro.
Permettetemi a questo punto di parlarvi della mia esperienza in rapporto alla situazione degli ex combattenti. Essendo io stesso figlio e nipote di reduci, sono cresciuto sentendo parlare di Cassino senza esserci ancora mai stato.
Vicino a questo luogo, a 30 km da qui, si è conclusa per un gran numero di soldati marocchini una vicenda che era iniziata sull’altra sponda del Mediterraneo. Il cimitero francese di Venafro testimonia del sangue versato da questi soldati africani per la vittoria della libertà nel mondo. Il motivo per il quale vengo ogni anno da Nizza in questa regione è quello di rendere omaggio a tutti i soldati morti in Italia; ciò che mi lega a questa terra è la tomba di un mio zio che ho scoperto per caso a Venafro, mentre su questa terra mio padre ha perso la sua mano destra, combattendo per la libertà.
Sono nato e vissuto a Meknes, città imperiale vicina alle montagne dell’Atlante, da dove sono stati reclutati molti dei soldati che combattevano nell’esercito francese. Quelle montagne, peraltro, ricordano da vicino il paesaggio degli Abruzzi. Quella città è stata per lungo tempo la sede principale dell’esercito, fin dall’epoca del protettorato francese. I soldati di quella regione sono stati reclutati anche perché potevano combattere e acclimatarsi più facilmente in una regione simile alla vostra. Non bisogna dimenticare che questi soldati erano per la maggior parte molto giovani, poveri, non sapevano né leggere né scrivere, né parlare francese. Nessuno di loro aveva mai visitato la Francia, anche se tutti pensavano di combattere per la Francia contro i tedeschi sul suolo francese. Nessuno di loro si aspettava di venire in Italia. Fino ad oggi alcune vedove credono ancora che i loro mariti siano morti in Francia.
Ciò che mi colpì profondamente all’età di otto anni è un’immagine molto dura che ho ancora davanti agli occhi: alla fine di ogni mese arrivavano davanti all’Ufficio del Tesoro Pubblico degli uomini dall’aspetto imponente, dei begli uomini, grandi, mutilati, avvolti dentro un bournous marrone, colore della scorza d’albero, con passo da guerrieri, che venivano a dormire su dei cartoni per terra, in modo da essere pronti all’alba presso gli sportelli per ritirare una pensione simbolica. Mio padre, per aver perso una mano, prende circa 45 euro al mese, mentre un soldato francese, nelle stesse circostanze, prende dieci volte tanto, 450 euro: le stesse ferite, lo stesso rischio di morire in qualsiasi momento. Questi veterani marocchini hanno liberato la Francia alla sola condizione che la Francia donasse l’indipendenza al Marocco alla fine della guerra. Sfortunatamente, la Francia non ha rispettato questo impegno e questi stessi soldati hanno ripreso le armi contro la Francia e da ex-combattenti sono diventati “l’armée de liberation” del Marocco. Dopo l’indipendenza del Marocco, nel ‘56, l’armée de liberation ha ottenuto dei benefici sociali con le loro famiglie, mentre i reduci dell’armée francese sono caduti nell’oblìo dalle due parti, non avendo che come ricordo le loro ferite di guerra. Di qui la creazione della nostra Associazione.
Oggi questi reduci vivono nella miseria, senza aiuti per le malattie e le sofferenze a cui vanno incontro. La Francia li ha dimenticati, come se si fosse liberata da sola. L’Ufficio della nostra Associazione li aiuta affinché possano rivendicare i loro diritti nei confronti della Francia e li aiuta sul piano umanitario e sanitario.
Essi non sono mai invitati alle cerimonie ufficiali, non possono nemmeno avere un semplice visto per venire a curarsi in Francia. Per le cerimonie del sessantesimo anniversario della fine della II guerra mondiale, una delegazione è arrivata per la prima volta in Francia dopo una lunga lotta per ottenere i visti. Lo scopo era quello di dimostrare che essi erano ancora in vita e di trasmettere il dovere della memoria a 3.000 studenti di quattro licei di Marsiglia e della regione.
La generazione di coloro che hanno combattuto sta scomparendo, è tempo di girare questa pagina della storia con i suoi lati positivi e negativi, ma il nostro compito è quello di vigilare affinché l’esperienza degli uni e degli altri possa far sì che questi eventi non debbano mai più ripetersi e che possiamo dialogare insieme per le generazioni future.
Vi ringrazio per avermi ascoltato.

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