Quel fatidico venerdì

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Studi Cassinati, anno 2004, n. 4

di Giuseppe Dell’Ascenza*

Sì, per noi che vivemmo come in un terribile sogno l’apocalittica parentesi del conflitto che s’abbatté con rabbia inaudita sulle nostre contrade, «prima della guerra» non è un’espressione banale, ma una data ben precisa, chiara, inequivocabile. Essa non significa, né vuol intendere una data prima del 10 giugno del 1940, ma un tempo che arresta e definisce solo quel periodo di anni che va dal 10 settembre 1943 al ritorno in Cassino e che raggiunse l’acme dell’orrore, indescrivibile ma solo orribilmente immaginabile come in una catarsi di esseri umani e di cose alla maniera di Poe, il fatidico giorno delle fatali distruzioni di Montecassino prima e di Cassino dopo. 10 settembre 1943, 10 febbraio e 15 marzo 1944: tre date scritte indelebilmente nel cuore di ogni cassinate, indimenticabili per ogni essere umano che crede nella forza creatrice dell’uomo nella luminosa speranza della fede.
… Erano le dieci e venti del mattino di quel fatidico venerdì del 10 settembre 1943 … La giornata era splendida, il cielo d’un azzurro limpido come non mai e un via vai insolito animava le strade cittadine.
Già da due giorni, cioè dalla sera dell’8 Settembre, tutto era diverso, sembrava che tutto fosse ritornato alla normalità perché la «guerra era finita». Non c’era stato, forse, l’armistizio? E come!…
La sera dell’8 settembre, anzi, dopo che col giornale radio delle ore 20,30 la notizia fu di dominio pubblico, i ragazzi d’una certa età, che s’erano accodati a dei gruppi esaltanti la fine della guerra, avevano anche gridato «Duce!… Duce!».
Eh sì! Perché, a quell’età, imbevuti di fascismo ed educati a «Credere, obbedire e combattere», i più giovani credettero che anche l’armistizio, che portava la fine della guerra – o almeno così si credeva –fosse opera del Duce.
Qualcuno, allora, li ammonì a non gridare più «Duce… Duce!…» perché, ormai, c’era Badoglio e l’Italia aveva imboccato una nuova strada … Quale?… Quella segnata il 25 luglio o quella di Brindisi, questa nota solo alle alte sfere, quella nota a tutta la Nazione?
Nel caos ci si illudeva mentre i tedeschi non perdevano tempo a far scattare il previsto piano d’occupazione.
Il 9 settembre, giornata dedicata ai commenti più disparati, le vie di Cassino furono pattugliate per alcune ore da un autocarro militare italiano, dislocato nel locale deposito dell’Artiglieria, ma poi non si vide più; ad un certo momento scomparve dalla circolazione. D’altra parte i civili non davano alcuna importanza a questa sparizione, né al pattugliamento stradale operato dal tedeschi, i quali, già di stanza a Cassino da qualche mese, non destavano nessuna preoccupazione. E poi, che cosa avrebbero potuto fare … tutto era accaduto così all’improvviso!
Il dieci settembre, dunque, nutrite formazioni di fortezze volanti apparvero sul cielo di Cassino; gli aerei provenivano da Est e sembrava che volessero attraversare diagonalmente la città in quell’ora del mattino formicolante di cittadini, di curiosi, che, col naso all’insù, vedevano, si additavano, contavano le fortezze volanti anglo-americane, luccicanti al sole abbagliante di settembre e sorvolanti la nostra città.
Perché?… Come?… Essi, gli Alleati, ormai non erano più nemici … non c’era stato l’armistizio?
Volavano serrati gli stormi, a breve distanza gli uni dagli altri, in formazione … Col naso all’insù noi contavamo gli aerei: «Uno due tre … sette … quindici … diciassette …». Qualcuno ne contò ventitre; gli stormi volavano a brevissima distanza, quasi si inseguissero, altri seguivano … Tutto accadde in un baleno perché d’un tratto l’eco di un terribile boato, seguito da altri scoppi, tenebrosi e cupi, si perdeva nel meandri della città che ad ogni deflagrazione sussultava paurosamente mentre nuvole di polvere nera, fangosa, s’alzavano al cielo quasi a voler oscurare la limpida luce di quel sole luminoso.
Cassino veniva bombardata!
Per la prima volta gli inermi cittadini di una sperduta città, piccolo centro agricolo e commerciale, anche se vetusta di storia, venivano duramente posti di fronte alla realtà, incredibile realtà di una amara verità: la guerra non era finita, anzi per Cassino stava cominciando allora!
Piovvero le bombe a grappoli nelle vicinanze dello scalo ferroviario, là dove il Gari, impetuoso e prepotente corre veloce, smanioso di raggiungere il Rapido, che deve far suo, sulla Villa Baccari, sul palazzo Dragonetti, in Via Sferracavalli, in Via Marconi e nello spiazzo erboso compreso fra le due vie parallele: Sferracavalli e Marconi, ove erano appena accennate le fondazioni di nuove costruzioni che dovevano segnare il nuovo piano di ricostruzione della Città.
Che cosa accadde, allora?
Ognuno di noi ricorderà sempre quegli avvenimenti e ciò che pensò in quel breve ma pur lungo arco di tempo che trascorse dall’apparizione degli stormi all’eco delle ultime raffiche delle mitragliere, sparate mentre indisturbate le fortezze volanti rientravano alla loro base.
Ai cupi fragori degli scoppi seguirono le urla di coloro che si chiamavano, che si cercavano mentre le notizie sul disastroso bombardamento volavano di bocca in bocca … «È ferito?… no, è morto!… chi?… ma, dove?… Non l’ho visto!… Non ne so niente!… Sì, la villa è stata colpita!… No, alla stazione le bombe sono cadute in buona parte nel fiume…». E tutti, preoccupati e pallidi, s’affrettavano a ritornare a casa per rassicurarsi, accertarsi che tutti i familiari fossero sani e salvi, che la propria casa non avesse subìto nessun danno.
Le vie cittadine si spopolarono di colpo, solo i tedeschi e qualche raro volenteroso prestarono i primi soccorsi ai feriti. Questi furono raccolti e sistemati alla meglio nelle aule dell’edificio scolastico «Principe di Piemonte», da tutti denominato: «Scuola di Sant’Antonio» in virtù della sua ubicazione accanto alla chiesa di Sant’Antonio e nel vasto androne del palazzo Vitti, per essere poi smistati negli ospedali vicini e nelle varie cliniche cittadine.
Erano là, gli uni accanto agli altri, che si lamentavano dolorosamente … alcuni non sopravvissero alle ferite, altri, ancor oggi fra noi, con le loro ferite, sono la testimonianza di un atroce fatto di guerra, ancor più atroce se si pensa che Cassino non fu mai «base militare»!
Caddero quel giorno, senza distinzione di sesso e di età, Lina Mele, Federico Ponari, Bruno Marchegiani, Antonio Florio e tanti altri. Chi di noi li dimenticherà?
Ben 105 furono le vittime di cui solo tre tedesche!
Lina Mele, nel fiore dell’età, non ancora ventenne, fu stroncata dalla furia omicida di una delle due bombe che colpirono in pieno il palazzo Dragonetti.
Le due bombe sfondarono letteralmente il palazzo, dai tetti alle fondamenta, senza esplodere. Lina era nella sua stanza, ignara del grave pericolo che la minacciava quando il sibilo delle bombe che cadevano su Cassino l’avvertirono che qualcosa di veramente terribile stava per accadere. Violentemente sbattuta dallo spostamento d’aria, provocato dalle bombe che selvaggiamente esplodevano sulla villa Baccari, cadde riversa colpita al viso e ad una gamba dai calcinacci, che trasportava con sé nella caduta la bomba che verticalmente tagliava in due il palazzo, e dai vetri che andavano in frantumi. Nella stanza accanto sprofondava col pavimento e con l’altra bomba il padre che, miracolosamente incolume – riportò solamente un profondo taglio alle dita della mano – poté gridare e invocare aiuto quando il bombardamento cessò.
Povera Lina, così dolce e malinconica, sempre buona e sorridente con tutti, infinitamente cara agli amici e alle amiche per tutte le sue infinite doti!
Le ferite dapprima non destarono preoccupazioni; con tutti gli altri fu allineata nell’androne del palazzo Vitti, ma presto ci si accorse che era grave. Allora fu trasportata alla clinica Tari e di lì all’ospedale di Pontecorvo mentre il padre, profondamente colpito negli affetti e dolorante per le sue ferite alla mano, cercava amorosamente, pietosamente aiutato in ciò da qualche amico, d’illudere la madre dicendole che la ferita riportata da Lina era una sciocchezza e che presto essa, ristabilita, sarebbe tornata con loro.
Pietosa bugia d’un padre che, forzando se stesso tentava di nascondere la terribile verità alla moglie
perché non soffrisse più di quanto già soffriva!
Cadde anche Bruno Marchegiani che solo qualche mese prima aveva festeggiato con gli amici più cari la maturità classica.
La sua morte addolorò profondamente non solo i suoi familiari ma anche tutti coloro che lo avevano conosciuto, perché Bruno sapeva farsi amare da tutti. Sempre sorridente, dagli occhi azzurri sempre intensamente luminosi da cui traspariva tutta la sua intelligenza e la sua bontà era caro a tutti coloro che con lui avevano condiviso le ansie dello studio e la gioia del divertimento, nella spensieratezza e l’allegria d’una vita sana e fiduciosamente proiettata nel futuro.
Nella furia del bombardamento, cieco e rabbioso, che tinse di sangue le verdi zolle dei nostri giardini e le bianche strade cittadine, cadde anche Federico Ponari, l’amico caro e sempre allegro, che, umorista nato, sapeva di ogni cosa cogliere il lato comico e divertente. Dagli amici era oltremodo amato proprio per quella sua inesauribile «verve» con cui scherzosamente animava le sue fiorite apostrofi puntualizzando fatti di cronaca e aneddoti di viaggio, suoi e dei suoi colleghi. Amava profondamente la famiglia, venerava quasi la moglie a cui, però, non giustificava per nessun motivo che rientrando non trovasse la tavola già imbandita, anche se per mangiare occorresse aspettare ancora qualche ora!
Il 10 settembre segnò anche la fine di Antonio Florio che, come ogni mattina, si era recato alla villa Baccari per radere il Commendatore. Fu l’ultima volta che gli apprendisti del suo «salone » lo videro partire con la «valigetta dei ferri del mestiere» per recarsi da uno fra i più cari e rispettati clienti.
Anche lui vittima innocente, come tutti i caduti di quella mattina e dei giorni a venire, del vorace dio della guerra! Il calvario per Cassino era dunque iniziato e peggiori annunci di quella che sarebbe stata la triste e inenarrabile odissea della città e dei suoi cittadini non potevano essere offerti.
Non che la cittadinanza non fosse già stata preavvertita delle tragiche conseguenze d’un bombardamento aereo, ma la realtà passivamente sofferta d’una azione di guerra era ben diversa da ciò che fu vissuto la notte del 20 luglio [l’aeroporto di Aquino fu bombardato ripetutamente a partire dal 19 luglio 1943. N.d.r.] quando stormi di bombardieri attaccarono e distrussero il campo di aviazione di Aquino, distante in linea d’aria solo pochi chilometri da noi.
Anche quella notte, sulle pendici del monte più che sulla città, furono sganciate, quasi a voler intimorirne i cittadini, alcune bombe dirompenti, mentre bengala luminosi la rischiaravano a giorno e dalla zona dell’aeroporto giungevano gli echi violenti degli scoppi tra il baluginare degli aerei che miseramente bruciavano al suolo.
Potemmo, allora, solo avere una pallida idea d’un bombardamento, ma mai pensare che Cassino potesse subirne qualcuno.
E invece … Quando tutti credemmo che la guerra fosse finita, essa ci si annunciava in tutta la sua crudele mostruosità, anche se quel 10 settembre ringraziammo la Provvidenza per essere capitato di venerdì e non di sabato [giorno di mercato a Cassino. N.d.r.].
Molte di più sarebbero state le vittime perché certamente tutti saremmo corsi ad affollare il mercato settimanale che, con la fine della guerra, sarebbe stato sicuramente più importante e più ricco di quanto non lo fosse stato nei trascorsi anni di «belligeranza».Con un battesimo di sangue e di ferro, di morte e distruzione, di angosciosi lutti cominciò, così, l’epopea della nostra Città.
Noi oggi, a distanza di anni, abbiamo voluto ricordarne gli avvenimenti più significativi perché la storia e l’odissea della nostra città non siano dimenticate o solamente ritenute come fatti di mera cronaca, perché per noi, noi di quel periodo, quando ci ritroviamo insieme, per meglio intendere e meglio ricordare a noi stessi determinati fatti e avvenimenti, tradizioni e costumi del tempo della nostra gioventù – bruciata alla vampata della guerra, ma forgiata dalle sofferenze a sperare in giorni migliori, nella Fede e negli ideali più sublimi – «prima della guerra» è un’espressione che ci porta a rivedere la nostra Cassino, com’era prima della guerra, medievale nel taglio delle sue case dai tetti spioventi, con le strade inerpicantesi all’ombra della Rocca Janula, nella fuga dei suoi archi al gorgoglio delle sue sorgenti, alla maestosità sobria dei templi, invano difesi dalla grandiosità sacra del suo millenario Cenobio!

* Il prof. Giuseppe Dell’Ascenza, appassionato studioso della storia di Cassino ed autore di importanti pubblicazioni è scomparso nel 1979, all’età di 55 anni. L’articolo che pubblichiamo è apparso per la prima volta su “IL GAZZETTINO DEL LAZIO”, Roma, 20 marzo 1969.

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